sabato 28 agosto 2021

Gabrio Piola, bigotto, reazionario e matematico sublime

 

Il sito di biografie dei matematici Mac Tutor dell’Università di St. Andrews, riferimento mondiale per lo studio della storia della disciplina, non riporta nulla sul matematico e patrizio milanese Gabrio Piola (1794-1850), eppure i suoi concittadini gli hanno dedicato una grande piazza, una fermata della metropolitana, la più vicina al Politecnico e a Città Studi, e una (contestata) statua nel cortile d’onore di Brera realizzata da Vincenzo Vela. Che Piola non fosse molto noto già pochi anni dopo la morte è dimostrato dalle polemiche che seguirono l’inaugurazione del monumento nel 1857: la stampa popolare parlò di “abuso di collocare in questo santuario di dottrina monumenti ad uomini di modestissima fama”. In un numero della rivista satirica milanese “L’Uomo di Pietra” pubblicato nello stesso anno compare una bellissima vignetta in cui la statua di Gabrio Piola è circondata dalle altre statue del cortile di Brera che cercano di consolarla perché, nel momento in cui fu presentata al pubblico, nessuno riconobbe il soggetto del ritratto!




In realtà Gabrio Piola è stato uno dei pionieri della fisica matematica in Italia. Ma che cosa si intende con questo termine? In passato, esso indicava quella branca della scienza che aveva permesso la soluzione di alcuni problemi specifici governati da equazioni alle derivate parziali, quali, ad esempio, la propagazione del calore, la teoria del potenziale, la teoria dell'elasticità; in questo senso Fourier, Lamé, Gauss, Beltrami, ecc., furono tra i più importanti fisici matematici. Oggi si riferisce allo sviluppo di metodi matematici rigorosi per l'applicazione a problemi in fisica. Il Journal of Mathematical Physics definisce il campo come "l'applicazione della matematica a problemi di fisica e lo sviluppo di metodi matematici adatti a tali applicazioni e alla formulazione di teorie fisiche". In realtà, nel periodo in cui operò Piola, l’epoca d’oro della meccanica celeste o terrestre, quasi tutti i matematici si confrontavano con problemi di fisica e la distinzione tra le varie discipline non era affatto stabilita rigorosamente.

Della giovinezza di Gabrio Piola non si hanno molte notizie se non che compì i primi studi in casa. Fu quindi iscritto a vari licei della città lombarda. Al liceo di S. Alessandro – oggi liceo Beccaria – studiò con il matematico e fisico barnabita Giuseppe Maria Racagni (1742-1822).

Compiuti gli studi liceali, si iscrisse all’università, che allora aveva sede a Pavia: dove incontrò un maestro di grande carisma, Vincenzo Brunacci (1768-1818), membro della Società Italiana delle Scienze e autore di un importante Corso di matematica sublime (cioè applicata alla fisica), pubblicato in quattro volumi fra il 1804 e il 1808. Brunacci era un convinto sostenitore di Joseph-Louis Lagrange, e pensava che il concetto di infinitesimo fosse da bandire dall’analisi e dalla meccanica. Piola ottenne il titolo di Dottore in matematica il 24 giugno 1816, ma la sua indole versatile non si limitava al solo studio delle scienze esatte, ma spaziava in più campi, come la filosofia, la teologia e la poesia.


Nei primi anni della Restaurazione, una brigata di giovani delle più ricche e nobili famiglie milanesi iniziò a incontrarsi nella Contrada del Chiossetto (vicino alla chiesa di San Pietro in Gessate) per darsi alla poesia. Dal luogo delle loro adunanze presero il nome di Accademia del Chiossetto o, con nome latineggiante, Accademia Clausetense. Negli anni successivi alla caduta di Napoleone infuriava la disputa tra Romantici e Classicisti; i salotti più progressisti di Milano sostenevano la necessità di rinnovare la poesia italiana, cercando ispirazione dalla poesia “barbarica”, come quella proveniente dall’Inghilterra e dalla Germania. Dall’altra parte vi era il partito dei Classicisti, che invece non voleva imitare ritmi, immagini e temi del mondo nordico; al contrario rivendicava la diversità della poesia italiana, che ha le sue radici in quella latina. Ovvia era la scelta di campo dell’Accademia, che ottenne anche la simpatia del voltagabbana Vincenzo Monti. L’Accademia del Chiossetto, anche se si riuniva per motivi esclusivamente poetici, aveva anche marcate coloriture politiche: essa radunava essenzialmente personalità moderate e reazionarie, molto legate agli ambienti clericali, che, pur non sostenendo l’ennesimo dominio straniero, preferivano di gran lunga la pace della Restaurazione alle guerre di Napoleone. Con il Congresso di Vienna tornava una politica più rispettosa delle differenze tra i ceti sociali e più aderente ai principi della fede cristiana. Piola fu del gruppo, cimentandosi, senza gran talento, con i versi, passione che non avrebbe mai abbandonato.

Nel 1818 moriva Vincenzo Brunacci e Piola ne redasse la commemorazione. Il sentimento di gratitudine dell’allievo verso il maestro trovò espressione anche nella riedizione degli Elementi di algebra e geometria del Brunacci. Questo manuale di successo, pensato per gli studenti dei licei e delle università, aveva già avuto tre edizioni. Piola ne curò la quarta nello stesso anno della scomparsa dell’autore, apportandovi diverse correzioni e riordinando la materia in alcuni punti, come ad esempio il capitolo dedicato alla trigonometria, che fu completamente riformulato. Nel 1824 sarebbe seguita una quinta edizione, con l’aggiunta di nuove note. Si trattava di opere che dimostrano la sensibilità di Piola per la divulgazione del sapere in una forma sempre più corretta e aggiornata: in questo solco si inseriva la pubblicazione delle Tavole logaritmiche in accompagnamento al già fortunato manuale. Intanto collaborava con il pavese Antonio Bordoni (1788-1860), allievo anch’egli del Brunacci e professore all’università di Pavia dal 1817, nell’allestimento delle Annotazioni agli Elementi di meccanica e d’idraulica dell’ingegnere e matematico bolognese Giuseppe Venturoli (1768-1846): le “annotazioni” rappresentarono un importante aggiornamento metodologico dell’opera, che aveva contribuito allo sviluppo degli studi sia della meccanica sia dell’idraulica in Italia; Piola e Bordoni rifecero, ricorrendo al metodo delle funzioni derivate di Lagrange, le dimostrazioni di Venturoli, che erano basate sull’uso degli infinitesimi.

