lunedì 31 dicembre 2018

La metrica dell’interno della Terra

La soluzione di un problema geometrico consentirebbe di determinare la struttura di un oggetto da informazioni limitate, forse


Un problema inverso consiste nel determinare le caratteristiche fisiche di un oggetto inaccessibile alla misura mediante lo studio della sua risposta a una stimolazione ondulatoria. Detto in altro modo, l’osservatore controlla una sorgente che produce delle onde (un fascio laser, ad esempio) che interagiscono con l’oggetto in questione e il cui comportamento – come l’angolo di deviazione della luce prodotta – fornisce informazioni sulla struttura dell’oggetto.

Che un oggetto non sia osservabile immediatamente, cioè tramite il semplice ricorso a uno strumento d’osservazione come un telescopio, è forse la caratteristica principale della fisica moderna e, in questo senso, ogni problema fisico riguardante l’infinitamente piccolo o l’infinitamente grande potrebbe essere definito come problema inverso. Se Rutherford scoprì nel 1909 il modello planetario dell’atomo, demolendo il modello precedente di Thomson, secondo il quale un atomo era costituito dal solo nucleo contenente le due cariche opposte, non è stato osservando la struttura atomica attraverso un microscopio super-potente, ma è stato studiando la debole deviazione delle particelle alfa (che, si scoprirà poi, sono assimilabili a delle onde) bombardando un sottile foglio d’oro. Rutherford scoprì in questo modo la struttura lacunosa della materia, rivelando l’esistenza di un nucleo carico positivamente e degli elettroni, carichi negativamente, che gravitano attorno a quest’ultimo in un “vasto” volume.

Di conseguenza, la maggior parte dei progressi nella fisica del XX secolo si è basata sull'osservazione di eventi che sono conseguenze dell'esistenza stessa degli oggetti. In altre parole: la conferma dei modelli teorici è stata fatta osservando gli effetti che prevedevano, non gli oggetti che esse consideravano in quanto tali. L'esempio più significativo che può essere menzionato è certamente quello dei buchi neri. La teoria della relatività generale - che cerca di comprendere i fenomeni di gravitazione delle stelle - predice l'esistenza di oggetti celesti così compatti e densi, i buchi neri, che la loro forza di attrazione gravitazionale impedisce a qualsiasi raggio di luce di sfuggire. Per sua natura, un buco nero non può essere visto, perché nessuna luce da essi può raggiungerci. Per quanto paradossale possa essere, gli astronomi sono ora in grado di prevedere l'esistenza di un buco nero e persino di localizzarlo, grazie a varie tecniche, come l'osservazione delle lenti gravitazionali, cioè. la forte deviazione della luce (un'onda) che ci raggiungerebbe da una stella situata direttamente dietro il buco nero. È chiaro che le parole ordinarie qui fanno fatica a dare un senso a questa stranezza della fisica contemporanea: nulla è visibile ma tutto si osserva.


Esistono miriadi di problemi fisici che potrebbero essere descritti come inversi. Tra di loro, alcuni sono di natura a volte analitica, a volte geometrica. In questo articolo ci occupiamo di un problema molto specifico, di natura geometrica, le cui origini risalgono agli albori del XX secolo. con le opere di tre geofisici tedeschi. Ma prima di poterlo formulare, dobbiamo introdurre alcuni elementi del linguaggio della geometria riemanniana.

Chi non ha familiarità con questa branca della matematica, consideri questo esempio elementare. In estate, su una strada diritta esposta al sole, osserviamo spesso miraggi: quello che possiamo vedere in lontananza non è più l’asfalto, ma sono macchie di cielo che sembrano pozzanghere e che non raggiungeremo mai. 



La spiegazione è relativamente semplice: il calore rilasciato dall'asfalto devia i raggi di luce e li incurva vicino al suolo, il che ci fa vedere il cielo anziché la strada. Un primo modo per formulare questo problema è dire che l'indice di rifrazione della luce è stato modificato dalla temperatura. Secondo le leggi di Snell, questa modifica dell'indice, non omogenea (dipende dalla temperatura dell'aria che tende a riscaldarsi vicino all'asfalto), ma isotropa (non c’è una direzione preferenziale) porta ad una modifica della traiettoria della luce. Così gli scienziati spiegavano questo fenomeno nel diciassettesimo e diciottesimo secolo (e ancor oggi si insegna nelle scuole).


