I dati delle rilevazioni OCSE PISA 2015, resi noti lo scorso dicembre, evidenziano un miglioramento delle competenze matematiche dei nostri quindicenni rispetto al quadriennio precedente. L’Italia si colloca allo stesso livello di molti paesi industrializzati, anche se lontana dai vertici rappresentati dai paesi asiatici o dell’Europa del Nord. Eppure il nostro paese vanta prestigiose punte di eccellenza. Ma qual è davvero la situazione? Come sta la matematica in Italia? L'ho chiesto agli addetti ai lavori, che hanno espresso articolate opinioni, in qualche caso polemiche, di chi pratica e vive la matematica nella scuola, nell’università e nella ricerca. Alcune tendenze sono comunque emerse, e di esse bisognerebbe far tesoro.
Consideriamo la rilevazione PISA-OCSE, che va analizzata senza fermarsi all’aspetto “classifica” come spesso tendono a fare gli organi di informazione. Che cosa ci dicono veramente quei dati?
Ciro Ciliberto, presidente dell’Unione Matematica Italiana, sottolinea che risultati danno indicazioni parziali e quindi vanno studiati, interpretati e compresi in modo non superficiale. È vero che la nostra scuola, nella sua migliore declinazione, orienta più a un certo tipo di ragionamento teorico che non alla soluzione di problemi ''concreti'' o pseudo tali, il che talvolta ci penalizza, ma, da un recente documento formulato dalla Commissione Italiana per l'Insegnamento della Matematica dell'Unione Matematica Italiana, emerge che i risultati medi dei nostri studenti in Matematica sono in questo rilevamento uguali alla media generale dei Paesi OCSE (490 punti). Inoltre, se confrontiamo i nostri risultati del 2015 con quelli dei rilevamenti precedenti, notiamo che si registra un significativo e costante miglioramento: “una tendenza positiva così prolungata non può che lasciarci soddisfatti e non può essere attribuita al caso”.
Esiste, più che un problema nazionale, un problema del nostro mezzogiorno: il divario di risultati tra le varie regioni italiane è rilevante: gli studenti del Trentino e dell'Alto Adige si collocano al livello dei migliori colleghi occidentali (516 e 518 punti), ma i giovani campani raggiungono il punteggio medio davvero esiguo di 456 punti. Si tratta di capire se da questo dato si possa dedurre un deficit di competenze matematiche o non piuttosto difetti dovuti a fattori ambientali, ma “un'analisi di questo tipo non si improvvisa, se non si vuole correre il rischio di affidarsi a valutazioni superficiali o peggio a pregiudizi”. Esiste anche un problema di genere: i maschi ottengono in media risultati di 20 punti più alti delle femmine, e questo dato si mantiene pressoché costante negli anni. In effetti esiste nel nostro paese un pregiudizio radicato per il quale la matematica sarebbe disciplina prettamente maschile.
I risultati PISA-OCSE vanno infine esaminati nella loro interezza: nelle due altre competenze sotto indagine, Lettura e Scienze, i nostri ragazzi restano sotto la media OCSE. Paradossalmente, i nostri studenti paiono più bravi a risolvere problemi che a comprendere un testo di difficoltà studiata per la loro età.
Più pessimista appare Vincenzo Nesi, professore di Analisi matematica e Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali a “La Sapienza" di Roma, che ritiene che “il livello culturale degli italiani sia mediamente decresciuto in tutte le discipline, non solo in matematica e quindi la domanda interessante dovrebbe essere se e quanto è decresciuto il livello della conoscenza matematica rispetto alla media delle competenze, altrimenti mischiamo un fattore di sistema (la decrescita di risorse per la scuola) con la specificità della matematica”. Inoltre “Questa decrescita generale si deve in gran parte all'allargamento della fascia più debole. L'eccellenza della Matematica vive di vita propria e non è un indice interessante per rispondere alla domanda. In pratica, il fatto che vi siano, come vi sono, ottimi o eccellenti matematici italiani in giro per il mondo non ha niente a che vedere con il livello medio della scuola italiana”.
Molti insegnanti di matematica lamentano che i test PISA considerano abilità e competenze diverse da quelle che si privilegiano da noi e non manca chi li contesta apertamente.