Nel 1820 Piola fu nominato terzo allievo della Specola di Brera. La Specola Braidense era stata fondata nel 1764 dal gesuita dalmata Ruggero Boscovich. Nel 1773 la Compagnia di Gesù era stata soppressa nell’Impero austriaco e i suoi beni, incluso il palazzo di Brera, diventavano proprietà dello Stato. Da quel momento gli astronomi e gli allievi della Specola passarono alle dipendenze del Governo, che ne regolava anche la nomina. Nella Specola erano attivi tre astronomi (tra i quali Barnaba Oriani) e tre allievi. L’osservatorio, nonostante la stima di cui godeva a livello europeo, non aveva però una sufficiente dotazione economica: il governo austriaco trascurava la Specola e le promesse dell'imperatore Francesco I, in visita ufficiale nel 1825, non si tradussero mai in atti concreti. L’attività di studio e ricerca della Specola approdava nella pubblicazione delle Effemeridi astronomiche, che dal 1774 registravano le posizioni giornaliere del Sole e dei pianeti; nell’Appendice sì pubblicavano gli esiti delle ricerche degli astronomi stessi: fra queste c’è il primo contributo ufficiale di Piola in campo astronomico, Sulla teorica dei cannocchiali, del 1821. Tuttavia, non era l’astronomia il suo campo di interesse primario.

L’Imperial Regio Istituto Lombardo bandiva regolarmente dei concorsi a premi per lavori di ricerca scientifica. Un’apposita commissione individuava un tema da mettere a concorso. Gli elaborati pervenuti erano poi esaminati dai membri dell’Istituto: il vincitore riceveva un premio in denaro e il suo scritto veniva dato alle stampe. Il tema proposto nella seduta dell’Istituto del 4 ottobre 1822 era: “Si dimanda un’applicazione de’ principj contenuti nella Meccanica analitica dell’immortale Lagrange ai principali problemi meccanici e idraulici, dalla quale apparisca la mirabile utilità e speditezza dei metodi lagrangiani”. Si richiedeva dunque un’estensione della ricerca scientifica a partire da un testo fondamentale nel campo della fisica teorica del matematico italo-francese, il Traité de mécanique analytique, pubblicato in prima edizione a Parigi nel 1788.


Il problema fondamentale della meccanica ereditato dal secolo precedente consisteva nella determinazione del moto di punti materiali. In base alla concezione atomistica della materia, allora dominante, secondo la quale ogni corpo fisico è costituito da un numero finito di punti materiali, il moto di tutti i corpi doveva poter essere ridotto a loro sistemi; ma a tal fine era necessario, in primo luogo, comprendere il moto di un punto materiale. Il principio variazionale non si servì quindi, inizialmente, del metodo “diretto”, praticato con successo soprattutto da Newton, consistente nel ricondurre ogni variazione di moto (accelerazione) all'influsso di forze, bensì del metodo 'indiretto' del confronto: l'idea base del principio era di determinare, e quindi individuare univocamente, il moto effettivo del punto materiale tramite altri moti, soltanto pensati (virtuali) ma in linea di principio possibili, le cui particolari proprietà si potessero esprimere per mezzo di grandezze scalari.


Gli spostamenti virtuali sono slittamenti infinitamente piccoli del sistema, compatibili con i vincoli, ma al contrario di uno spostamento effettivo (anche di tipo infinitesimale), vanno contemplati come effettuati in un tempo nullo. Anche il lavoro necessario per essi è considerato “virtuale'” Questo principio richiede di ricondurre la dinamica alla statica, che si assume già sviluppata. Alla statica, cioè all'analisi di problemi di equilibrio, si riconduce anche la comparsa del principio dei lavori virtuali.

Il principio delle velocità virtuali assume importanza nella Mécanique analytique di Lagrange per il fatto di consentire un'organizzazione formale e deduttiva di ampie parti della meccanica. Egli introdusse a sua generalizzazione del principio delle velocità virtuali nella parte statica della sua opera come "une espèce d'axiome de Méchanique". Più tardi sostenne però che esso non possedeva l'evidenza tradizionalmente necessaria a un assioma. Egli cercò quindi di dimostrarlo per diverse vie, ma queste dimostrazioni sono considerate oggi piuttosto come petizioni di principio che non come derivazioni logiche da basi sicure.

Come è evidente dal tema proposto, la meccanica lagrangiana era considerata il metodo fondamentale per una nuova formulazione della meccanica proposta da Newton. Non è infatti agevole servirsi dell’’equazione di Newton quando la si debba riscrivere facendo uso di coordinate diverse da quelle cartesiane. La questione diventa ancor più difficile quando si considerino non solo punti materiali liberi di vagare per lo spazio, ma corpi estesi, o sistemi di punti tra loro connessi mediante vincoli di vario tipo. Il formalismo lagrangiano risolve in modo elegante il problema di scrivere le equazioni della dinamica, almeno quando siano soddisfatte alcune ipotesi in qualche senso naturali. Si trattava di un metodo in cui le equazioni del moto sono descritte tramite delle equazioni variazionali di Eulero (equazioni differenziali del secondo ordine), dove la funzione scalare argomento è la lagrangiana di Newton L, cioè la differenza tra energia cinetica T e potenziale V:

,

in cui si intende che sia l’energia cinetica T che l’energia potenziale V debbano essere espresse in funzione delle coordinate lagrangiane

 
delle velocità generalizzate


e del tempo t.

Nel descrivere sistemi in cui l'energia si conserva, la lagrangiana dipende soltanto dalle coordinate q e dalle loro derivate , in quanto il potenziale non dipende dal tempo. La dinamica di un sistema di N punti materiali soggetto a vincoli e a forze attive dipendenti dal potenziale è retta dalle equazioni di Lagrange:

dove L indica la lagrangiana di Newton. É questa la forma delle equazioni di Lagrange usata più di frequente. In questo modo, non è necessario utilizzare campi vettoriali. Il vantaggio più immediato consiste nel fatto che nel caso di sistemi vincolati è possibile ottenere le equazioni del moto senza dover tener conto delle reazioni vincolari, che sono per lo più indeterminate. A questo fine è sufficiente sostituire nella Lagrangiana per il sistema non vincolato una opportuna parametrizzazione del vincolo.

La ricerca di Piola Sull’applicazione de’ principj della Meccanica analitica del Lagrange ai principali problemi venne considerata la più meritevole fra quelle presentate e nell’adunanza solenne del 4 ottobre 1824 fu premiata con un riconoscimento monetario di 1500 lire italiane e con la pubblicazione. Nel stesso anno aveva ricevuto l’offerta della cattedra di matematica applicata presso l’Università di Pavia: era una proposta prestigiosa che il matematico tuttavia non accettò.

