lunedì 4 ottobre 2010

Il racconto aggrovigliato di Lewis Carroll

Tra l'aprile 1880 e il marzo 1885 il reverendo Charles Lutwigde Dodgson (1832-1898) pubblicò una rubrica di enigmi logici e matematici su un mensile per ragazzi (The Monthly Packet of Evening Reading for Younger Members of English Church). Era stato invitato a collaborare al mensile dalla fondatrice, la scrittrice e benefattrice Charlotte Mary Yonge (1823-1901), una personalità complessa come molte in età vittoriana, se è vero che anche in età matura, lei, autrice di vari romanzi e racconti (il più noto è The Heir of Redclyffe, “II Vicario di Redclyffe”) faceva prima leggere e approvare ogni cosa che scriveva alla propria madre.

La rubrica fu interrotta improvvisamente per scelta dello stesso autore, che alla fine di quell’anno raccolse la serie di articoli nel volume A Tangled Tale (“il racconto aggrovigliato, la storia con i nodi”), illustrato da sei incisioni di Arthur B. Frost. Il reverendo firmava con il nome di Lewis Carroll, suo consueto pseudonimo letterario, ottenuto attraverso ciò che Stefano Bartezzaghi, nella prefazione alla prima edizione italiana (Un racconto aggrovigliato, Archinto, Milano, 1998), ha definito “diffrazione linguistica attraverso il prisma della lingua latina”: Charles → Carolus → Carroll; Lutwidge → Ludovicus → Louis → Lewis.

La prima parte del libro è formata da dieci capitoli, chiamati «nodi», parola in quel decennio assai di moda anche in campo topologico e fisico, e ogni capitolo contiene due o più problemi, mescolati all'interno di un bizzarro racconto.


Per quanto Carroll affermi nell’introduzione alla raccolta che “L’intenzione dell’autore è stata di inserire in ciascun nodo (come la medicina così abilmente, ma invano, nascosta nella marmellata della nostra prima infanzia) uno o più problemi matematici – di aritmetica, algebra o geometria a seconda dei casi – per il divertimento, e possibile edificazione, dei gentili lettori di questa rivista”, non credo che i quesiti di Carroll, medicine nascoste nello zucchero, fossero rivolti ai giovani lettori del Monthly Packet: si tratta in realtà di esercizi di una certa difficoltà, pensati più per i genitori e i fratelli maggiori che per i piccoli. Non c’è poi alcun intento didattico: Carroll non vuole raccontare la matematica, non è un Guedj o un Enzensberger (che pure lo ha citato ne Il mago dei numeri), né, tantomeno, un divertito e divertente maestro come Martin Gardner o Douglas Hofstadter, ma proporre esercizi insidiosi a lettori già in possesso di qualche base.

Carroll inventò per il suo racconto personaggi ben caratterizzati (il vecchio che non ha mai rapito una battuta in vita sua, la zia eccentrica dallo strano nome di Mad Mathesis – resa in italiano con Matta Tematica - e la nipote ingenua, ecc.) i cui dialoghi, solitamente tra un adulto burbero e stravagante e un giovane che si cimenta con l’enigma, sono complicati da continui equivoci che nascondono giochi verbali e fanno deviare insensatamente la conversazione. Proprio su un malinteso si basava uno scambio di battute fra Alice e il Topo (da Alice nel Paese delle Meraviglie) che Carroll mise poi in testa alle risposte e controrisposte dei suoi nodi: il Topo dice sdegnosamente «I had not!», e Alice capisce «A knot!» (un nodo; prosegue Alice: «Lascia che ti aiuti a scioglierlo!»).

In molti casi lo stile ricorda proprio le atmosfere di Alice, come ad esempio in questo brano tratta dal nodo 5: «Un giorno la nostra ottima precettrice stava dicendo alle ragazze più piccole - fanno un gran chiasso, sai, all'ora del tè - "Più chiasso fate, meno marmellata avrete, e viceversa". Io ho pensato che non avrebbero capito cosa significava "viceversa" e così mi sono messa a spiegarglielo. Ho detto: "Se fate un chiasso infinito, non avrete alcuna marmellata; se non fate alcun chiasso, avrete una quantità infinita di marmellata". Ma la nostra ottima precettrice ha detto che non era un esempio calzante.»

