giovedì 22 settembre 2016

La matematica è dappertutto (ma non è di tutti)


Sul blog di matematica ospitato dallo Scientific American, il 16 agosto scorso lo storico della matematica Michael J. Barany ha pubblicato un articolo intitolato Mathematicians Are Overselling the Idea That “Math Is Everywhere” (I matematici stanno vendendo troppo l’idea che “La matematica è dappertutto”), che ha fatto molto rumore e ha suscitato reazioni di vario tipo nella comunità dei matematici e degli storici della disciplina. 

La tesi principale di Barany è che la matematica più importante per la società è sempre stata il campo di un piccolo numero di pochi privilegiati. Più o meno dall’alba della civiltà umana, argomenta l’autore, le società hanno sempre attribuito un’autorità speciale agli esperti di matematica. Perché i matematici interessano alla società nel suo complesso? Se si ascoltano i matematici, i decisori politici e gli educatori, la risposta sembra unanime: la matematica si trova dappertutto, perciò dovrebbe interessare a tutti. Libri e articoli abbondano di esempi della matematica che, secondo i loro autori, si nasconde in ogni fatto della vita quotidiana o rivela potenti verità e tecnologie che plasmano i destini degli individui e delle nazioni. 

Certamente, i numeri e le misure figurano regolarmente nelle vite della maggior parte delle persone, ma ciò rischia di crear confusione tra le abilità basilari di calcolo (ingl. numeracy) e il tipo di matematica che più influenza le nostre vite. Quando parliamo di matematica nella politica, specialmente di investimenti pubblici nell’educazione e nella ricerca, non stiamo parlando di mere addizioni e misure. Per la maggior parte della sua storia, la matematica che fa la vera differenza per la società è stata il campo di pochi. Le società hanno valutato e coltivato la matematica non perché essa è dappertutto e per tutti, ma perché è difficile ed esclusiva. Riconoscere che la matematica si denota per l’elitarismo connaturato alla sua essenza storica, piuttosto che pretendere che sia nascosta tutto intorno a noi, afferma Barany, fornisce un’idea più realistica di come essa sia adatta per la società e possa aiutare le persone a sollecitare una disciplina più responsabile e inclusiva. 

Nelle prime società agricole agli albori della civiltà, la matematica, sostiene Barany, collegava i cieli e la terra. I sacerdoti usavano i calcoli astronomici per definire le stagioni e interpretare il volere divino, e la loro esclusiva padronanza della matematica dava loro potere e privilegio nella società. Quando le economie primitive divennero più grandi e complesse, i mercanti e gli artigiani incorporarono nel loro lavoro sempre più conoscenze matematiche di base, ma per essi la matematica era un trucco del mestiere più che un bene pubblico. Per millenni, la matematica avanzata rimase un affare dei benestanti, sia come passatempo filosofico, sia come mezzo per reclamare una speciale autorità. 

Le prime idee abbastanza diffuse che tutto ciò che si trova al di là della semplice matematica pratica doveva avere una più ampia platea datano a ciò che gli storici chiamano prima Età moderna, che incominciò cinque secoli fa, quando iniziarono a prendere forma molte delle nostre moderne strutture e istituzioni sociali. Proprio quando con la Riforma si cominciò a insistere sul fatto che le Scritture dovevano essere accessibili alle masse nelle loro lingue, gli scrittori scientifici come il gallese Robert Recorde utilizzarono la relativamente nuova tecnologia della stampa a caratteri mobili per diffondere la matematica per il popolo. Il libro di aritmetica in inglese di Recorde, del 1543, incominciava con la considerazione che “nessun uomo da solo può far alcunché, e ancor meno parlare o fare affari con un altro, senza avere sempre a che fare con il numero”. 


