La parola “regola” deriva da una radice proto-indoeuropea (ricostruita) *reg-, “muoversi in linea retta”, dalla quale sono derivati termini come “retta”, ma anche “re”. In latino rēgŭla era l’asticella con la quale si tiravano le righe (da cui anche il regolo calcolatore degli ingegneri di un tempo), e in senso figurato anche la regola, la norma, il principio, impersonate dal sovrano, il rex, colui che detta le regole. Termini derivati e imparentati sono “regolare”, “retto”, “diritto”, “corretto”. Sin dagli albori della matematica, c’è parentela etimologica e semantica tra il rispetto delle regole e il tirare le righe diritte.
Dalla parola sono derivati anche l’inglese right (giusto, corretto, opportuno, bene, giusto, diritto, retto, destra) e, dall’accezione di “re”, to rule (comandare, governare) e rule (regolamento), il gaelico rī, in tedesco abbiamo Reich (regno, stato).
Come si usa per i papi e per i re (e per i governanti in generale), morta una regola, parente etimologica dei re, se ne fa un’altra. Infatti, senza le regole sarebbe il caos, e delle regole non possiamo fare a meno: esse sono indispensabili, e un pochino antipatiche proprio perché necessarie. Quell’aura di autorità e potere che possiedono ab origine spinge molti a metterle alla berlina, come ha fatto Jaroslav Hašek scrivendo Il buon soldato Sc'vèik, il cui protagonista è un perfetto idiota che esegue acriticamente e disastrosamente gli ordini ricevuti, creando il finimondo ed evidenziando l’ipocrisia e la stupidità di una società dove le regole sono diventate il fine e non il mezzo. Un altro modo di non farsi sopraffare dalle regole è quello di giocare con loro, come fanno i bambini o, in campo artistico e letterario, fanno le avanguardie. A qualcuno può venire in mente di inventarne di nuove e apparentemente non necessarie, solo per il gusto di vedere come uscirne (il topo che si costruisce il labirinto di Queneau). È quello che hanno fatto i membri dell’Oulipo, valorizzando e inventando nuove regole formali autoimposte (“contraintes”) come stimolo per l’ispirazione letteraria. La regola è questa: giocare con le regole, non accontentandosi di quella già presenti nella lingua, nello stile, nel genere, nel soggetto, e aggiungendone altre, magari prendendone a prestito dall’enigmistica (il palindromo, l’acrostico, il lipogramma, dei quali certo non si è sottovalutato l’aspetto ludico) o dalla matematica, come il calcolo combinatorio, la teoria degli insiemi o la teoria dei grafi.
Ma perché le regole cambiano? Una regola ha senso all'interno di un determinato paradigma (sociale, giuridico, scientifico, ecc.). Persino le "leggi di natura" dei filosofi naturali hanno rivelato i loro limiti man mano che la fisica ha rivelato nuovi orizzonti con la relatività e la fisica quantistica (che a loro volta sono debitrici delle geometrie non euclidee e n-dimensionali). Arriva un certo momento in cui le regole vanno cambiate perché è cambiato il mondo e con lui la testa di noi che lo guardiamo. Il rispetto delle regole è, come si dice, la felicità dei mediocri, che non cambierebbero mai nulla. L'uomo d'ingegno è invece un sovversivo (non necessariamente in campo sociale, ma le due cose talvolta procedono di pari passo).
Lo spettro semantico della parola greca tèchne, di solito tradotta con “arte”, è molto ampio e comprende sia la nostra arte, sia la nostra tecnica, sia la capacità, manuale e no, di fare qualcosa che si svolge secondo una regola. Gli artisti sono anche tecnici e i tecnici sono anche artisti, perché il loro fare, in entrambi i casi, comporta un saper fare o un metodo; comporta, cioè, una conoscenza, pratica e teorica a un tempo, e una partecipazione consapevole a ciò che si fa. E questo vale sia per il lavoro intellettuale, sia per il lavoro manuale; technités era chi riuniva in sé il tecnico e l'artista, svolgendo un'azione che si organizza secondo "principi e regole razionalmente posseduti, dimostrabili e discutibili" (Gianni Vattimo), conoscendo principi generali e applicandoli secondo metodi razionali, finalizzati ad un risultato di natura estetica. In questa accezione, la conoscenza delle regole, della tecnica, è il primo gradino della creazione artistica. Ma non scordiamo che ciò vale anche al di fuori dell’arte, in tutte quelle attività in qualche modo riconducibili all’artigianato, alla creazione di un prodotto (materiale o intellettuale) che parte dalla padronanza della tecnica, delle regole del gioco, per poi trascenderle attraverso la creatività e il talento.