Giovanni Salmeri, Lucia Fellicò, Patrizia Plini e Anna Maria Gennai ritengono che i risultati conseguiti non sono tanto lo specchio di una scarsa cultura matematica, ma di una scarsa attitudine a rispondere a quesiti di quel genere. Il miglioramento registrato si spiega perché da qualche anno nelle scuole si dedica qualche ora ad esercitazioni mirate. Salmeri e Paola Santucci ricordano inoltre il caso della Finlandia, che per anni ha ottenuto ottimi risultati nei test internazionali di matematica e poi ha registrato un allarmato appello dei professori universitari che hanno denunciato di avere studenti capacissimi di compilare schede ma a digiuno di qualsiasi idea matematica.
Nesi è piuttosto scettico sulla reale attendibilità di test e verifiche scritte: “Un paio di anni fa, fu fatto un sondaggio, limitato ma significativo, secondo il quale circa il 40% dei maturandi e delle maturande sosteneva di aver copiato o la versione di greco, o di latino o il compito di matematica. Credo che il dato fosse attendibile. Con questa cultura è ben difficile che qualunque test nazionale, per quanto ben fatto, possa avere un effetto positivo nell'orientare le scelte degli insegnanti. Molti, direi la maggioranza, lo boicotta apertamente e convintamente, a torto o a ragione non saprei ma direi che una ragione c'è di sicuro. Le riforme vanno prima spiegate e poi compiute. Non semplicemente imposte”.
Non è raro sentire intellettuali di formazione umanistica o personaggi famosi affermare quasi con vanto di non saper nulla di matematica. Esiste un pregiudizio verso la matematica, una sorta di “diffidenza storica” di origine culturale che contribuisce tuttora alle difficoltà della penetrazione della cultura matematica nella società?
Roberto Lucchetti, professore di Analisi al Politecnico di Milano, dove è stato il presidente del corso di studi di Ingegneria Matematica, ne ė convinto: “Sì, nonostante anche in questo ci siano miglioramenti, rimane diffusa l'idea che la matematica è molto utile, ma che è meglio che se ne occupino gli altri. A me sembra comunque di osservare che il rispetto nei riguardi dei matematici sia aumentato parecchio. Anche se il matematico rimane personaggio molto singolare”.
Per Roberto Natalini, Direttore dell'Istituto per le Applicazioni del Calcolo "M. Picone", direttore della storica rivista di divulgazione Archimede e coordinatore del sito MaddMaths!, l'arretratezza tecnologica della nostra industria e la frammentazione del tessuto industriale italiano, sono fattori chiave, molto più di qualsiasi diffidenza ideologica. Così il tessuto produttivo non ha mai avuto la massa critica per porsi il problema di formare una classe di scienziati al passo con i bisogni dell'economia. Viviamo in un tessuto parassitario rispetto alla crescita scientifica, in cui i risultati della scienza sono di solito utilizzati di seconda mano, comprando tecnologia sviluppata altrove (spesso a cui concorrono scienziati italiani). Gli Stati Uniti e i paesi più avanzati hanno sviluppato la loro forte richiesta di scienza sui loro successi militari e industriali. In Italia, invece, l'industria e la pubblica amministrazione sono sempre stati arretrati e poco interessati all'interazione con la ricerca. Ci sono state eccezioni, ovviamente: Volterra, Olivetti, Natta, sono persone in controtendenza. Ma non hanno inciso più di tanto.
Secondo Giampiero Negri bisogna considerare il carattere peculiare di “scienza teoretica” che la matematica ha assunto nella storia del nostro paese: “In contrapposizione con la valorizzazione delle applicazioni tecniche e del calcolo numerico, che hanno determinato nei paesi anglosassoni una fitta connessione tra la crescita di un sapere matematico trasformatore della società e la sua applicazione come strumento per i “meccanici”, ossia gli ingegneri, in Italia la speculazione ha, generalmente, prevalso nel contesto accademico, determinando un gap sempre più considerevole tra la cultura matematica e le sue applicazioni tecnico-pratiche”.