All’inizio della sua Memoria, Piola metteva in evidenza gli argomenti tralasciati da Lagrange che egli intendeva trattare: la descrizione del moto dei sistemi continui lineari, dei sistemi continui superficiali, l’analisi di alcuni problemi di idraulica e il riordinamento delle formule lagrangiane sul moto di rotazione. Egli partì da un principio fondamentale, ponendosi in contrasto con Lagrange: concentrare l’attenzione sul movimento, tralasciando il problema degli equilibri. Sul piano logico, a parere di Piola, occorreva premettere lo studio della dinamica e, a partire da quella, derivare il problema della statica.

Per lo studio del moto del punto materiale Piola riteneva che l’unico principio necessario fosse quello di sovrapposizione dei moti (spostamenti). Il principio è di carattere empirico; ciò non di meno esso appare assolutamente evidente perché́ fa riferimento all’esperienza di tutti i giorni; lo stesso non si può̀ dire del principio delle velocità virtuali: «Lagrange stesso ne convenne quando disse: quant à la nature du principe des vitesses virtuelles il faut convenir qu’il n’est pas assez évident». Secondo il principio di sovrapposizione dei moti (spostamenti), se si hanno due moti dovuti a due «cause» diverse, il moto risultante è pari alla somma vettoriale dei due moti. Un punto materiale è in equilibrio se e solo se i moti componenti si annullano tra loro. Con il principio della composizione dei moti si risolve non solo il problema del moto ma anche quello dell’equilibrio.


In secondo luogo, Piola criticava il ricorso ai concetti di velocità e di forza, “enti oscuri e metafisici dai quali bisogna distogliere il pensiero se si vuole avere chiarezza di concetti nello stabilire le equazioni relative al moto; le sole idee di spazio e di tempo sono invece concetti chiari e utili allo scopo”. Il metodo lagrangiano delle funzioni analitiche poteva essere applicato alla soluzione dei problemi di meccanica e Lagrange stesso lo aveva fatto parzialmente, ma non in maniera esauriente. Lagrange, partendo dal principio delle “velocità virtuali”, aveva dedotto le leggi dell’equilibrio e del moto espresse per mezzo di equazioni analitiche. Piola criticava proprio il fatto che il principio di base non era frutto di una dimostrazione bensì era stato posto come assioma. Proponeva, quindi, di sgomberare il campo dal concetto di “infinitamente piccolo” introdotto da Lagrange, che supponeva l’esistenza di un “moto minimo” nell’esposizione del principio delle “velocità virtuali”, che non era ricavato dall’esperienza.

Lo scritto voluminoso di Piola andava ben oltre il tema proposto dall'Istituto Lombardo, cosa che era stata notata e lodata anche dai commissari giudicanti. Barnaba Oriani e Francesco Carlini, estensori del giudizio di merito, rilevarono la diversità dell’approccio applicato da Piola rispetto a Lagrange: “(...) mostrando una decisa ripugnanza a quelle velocità virtuali e ancora ad ogni idea di infinitesimi, ricorre a un nuovo metodo che ha qualche rassomiglianza con quello usato due secoli prima dall’insigne matematico Bonaventura Cavalieri nella sua Geometria degl’indivisibili e che propriamente chiamasi metodo dei limiti”. Il milanese Cavalieri fu un riferimento costante per Piola, che avrebbe poi scritto una lunga e dettagliata commemorazione in occasione dell’inaugurazione della statua dedicatagli nel cortile di Brera.

Le concezioni epistemologiche di Piola sulla scienza in generale e sulla matematica in particolare sono contenute nelle Lettere di Evasio ad Uranio intorno alle scienze matematiche (Modena 1825), nel quale le verità della fede vengono confrontate con quelle della scienza, evidenziando un possibile accordo, a patto che non si metta in discussione il primato divino. Tra il fare scienza e la pratica della fede non vi è contrasto: ammettere l’esistenza di un ente eterno e creatore non è un ostacolo alla conoscenza scientifica del mondo; conoscere scientificamente il mondo, d’altro lato, può essere anzi un (ulteriore) invito alla fede.

“Raccogliendo il discorso, conchiuderemo essere buona cosa lo studiare le scienze, migliore il saper conservare la prima e la più importante di esse, che ci fu insegnata da un Maestro divino: essere conveniente il consultare le opere dei dotti scrittori, ma insieme di essenziale prudenza, specialmente a’ dì nostri, il non consolidarsi mai con alcuno in una università̀ di opinioni. Infatti, quegli stessi, che ci vorrebbero insidiare la religione, non sono essi i primi a millantare un dominio sui propri giudizi, una libertà di pensare, una costanza negli assunti principii? Ora mantiene in verità̀ il diritto di giudicare chi non si arrende a vieti sofismi, meno poi a certi frizzi maligni, che non vestono larva di ragionamento; fa l’uso più perfetto di sua libertà chi umilia la ragione davanti alla Fede con un ossequio, che dalla ragione stessa esaminato viene riconosciuto doveroso; è veracemente d’animo forte, e di carattere fermo chi per qualunque urto non si smuove dai fondamenti della sua religiosa credenza”.

Nonostante la rinuncia alla carriera accademica, Piola dedicò molto del suo tempo alla didattica della matematica e tenne regolari lezioni presso la sua casa, coadiuvato dal matematico e astronomo Paolo Frisiani. Tra i suoi allievi vi furono Francesco Brioschi, più tardi professore di meccanica razionale a Pavia e fondatore del Politecnico di Milano, e Placido Tardy, poi professore di matematica all’Università di Messina. Nel suo cosiddetto “Centro di matematica” Piola commentava gli autori più significativi e, fatto più importante, discuteva e divulgava le teorie che non trovavano ancora spazio nelle lezioni accademiche.

Tra gli autori più studiati a casa Piola c’era Augustin Louis Cauchy, il grande matematico francese ultrabigotto e reazionario (Abel lo aveva definito un cattolico pazzo). che, a seguito dei moti del luglio del 1830 contro il potere assoluto dell’ultimo re borbonico Carlo X e al colpo di stato di Filippo d’Orleans, aveva deciso di lasciare la Francia e aveva insegnato a Torino fra il 1831 e il 1833 su invito del re piemontese Carlo Alberto (quando andava a Milano era ospite in casa Manzoni). Con lui Piola era in corrispondenza almeno dal 1826.

