Il primo personaggio è il più famoso. Si tratta di Edwin Hubble. Americano del Missouri, nato nel 1889, Hubble è considerato uno dei più grandi astronomi della storia, perché le sue scoperte hanno radicalmente cambiato la nostra visione dell’universo. Dal suo osservatorio situato sul Mt. Wilson in California, allora il più potente del mondo, cominciò, a partire dal 1919, una serie di osservazioni che gli consentirono di scoprire che la Via Lattea, fino ad allora considerata corrispondente all’intero universo, è solo una dei miliardi di galassie che lo costellano (1925).
Entro la fine del decennio fece un passo ulteriore, classificando le galassie in base alla loro forma, desunta dalle fotografie ottenute con il telescopio. Una delle immagini più famose della storia della scienza è senza dubbio lo schema a diapason pubblicato da Hubble nel 1936 in The Realm of Nebulae, ma basato su un celebre articolo del 1926 (Extra-galactic nebulae. ApJ, 64, 321). Hubble riconobbe tre principali famiglie in base alla forma: esistono galassie ellittiche, galassie spirali e galassie dalla forma piuttosto caotica, note con il nome di galassie irregolari. Le galassie spirali sono a loro volta distinte in due famiglie separate: la spirali normali e quelle con una struttura centrale allungata, le spirali barrate. Questo schema è ancora utilizzato, anche se in una forma evoluta.
Entro la fine del decennio fece un passo ulteriore, classificando le galassie in base alla loro forma, desunta dalle fotografie ottenute con il telescopio. Una delle immagini più famose della storia della scienza è senza dubbio lo schema a diapason pubblicato da Hubble nel 1936 in The Realm of Nebulae, ma basato su un celebre articolo del 1926 (Extra-galactic nebulae. ApJ, 64, 321). Hubble riconobbe tre principali famiglie in base alla forma: esistono galassie ellittiche, galassie spirali e galassie dalla forma piuttosto caotica, note con il nome di galassie irregolari. Le galassie spirali sono a loro volta distinte in due famiglie separate: la spirali normali e quelle con una struttura centrale allungata, le spirali barrate. Questo schema è ancora utilizzato, anche se in una forma evoluta.
La scoperta fondamentale attribuita a Hubble riguarda tuttavia la legge di proporzionalità tra la distanza delle galassie e il loro redshift, cioè lo spostamento verso il rosso dello spettro delle loro emissioni luminose, fenomeno che accade in genere quando la sorgente di luce si muove allontanandosi dall'osservatore o avvicinandosi a lui (o, analogamente, essendo il moto relativo, quando l'osservatore si allontana dalla sorgente o si avvicina ad essa). In una pubblicazione del 1929, (A relation between distance and radial velocity among extra-galactic nebulae, PNAS, 15, 168) studiando lo spettro di 46 galassie e in particolare l’effetto Doppler dovuto alle loro velocità relative rispetto alla nostra, Hubble arrivò alla conclusione che tanto più distanti tra loro sono le galassie, tanto maggiore è la velocità con la quale si allontanano reciprocamente. Le osservazioni lo portarono così a concludere, in accordo con le equazioni di Einstein della relatività generale nell’ipotesi di uno spazio omogeneo, isotropico e in espansione, che l’universo si espande uniformemente, con una velocità che calcolò essere di 500 Km al secondo per megaparsec (un megaparsec, un milione di parsec, è una distanza equivalente a 3,26 milioni di anni–luce, così una galassia distante 2 megaparsec si allontana da noi con velocità doppia di una galassia distante un solo megaparsec). Questo valore, chiamato da allora in poi costante di Hubble, è stata in seguito corretto al ribasso ed è attualmente stimato intorno ai 74 km/s per megaparsec, con un margine d'errore del 4,3%.
