L’ungherese János Bolyai (1802 – 1860) fu, con Lobachevskij, Gauss e Riemann, uno degli scopritori della geometria non-euclidea, un’assiomatizzazione diversa dalla classica geometria euclidea, basata sulla contestazione del postulato sulle parallele. Questa scoperta di una visione alternativa dello spazio, logicamente consistente, aprì la strada per l’esplorazione di nuovi mondi geometrici, che avrebbero portato alla nascita di straordinarie interpretazioni di come è fatto l’universo.
Annunciando la scoperta della geometria iperbolica, Bolyai scriveva il 3 novembre 1823 al padre Farkas, anch’egli matematico, e compagno di studi di Gauss, da Temesvár (Timişoara), allora parte dell’Impero Austro-Ungarico:
“Ho raggiunto risultati così straordinari da restare attonito io stesso, e sarebbe un gran peccato che ciò vada perduto. Quando li vedrete, caro padre, anche voi capirete. Ora posso solo dire che ho creato un nuovo, diverso, mondo partendo dal nulla.”.
Quest’ultima frase fu posta in epigrafe al sonetto che il grande poeta ungherese Mihály Babits scrisse sulla rivista Nyugat nel 1911, subito dopo la solenne traslazione delle salme dei due Bolyai.
Ora, il sonetto è scritto in ungherese, lingua quanto mai ostica che non conosco, e ne sono venuto a conoscenza tramite una versione inglese molto infedele, e a un più accessibile adattamento spagnolo, di cui è bene non fidarsi, oltre che alla solitamente inattendibile traduzione diretta di Google Translator. Chi redige queste righe non conosce a livello professionale alcuna di queste lingue, ma in base al titolo dell’opera, alla presentazione in inglese e ai molti vocaboli comprensibili del testo s’è persuaso di potersene proporre come adattatore.
Qui di seguito la versione originale in ungherese di Mihály Babits, seguita dal mio adattamento, frutto, come si è detto, di un lavoro di traduzione di traduzioni degno di Vincenzo Monti, traduttore dei traduttor di Omero.
Semmiből egy új, más világot teremtettem.......
– Bolyai János levele apjához –................
Isten elménket bezárta a térbe.
Szegény elménk e térben rab maradt:
a kapzsi villámölyv, a gondolat,
gyémántkorlátját még csak el sem érte.
Én, boldogolván azt a madarat
ki kalitjából legalább kilátott,
a semmiből alkottam új világot,
mint pókhálóból sző kötélt a rab.
Új törvényekkel, túl a szűk egen,
új végtelent nyitottam én eszemnek;
király gyanánt, túl minden képzeten
kirabolván kincsét a képtelennek
nevetlek, mint Istennel osztozó,
vén Euklides, rab törvényhozó.
Ho creato un universo nuovo, partendo dal niente
(lettera di János Bolyai a suo padre)
Dio ha chiuso nello spazio la nostra mente.
E in tale prigione rimase, ignava.
Falco bramoso, il pensiero beccava
i suoi muri di diamante inutilmente.
Io, felice come un uccello che ingabbiato
vede il sole, recluso che fila tenacemente,
un universo intero dal niente ho creato
con una rete di ragnatele consistente.
Con nuove leggi, oltre lo stretto me
ho aperto un infinito non pensato.
Non fecero di meglio i più grandi re.
Un tesoro impossibile ho trafugato
e con Dio, vecchio Euclide, rido di te,
poiché il tuo carcere ti sei creato.
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