Cauchy si era fatto precedere dalla pubblicazione di un lungo articolo in italiano intitolato Sui metodi analitici, pubblicato nell’inverno 1830-31 dalla Biblioteca Italiana di Milano. In questo lavoro presentava un’introduzione ai metodi dei suoi corsi all’École Polytechnique di Parigi. Nella prefazione, volle dimostrare che cosa significasse il suo “bisogno di rigore”. Criticando apertamente l’indeterminatezza dei metodi lagrangiani di calcolo, spiegava come il suo rigore si rifletteva su concetti fondamentali come quelli di derivata, integrale, integrazione delle equazioni differenziali. Ma il tono era pedante e generò una reazione ostile tra molti matematici italiani, ancora legati all’approccio lagrangiano al Calculus. Solo Gabrio Piola, anche perché di sentimenti politici e religiosi affini al francese, prese subito posizione a favore di Cauchy, diventandone poi il profeta in Italia (e i reazionari in politica furono tra i più innovativi in campo matematico). Lo stesso Piola avrebbe poi tradotto l’opuscolo scritto da Cauchy in difesa della religione cattolica contro “l’abuso dell’ingegno e della scienza adoperati a corrompere i cuori e pervertire le menti”, nel quale si criticava apertamente il materialista Laplace.


Piola fu eletto tra i dotti del Regio Istituto lombardo nel 1828 (per diventarne membro effettivo nel 1839), divenne membro della Società italiana delle scienze (Accademia dei XL), socio corrispondente della Nuova Accademia pontificia dei Lincei. Partecipò ai Congressi degli scienziati italiani che cominciarono a tenersi con cadenza annuale dal 1839. Fu anche editore di una rivista, Opuscoli matematici e fisici di diversi autori (Milano 1832-34), di cui uscirono solo due volumi. Tra l’altro, tale rivista fu il mezzo di diffusione delle teorie matematiche di Cauchy in Italia, contenendo alcuni dei suoi lavori fondamentali tradotti in italiano da Piola e Frisiani (Sulla meccanica celeste e sopra un nuovo calcolo chiamato calcolo dei limiti, Sui principj e sugli usi del calcolo dei residui). Una curiosità: la prima delle due memorie era stata presentata all’Accademia delle Scienze di Torino nell’ottobre 1831 per criticare la scuola lagrangiana di Giovanni Piana.

Anche nei lavori successivi Piola fu sempre guidato dall’ambizione di migliorare la teoria meccanica di Lagrange su due fronti: sul versante matematico occorreva eliminare il concetto degli infinitesimi; sul versante fisico era necessario fare chiarezza su alcuni principi enunciati da Lagrange stesso.

I suoi contributi più importanti si trovano sparsi nei lavori di matematica-fisica. I prodotti fondamentali in questo settore sono quelli di meccanica del continuo, che si occupa delle proprietà fisiche di solidi e fluidi che sono indipendenti da qualsiasi particolare sistema di coordinate in cui sono osservati. Queste proprietà fisiche sono rappresentate da tensori, che sono oggetti matematici che hanno la proprietà di essere indipendenti dal sistema di coordinate. Questi tensori possono essere espressi in sistemi di coordinate per comodità di calcolo.

I materiali, come solidi, liquidi e gas, sono composti da molecole separate dallo spazio. Su scala microscopica, i materiali mostrano separazioni e discontinuità. Tuttavia, alcuni fenomeni fisici possono essere modellati assumendo che i materiali esistano come un continuo, il che significa che la materia nel corpo è continuamente distribuita e riempie l'intera regione dello spazio che occupa. Un continuo è un corpo che può essere continuamente scomposto in elementi infinitesimali con proprietà che sono quelle dell'intero volume del materiale.



Modellare un oggetto come un continuo presuppone che la sostanza dell'oggetto riempia completamente lo spazio che occupa. Modellare gli oggetti in questo modo ignora il fatto che la materia è fatta di atomi, e quindi non è continua; tuttavia, su scale di lunghezza molto maggiori di quelle delle distanze interatomiche, tali modelli sono molto accurati. Leggi fisiche fondamentali come la conservazione della massa, la conservazione della quantità di moto e la conservazione dell'energia possono essere applicate a tali modelli per derivare equazioni differenziali che descrivono il loro comportamento; alcune informazioni sul materiale in esame vengono aggiunte attraverso relazioni costitutive.

Alla base delle opere di Piola c’è una posizione di fondo già evidente nella memoria giovanile del 1825, la stessa che si trova in Lagrange: tutta la meccanica può essere espressa per mezzo del calcolo differenziale, dichiarando di voler fondare la sua meccanica solo sui concetti base di tempo e di spazio (geometria); rinunciando al concetto di forza, che non è necessario, anche se può essere utile in quanto «vestendo d’immagini molte proprietà del moto se le rendono più famigliari»

Di sicuro uno dei contributi più rilevanti di Piola alla meccanica del continuo è il modo in cui introduce le componenti delle forze interne. Queste non sono concepite come forze scambiate tra molecole o particelle ultime componenti la materia, ma piuttosto come moltiplicatori indeterminati di Lagrange di opportune equazioni di vincolo.

Nel saggio del 1833 La meccanica dei corpi naturalmente estesi trattata con il calcolo delle variazioni, Piola andava oltre, estendendo l’applicazione dei principi della meccanica razionale ai corpi rigidi. Lagrange aveva elaborato sei equazioni di equilibrio dei corpi – le sei equazioni cardinali della statica – ma la sua attenzione si era però fermata sul problema dell’equilibrio globale, non dell’equilibrio locale. Piola. già nella Memoria del 1824 aveva spiegato che esistono nei corpi delle forze interne delle quali non è possibile farci un’idea chiara intorno alla maniera in cui interagiscono: perché un corpo sia in equilibrio, anche queste forze interne devono esserlo.

Lo studio dei sistemi di punti materiali che interagiscono tra loro richiede l’introduzione di altri principi e concetti; in particolare si devono introdurre le masse. Piola si rendeva conto della difficoltà, insita alla teoria dinamica da lui scelta. Risolse il problema ammettendo l’esistenza di “atomi” di materia tutti uguali tra loro. La massa di un aggregato è proporzionale al numero di atomi. Oltre al concetto di massa dovette introdurre anche il principio di azione e reazione. Secondo Piola tale principio, che non era mai nominato come tale, poteva essere riguardato in parte come principio di ragione, in parte come principio empirico.

Lo scopo di sviluppare una teoria meccanica rigorosa da un punto di vista matematico formale avveniva così con la rinuncia, almeno parziale, del rigore dal punto di vista fisico. Infatti, i principi assunti, la sovrapponibilità̀ dei moti e il principio dei lavori virtuali non erano giustificati in modo convincente. Ciò̀ nonostante, i risultati raggiunti da Piola furono fondamentali, dimostrando l’importanza fondamentale della meccanica analitica.