Per Ciliberto, quando si parla di ''cultura'' in Italia non si pensa alla matematica, né alle scienze in generale. In altri termini, la ''cultura'' in Italia non è ''scientifica''. In aggiunta, per scienza si pensa sempre e solo a quella, spettacolare, facilmente e alquanto superficialmente divulgabile, di certe trasmissioni televisive che abbondano di buchi neri, onde gravitazionali e neutrini, ma in cui di matematica non si parla mai, senza notare che questi oggetti e concetti sono ben descrivibili solo in termini matematici. E ai matematici di professione difficilmente si dà accesso nei media. A ciò si somma un più recente atteggiamento, molto diffuso tra i politici e da chi detiene il potere economico, di esclusivo apprezzamento per discipline di tipo utilitaristico immediato, che, a fronte di investimenti che comunque nel nostro paese sono esigui, danno risultati economici a breve termine, cosa che difficilmente fa la ricerca scientifica teorica, che spesso richiede decenni, talvolta secoli, per dare frutti tangibili. Altro difetto, legato al precedente, è quello di dare una marcata preferenza alla tecnologia rispetto alla scienza, senza tener conto che non esiste buona tecnologia senza scienza teorica di alto livello.
Che cosa fa e che cosa può fare la scuola per la diffusione delle competenze matematiche? Sicuramente esistono delle criticità, ma parlare in generale può essere fuorviante. Innanzitutto si hanno approcci e risultati diversi se consideriamo la scuola primaria e le secondarie. Poi i risultati dipendono molto da fattori geografici, economici e sociali, oppure dall’organizzazione del singolo istituto. È un problema di indicazioni nazionali (i programmi di una volta), di insegnanti, di metodi?
Giovanni Salmeri vede due tendenze recenti che militano contro la considerazione della matematica nella scuola e nell’Università. “La prima è l’avversione, evidente nella politica scolastica ma che un poco alla volta si sta infiltrando anche nell’Università, verso ciò che è rigoroso e difficile. L’idea del successo formativo garantito, che pur potrebbe avere un senso accettabile, diventa così la scusa per abbassare il livello finché sia considerato sufficiente quello raggiunto da qualsiasi studente con qualsiasi, anche inesistente, impegno. La matematica è rigorosa e impegnativa, e in questo modo viene uccisa. La seconda tendenza è quella che sottovaluta tutto ciò che non serve immediatamente, considerando ovviamente come punto di riferimento il mondo del lavoro. Evidentemente le scienze pure ne fanno le spese, e la matematica per prima”. Lorenzo Meneghini aggiunge che le difficoltà rimosse da un’applicazione distorta della normativa si ripresentano amplificate nella vita reale, quando si cerca un lavoro. Sembra che la scuola non possa più fare la selezione che faceva nel passato e questo ha causato un progressivo impoverimento del livello medio dell’istruzione italiana. “Gli insegnanti italiani, negli ultimi vent’anni, hanno perso molta considerazione sociale. Bisognerebbe restituire agli insegnanti la possibilità di “pretendere” che i propri studenti studino e siano ben preparati. La matematica richiede molta fatica da parte di studenti e docenti, fatica che oggi si cerca di evitare”.
Natalini è convinto che “Il fattore sociale e familiare (ed economico) è fondamentale per capire l'efficacia dell'insegnamento. Non c'è paragone, in termini di opportunità, tra chi proviene da una famiglia già istruita e chi no. Ovviamente, la preparazione degli insegnanti può avere un ruolo. Gli insegnanti della scuola primaria sono in media meglio preparati di quelli della secondaria di primo grado, e questo soprattutto per la matematica. Innalzare il livello di questi ultimi, sia chiedendo requisiti maggiori per poter insegnare matematica, sia cercando di attirare qualche insegnante bravo sarebbe cruciale per avvicinare maggiormente i ragazzi alla matematica. Per quanto riguarda la secondaria superiore, oltre a liberare i docenti dal peso di un esame di stato troppo difficile (sic!), andrebbe migliorato il supporto formativo agli insegnanti. Dovrebbe essere il MIUR a gestire una vera e propria formazione permanente del docente. Per quanto riguarda le indicazioni, trovo solo che siano un po' troppo vaste e irrealistiche. Credo che un buon docente dovrebbe puntare a fornire alcuni contenuti di base molto solidi e un po' di curiosità sulla materia, ma non molto di più. Fare l'integrazione per parti, o le equazioni differenziali al liceo non ha molto senso”.