Hubble, che negli anni ’30 raffinò le sue osservazioni e perfezionò le sue scoperte, fu sempre molto cauto sull’espansione dell’universo, ritenendo che il redshift potesse essere spiegato da cause diverse e ancora ignote rispetto alle reciproche velocità di allontanamento delle galassie. Egli continuò le ricerche dal Monte Wilson e morì di un attacco cardiaco nel 1953. Poco prima aveva fatto in tempo a provare il nuovo e più potente telescopio costruito sul Monte Palomar,
Il secondo personaggio della nostra storia è assai meno noto. Si tratta dell’astronomo inglese John Henry Reynolds (1874-1949). Figlio del sindaco di Birmingham e rampollo di una famiglia di industriali metalmeccanici, privo di studi specifici, un vero dilettante, divenne talmente esperto da essere accolto nel 1907 nella Royal Astronomical Society, di cui divenne presidente tra il 1935 e il 1937. Concentrò i suoi studi sulla forma delle galassie, pubblicando nel 1920 un articolo sulla classificazione delle galassie spirali (Photometric measures of the nuclei of some typical spiral Nebulae, Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Vol. 80, p.746, June 1920). Le sue biografie riportano poi che egli ebbe una fitta e paritaria corrispondenza con Hubble, il quale avrebbe utilizzato parte delle sue scoperte per elaborare la classificazione dei corpi stellari. La cosiddetta Legge di Hubble-Reynolds, che misura la luminosità superficiale delle galassie ellittiche, celebra il contributo di entrambi in questo specifico campo.
E’ a questo punto che nella nostra storia compare la prima discrepanza dalla storiografia ufficiale. Il dubbio è esposto da David L. Block, della School of Computational and Applied Mathematics dell’Università Witwatersrand di Johannesburg, Sudafrica, e Kenneth C. Freeman, della Research School of Astronomy And Astrophysics dell’osservatorio di Mount Stromlo, Camberra, Australia, nel libro Shrouds of the Night. Masks of the Milky Way and Our Awesome New View of Galaxies, pubblicato da Springer nel 2008 (disponibile online) e recentemente ripreso in un articolo pubblicato su ArXiv. Nel testo in questione, Block e Freeman sostengono che “Hubble aveva una metodologia molto selettiva nel non citare gli scienziati precedenti che potevano aver presentato le idee originali” (Hubble had a very selective methodology of not referencing earlier scientists who may have presented the original ideas). Essi riproducono una lettera di Hubble a Reynolds (purtroppo senza indicazione di data) nella quale l’americano esorta l’inglese a sviluppare uno schema classificatorio delle galassie.
Il frutto di questo invito fu proprio l’articolo di Reynolds del giugno 1920. Sei anni più tardi Hubble pubblicò il suo articolo definitivo sulla classificazione delle galassie che gli valse una grande notorietà, senza minimamente citare Reynolds. Block e Freeman sostengono che Hubble aveva invece studiato attentamente l’articolo di Reynolds, scrivendo sulla copia in suo possesso alcuni commenti a matita (ad esempio, di fianco a ciascuna delle categorie di Reynolds compare la sigla che egli avrebbe poi attribuito alle galassie nel suo schema). Così, Hubble, che arrivò ad accusare di plagio una classificazione proposta indipendentemente dallo svedese Knut Lundmark pochi mesi prima del suo articolo, che invece vi stava lavorando almeno dal 1922, avrebbe eclissato per sempre i meriti di John H. Reynolds!
Il frutto di questo invito fu proprio l’articolo di Reynolds del giugno 1920. Sei anni più tardi Hubble pubblicò il suo articolo definitivo sulla classificazione delle galassie che gli valse una grande notorietà, senza minimamente citare Reynolds. Block e Freeman sostengono che Hubble aveva invece studiato attentamente l’articolo di Reynolds, scrivendo sulla copia in suo possesso alcuni commenti a matita (ad esempio, di fianco a ciascuna delle categorie di Reynolds compare la sigla che egli avrebbe poi attribuito alle galassie nel suo schema). Così, Hubble, che arrivò ad accusare di plagio una classificazione proposta indipendentemente dallo svedese Knut Lundmark pochi mesi prima del suo articolo, che invece vi stava lavorando almeno dal 1922, avrebbe eclissato per sempre i meriti di John H. Reynolds!
Un banale caso di rivalità tra scienziati? Di sicuro il giudizio espresso su Hubble da Block e Freeman è abbastanza duro e lapidario, e non sembra giustificato se ci si basa su un solo episodio. Infatti non c’è solo il caso Reynolds nella nostra storia. Prima però è necessario conoscere gli ultimi due protagonisti.