Piola iniziava il suo saggio del 1833 affermando che benché la Mécanique analytique fosse considerata la massima opera di meccanica e le sue tecniche rappresentassero la “vera meccanica filosofica”, di fatto essa doveva essere aggiornata e integrata. Piola si poneva così il problema di estendere le tecniche della Mécanique in modo che esse potessero essere applicate utilmente anche per i corpi estesi.

Attraverso lunghi calcoli, arrivava a elaborare le equazioni di condizione che esprimono l’equilibrio delle forze interne (1 e 2, cioè la rigidità dei corpi), riuscendo poi a dimostrare l’equivalenza tra tali formule con le equazioni indefinite di equilibrio (3 e 4). Tale dimostrazione nella letteratura internazionale va sotto il nome di teorema di Piola. 


 


Piola non era sempre cosciente della rilevanza dei suoi sviluppi, come accade sempre per quasi tutti i precursori, e non si accorse di avere introdotto una grandezza che sarebbe diventata importante. Si tratta del tensore nominale di tensione (o tensore di stress) P di Piola-Kirchhoff, indispensabile per lo studio del problema statico dei continui soggetti a grandi spostamenti, perché descrive le sollecitazioni e le deformazioni sia nella configurazione di riferimento che in quella corrente.

Piola scrisse anche importanti memorie di matematica pura sulle differenze finite e sulla teoria dell’integrazione, soprattutto in Note relative al calcolo degli integrali definiti (1846) e in Sull’applicazione del calcolo delle differenze finite alle questioni di analisi indeterminata (1850). Eugenio Beltrami riprenderà una generazione dopo l’approccio di Piola.

Sebbene sia stato uno dei più brillanti meccanici razionali del XIX secolo, probabilmente il più brillante degli italiani, Gabrio Piola è autore poco conosciuto e valutato. Ciò è dovuto a varie ragioni: di carattere generale, associate al provincialismo scientifico dell’Italia del tempo, e di carattere particolare, come la sua scelta di scrivere soltanto in italiano, nonostante conoscesse a fondo gli sviluppi francesi della matematica fisica. Nonostante i suoi concittadini lo conoscessero ben poco, il suo nome è tuttavia uno dei pochi a essere ancora citato nella letteratura moderna della meccanica del continuo.


Morì nella sua villa di Giussano, in Brianza, il 9 novembre 1850.


giovedì 19 agosto 2021

Poesia del ‘900 e scienza (5): “Siamo parte di un'interazione”

 


La realtà come processo

Forse l'esposizione più influente della modernità scientifica è stata Science and the Modern World (1925) del filosofo, logico e matematico Alfred North Whitehead (1861-1947), che concepiva la realtà come un processo nel quale non è possibile operare una distinzione tra soggetto e oggetto; e ciò in rapporto all'insieme di collegamenti dati dagli oggetti esterni che costituiscono il campo del possibile e dell'esistente. 

“Il progresso della scienza ha ora raggiunto un punto di svolta. Le fondamenta stabili della fisica sono andate in pezzi: così per la prima volta la fisiologia si sta affermando come un effettivo corpo di conoscenza, distinto da un cumulo di rottami. I vecchi fondamenti del pensiero scientifico stanno diventando incomprensibili. Tempo, spazio, materia, materiale, etere, elettricità, meccanismo, organismo, configurazione, struttura, schema, funzione, tutti richiedono una reinterpretazione. Che senso ha parlare di una spiegazione meccanica quando non si sa che cosa voglia dire meccanica?

Nella stessa opera, Whitehead parlava della necessità di “ampliare lo schema scientifico in un modo che sia utile alla scienza stessa”:

“Il punto di fronte al quale ci troviamo è che il campo del pensiero scientifico è ora, nel ventesimo secolo, troppo ristretto per analizzare i fatti concreti che gli stanno davanti. Questo è vero anche in fisica, ed è particolarmente urgente nelle scienze biologiche. Quindi, per comprendere le difficoltà del pensiero scientifico moderno e anche i suoi riflessi sul mondo moderno, dovremmo avere in mente un’idea di campo di astrazione più ampio, un'analisi più concreta, che si avvicini di più alla completa concretezza della nostra esperienza intuitiva”.

Whitehead sosteneva che la realtà consiste di processi piuttosto che di oggetti materiali, e che i processi sono meglio definiti dalle loro relazioni con altri processi, rifiutando così la teoria secondo cui la realtà è fondamentalmente costituita da pezzi di materia che esistono indipendentemente l'uno dall'altro. 

Per la filosofia del processo di Whitehead, sviluppata in Process and reality (1929) "è urgente vedere il mondo come una rete di processi interconnessi di cui siamo parti integranti, in modo che tutte le nostre scelte e azioni abbiano conseguenze per il mondo che ci circonda".

Il suo pensiero (per molti aspetti influenzato dal suo amore per i Romantici, in particolare per The Prelude di Wordsworth) fu da molti poeti interpretato come legittimazione di una poesia di processo, che riflette un nuovo mondo quasi caotico, di difficile interpretazione.


"La rosa nella polvere d'acciaio", l’immagine prodotta dalle forze elettromagnetiche che Ezra Pound (1885-1972) descrisse nei suoi primi, controversi, saggi, sembrava incarnare il misterioso flusso di energie verso un disegno che egli vedeva nell'arte primitiva; e fornire un modello per l'immagine come "nodo o cluster radiante". Poco dopo tale modello divenne il “vortice”, che Pound derivò sia da una lettura dei presocratici sia dalle scienze moderne (in particolare, dall’opera di Helmholtz sui vortici in idrodinamica, sviluppata da Lord Kelvin per la sua teoria degli atomi-vortice). Ciò che il vocabolo consentiva era un'idea di stile dettato dalle energie dei materiali coinvolti, producendo la poesia come un campo di attività in cui gli elementi esistono in relazione dinamica e organica tra loro. A Pound è attribuita la coniazione del termine Vorticismo. Nel suo saggio "Vortex", pubblicato nel 1914, sottolinea la relazione del vorticismo con il movimento, notando: "Il vortice è il punto di massima energia. Rappresenta, in meccanica, la massima efficienza. Usiamo le parole 'massima efficienza' nel senso preciso, come sarebbero usate in un libro di testo di Meccanica”.