In questo senso l’arte, compresa la letteratura, e la matematica, entrano nel campo semantico della téchne. Si parte dalle regole, le si esercita fino a interiorizzarle, quindi, se si è bravi, nasce l’atto creativo, l’Opera, che può essere un quadro, un edificio, un romanzo, un teorema. E quando l’occhio educato osserva il risultato di tali attività, prova lo stesso piacere estetico. In questo senso una formula, una nuova teoria scientifica, possono essere belli quanto una scultura o una poesia. Personalmente non ho alcuna difficoltà nel dire che comprendere una grande costruzione intellettuale (come la relatività einsteniana) o ammirare la preziosa sintesi della identità di Eulero è bello quanto leggere una poesia di Leopardi o guardare un quadro del Caravaggio. Sono tutte il frutto di sapere e creatività, tutte profondamente umane ai livelli più eccelsi.
Dal testo del mio intervento a Elogeremmo solo somme regole tenutosi alla Libreria Assaggi di Roma. Il bellissimo palindromo del titolo è servito a battezzare l’incontro che ho avuto il 15 maggio 2013 con il suo autore, il matematico Marco Buratti, professore ordinario di Geometria presso l’Università di Perugia, esperto di Matematica Discreta. Buratti è autore di due libri di palindromi e da otto anni cura la rubrica “Né capo né coda” nel domenicale de Il Sole 24 Ore. L’occasione è stato l’invito rivolto a entrambi, da parte di Roberto Natalini di MaddMaths, di parlare di regole, secondo la formula adottata nel ciclo di incontri MaddMaths racconta.
Uno dei palindromi più belli che abbia letto in direzione retta e contraria! Saluti!
RispondiEliminaCaro Popinga,
RispondiEliminaintanto tanti auguri di buone feste (anche questa in fondo e'una regola).
Complimenti intanto per il bel post.
Io invece mi sono imbattuto in un vecchio libro di Bell ,"la magia dei numeri" ,lo sto finendo,penso proprio per Natale,...mentre temo che il quesito di fondo che l'autore pone ,ovvero se i numeri sono stati scoperti,o inventati,penso che mi continuera' ad arrovellare..se non adotto la sana teoria che in fondo ,di questo dilemma , per quel che resta da vivere..uno se nepuo' anche fregare....
Fino a ieri,senza nemmeno saperlo,ero per la tesi che inumeri sono stati inventati...
Vorrei untuo parere personale...sperando di non farti andare il panettone per traverso..
Ancora buone feste
caino
Caro Popinga,
RispondiEliminaun rimprovero,grande,grande,grande ,ti devo fare!
Hai citato ed esposto brillantemente ,al pari di un'opera d'arte ,l'identita' di Eulero,ricavata dalla
altrettanto nota Formula di Eulero e elevato jphi =cos phi+sen phi (come vedi ancora non riesco a scrivere su un tablet le formule,e dire che di programmi forse ve ne sono,anche gratuiti)
Apprendo pio da wiki che nel 1988 i lettori di Mathematical Intelligencer la votarono come la piu' bella formula matematica di sempre,poiche'collega in Modo Armonioso e,pi,i,1,0.
Questi due fatti ,mi hanno rotto gli equilibrii di sessantenne in pensione,poiche'mi sono ricordato che tanto tempo fa ormai alla Maturita' Tecnica,risolvetti un problema di Elettrotecnica ,su un trasformatore,per il semplice fatto che mi veniva bene e comodo fare operazioni con gli esponenziali.
Poco dopo ,quando per lavoro,affrontai il problema delle celebri equazioni di propagazione lungo una linea..ove ad un certo punto del testo si diceva che essendo cos phi + jsen phi = a e elevato a jphi,per cui si puo' scrivere z= IZI e elevato a jphi,....(che bello trovare la pappa gia' fatta e calda)...spero che tu comprenda il Rimprovero che ti muovo, e comunque un grazie ad Eulero, che secondo il mio modesto avviso non trovo' il tutto gia' scritto in qualche paradiso platonico