Susanna Terracini, docente del Dipartimento di Matematica "Giuseppe Peano" dell’Università di Torino, pensa che un problema della scuola contemporanea è che si coprono troppe materie, e troppi argomenti, tutti in modo un po’ superficiale, mentre andrebbe rivalutato e potenziato il ragionamento rigoroso. “In definitiva, si tratta sia un problema di programmi nazionali (troppo estesi) sia un problema di approccio “utilitaristico” alla Matematica (e non solo), che la snatura. Forse la strada è lasciare più scelta ai docenti e diminuire i programmi. Insomma, credo che sia importante che tutto sia saputo da qualcuno e che tutti sappiano bene (poche) cose. Se no diamo ai ragazzi una falsa percezione di cosa significa “sapere".
Le ultime Indicazioni Nazionali, secondo Anita Biagini, Patrizia Plini e Assunta Chiummariello hanno inserito ulteriori argomenti da trattare e contemporaneamente è cresciuto il numero di studenti per classe. Il tempo è così diventato un motivo di preoccupazione, anche perché si chiede al docente di “recuperare” in corsi di poche ore gli studenti in difficoltà. I docenti, in particolare del liceo scientifico, sono preoccupati per la prova di matematica dell’Esame di Stato, che chiede elevate competenze e abilità e questo porta a un lavoro di preparazione con ritmi elevati”. Giuseppe Casale aggiunge che “Si tratta di scegliere: o si vogliono perseguire certi standard che poi vengano in qualche modo accertati dalla prova d'esame ministeriale oppure si lascia maggiore libertà ai docenti nella preparazione degli alunni”.
Anche Ciliberto sostiene che “la scuola ha le sue responsabilità ed è anche vero che ci sono grandi differenze di rendimento tra primaria e secondaria dei due gradi. A fronte di tanti docenti molto preparati e motivati, ci sono anche docenti insoddisfatti dal punto di vista economico e/o organizzativo. In alcune realtà problematiche, la disciplina degli allievi non viene curata a sufficienza e dunque risulta difficile insegnare. La formazione iniziale (soddisfacente solo a livello di primaria, per la quale c'è una laurea dedicata) è assai inadeguata: non esistono, anche se previste dalla legge, lauree dedicate alla formazione di docenti della secondaria. La formazione in servizio presenta nel nostro paese ritardi e lacune che vengono colmati solo parzialmente da privati, sulla cui competenza ci sarebbe da indagare e discutere, È invece questo un territorio assai importante da battere: la matematica, contrariamente a quel che molti pensano, non è ferma alle conquiste degli antichi, ma in continua, poderosa espansione ed è necessario che i docenti abbiano la percezione di questo sviluppo per poter dare ai loro allievi la misura di quanto questa sia una scienza vitale, che incide sulle nostre vite quotidiane come mai prima di oggi”.
Secondo Lucia Caporaso, professore ordinario di Matematica presso l’Università degli Studi Roma Tre, è necessario dedicare piú tempo all'insegnamento della matematica. Non si puó nascondere il fatto che si tratta di una disciplina particolarmente impegnativa, non solo per l'impegno intellettuale che essa comporta, ma per la sua imprescindibile verificabilità: ci vuole tempo, non soltanto per insegnare la materia, ma per abituare lo studente all'importanza della verifica personale; gran parte degli errori dei bambini e ragazzi viene dal non effettuare questo passo, né nella matematica, né in altre materie. La differenza è che un errore in matematica ha un effetto ben superiore a un errore di ortografia o sintassi in un tema d'italiano. Insomma, insegnare anche il lato "etico" della matematica, e insegnare ad apprezzarlo, richiede tempo.
Rosetta Zan, che è stata professore associato di Matematiche Complementari presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Pisa e ha orientato la sua ricerca nel campo della didattica, sostiene che “ora che le Indicazioni nazionali mettono esplicitamente al centro del progetto d’insegnamento le competenze, “la scuola ha l’occasione di mettere in discussione alcune pratiche che possono produrre danni notevoli, fra i quali anche il rifiuto per la nostra disciplina che molti allievi sviluppano. Credo che il maggiore ostacolo allo sviluppo delle competenze sia l’inversione dei tempi che caratterizza l’insegnamento della matematica: prima si spiega un concetto, una definizione, un teorema, dopo si illustra un esempio o un’applicazione, quindi si propongono agli allievi un certo numero di ‘problemi’ che ricalcano tale esempio o applicazione. In questo modo i problemi si riducono in realtà a esercizi, e il successo viene identificato con una risposta corretta possibilmente data in poco tempo”.