Molto più influente e rappresentativo di questo periodo fu il suo contemporaneo John Dee, che utilizzò la sua reputazione matematica per ottenere l’influente posizione di consigliere di Elisabetta I. Dee incarnò così intimamente l’idea della matematica come tipo di conoscenza segreto e privilegiato che i suoi detrattori lo accusarono di congiura e di altre pratiche occulte. Nella Rivoluzione Scientifica del XVII secolo, i nuovi promotori della scienza sperimentale, che era (almeno all’inizio) aperta a qualsiasi osservatore, erano sospettosi dei ragionamenti matematici perché li ritenevano inaccessibili e tendenti a chiudere punti di vista diversi con un falso senso di certezza. Durante l’Illuminismo del XVIII secolo, al contrario, gli intellettuali dell’Accademia Francese delle Scienze fecero fruttare la loro abilità nella matematica avanzata ottenendo un posto privilegiato nella vita pubblica, pesando nei dibattiti filosofici e negli affari pubblici e allo stesso tempo chiudendo i loro ranghi alle donne, alle minoranze e alle classi sociali più basse. 

Nel XIX secolo le società di tutto il mondo furono trasformate da ondate successive di rivoluzioni politiche ed economiche, ma il modello francese di competenza matematica privilegiata al servizio dello Stato proseguì. La differenza stava in chi doveva essere parte di quella elite matematica. Esser nato nella famiglia giusta continuava a essere un vantaggio, ma, nella scia della Rivoluzione Francese, anche i governi successivi manifestarono un grande interesse nell’educazione primaria e secondaria, e eccellenti risultati negli esami potevano aiutare alcuni studenti a fare carriera nonostante la loro origine modesta. I leader politici e militari ricevevano un’educazione uniforme nella matematica avanzata in poche accademie prestigiose che li preparavano ad affrontare i problemi speciali degli stati moderni, e questo modello francese di coinvolgimento statale nell’educazione di massa, unito a una speciale formazione specialistica per i migliori, trovò imitatori in Europa e anche oltre l’Atlantico. Anche quando la matematica di base fu alla portata di sempre più persone attraverso l’istruzione di massa, la matematica rimase qualcosa di speciale che era patrimonio di una elite isolata. Più persone potevano potenzialmente farne parte, ma la matematica non era di sicuro per tutti.

Entrando nel XX secolo, il sistema di indirizzare gli studenti migliori verso una educazione elitaria continuò a guadagnare importanza in Occidente, ma la matematica stessa diventò meno centrale in quell’educazione. In parte ciò rifletteva il cambiamento delle priorità del governo, ma in parte era una questione di studi troppo avanzati rispetto alle necessità dei governi. Mentre i matematici dell’Illuminismo affrontavano questioni pratiche e tecnologiche a fianco delle loro ricerche più filosofiche, i matematici di cent’anni fa si interessarono sempre più a teorie così astratte da essere ostiche, senza la pretesa di dedicarsi direttamente ai problemi mondani. 

Il punto di svolta successivo, che continua in molte maniere a definire le relazioni tra la matematica e la società al giorno d’oggi, fu la Seconda Guerra Mondiale. Combattendo una guerra di quella portata, i principali contendenti si dovettero confrontare con nuovi problemi nella logistica, nella progettazione e nell’uso di nuove armi, e in altri settori, che i matematici si dimostrarono capaci di risolvere. Non che la matematica più avanzata fosse diventata improvvisamente più pratica, ma avvenne che gli stati trovarono nuovi utilizzi per coloro che avevano una preparazione matematica avanzata e i matematici trovarono nuovi modi per essere richiesti dagli stati. Dopo la guerra, i matematici ottennero un appoggio sostanziale dagli Stati Uniti e da altri governi sul presupposto che, a prescindere dal fatto che la loro ricerca fosse utile in tempo di pace, ora c’era la prova che matematici di alto livello sarebbero stati necessari nella guerra successiva. 