Con l'introduzione delle geometrie non euclidee nel XIX secolo, è apparso un modo nuovo di studiare questo problema. Invece di pensare che i raggi di luce si muovano curvando nel consueto spazio euclideo che abitiamo, è divenuto equivalente pensare che i raggi viaggino in linea retta in uno spazio intrinsecamente curvo. In questo modello, un fascio di luce sembra quindi muoversi in un mezzo la cui geometria potrebbe essere curva, come un aereo si sposta sulla superficie della Terra secondo un arco di cerchio. 

Naturalmente, tutta la difficoltà dell'impresa è di formulare ciò che questo "in linea retta" significa in termini matematici in uno spazio che non è più euclideo. Bisogna infatti ricorrere al concetto di geodetica. Una geodetica è la curva più breve che congiunge due punti di uno spazio. Lo spazio in questione può essere quello euclideo, una più generale varietà riemanniana (uno spazio “curvo”), o un ancor più generale spazio metrico in qualsiasi dimensione. Ad esempio, nel piano, le geodetiche sono le linee rette, su una sfera sono gli archi di cerchio massimo  Il termine generale con il quale si designano queste geometrie curve è quello di geometria riemanniana.

In termini matematici, diciamo che una modifica dell'indice di rifrazione corrisponde a una modifica della metrica dello spazio, che è all'origine della sua curvatura: la metrica, qui, è l'oggetto matematico che codifica la struttura dello spazio su scala infinitesimale. Darsi una metrica è, infatti, darsi un modo per misurare le distanze nello spazio che si vuole studiare: una sorta di regola la cui lunghezza potrebbe accorciarsi o aumentare in base alla nostra posizione e il nostro orientamento nello spazio. Facciamo un esempio semplice, parlando del problema del bagnino, un classico problema di ottimizzazione: un bagnino in spiaggia (chiamiamolo Bob) vuole salvare una persona che sta annegando (chiamiamola Alice). Nella metrica euclidea - che è quella che comunemente chiamiamo la distanza "a volo di uccello" - la distanza tra Bob e Alice è data dalla lunghezza della geodetica euclidea che li connette, cioè, il segmento rettilineo Bob-Alice. Ma Bob non si muove nella metrica euclidea, perché sa che corre più veloce di quanto faccia nuotando e quindi ha interesse a massimizzare il suo tempo di corsa a piedi e ridurre al minimo il tempo di nuoto per salvare Alice in tempo. Nella metrica di Bob, la geodetica che lo collega ad Alice non è più una linea retta - Bob non si muove più nella geometria euclidea, ma secondo una propria metrica.


I matematici designano generalmente una metrica con la lettera g; i fisici preferiscono la notazione ds2. Ad esempio, in un piano con un determinato sistema di coordinate (Oxy), la metrica euclidea viene descritta come:




Si noti che questo è semplicemente il teorema di Pitagora. Ma altre metriche sono possibili, dando luogo ad altre geometrie (questa volta curve, e non più euclidee) in cui il teorema di Pitagora non è più valido o, meglio, è solo un caso particolare nel caso in cui sia valido il postulato delle parallele di Euclide.

Una delle più celebri geometrie non euclidee è la geometria iperbolica. Questa geometria in particolare descrive superfici come quella rappresentata in figura. Essa si ottiene tramite la metrica:




Le geodetiche sono in questo caso delle iperboli: la loro curvatura è negativa, perciò le geodetiche che partono dallo stesso punto con direzioni vicine (ma diverse) tenderanno a deviare molto rapidamente l'una dall'altra. Ciò che deve essere tenuto presente è il principio generale su cui poggia la geometria riemanniana: la curvatura dei raggi di luce viene interpretata come una curvatura intrinseca dello spazio in cui si muovono. Aggiungiamo incidentalmente che questo capovolgimento del punto di vista è stato cruciale nella storia della fisica in quanto ha consentito in particolare la formulazione matematica della teoria della relatività generale di Einstein all'inizio del XX secolo.