Anche il matematico, filosofo, semiologo, logico e scienziato statunitense Charles Sanders Peirce (1839-1914), uno dei padri del pragmatismo, fu un punto di riferimento. Secondo Peirce, nel mondo non esiste alcuna necessità, e anzi esso è immerso nel dominio del caso (del clinamen epicureo e lucreziano). Solamente il metodo scientifico può accogliere la correzione e perciò accetta la sua fallibilità. Il fallibilismo fu un elemento prioritario del pensiero di Peirce, anticipando quello di Karl Popper, allo stesso modo del concetto dell'evoluzione, tipico della sua epoca. Non solo argomentò contro il determinismo in The Doctrine of Necessity Examined (1892), ma per scrittori successivi, come la poetessa, attivista, femminista americana Muriel Rukeyser (1913-1980), funse da pensatore fondamentale in relazione alla nozione di un campo interpretativo in cui il poeta, la poesia e il lettore interagiscono tutti insieme. Nel saggio The Life of Poetry (1949), vero e proprio inno d’amore per la poesia, Rukeyser illustrò questa poetica della connessione, affermando che il poeta, lo scienziato e il matematico cercano "un sistema di relazioni" e che lo scambio di energie è centrale sia per la poesia che per la scienza (Secondo Henri Poincaré, i matematici non studiano oggetti, ma relazioni fra oggetti; per loro, dunque, è indifferente sostituire alcuni oggetti con altri, a condizione che le relazioni non cambino. A loro non importa la materia, importa solo la forma).


Poesia come campo d’azione

Nell'opera di altri poeti questa idea diventa una teoria della poesia completamente elaborata. William Carlos William (1883-1963) riteneva che la fisica einsteiniana avesse aperto la strada a una nuova concezione della forma poetica, oltre che dello spazio-tempo. Nella conferenza The Poem as a Field of Action tenuta all’Università di Washington nel 1948, ne formalizzò il fondamento teorico: anche se i poeti hanno aperto l'immaginario del loro lavoro per includere i paesaggi industriali e altri nuovi soggetti, sostiene Williams, è lo stesso modo di far poesia che deve essere rivoluzionato. 

“Come possiamo accettare la teoria della relatività di Einstein, che influenza la nostra stessa concezione dei cieli intorno a noi di cui i poeti scrivono così tanto, senza incorporare il suo fatto essenziale – la relatività delle misurazioni – nella nostra categoria di attività: il poema. Pensiamo di stare al di fuori dell'universo? O che fa la Chiesa d'Inghilterra? La relatività vale per tutto, come l'amore, se vale per qualunque cosa al mondo”. (...)

Applicando la teoria della relatività di Einstein alla "relatività delle misurazioni", Williams sostiene che "le nostre poesie non sono realizzate in modo abbastanza sottile, la struttura, il modo posato della poesia non è in grado di far passare i nostri sentimenti"

Spring and All, "La primavera e tutto il resto" (1923) composta più di vent'anni prima di questa conferenza, è stata vista dalla critica come la prima raccolta di Williams a illustrare la sua idea del poema come campo d'azione. La raccolta è la precoce testimonianza di una fra le più inesauste e febbrili esperienze di poesia del Novecento, e mostra quanto l'esperienza di destrutturazione dell'arte cubista e la violenza inaudita della grande guerra appena conclusa avessero destrutturato la parola poetica, rendendo necessaria l'apertura di un inedito, incognito approccio. Cosi in By the road to the contagious hospital (Sulla strada per l’ospedale infettivologico):

Lifeless in appearance, sluggish
dazed spring approaches—

They enter the new world naked,
cold, uncertain of all
save that they enter. All about them
the cold, familiar wind—

Now the grass, tomorrow
the stiff curl of wild carrot leaf
One by one objects are defined—
It quickens: clarity, outline of leaf

But now the stark dignity of
entrance—Still, the profound change
has come upon them: rooted, they
grip down and begin to awaken


In apparenza senza vita, pigra
la primavera stordita si avvicina—


Entrano nudi nel nuovo mondo,
freddo, incerti di tutto
salvo che arrivare. Tutto intorno a loro
il vento freddo e familiare —

Ora l'erba, domani
il rigido ricciolo della foglia di carota selvatica
Uno per uno gli oggetti sono definiti —
Si anima: chiarezza, contorno di foglia

Ma ora la cruda dignità
dell’arrivo. Eppure, il profondo cambiamento
è giunto su di loro: radicati, essi
intuiscono e iniziano a svegliarsi.

La teoria di Williams è stata successivamente sviluppata da Charles Olson (1910-1970) come composition by field (composizione per campo), che si concentra sul movimento tra gli elementi in una poesia o tra più testi poetici, dove la poesia è concepita come un insieme di forze, uno spazio discorsivo con le proprie relazioni interne tra gli elementi. Ad esempio, la prima strofa di In Cold Hell, in Thicket (Nel freddo inferno, nel folto) recita:

In cold hell, in thicket, how
abstract (as high mind, as not lust, as love is) how
strong (as strut or wing, as polytope, as things
are constellated)
how strung, how cold
can a man stay (can men) confronted
thus?

All things are made bitter, words even
are made to taste like paper, wars get tossed up
like lead soldiers used to be
(in a child’s attic) lined up
to be knocked down, as I am,
by firings from a spit-hardened fort, fronted
as we are, here, from where we must go

God, that man, as his acts must, as there is always
a thing he can do, he can raise himself, he raises
on a reed he raises his

Or, if it is me,
what he has to say

 

Nel freddo inferno, nel folto, quanto
astratto (come le grandi menti, non come la libidine, come l’amore) quanto
forte (come pilastro o ala, come politopo, come
una costellazione di cose)
quanto teso, quanto freddo
può̀ restare un uomo (gli uomini) messo così
a confronto?

Ogni cosa si fa ostile, persino le parole
prendono un sapore di carta, si dispongono guerre
come soldatini di piombo erano
(nel solaio di un bimbo) allineati
per essere poi abbattuti, come me,
dai colpi di un fortino indurito di saliva, contrapposti
come siamo, qui, da dove dobbiamo andare

Dio, quell’uomo, poiché́ i suoi atti urgono, poiché́ c’è sempre
qualcosa che lui può̀ fare, può̀ sollevarsi, può̀ levarsi
su una cannuccia può̀ levare il suo

Oppure, se sono io,
quello che ha da dire

Come Williams, Olson vide lo spazio non euclideo della scienza moderna come una giustificazione delle sue procedure, suggerendo che il reale può in effetti essere una questione di forma: una disposizione dinamica di forze o percorsi. Il suo saggio del 1957, Equal, That Is, to the Real Itself, spiega l'implicazione di questa visione della poesia in termini di un campo metrico "riemanniano" in cui lo spazio testuale si piega intorno alla realtà.