Alcune di quelle attività belliche occupano tuttora i professionisti della matematica, sia all’interno, sia fuori dalle organizzazioni statali: dagli scienziati della sicurezza e dai decrittatori di codici nelle imprese tecnologiche e nei servizi segreti, ai ricercatori che ottimizzano fabbriche e catene di rifornimento nell’economia globale. Lo sviluppo dell’informatica del dopoguerra ha fornito un altro settore in cui i matematici sono divenuti essenziali. In tutte queste aree sono gli sviluppi della matematica di una ristretta elite che giustificano i finanziamenti privati e pubblici che i matematici continuano a ricevere oggi. Sarebbe una gran bella cosa se tutti fossero a proprio agio con i numeri, potessero scrivere programmi per computer, valutare i fatti della statistica, e questi sono tutti importanti obiettivi per l’educazione primaria e secondaria, ma non dobbiamo confonderli con i principali scopi e motivazioni del finanziamento pubblico della matematica, che hanno sempre riguardato la matematica di punta e non la matematica per tutti. 

Immaginare che la matematica sia ovunque, prosegue Barany,  fa semplicemente perdere di vista le reali politiche della elite matematica che conta davvero (tecnologia, sicurezza, economia), per l’ultima guerra e per la prossima. Al contrario, se comprendiamo che questo tipo di matematica è stata costruita storicamente da e per pochissimi, siamo chiamati a chiedere chi davvero può entrare nella loro ristretta cerchia e quali sono le responsabiulità che derivano dal loro sapere. Dobbiamo riconoscere che la matematica d’elite del giorno d’oggi, anche se è più inclusiva di cinque o cinquanta secoli fa, rimane una disciplina che conferisce una speciale autorità a pochi ed esclude molti per i più diversi motivi. Se la matematica fosse davvero dappertutto, dovrebbe già appartenere a tutti equamente, ma conclude Barany, quando si parla di accesso alla matematica e del suo finanziamento, c’è ancora molto lavoro da fare. La matematica non è dappertutto. 


Dicevo dei commenti. Anna Haensch, che scrive su un blog ospitato dal portale della American Mathematical Society, nell’articolo Don’t worry, math is still everywhere (Non preoccupatevi, la matematica è comunque dappertutto), contesta innanzitutto la scelta del titolo, che può far pensare che la critica di Barany si rivolga all’idea che la diffusione della matematica nella società, negli strumenti tecnologici, nelle nostre vite, non sia poi così importante come dicono in molti, a partire dagli insegnanti di matematica. In realtà Barany non vuol contestare la pervasività della matematica nella società moderna, ma il pensiero che essa sia alla portata di tutti indipendentemente dal censo, dal genere o dall’etnia o da altri fattori sociali condizionanti. Haensch concorda su questa idea, ma si chiede se ciò non valga per qualsiasi disciplina che richieda un lungo e costoso corso di studi. È vero che per accedere alla elite della matematica avanzata conviene avere disponibilità economiche, ma ciò succede anche per le scienze, il linguaggio o l’arte. 

Haensch pensa che affermare che la matematica sia dappertutto é proprio l’antidoto alla consueta e antica domanda “quando mai userò queste cose?” La matematica è dappertutto proprio come la scienza, l’arte e il linguaggio, pertanto conoscerla aiuta la gente a capire il mondo che ci circonda. Una buona dose di “la matematica è dappertutto” è una buon modo per motivare le persone a studiare la matematica di base, che è già una gran cosa. E siccome i buoni esempi servono a sviluppare le buone abitudini, ovviamente i decisori politici dovrebbero favorire la matematica avanzata come dovrebbero favorire ogni ricerca scientifica di punta. Infatti, anche se sembra una banalità, la ricerca di base è da dove proviene ogni grande scoperta. 


Assai più critica è stata la reazione dello storico della matematica e blogger Thony Christie, the Renaissance Mathematicus, che sostiene in Some rather strange history of maths (Una storia della matematica piuttosto curiosa) che alcune delle osservazioni storiche di Barany sono sostanzialmente errate, cosa grave se l’autore è uno storico della matematica. 

Christie afferma che è una leggenda l’idea che i calcoli astronomici fossero utilizzati per il definire le stagioni e aggiunge che gli astrologi babilonesi non erano certo una classe privilegiata, ma dei semplici funzionari statali con un compito ben preciso, pagato ma rischioso. Anche l’affermazione che la matematica di punta fosse un affare dei ricchi è, secondo Christie, errata: nelle società avanzate del mondo antico per le basi economiche era sufficiente la conoscenza della matematica elementare, mentre la matematica avanzata apparve a Babilonia nel 1500 a. C. e scomparve con il crollo dell’impero romano intorno al 400 d. C. Inoltre i Romani, la potenza dominante del mondo antico, non avevano un grande interesse per il progresso della matematica. 