La seconda parte del libro, che si chiama «Appendice», è lunga quanto la prima e contiene le soluzioni, inizialmente pubblicate nel numero del periodico successivo a quello in cui era stato proposto il quesito (o i quesiti). Ogni soluzione comprende un’impostazione semplificata del problema, il metodo per giungere alla soluzione, la soluzione del problema così come Carroll l'ha costruito. Segue poi una discussione con i lettori, di solito preceduta dalla riproduzione della lettera che un corrispondente ha inviato a Carroll con la soluzione che egli ha trovato (o crede di aver trovato). I corrispondenti devono non solo arrivare alla soluzione numerica del problema, ma anche mostrare come ci sono arrivati e devono mostrarlo in modo ineccepibile. Infine c’è il commento che Carroll fa alle risposte dei lettori, elogiandoli e maltrattandoli, facendo classifiche, parodiando i sistemi di votazione accademici.

La sua burbera franchezza gli procura qualche guaio con i corrispondenti, che giungono a contestare commenti sarcastici e vere e proprie bacchettate morali. Inoltre il primo quesito del nodo numero 6, la cui soluzione è data dal riconoscimento di un gioco di parole e non da un procedimento matematico, provoca in molti la sensazione di essere presi in giro. L’ultimo nodo pubblicato sulla rivista, il decimo, rimane addirittura senza risposta, perché Carroll si è stancato del suo “zoppicante esperimento”.

Comunque sia andata, i commenti pubblicati da Carroll e la corrispondenza che intrattiene con un gruppo di fedelissimi costituiscono un vero e proprio esempio di interattività tra autore e lettore, realizzata cent’anni prima della televisione e del computer. Lewis Carroll, da par suo, riusciva a rendere abbastanza complicata anche la semplice interattività consentita dalla posta, sua vera ossessione, dato che scrisse in vita sua qualcosa come circa centomila lettere e ideò un complesso sistema per protocollare la posta in arrivo e in partenza, sistema che spiegò in un suo opuscolo del 1890: Otto o nove parole sagge sul modo di scrivere lettere.

Il lettore curioso troverà l’intero testo originale facendo clic su questo collegamento. Per entrare nello spirito del Racconto aggrovigliato propongo ai lettori di cimentarsi nella soluzione dei due quesiti contenuti nel nodo n. 2, affidando il loro enunciato alle parole dello stesso Lewis Carroll. Si tratta di due tra i problemi più semplici, che si possono proporre anche agli allievi dell’ultimo anno della scuola primaria o nella scuola secondaria di primo grado (basta conoscere il teorema di Pitagora).