“In realtà l’attività matematica parte dai problemi, ed è nel tentativo di risolverli che si avanzano congetture, eventualmente si dimostrano (tra l’altro a livello di comunità, e non di singolo individuo: ciò che è congetturato da un matematico può essere dimostrato da un altro anche a distanza di molto tempo), si introducono definizioni. Errore e tempo in questa dinamica non sono nemici, ma risorse incredibili”.
D’altra parte, prosegue Zan, “non c’è costruzione di conoscenza senza un coinvolgimento attivo dell’allievo: in questo processo di costruzione, che ha bisogno di tempi lunghi, l’errore è un passaggio inevitabile. In definitiva per favorire lo sviluppo di competenze in matematica è necessario rivalutare il ruolo dei problemi, non aver paura di proporre agli allievi compiti (adeguatamente) complessi, e al tempo stesso non identificare il successo con la produzione di una risposta corretta data in poco tempo, ma valorizzare tutti i processi tipici del problem solving (comprendere il problema, esplorare, congetturare, pianificare, controllare, …). Perché questo sia possibile l’ambiente di lavoro deve essere libero dall’ossessione della valutazione, così che i nemici di sempre, errore e tempo, possano essere visti invece come risorse. È chiaro che tutto questo richiede una formazione attenta dei docenti, sia dal punto di vista della matematica che dal punto di vista della didattica”
Qual è la situazione della matematica nelle Università (non solamente nei Corsi di Laurea in Matematica, ma in tutti gli indirizzi in cui essa ha un ruolo importante nel curriculum)? Quali i problemi, quali le situazioni positive? Qual è la situazione della ricerca matematica italiana, pura e applicata?
Nesi lamenta che i test d’ingresso obbligatori, che avrebbero dovuto attribuire dei debiti formativi, dovevano essere seguiti da corsi di recupero. Ebbene, “con rarissime eccezioni, questo non è stato fatto. Quando è accaduto, sia pure tardivamente, come nel caso della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali della Sapienza, si sono visti dei frutti positivi. Il primo frutto è combattere l'ipocrisia. Se circa il 40% delle studentesse e degli studenti che si vuole iscrivere in una materia scientifica ha il debito su contenuti che spesso risalgono ai primissimi anni delle superiori, che senso ha continuare ad insegnare al primo anno dell'università presupponendo un livello di entrata molto maggiore? E, ancora di più, che senso hanno libri di testo per le superiori dove sì tratta il calcolo, le derivate, gli integrali e tanto altro ancora, se poi la somma di frazioni crea difficoltà? L'Università si è adagiata colpevolmente sull'idea che non fosse un problema proprio. Secondo me il cuore del problema è che l'Università italiana, specie in ambiti dove è rimasta all'avanguardia, dovrebbe farsi carico dei problemi della scuola superiore, e reclutare in lungo ed in largo. Più accoglienza e meno respingimenti alle frontiere della conoscenza."
Caporaso precisa che nella gran parte degli atenei italiani la didattica della matematica in aree non scientifiche è gestita autonomamente, e quindi con competenza limitata e scadente investimento di risorse. Questo comporta un doppio danno: alla qualità dell'insegnamento e a quella della ricerca.
In un ateneo che vuole sostenere la ricerca di base, continua Lucia Caporaso, la didattica in matematica di tutti i corsi di laurea dovrebbe essere gestita in stretta collaborazione con i matematici professionisti che operano al suo interno, incardinati in una struttura di ricerca (i dipartimenti di matematica, per intenderci). Da un'organizzazione di questo tipo ne guadagnerebbe molto sia la preparazione di base degli studenti (ingegneri, architetti...), che la crescita scientifica dei dipartimenti di matematica, che impegnandosi sulla didattica ne guadagnerebbero in termini di risorse. Ciò avviene, ad esempio, in Nord Europa e negli Stati Uniti. In Italia pochi atenei (tra quelli "prestigiosi") hanno realizzato un modello simile, in seguito al nuovo assetto universitario imposto dalla legge 240/2010. Questo è un segnale positivo, da contrapporre alla realtà di altri atenei che, rimanendo indietro sull'attenzione verso la ricerca, rischiano di veder diminuire le assegnazioni ministeriali di risorse; impoverimento finanziario che accompagna quello scientifico e didattico.