La matematica medioevale aveva carattere eminentemente pratico e la ricerca matematica dovette aspettare il XIV secolo. Il valore del libro di Recorde del 1543 non risiede nel fatto che divulgava matematica di punta tra il popolo, ma solo nell’essere stato scritto in lingua vernacolare e non in latino: per il resto si tratta di un normale Liber Abaci nella tradizione di quello scritto da Leonardo Fibonacci tre secoli prima. 

Ciò che ha spinto Christie a scrivere la sua replica è tuttavia la contrapposizione che Barany fa tra un Recorde che porta la matematica alle masse e un Dee difensore elitario di un sapere segreto e privilegiato. In realtà Recorde ebbe incarichi importanti presso la Corona, essendo il medico personale sia di Edoardo Vi che della regina Maria; Dee, che visse a lungo all’estero, non ebbe mai cariche ufficiali , anche se è vero che spesso Elisabetta I lo consultava per dei pareri. (A dire il vero anche chi scrive queste righe è rimasto piuttosto sorpreso dal breve, fuorviante, ritratto di un personaggio affascinante e complesso come John Dee tracciato da Barany). Dee, oltre a essere stato il primo editore inglese egli Elementi di Euclide, raccolse la più grande biblioteca privata d’Europa, che metteva a disposizione gratuitamente a chi lo volesse consultare: altro che sapere esoterico! 

Quanto alla diffidenza verso la matematica degli artefici della Rivoluzione Scientifica del XVII secolo, la verità è esattamente opposta: Galileo era un propugnatore della matematizzazione della natura, e come lui agirono filosofi naturali come Stevino, Keplero, Cartesio, Pascal, Huygens e Newton. Ciascuno di essi era un matematico, che fornì importanti contributi al progresso matematico e scientifico, dall’algebra moderna, alla geometria analitica al calcolo, oltre a un grande quantità di sviluppi in altre branche. 

Christie conclude il suo articolo dicendo che è Barany ad aver venduto troppo la sua idea di una matematica avanzata separata dal resto della società e gli consiglia uno studio più approfondito della storia della matematica precedente il XX secolo. Una stroncatura, insomma. 


In una conversazione su Twitter dei primi di settembre, Barany difende le sue posizioni con Steven Strogatz, grande divulgatore della matematica, dicendo che ci sono due domande fondamentali alle quali si cerca di rispondere dicendo che ”la matematica è dappertutto”, e cioè: (1) perchè la gente dovrebbe finanziare la matematica avanzata; (2) perché la gente dovrebbe imparare la matematica di base. Barany sostiene che dire che la matematica è dovunque non è una risposta appropriata alle due domande. 

A me sembra che non era il caso di sollevare un caso sul nulla, perché nessuno ritiene che “la matematica è ovunque” sia una risposta completa alle domande di Barany, che forse andavano poste con il supporto di argomentazioni diverse. La matematica è ovunque, anche se purtroppo non é di tutti.

3 commenti:

  1. La mia sensazione è che i matematici non sappiano vendersi bene come i fisici. Che tutta la matematica non sia per tutti direi che è chiaro, ma c'e`molta matematica per molti. E non sto parlando delle quattro operazioni che tanto puoi fare con il furbofono, ma dei modelli matematici in generale.

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  2. Molto interessante. La matematica è davvero ovunque. Peccato che non tutti la capiscono

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  3. Difficile immaginare soltanto quanto potrebbe entrarci la matematica con la seconda guerra mondiale e, ancor di più, quanto potessero entrarci John Nash e la Teoria dei Giochi. Forse per questo è difficile stabilire quale sia lo stato di beatitudine più alto fra l'ignoranza e la conoscenza. L'ignoranza, quando la voglia di comprendere è fame, la conoscenza quando la felicità è aver compreso.
    luigi.iannelli

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