In seguito, ci concentreremo su uno dei casi le cui caratteristiche fisiche possono essere descritte a priori mediante geometrie non euclidee. I matematici pensano che il modo in cui la curvatura varia da luogo a luogo all'interno di una "varietà riemanniana" (il gergo matematico per indicare lo spazio curvo) determina i percorsi più brevi tra due punti qualsiasi. Interpretato nel linguaggio della geometria riemanniana, questo principio equivale a dire che le onde si muovono lungo le geodetiche della metrica.

Onde sismiche e interno della Terra - All'inizio del XX secolo, grazie al miglioramento tecnico dei sismografi, i geofisici hanno scoperto l'esistenza di due tipi di onde che si propagano nella crosta terrestre in seguito a un terremoto: le onde P e S. Le onde P (primarie), le cosiddette onde di compressione, sono le più veloci, si muovono a una velocità di 6 km/s vicino alla superficie della Terra e sono quindi le prime ad essere registrate dai sismografi. Nelle onde di compressione, l’impulso ha la stessa direzione della propagazione dell’onda, e si manifesta attraverso una serie di rarefazioni e compressioni del mezzo attraversato.


Poi giungono le onde S, dette onde trasversali o di taglio, più lente ma anche più devastanti per le costruzioni, perché tendono a spostare il mezzo perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell'onda. Le onde S non si propagano nei fluidi.



Lo studio dei tempi di propagazione di queste onde nel corso del XX secolo ha portato a modelli sempre più raffinati della struttura interna della Terra, che è suddivisa in una crosta terrestre sottile, con uno spessore dell'ordine di poche decine di chilometri, un mantello, profondo fino a 3000 km, e infine un nucleo, una parte del quale è liquido e impedisce la propagazione delle onde S.


Dopo le prime scoperte sull'esistenza di queste onde, Herglotz, nel 1905, Wiechert e Zoeppritz, nel 1907, suggerirono un modello matematico per descrivere la struttura interna della Terra: quest'ultima è rappresentata da una sfera di raggio R ≃ 6300 km; la sua struttura è a simmetria sferica (cioè la sua densità dipende solo dalla distanza dal centro della Terra) ed è isotropica. In termini di geometria riemanniana, ciò equivale a supporre che la metrica che descrive la struttura interna della Terra sia proporzionale alla metrica euclidea di un fattore di proporzionalità 1/c2, dove c descrive la velocità di propagazione delle onde P all'interno della Terra. Secondo le ipotesi precedenti, si presume che la funzione c sia radiale, vale a dire che dipende solo dalla distanza r dal centro della Terra.


Se indichiamo con g la metrica della Terra e geucl la metrica euclidea, allora:




Inoltre, affinché il modello fosse fedele all'osservazione, Herglotz e Wichert-Zoeppritz hanno ipotizzato che esso doveva soddisfare una condizione supplementare:



che traduce il fatto che la traiettoria delle onde è sempre più curva man mano che si avvicinano al centro della Terra. Da un punto di vista geometrico, se Sr designa una sfera di raggio r, e x e y sono due punti su questa sfera, allora l'unica geodetica che li collega è interamente contenuta all'interno della sfera. Infine, come già menzionato, si suppone che le onde sismiche di tipo P si propaghino secondo le geodetiche della metrica curvilinea g

Si supporrà anche che siano stati raccolti abbastanza dati sismici affinché, data qualsiasi coppia di punti x e y sulla superficie terrestre, il tempo di percorrenza di un'onda P da x (l'epicentro di un terremoto) a y (la stazione di registrazione) sia noto. 



Questo è un assunto molto forte che, in pratica, non è mai raggiunto a livello globale perché ci sarebbero troppe misure da eseguire, ma può esserlo almeno localmente, su una certa porzione del globo (ad esempio nelle vicinanze di faglie sismiche), o globalmente, estrapolando i risultati noti localmente. Si presume pertanto conosciuta la funzione di tale tempo di percorrenza (funzione distanza al bordo) (x, y) ↦ τ (x, y) che associa a qualsiasi coppia di punti (x, y) sulla superficie sferica il tempo di percorrenza stimato di un'onda da x a y. La domanda quindi è:
Se conosciamo il tempo di percorrenza dell’onda τ (x, y) da x a y per qualsiasi coppia di punti (x, y) sulla superficie della Terra, è possibile ricostruire la funzione della sua velocità c, vale a dire la metrica della Terra?