Ciliberto sostiene che la matematica italiana, sia quella teorica che applicata e industriale, ha un ruolo di grande rilievo nella comunità matematica mondiale. “Siamo nel gruppo di testa delle nazioni matematicamente più avanzate. I matematici italiani sono costantemente invitati a parlare in prestigiosi convegni internazionali e sono pubblicati sulle riviste di maggiore impatto. La fuga dei cervelli, pur nella sua drammaticità, testimonia che i nostri giovani laureati in matematica sono tanto ben preparati da trovare posto nelle migliori istituzioni scientifiche e di ricerca straniera. Quindi non esiterei a definire i corsi di laurea in matematica in generale un’eccellenza nazionale. Purtroppo è vero che la matematica ha invece subito un arretramento di ore ad essa dedicate in altri corsi di laurea, tipicamente in quelli in ingegneria, dove viene ingiustificatamente compressa”.
Natalini, sulla base della sua esperienza, afferma che l'Italia ha un'ottima scuola, collegata ai filoni di punta della ricerca mondiale. Le problematiche principali sono tre: a) mancanza di reclutamento e di promozione, che porta molti validi ricercatori ad andare (con successo) all'estero. Ciò alla lunga rischia di indebolire la ricerca italiana (sia perché risulta meno attrattiva per studenti mediamente motivati, sia per la mancanza di massa critica in certi settori). Siamo anche poco attrattivi per studenti e ricercatori stranieri. b) La matematica non è menzionata nei Piani Nazionali della ricerca, e, a differenza degli altri paesi, il supporto nazionale non compensa la mancanza di riferimenti espliciti alla matematica in Horizon 2020 [la rete europea per la ricerca e l’innovazione]. Questo rende difficile il finanziamento della ricerca di base. c) Per la matematica applicata, la carente sensibilità delle industrie porta ad uno scarso sviluppo delle ricerche direttamente connesse alle applicazioni ed ad una visione spesso settoriale e accademica della matematica. A ridurre questa scarsa attenzione mira lo Sportello Matematico per l'Industria Italiana, ma è ancora troppo poco.
Per concludere, parlando in generale, le competenze matematiche specialistiche sono apprezzate dalle imprese italiane? Ci sono opportunità lavorative per chi le possiede?
Lucchetti esprime “l'impressione molto forte che chi ha una solida preparazione matematica non abbia grandi difficoltà a trovare lavoro, da qualunque laurea arrivi. Esperienza illuminante è quella dei laureati in Ingegneria Matematica, che probabilmente anche perché si collocano geograficamente in un'area privilegiata, che trovano lavoro con estrema facilità. Anzi, un numero significativo di loro lavora già durante lo svolgimento della tesi”.
Per Natalini, “In realtà, quando alla fine si riesce ad entrare in contatto con delle industrie, e si è preparati a farlo, si scopre che c'è tanto bisogno di matematica e anche una scarsa conoscenza delle sue potenzialità. Questo non influenza tanto il reclutamento dei nostri laureati magistrali (il tasso di occupazione a 5 anni è del 95%, e quel 5% è principalmente è prevalentemente composto da persone che vorrebbero ancora provare a fare ricerca), ma potrebbe espandere il bacino degli studenti interessati. Una solida conoscenza dell'ottimizzazione vincolata, della gestione dei dati avanzata, della modellistica, sono apprezzate dalle aziende, che però in media non pensano di potersi permettere di investire in ricerca. Insomma, le competenze ci sono già, sono di interesse, ma manca la comprensione delle loro potenzialità nelle aziende e anche manca, nel laureato medio, la capacità di comunicare efficacemente”.
Secondo Ciliberto, le qualità dei migliori laureati in matematica sono apprezzate non solo nel comparto scuola (dove sono indispensabili) ma anche in attività più specificamente produttive: “I matematici sono ben preparati, flessibili, capaci di risolvere problemi anche apparentemente lontani dalle loro specifiche competenze, grazie alla capacità di razionalizzare e opportunamente modellizzare le situazioni loro proposte. Da una recente indagine effettuata in Gran Bretagna, è emerso che ben il 16% del PIL di quel paese da attribuirsi in forma diretta o indiretta all'apporto scientifico e lavorativo dei matematici. In Italia non abbiamo dati simili, ma mi azzardo a ritenere che, pur in una situazione industriale probabilmente meno florida e intraprendente come quella d'oltre Manica, i dati sarebbero paragonabili. Questo dovrebbe spingere politici e detentori del potere economico ad investire di più e meglio nella matematica”.