Grovigli infiniti

In Italia queste idee sono giunte con considerevole ritardo, con una sola eccezione, rappresentata non da un poeta (casomai occasionale e non proprio modernista), ma da un saggista, prosatore e filosofo laureato in ingegneria. Pur essendosi nutrito di una solida cultura positivistica, Carlo Emilio Gadda (1893-1973) non accettava la purezza denotativa della lingua, inadeguata a rappresentare i sistemi complessi e il pluralismo delle concause destinate a tessere continue trame relazionali. All’immagine deterministica della «catena crudamente obbiettivante» egli contrappone «quella di una maglia o rete: ma non di una maglia a due dimensioni […] o a tre dimensioni […], sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti» (in Meditazione milanese, scritta alla fine degli ‘20 ma pubblicata solo nel 1974). Secondo Gadda, nessun oggetto esiste isolatamente, ma solo come punto nodale ove confluisce il complesso infinito delle relazioni di detto oggetto con innumerevoli altri:

Non è possibile pensare un grumo di relazioni come finito, come un gnocco distaccato da altri nella pentola. I filamenti di questo grumo ci portano ad altro, ad altro, infinitamente ad altro. 

L’oggetto non è un'isola inaccessibile in una realtà composta di tanti elementi contigui, bensì «un nucleo o groviglio di relazioni attuali». Non può essere pensato indipendentemente dalle relazioni in cui è coinvolto, poiché non si può sceverare il nocciolo duro del suo essere, la parte immutabile che potesse entrare o meno in relazione con il mondo, e ne restasse comunque incolume. Non ci sono gli oggetti da un lato, le relazioni fra gli oggetti dall’altro. Le apparenze ottiche e la pigrizia mentale – «i grossi e bovini occhî imbambolati dalla luce del giorno e dalla sua falsa dialettica», – ci fanno vedere l’oggetto come se fosse definito nel recinto dei propri contorni, mentre esso è raggiunto ininterrottamente da altri oggetti, anzi da tutti gli altri oggetti, così come viceversa esso raggiunge loro: sicché l’essere reale dell’oggetto sta nella totalità di tutte le sue implicazioni. Discendono da queste premesse i principi più saldi della poetica gaddiana: la tensione enciclopedica del «pasticcio», espressione di una realtà caotica, ovvero della «baroccaggine» del mondo, e l’ostinata avversione alla tesi dell’unicità dell’io, «il più lurido dei pronomi», ancora in vita nonostante che la scienza abbia chiarito che «il cosiddetto ‘uomo normale’ è un groppo, o gomitolo o groviglio o garbuglio, di indecifrate (da lui medesimo) nevrosi» (I viaggi la morte, 1958).

La continuità, o addirittura l’equivalenza fra dentro e fuori è un pilastro centrale della poetica di molti artisti del Novecento. Si pensi all’errabondo e schizofrenico Dino Campana (1885-1932) di Pampa, per il quale la confusione fra oggettivo e soggettivo, la nevrosi, non fu una mera formula stilistica, bensì una intuizione vissuta sulla propria pelle.

(...) Dov’ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero!
Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane?
Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi parve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne commentava incomprensibilmente il destino.
Poi la stanchezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto simile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi.
La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e uguale in un silenzio profondo.
Solo a tratti nuvole scherzanti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti
per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.

La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona.
Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense.
E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente
e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra:
il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito.
Mi ero alzato.
Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.


Relazioni intertestuali

Un risultato della teoria dei campi applicata alla poesia è un senso accresciuto delle relazioni intertestuali. Da Pound in poi, i poeti hanno prodotto testi in cui sono disseminate le parole di altri, lasciando al lettore una relazione dinamica tra i frammenti così dispersi, come nelle molteplici fonti di Pound nei Cantos, legate insieme nel vortice della storia o nei testi sparsi di Melville in Melville's Marginalia della poetessa visuale e pittrice americana Susan Howe (n, 1937). In Italia, la stessa tecnica sarà adottata da Balestrini, Sanguineti e Pagliarani. Una pratica così diffusa solleva domande fondamentali sui limiti dell'originalità nell'arte (e come non ricordare le considerazioni di Walter Benjamin sulla sua riproducibilità tecnica?).

Il californiano Robert Edward Duncan (1919-1988) fu, per educazione familiare, un esponente della tradizione esoterica occidentale. Sebbene associato a diverse scuole letterarie, Duncan fu influenzato soprattutto dalla tradizione modernista di Pound, Williams e Lawrence. Omosessuale dichiarato e precursore della cultura hippy, fu una figura chiave nel cosiddetto Rinascimento di San Francisco dei primi anni ‘50 che anticipò la Beat Generation e la controcultura del decennio successivo. 

Duncan ottenne un notevole successo artistico e critico soprattutto con la raccolta The Opening of the Field (L'apertura del campo, 1960). La sua poesia è modernista nella sua preferenza per l'impersonale, mitico e ieratico, ma romantica nel privilegiare l'organico, l'irrazionale e il primordiale, il non ancora articolato che si fa strada nel linguaggio come un salmone che risale la corrente:

Neither our vices nor our virtues
further the poem. "They came up
and died
just like they do every year
on the rocks.

The poem
feeds upon thought, feeling, impulse,
to breed itself,
a spiritual urgency at the dark ladders leaping.

Né i nostri vizi né le nostre virtù portano
avanti il ​​poema. Sono cresciuti
e sono morti
proprio come fanno ogni anno
sulle rocce.

La poesia
si nutre di pensiero, sentimento, impulso,
per riprodursi,
un'urgenza spirituale che risale le scale oscure.

Il volume include brevi poesie liriche, una sequenza di poesie in prosa chiamata The Structure of Rime e il poema Poem Beginning with a Line by Pindar, che attinge materiali da Pindaro, Francisco Goya, Walt Whitman, Ezra Pound, Charles Olson e dal mito di Amore e Psiche in una fuga visionaria ed estatica alla maniera dei Canti pisani di Pound.