NODO 2
APPARTAMENTI IN AFFITTO

Lungo il sentiero tortuoso e intorno alla piazza

«Chiediamo a Balbus» disse Hugh.
«Va bene» disse Lambert.
«Solo lui può indovinarlo» disse Hugh.
"Balbus aiutava sua suocera a convincere il drago"
«Certamente» disse Lambert.
Non ci fu bisogno di altre parole: i due fratelli si capivano a perfezione.
Balbus li stava aspettando in albergo. Il viaggio fin lì era stato stancante, aveva detto, e così i suoi due pupilli erano andati in cerca di un alloggio senza il precettore, inseparabile compagno dal tempo della loro infanzia. Lo avevano chiamato come l'eroe del libro di esercizi latini che traboccava di aneddoti su quel genio versatile, aneddoti la cui genericità nei particolari era compensata da una stupefacente grandiosità. Sul margine del libro, accanto alla frase «Balbus ha vinto tutti i suoi nemici» il loro precettore aveva annotato: «Coraggio coronato da successo». Aveva similmente cercato di trarre una morale da ogni aneddoto. A volte in forma di avvertimento, come quando in margine a «Balbus aveva preso in prestito un robusto drago» aveva scritto «Speculazione avventata»; a volte in forma di incoraggiamento, come le parole «Influenza della Concordia sul Lavoro Comune» che apparivano in margine a «Balbus aiutava sua suocera a convincere il drago»; a volte infine limitandosi a una sola parola: «Prudenza», era stato infatti tutto quello che era riuscita a ispirargli la commovente espressione «Balbus, dopo aver bruciacchiato la coda del drago, si allontanò». I suoi pupilli preferivano le morali brevi poiché lasciavano maggior spazio ai loro disegni sui bordi delle pagine; proprio in quest'ultimo caso avevano avuto bisogno di tutto lo spazio possibile per poter illustrare la repentina partenza dell'eroe.
Il racconto che fecero della situazione fu scoraggiante. Little Mendip, stazione termale alla moda, era «piena come un uovo» (come dissero i ragazzi) da un capo all'altro. Ma in una piazza avevano visto non meno di quattro cartelli, affissi in case diverse, che annunciavano a tutte lettere: Comodi Locali da affittare. «Perciò, come vedete, dopo tutto c'è da scegliere» disse alla fine Hugh che faceva da portavoce.
«Dalle informazioni non mi risulta» disse Balbus alzandosi dalla poltrona dove aveva sonnecchiato tenendo in mano The Little Mendip Gazette. «Potrebbe trattarsi di camere singole. Comunque possiamo andare a vedere. Mi farà bene allungare un po' le gambe.»
Un osservatore imparziale avrebbe potuto obiettare che l'operazione era superflua e che, per quella creatura lunga e dinoccolata, sarebbe stato meglio avere gambe più corte, ma un'idea del genere non venne in mente ai suoi affezionati pupilli. Uno da una parte e uno dall'altra, fecero del loro meglio per stare al passo con le gigantesche falcate di Balbus, mentre Hugh ripeteva la frase della lettera del loro padre, appena arrivata dall'estero, sulla quale si erano a lungo lambiccati il cervello. «Dice che un suo amico, il governatore di... come si chiama, Lambert?» («Kgovjni» disse Lambert). «Ecco, sì. Il governatore di... come-si-chiama... vuole dare un pranzo molto ristretto e desidera invitare il cognato di suo padre, il suocero di suo fratello, il fratello di suo suocero e il padre di suo cognato. Dice che dobbiamo indovinare quanti saranno gli ospiti.»
Ci fu una pausa piena di trepidazione. «Quanto ha detto che sarà grande il pudding?» disse infine Balbus. «Prendete il volume, dividetelo per la cubatura della porzione che ciascun ospite può mangiare, e il quoziente...»
«Non ha parlato affatto del pudding» disse Hugh. «Ma eccoci alla piazza» aggiunse mentre giravano l'angolo e arrivavano in vista dei «comodi locali da affittare».
«E proprio una piazza!» fu la prima esclamazione di esultanza di Balbus mentre girava intorno lo sguardo. «Bellissima! Bel-lis-si-ma! Equilatera! E ha anche gli angoli retti!» [L’inglese square indica sia la piazza sia il quadrato, NdR].
I due ragazzi si guardarono intorno con minor entusiasmo. «La prima casa con il cartello è la numero 9» fu l'osservazione prosaica di Lambert, ma Balbus non era disposto a svegliarsi dal suo sogno di bellezza.