Terracini considera un paradosso che le competenze specifiche che dà un corso di laurea magistrale in matematica sono del tutto inutili alle imprese (con pochissime eccezioni di centri di ricerca avanzata) e “tuttavia i laureati magistrali in matematica sono quelli che hanno la più alta occupabilità in Italia, secondi solo a quelli in informatica (che però sono molti di meno). Essi hanno opportunità lavorative molto diversificate (a Torino avevamo fatto dei Ritratti di matematici al lavoro) perché sono svegli e affidabili".
Nesi, un po' provocatoriamente, chiosa che paradossalmente l'Italia crea ottimi talenti che regala alle nazioni "concorrenti" semplicemente perché sono troppo bravi per le condizioni di lavoro (if any) offerte in Italia.
Si ringraziano per la disponibilità:
Lucia Caporaso, Direttore del dipartimento di matematica e fisica di Roma 3;
Ciro Ciliberto, presidente dell’Unione Matematica Italiana;
Roberto Lucchetti, professore di Analisi al Politecnico di Milano;
Roberto Natalini, Direttore dell'Istituto per le Applicazioni del Calcolo "M. Picone", CNR, Roma;
Vincenzo Nesi, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali a “La Sapienza" di Roma;
Susanna Terracini, docente del Dipartimento di Matematica "Giuseppe Peano" dell’Università di Torino;
Rosetta Zan, ex-presidente della CIIM, professore associato in Matematiche Complementari all'Università di Pisa ed esperta di didattica della matematica;
Antonio Salmeri, fondatore e direttore di Euclide, Giornale di matematica per i giovani, che ha raccolto e coordinato le risposte della sua redazione;
Gli insegnanti ed esperti: Anita Biagini – Liceo “B. Russell” di Roma; Giuseppe Rocco Casale – Liceo “B. Russell” di Roma; Assunta Chiummariello – IISS “C. Darwin” di Roma; Diana Cipressi – Scuola Sec. “Mezzanotte-Ortiz” di Chieti; Carla Degli Esposti – già 1° CTP “Nelson Mandela” di Roma; Daniela Favale – Scuola Sec. di 1° Gr. “Ugo Foscolo” di Torino; Lucia Fellicò – già Liceo “De Sanctis” di Roma; Antonella Ferri – Scuola Sec. di 1° Gr. di Gramolazzo, LU; Anna Maria Gennai – Liceo Classico “Andrea da Pontedera” di Pontedera, PI; Adriana Lanza – già Liceo “Cavour” di Roma; Lorenzo Meneghini – Liceo “F. Corradini” di Thiene, VI; Annarita Monaco – IC Via San Biagio Platani, Roma; Giampiero Negri; Patrizia Plini – Liceo “B. Russell” di Roma; Rita Risdonne – IISS “C. Darwin” di Roma; Giovanni Salmeri, Responsabile tecnico di Euclide; Paola Santucci – Liceo “B. Russell” di Roma; Franca Tortorella – Liceo Sc. “E. Siciliano” di Bisignano, CS.
Questo articolo ė comparso in forma ridotta con il titolo Come sta la matematica italiana? su "Il Tascabile", la bella rivista online a vocazione enciclopedica della Fondazione Treccani. Come spesso succede, le esigenze editoriali del periodico hanno consigliato numerosi tagli, riducendo di molto il materiale preparato, stilato esaminando i quasi 30 questionari di risposta pervenuti allo scrivente. Tra le reazioni ricevute, in molti hanno espresso l’invito ad ampliare l’articolo tenendo conto di ulteriori pareri, per avere un panorama più completo e stimolante. Spero che sia stato di vostro interesse.
Grazie, Antonio Salmeri
RispondiEliminaSi interessante e più completo rispetto al precedente articolo, che come ricordi, avevo letto e commentato. Ma io sarei curiosa di sapere quali risposte avresti dato tu ai quesiti proposti! Anche tu sei un qualificato addetto ai lavori e sono certa che sarebbe interessante ascoltare la tua voce! Lancio un'idea: intervista a Marco Fulvio Barozzi!