Il terzo personaggio della nostra storia è un altro scienziato inglese, assai più famoso di Reynolds. È infatti nientemeno che Sir Arthur Stanley Eddington, (1882 –1944), grande astrofisico, matematico, altrettanto abile divulgatore, quacchero, pacifista, filosofo e, last but not least, autore di poesia umoristica scientifica. Per la sua biografia completa rimando alla voce di Wikipedia in inglese. Qui mi limito a ricordare che Eddington divenne famoso in tutto il mondo nel 1919, quando, in occasione di un’eclisse di Sole, osservò la curvatura della luce provocata dalla grande massa della nostra stella, fatto che costituì la prima verifica sperimentale della teoria della relatività generale di Einstein. Sulla teoria di Einstein si concentrò anche la sua attività di docente universitario e di divulgatore scientifico: il suo Mathematical Theory of Relativity, pubblicato nel 1923, fu giudicato dallo stesso Einstein come “la miglior presentazione dell’argomento mai pubblicata in qualsiasi lingua”.
Nel campo dell’astrofisica, Eddington si occupò della struttura interna delle stelle, scoprendo la fondamentale relazione tra la massa e la luminosità, calcolò l’abbondanza di idrogeno nelle stelle e produsse una teoria per spiegare la pulsazione delle stelle variabili come le Cefeidi. Su questi argomenti pubblicò nel 1926 The Internal Constitution of Stars, nel quale sosteneva che la fonte dell’energia delle stelle è data dalla trasformazione della materia che le costituisce.
Inutile dire che anche Eddington era in contatto epistolare frequente con Hubble. Ricordiamo anche che Eddington ebbe tra i suoi allievi nell’anno accademico 1923–24 il prete belga che è l’ultimo personaggio della nostra storia.
Eccoci arrivati a Monsignor Georges Henri Joseph Édouard Lemaître (1894–1966), astronomo e professore di fisica all’Università cattolica di Lovanio. Egli è noto per aver per primo proposto la teoria che sarebbe stata chiamata del big–bang sull’origine dell’universo e quella dell’atomo primordiale. Ordinato prete nel 1923, ma già attirato dalla contemporanea vocazione per le scienze, nello stesso anno si laureò a Cambridge in Astronomia. Fu proprio Arthur Eddington a iniziarlo alla moderna cosmologia, all’astronomia stellare e all’analisi numerica. L’anno successivo si trasferì negli Stati Uniti, dove fu attivo all’Osservatorio di Harvard e si iscrisse al MIT per il dottorato in scienze. Nel 1925, tornato in Belgio, divenne assistente a Lovanio e cominciò gli studi che lo portarono all’articolo del 1927 Un Univers homogène de masse constante et de rayon croissant rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extragalactiques, pubblicato negli Annales de la Société Scientifique de Bruxelles,. In questo articolo, che non ebbe grande rilievo internazionale a causa della poca fama della rivista ospite, Lemaître presentò l’idea di un universo in espansione, arrivando a conclusioni analoghe a quelle di Hubble due anni prima di lui. Egli fornì nell’opera una prima idea della velocità costante di espansione, che egli calcolò, basandosi su osservazioni pubblicate in precedenza, fornendo il valore di circa 625 km/s per megaparsec. In quegli anni Einstein rifiutava totalmente l’idea di un universo in espansione, propendendo piuttosto per uno stato stazionario, al che il nostro prete belga lo apostrofò con la frase “I vostri calcoli sono esatti, ma la vostra fisica è abominevole”. Nello stesso anno Lemaître tornò al MIT ottenendo il PhD con la tesi sul “Campo gravitazionale di una sfera fluida di densità uniforme e invariabile secondo la teoria delle relatività”. In seguito a questo titolo, divenne professore ordinario di astronomia a Lovanio.
Solo nel 1930 Eddington, al quale era stato inviato l’articolo originale, pubblicò nelle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (MNRAS) un lungo commento all’articolo di Lemaître di tre anni prima, descrivendo le idee dell’astrofisico belga come una “soluzione brillante” ai principali problemi della cosmologia. L’articolo originario fu pubblicato solo nel 1931, in una forma decisamente abbreviata, vedremo come. Invitato a Londra nell’ambito di una serie di incontri della British Association, Lemaître espose in quella sede la sua teoria dell’atomo primordiale, o “dell’uovo cosmico che esplode al momento della creazione”, meglio conosciuta in seguito come “teoria del big–bang”, definizione coniata da Fred Hoyle. Nel 1933, quando riepilogò la sua teoria dell’universo in espansione e pubblicò una versione assai più dettagliata negli Annales di Bruxelles, il mondo finalmente cominciò a riferirsi a lui come a un famoso scienziato ed elemento di spicco della nuova fisica cosmologica.