«Guardate, ragazzi!» esclamò. «Venti porte su ogni lato! Che simmetria! Ogni lato è diviso in ventun parti uguali! È una delizia!»
«Devo bussare o suonare il campanello?» domandò Hugh fissando perplesso una targa quadrata di ottone su cui era scritto: E anche suonare.
«L'una cosa e l'altra» disse Balbus. «È un'ellissi, ragazzo mio. Non ti sei mai imbattuto in un'ellissi prima d'ora?»
«Non riuscivo quasi a leggere» disse Hugh evasivo. «A che serve un'ellissi, se poi non la tengono pulita?»
«Che ci sarebbe una sola stanza, signori» disse sorridendo la padrona di casa. «E che stanza carina! Una bella stanzetta sul retro...»
«Andiamo a vedere» disse Balbus depresso, mentre seguivano la donna all'interno. «Sapevo che sarebbe stato così! Una sola stanza in ogni casa! E senza vista, scommetto...»
«Che invece c'è, signori!» protestò indignata la padrona di casa mentre tirava l'avvolgibile e mostrava il giardino sul retro.
«Cavoli, mi pare di intuire» disse Balbus. «Be', per lo meno sono verdi.»
«Che della verdura dei negozi» spiegò la loro ospite «non c'è proprio da fidarsi. Qui ce li abbiamo in casa e sono pure i più buoni.»
«La finestra si apre?» era la prima domanda che faceva sempre Balbus quando visitava un alloggio. «Il camino fa fumo?» era la seconda. Soddisfatto, versò la caparra per la stanza, e tutti e tre si diressero verso la casa numero 25.
Lewis Carroll
Questa volta la padrona di casa era una donna dall'aspetto solenne e severo. «M'è rimasta una stanza sola» disse. «E da sul giardino di dietro.»
«Ma ci sono i cavoli?» domandò Balbus.
La padrona di casa si ammansì visibilmente. «Ci sono, signore» disse «e pure buoni, che però non tocca a me a dirlo. Per la verdura non c'è da fidarsi dei negozi e così ce li piantiamo noi.»
«Un vantaggio straordinario» disse Balbus e, dopo le domande usuali, proseguirono per la casa 52.
«E vi ospiterei tutti con piacere, se potessi» fu il saluto con cui vennero accolti. «Non siamo altro che esseri mortali» («Osservazione non pertinente!» borbottò Balbus) «e ho già affittato tutte le stanze meno una.»
«Che è una stanza sul retro, mi par di intuire» disse Balbus «e da su... sui cavoli, suppongo...»
«Proprio così, sissignore!» disse la loro ospite. «Che gli altri facciano pure quello che gli pare, ma noi abbiamo i nostri cavoli. Perché i negozi...»
«Soluzione eccellente!» la interruppe Balbus. «Così ci si può fidare che siano buoni. La finestra si apre?»
Le risposte alle solite domande furono soddisfacenti, ma questa volta Hugh ne aggiunse una di sua invenzione. «Il gatto graffia?»
La padrona di casa si guardò intorno sospettosa, come per assicurarsi che il gatto non fosse in ascolto. «Non voglio imbrogliarvi, signori» disse. «Graffia, ma solo se gli tirate i baffi! Non lo fa» ripeté lentamente con visibile sforzo, come a ricordare le parole esatte di un accordo scritto stipulato fra lei e il gatto, «se non gli tirate i baffi!»
«Molto si può perdonare a un gatto che abbia ricevuto un simile trattamento» disse Balbus mentre uscivano dalla casa e attraversavano la piazza fino al numero settantatre, lasciando la padrona che continuava a fare inchini sulla soglia e ripeteva a se stessa le parole di commiato come se fossero una specie di benedizione, «... se non gli tirate i baffi!».
Al numero 73 trovarono solo una ragazzina timida che gli mostrò la casa e che, a ogni domanda, rispondeva sempre «sì, 'gnora».
«La solita stanza» disse Balbus mentre entravano. «Il solito giardino sul retro, i soliti cavoli. Suppongo che quelli dei negozi non siano buoni...»
«, 'gnora» disse la ragazzina.
«Bene, puoi dire alla tua padrona che prendiamo la stanza e che la sua decisione di coltivare cavoli è assolutamente ammirevole!»
«Sì, 'gnora» disse la ragazzina mentre li faceva uscire.
«Una sala di soggiorno e tre camere» disse Balbus quando tornarono in albergo. «Sceglieremo come sala di soggiorno quella meno distante da tutte le altre.»
«Dobbiamo camminare da una casa all'altra e contare i passi?» disse Lambert.
«No, no! Fate i vostri calcoli, ragazzi, fate i vostri calcoli!» esclamò allegro Balbus mettendo penne, inchiostro e carta davanti ai suoi sventurati pupilli, poi uscì dalla stanza.
«Avremo un bel da fare, non c'è che dire!» disse Hugh.
«Altroché!» disse Lambert.