RispondiEliminaAlcuni anni fa, uno dei professori di matematica del Majorana di Rho sosteneva che avremmo dovuto fare come gli americani: insegnare meno cose ma fatte bene. E' un'affermazione cui sono abbastanza d'accordo e che mi sembra andava già nella direzione suggerita da Susanna Terracini.
RispondiEliminaA questo aggiungerei anche quanto affermato da Roberto Natalini e, indipendentemente dal successo dei nostri studenti nel loro complesso, si completa il quadro didattico italiano (e non solo quello matematico)
Più gli anni passano e l’esperienza (anche quale insegnante) aumenta, più mi convinco che coltivare l’interesse per le scienze esatte e la matematica di giovani e meno giovani, sia come occuparsi di bonsai: un’impresa lunga e personale, dove deve nascere un rapporto fra l’uno (l’insegnante) e l’altro (lo studente, di qualsiasi età), quasi un rapporto paterno, complesso e lungo e non solo costruito su autorità o competenza. Un impegno “uno a uno” – il che rende già impossibile la corretta istruzione di giovani in gran numero, a meno di avere tanti insegnati quanti studenti – una continua attenzione e un continuo modellare la riflessione e l’analisi di tutto ciò che ci è ed è percepibile.
RispondiEliminaLa scuola, soprattutto agli inizi, ma in molti casi anche l’università, si limita a coltivare il grano sugli immensi campi del bisogno economico: il contrario della cura del bonsai.
gd
ciao Popinga, voglio solo dire, in riferimento alla nota di disappunto di Ciliberto: "... la matematica ha invece subito un arretramento di ore ad essa dedicate in altri corsi di laurea, tipicamente in quelli in ingegneria, dove viene ingiustificatamente compressa” che invece io mi trovo assolutamente d'accordo con detta "compressione".
RispondiEliminaLa matematica fatta dagli specialisti, cioè dai matematici e solo loro, tende sempre più a "roba" fuori di testa (e va benissimo, per i matematici) che evolve in maniera continua ed esplosiva anche dentro argomenti che dovrebbero essere quasi "assodati".
A tale proposito e proprio perché ci son dentro in questi giorni, ti rimando all'introduzione, magnifica nella sua sostanza, che Michael Spivak fa nel volume 1 della sua colossale Introduzione comprensiva alla Geometria Differenziale, dove egli sostiene:
quello che si diceva ieri [su di uno stesso argomento!] oggi è scritto, esposto, in termini tali che quello stesso argomento pare un altro.
Più che comprimere quindi, spremere, filtrare e conservare la sostanza è e sarà sempre più condizione necessaria - al di fuori dei corsi di laurea in matematica, per matematici conclamati e/o con la velleità di dottorato, postdottorato, superbonus ed extraball - in tutti gli altri corsi di laurea scientifica, cum grano salis, ovviamente. E ovviamente non parlo delle scuole pre-universitarie, che lì non saprei dire quale impatto formativo abbiano *realmente* in Italia sui giovani che volessero *realmente* dedicarsi a discipline scientifiche dopo la maturità.
Ciao
yop
Al di là delle necessarie riflessioni sugli investimenti pubblici nella ricerca matematica ed in quelli privati legati all'innovazione del nostro comparto industriale, il nodo centrale della questione 'didattica' mi pare sia colto perfettamente dalla dottoressa Zan: un approccio metodologico all'insegnamento matematico che riesca a sviluppare le duttili e potenti competenze del problem solving di chi poi farà della matematica pura ed applicata il proprio mestiere. Insomma l'endemica patologia della 'Trinomite' ben illustrata dalla spirale involutiva teoria-esempi-esercizi che riduce l'insegnamento della matematica alla sterile produzione di un risultato numerico su cui poi si basa esclusivamente la valutazione delle competenze. Bene inoltre si farebbe ad integrare lo sviluppo di queste attitudini logiche proprie dell'insegnamento matematico con il potenziamento di un sano spirito competitivo (penso ai tornei matematici che hanno caratterizzato la formazione di un talento come Perelman) ed ad una introduzione alla storia della matematica come fondamentale riflessione sulle motivazioni storiche e culturali che hanno animato lo sviluppo del pensiero scientifico.
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