Questo problema pone in realtà due domande ausiliarie, che cerchiamo di descrivere. La prima è di ordine teorico: è teoricamente possibile ricostruire la funzione c di velocità delle onde? In altre parole, date due metriche sulla Terra, che scriviamo g e g', se supponiamo che i tempi di percorrenza associati alle due metriche coincidano, cioè che τ (x, y) = τ '(x, y) per qualsiasi coppia di punti (x, y) sulla superficie della Terra, è vero che c = c', cioè le funzioni di velocità dell'onda sono le stesse? In termini matematici, questo è chiamato un problema di iniettività. Se possiamo rispondere positivamente a questa domanda, diremo che la funzione del tempo di propagazione determina la metrica della Terra.

In realtà è possibile considerare una classe di metriche un po’ più generale di quelle fin qui citate. Ad esempio, possiamo immaginare che la funzione c non dipenda solo dalla distanza dal centro della Terra, ma anche da altri parametri posizionali. Ancor più difficile è la seconda domanda: è possibile immaginare che la metrica non sia isotropa, cioè che siano preferite certe direzioni di propagazione delle onde sismiche? In pratica, ciò dipende dal tipo di materiale attraversato dall'onda: l'olivina, ad esempio, che costituisce gran parte del mantello terrestre, è un minerale altamente polarizzato; a seconda del suo orientamento, il rapporto delle velocità di propagazione delle onde può variare fino al 25%. Questa forte anisotropia si deve dunque ritrovare alla scala della metrica.

In ogni caso, supporremo almeno che la metrica terrestre g sia semplice, vale a dire che ogni coppia di punti (x, y) del globo è legata da una singola geodetica. Da un punto di vista fisico, ciò significa che un'onda sismica che parte da x e arriva a y ha seguito un singolo percorso: non si è divisa in due prima di essere ricomposta in y. Ancora, le osservazioni sismiche mostrano che questa ipotesi non è del tutto esatta. Ma non farlo complicherebbe seriamente il problema (e, anche, lo renderebbe insolubile).

Nel 1981 che il matematico francese René Michel pubblicò un articolo nella rivista Inventiones Mathematicae, in cui affermava la seguente congettura, che ora porta il suo nome:
Congettura di Michel (1981): se la metrica è semplice, essa è determinata dalla funzione del tempo di percorrenza.
In altre parole, la congettura di Michel afferma che la conoscenza della funzione del tempo di propagazione τ delle onde sismiche è teoricamente sufficiente per conoscere la metrica g. Assai presto i matematici capirono che il problema di Michel era difficile e, tranne alcuni casi molto particolari, pochi risultati arrivarono a sostenere la congettura. Ci sono voluti più di venti anni perché fosse risolta in due dimensioni da Leonid Pestov e Gunther Uhlmann, in un articolo sul giornale americano Annals of Mathematics. La loro dimostrazione va ben oltre il nostro scopo, ma ci accontenteremo di fare due osservazioni al riguardo. Da un lato, la loro dimostrazione non ha permesso di dimostrare la congettura nella dimensione 3 (o anche in dimensione più grande), che è proprio il caso che ci interessa, poiché il pianeta Terra è una "palla" tridimensionale. Inoltre, non è stata costruttiva, cioè ha risposto positivamente alla congettura di Michel affermando che è teoricamente possibile ricostruire la metrica, ma non ha detto come farlo.

Infatti, non solo è necessario sapere che la ricostruzione è possibile, ma è anche necessario dare una formula o un algoritmo che permetta il calcolo pratico della metrica g. Questo problema, chiamato congettura di rigidità di contorno, è stato affrontato nel 2017 dai tre matematici Plamen Stefanov (Purdue University di West Lafayette, Indiana), Gunther Uhlmann (Università di Washington, Seattle) e Andras Vasy (Stanford University, California) in uno studio, presentato all'University College di Londra (UCL), che utilizza le più moderne tecniche di analisi che si definiscono come analisi microlocali. La congettura afferma che conoscere le lunghezze dei cammini più brevi tra i punti di un contorno determina essenzialmente la curvatura totale (Si dice quindi che la geometria sia "rigida"). Quindi, misurando il modo in cui le onde viaggiano all'interno di uno spazio curvo, si potrebbero elaborare i percorsi più brevi e, teoricamente, la struttura generale.