Ecco come Carroll imposta i due problemi nell’Appendice dedicata alle soluzioni:

1. L’invito a pranzo. Il governatore di Kgovjni desidera dare un pranzo molto ristretto e invita il cognato di suo padre, il suocero di suo fratello, il fratello di suo suocero e il padre di suo cognato. Trovate il numero degli ospiti.

2. Gli alloggi. Una piazza quadrata ha 20 porte su ogni lato, che risulta così suddiviso in 21 parti uguali. Le porte sono tutte numerate a partire da uno degli angoli. Da quale delle quattro porte (la n. 9, la 25, la 52 e la 73) la somma delle distanze dalle altre tre è minore?

Se proprio non riuscite a raccapezzarvi, qui troverete la soluzione (in inglese).

9 commenti:

  1. laperfidanera04/10/10, 21:07

    Non voglio barare andando a leggere la soluzione. Mi butto.
    Penso che alcuni dei personaggi citati coincidano. Per esempio: X, cognato del padre del governatore, può benissimo essere anche il suocero del fratello, nonché fratello del suocero del governatore e padre di suo cognato (il governatore può avere un fratello, genero di X e anche una sorella, sposata al figlio di X, mentre sua moglie ha X come zio germano) Insomma, io dico che invita UNA persona.
    Ma siccome le storie di parentele me vuelven loca, dopo anni di racconti di mia suocera, forse ho sbagliato tutto.
    Ciao

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  2. laperfidanera04/10/10, 21:09

    Per il secondo quesito, non ho tempo: è l'ora di buttare la pasta!

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  3. quoto la perfida 1 per il primo.
    per la seconda non avendo foglia di fare i conti dico che a occhio è senz'altro D

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  4. Pensa che bello se ci fossero stati i blog al tempo do LC. O, ancora più bello, se LC fosse nostro contemporaneo!
    Ma aspetta un momentino: La gente si riverserebbe sul blog di LC trascurando quello del Pop e financo il mio.
    Meno male che Nostro Signore il Prodigioso FSM ci ha pensato lui a sistemare le cose. FSM, vola per noi, RAmen.

    Confesso che fino al link ho pensato a uno scherzo, che ti fossi inventato un opera inesistente di un autore reale (caso diverso ma simile alla legge del contrappasso o "chi la fa l'aspetti" o anche "bien au contraire").

    Le soluzioni: intanto concordo con LPN (me vuelven loco a my tambien (~)), poi ci sarebbero quelle banali che saranno senz'altro quelle indicate al link e che lascio al piacere degli altri lettori. La soluzione vera, universale è comunque 42.

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  5. laperfidanera05/10/10, 19:05

    Ehi, ho letto ora le soluzioni nel sito linkato. Devo protestare! perché i maschi in MAIUSCOLA e le femmine in minuscola? ;-)
    L.C. (a parte il sospetto di pedofilia, in mia opinione realistico) era un maschilista!!!

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  6. LPN: Altro che maschilista! Ha scritto anche che è facile dimostrare a una donna che ha torto facendole credere che ha ragione!

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  7. Signore, signori (atz! le maiuscole) non è bello lanciare accuse a chi non si può difendere.
    E poi contestualizziamo, per Silvio!!!11

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  8. @ Juhan
    PIER Silvio, vorrai dire. :D

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  9. cerrrto!
    ma era intenzionale, per vedere chi se ne sarebbe accorto prima.
    Hai vinto un buono per due iscrizioni ai Sandrobondisti Anonimi. Devi fare in fretta che domani (giovedì) annunciano il Nobel per la letteratura ed è quasi certo che è lui.

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