Il pittore, poeta, performer e editore londinese Allen Fisher (n. 1944), che ha lavorato come direttore di una fabbrica chimica, è più sistematicamente e materialmente interessato alla costruzione scientifica del mondo; egli legge la scienza moderna in senso lucreziano come una chiave per il flusso dell'esistenza, per connessioni e interazioni che nella sua astrazione non ha mai completamente umanizzato. È anche attento al modo in cui la tecnologia minaccia l’umano. Nei suoi primi lavori ha sperimentato tecniche di "randomizzazione", elaborando testi esistenti per allentare il significato e focalizzare l'attenzione sulla procedura; il suo lavoro successivo esplora l'ottica, i frattali, la gravitazione, la biologia, la genetica, la tecnologia, ordinando accuratamente questi campi (e dettagliando le sue fonti in elenchi di libri alla fine di ogni volume). In una certa misura eredita la teoria dei campi degli scrittori precedenti. In Place, XXXV scrive:

we are part of an interaction
ununified
electromagnetic and gravitational
fields contradict
birds sensitive to axis not polarity
fish
thru sea water see
through a moving conductor
flowing
past the lines of force
thru the magnetics
setting up a perpendicular current
a direction
of flow and field
contradicting reason

siamo parte di un'interazione
non unificata
elettromagnetica e gravitazionale
i campi contraddicono
uccelli sensibili all'asse non alla polarità
pesci
attraverso l'acqua di mare vedono
attraverso un conduttore in movimento
scorrere
oltre le linee di forza
attraverso il magnetismo
impostando una corrente perpendicolare
una direzione
di flusso e campo
che contraddice la ragione

Altrove Fisher impiega anche la teoria delle catastrofi e il "cambiamento di fase". Il risultato è un'estetica della frammentazione e del disordine che non cerca né un ordine superiore implicito che potrebbe organizzare il testo, né semplicemente rimane disperso. In Winging Step, il “Passo alato”, scrive con competenza di capillarità e della parte dell’ippocampo cerebrale connessa con la memoria del sé. 

Surface tension of droplets electric
pulse-pushed through perforations
generates liquid-bridge adhesive,
the shape of clouds, precisely recalled,
a clarity of directional signals in the right
entorhinal cortex correlated with the
performance of autobiographical memory, with
a specific neural representation in a network of regions
in support of spacetime cognition, where landscape
roughness and apparent quantum coherence
result in slow folding
unfolding and lucid harvesting of light.
How observations of leaves in rainfall and the structure of clouds
shape the memory that patterns knowing.

Tensione superficiale delle goccioline elettrica
pulsazione spinta attraverso perforazioni
genera adesione a ponte liquido,
la forma delle nuvole, ricordata con precisione,
una chiarezza di segnali direzionali nella corteccia
entorinale destra correlata con la
performance di memoria autobiografica, con
una specifica rappresentazione neurale in una rete di regioni
a sostegno della cognizione spaziotemporale, dove rugosità
e coerenza quantistica del paesaggio apparente
risultano in una piegatura lenta
dispiegamento e raccolta lucida della luce.
Come le osservazioni delle foglie sotto la pioggia e la struttura delle nuvole
modellano la memoria che modella la conoscenza.


Opera aperta

Ma in questa epoca di indeterminatezza, che senso ha l’opera di un autore, se è possibile darle mille interpretazioni diverse? Forse la domanda non è posta correttamente, come scrisse Umberto Eco in Opera Aperta (1962):

“Si potrebbe benissimo pensare che questa fuga dalla necessità sicura e solida e questa tendenza all'ambiguo e all'indeterminato, riflettano una condizione di crisi del nostro tempo; oppure, all'opposto, che queste poetiche, in armonia con la scienza di oggi, esprimano le possibilità̀ positive di un uomo aperto ad un rinnovamento continuo dei propri schemi di vita e conoscenza, produttivamente impegnato in un progresso delle proprie facoltà̀ e dei propri orizzonti. Ci sia permesso di sottrarci a questa contrapposizione così facile e manichea (...)

Avviene ad esempio che mentre apertura e dinamicità di un'opera richiamano le nozioni di indeterminazione e discontinuità, proprie della fisica quantistica, al tempo stesso i medesimi fenomeni appaiono come immagini suggestive di alcune situazioni della fisica einsteiniana. Il mondo multipolare di una composizione (...) in cui non esistano punti privilegiati ma tutte le prospettive sono egualmen­te valide e ricche di possibilità̀ appare molto vicino all'universo spazio-temporale immaginato da Einstein, in cui " tutto ciò̀ che per ciascuno di noi costituisce il passato, il presente, il futuro, è dato in blocco, e tutto l'insieme degli eventi successivi (dal nostro punto di vi­sta) che costituisce l'esistenza di una particella materiale è rappresentato da una linea, la linea d'universo della particella (...) Ciascun osservatore col passare del suo tempo scopre, per così dire, nuove porzioni dello spazio-tempo, che gli appaiono come aspetti successivi del mondo materiale, sebbene in realtà̀ l'insieme degli eventi che costituiscono lo spaziotempo esistesse già̀ prima di es­sere conosciuto” [De Broglie].

Quello che differenzia la visione einsteiniana dalla epistemologia quantistica è in fondo proprio questa fiducia nella totalità̀ dell'universo, un universo in cui discontinuità̀ ed indeterminatezza possono in fondo sconcertarci con la loro improvvisa apparizione, ma che in realtà, per usare le parole di Einstein, non presuppongono un Dio che gioca a dadi, ma il Dio di Spinoza, che regge il mon­do con leggi perfette. In questo universo la relatività è costituita dalla infinita variabilità̀ dell'esperienza, dalla infinità̀ delle misurazioni e. delle prospettive possibili, ma l’oggettività̀ del tutto risiede nell’invarianza delle de­scrizioni semplici formali (delle equazioni differenziali) che stabiliscono appunto la relatività̀ delle misurazioni empiriche. (...) Il Dio di Spinoza che nella metafisica einsteiniana è soltanto un dato di fiducia extra sperimentale, per l'opera d'arte di­viene una realtà di fatto e coincide con l'opera. ordinatrice dell'autore. Questi, in una poetica dell'opera in movimento, può̀ benissimo produrre in vista di un invito alla libertà interpretativa, alla felice indeterminazione de­gli esiti (...), ma questa possibilità̀ cui l'opera si apre è tale nell'ambito di un campo di relazioni. Come nell'universo einsteiniano, nell'opera in movimento il ne­gare che vi sia una sola esperienza privilegiata non im­plica il caos delle relazioni, ma la regola che permette l'organizzarsi delle relazioni. L'opera in movimento, in­somma, è possibilità̀ di una molteplicità̀ di interventi personali ma non è invito amorfo all'intervento indiscrimi­nato: è l'invito (...) ad inserirci liberamente in un mondo che tut­tavia è sempre quello voluto dall'autore. L'autore offre insomma al fruitore un'opera da finire, non sa esattamente in qual modo l'opera potrà̀ essere portata a termine, ma sa che l'opera portata a termine sarà̀ pur sempre la sua opera, non un'altra, e che alla fine del dialogo interpretativo si sarà̀ concretata una forma che è la sua forma, anche se organizzata da un altro in un modo che egli non poteva completamente prevedere: poiché egli in sostanza aveva proposto delle possibilità̀ già̀ razionalmente organizzate, orientate e dotate di esigenze organiche di sviluppo”.