Nello specifico, i tre matematici hanno considerato l’ipotesi, che differisce da quella di Michel, che lo spazio curvo sia strutturato in strati concentrici. Ciò ha permesso loro di costruire una soluzione in più fasi. "Strato dopo strato, come sbucciare una cipolla", ha detto Uhlmann, in modo da ricostruire la metrica grazie ad un determinato algoritmo. 

La loro idea è di risolvere il problema prima localmente, ricostruendo la metrica in prossimità della superficie terrestre grazie a una relazione relativamente esplicita che utilizza solo il tempo di viaggio delle onde che restano vicino alla superficie terrestre. Quindi, sfruttando la laminazione convessa (o "peeling"), mostrano che si può “scavare” sempre di più nella Terra, vale a dire applicare nuovamente il loro metodo di ricostruzione locale su uno strato leggermente più profondo. E così via, passo dopo passo, il loro algoritmo consente la ricostruzione della metrica fino a raggiungere il centro della Terra. La pubblicazione del loro studio ha anche dato origine a un articolo su Nature, che è un fatto abbastanza raro riguardo a un risultato matematico e quindi va sottolineato.


Attualmente, la ricerca è incentrata sull'implementazione numerica del metodo Stefanov-Uhlmann-Vasy. Per esso è certamente interessante avere un algoritmo che inverte la funzione di tempo di percorrenza e ricostruisce la metrica, ma è ancora necessario codificarlo con il computer, per confrontarlo con una mole maggiore di dati reali, vale a dire senza fare troppi errori di arrotondamento. Questo non è un compito facile. Un primo tentativo, datato 2018 e considerando un quadro un po' semplificato, sembrerebbe confermare che questo approccio è legittimo. Caso da seguire, quindi, in quanto non sappiamo ancora se le metriche semplici verifichino il requisito di laminazione convessa richiesto per il funzionamento dell'algoritmo Stefanov-Uhlmann-Vasy. È probabile che sia così, ma i matematici sono in attesa di ulteriori verifiche. 

Applicare la teoria a reali dati geofisici non avverrà immediatamente, come sostiene Maarten de Hoop, un sismologo computazionale della Rice University di Houston, in Texas. Una difficoltà è che la teoria presuppone che ci siano informazioni in ogni punto. In realtà, i dati sono raccolti solo in località relativamente sparse. Uhlmann dice che sta lavorando su quel problema con colleghi specializzati in analisi numerica.


La congettura di Michel è quindi sospesa su quest'ultimo aspetto. Da laureato in geologia, non posso nascondere alcune mie perplessità di fondo: l’interno della Terra è a mio parere difficilmente assimilabile a una varietà riemanniana a simmetria sferica. Esso non è isotropo, presenta discontinuità importanti, come quella Mohorovičić, scoperte proprio grazie alle onde sismiche, che segnano un cambiamento di composizione delle rocce, e altre, che segnano un cambiamento del loro stato fisico (nell'astenosfera del mantello superiore le rocce sono in uno stato semifluido, il che significa anche che si muovono, come magmi o come corpi plastici per reomorfismo, in contrasto con l’assunto della rigidità). Anche il mantello esterno presenta rocce allo stato fluido, in corrispondenza di un brusco cambiamento di densità rispetto al mantello interno. È probabile che Stefanov, Uhlmann e Vasy sappiano apportare le dovute correzioni al loro modello per tener conto di queste diverse condizioni, ma la dimostrazione della congettura di Michel perderebbe uno dei suoi auspicati vantaggi: l’applicabilità ad altri campi oltre a quello geofisico senza dover ricominciare tutto daccapo.

Riferimenti: 

Thibault Lefeuvré — « Le chant de la Terre » — Images des Mathématiques,CNRS, 2018

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