In questi brevi cenni biografici su Lemaître il lettore si sarà già accorto che l’idea di un universo in espansione fu da lui proposta due anni prima che da Hubble; non solo, perché al prete belga si deve la prima formulazione dell’idea di una costante cosmologica universale, che egli cercò anche di quantificare. Ma, allora, perché si parla ancora di “legge di Hubble” e di “costante di Hubble”? Siamo giunti finalmente di fronte all’ultimo strano aspetto di questa storia.
I diagrammi sotto mostrati si riferiscono alle due dimostrazioni empiriche della pendenza in un diagramma velocità radiale/distanza. Il primo è stato ricavato dai dati sperimentali esposti da Lemaître nell’articolo del 1927, che portano ad ipotizzare una velocità di espansione di 625 km/s /Mpc. Il secondo, universalmente noto, è quello che Hubble pubblicò nel famoso articolo del 1929, Esso mostra una velocità di espansione di 530 km/s /Mpc. Al di là della discordanza su valore numerico da attribuire alla costante di espansione, si concorderà che il diagramma è sostanzialmente identico.
Un altro fatto sconcertante emerge nel libro Discovering the Expanding Universe di Harry Nussbaumer, dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo e Lydia Bieri, dell’Università di Harvard, Massachusetts. Nel volume, edito nel 2009 dalla Cambridge University Press, è riportata la prova evidente che il testo originale di Lemaître, inviato a Eddington per la traduzione in inglese, fu meticolosamente e pesantemente censurato nelle sezioni riguardanti la discussione e l’uso delle velocità radiali delle galassie. Nell’immagine, le parti evidenziate con il bordo rosso non sono state tradotte nella versione inglese del testo.
Nell’articolo originale, il cui titolo indica chiaramente che il contenuto è il frutto sia di teoria che di osservazione, Lemaître non solo deriva una relazione lineare tra le velocità radiali delle galassie e le loro distanze, ma si prende anche cura di determinare la velocità con la quale l’Universo si espande. Nella versione inglese censurata viene omesso qualsiasi riferimento al suo utilizzo di dati ricavati dall’osservazione, mentre l’articolo originale utilizza accuratamente le velocità radiali di 42 galassie riportate nella tabella I contenuta nell’articolo Analysis of radial velocities of globular clusters and non-galactic nebulae pubblicato dall’astronomo americano di origine svedese Gustaf Strömberg nel 1925. Lemaître converte le magnitudini apparenti m in distanze utilizzando la formula indicata da Hubble nel 1926 (log r = 0.2m + 4.04). Egli ottiene così il valore di 625 km/s/Mpc per la velocità di espansione dell’universo, dato censurato dal traduttore in più punti, tra i quali nell’equazione (24) dell’originale. Nella traduzione inglese, tra l’equazione (23) e la (24) ci sono solo otto parole, con la soppressione completa della prima determinazione empirica del valore della velocità di espansione dell’universo.
Non si sa perché Eddington, o chi per lui, censurò l’articolo del prete belga. Rimane il fatto che i meriti di Lemaître nella storia dell’astrofisica del Novecento furono così ampiamente sminuiti in favore di quelli di Hubble. Il quale, naturalmente, evitò di citare l’opera di Lemaître anche nel suo testo più completo e definitivo del 1936. Nussbaumer e Bieri gli attribuiscono il timore che una gemma potesse cadere dalla sua corona.
David L. Block (2011). A Hubble Eclipse: Lemaitre and Censorship ArXiv DOI: arXiv:1106.3928v1 [physics.hist-ph]
..."Ma, allora, perché si parla ancora di “legge di Hubble” e di “costante di Hubble”?"...
RispondiEliminae perché si parla dell'invenzione di Bell tacendo (a parte l'Italia) di Meucci? perché (soprattutto poi quando ci sono di mezzo anche gli interessi economici) anche gli scienziati sono umani, quindi egocentrici ed egoisti, e in più, quasi sempre, "gigioni" quanto gli uomini di spettacolo: guai a rubar loro il centro della ribalta!
Popinga, questo tuo racconto dettagliato e bello come sempre a me ha messo molta antiscientifica tristezza, una sorta di languore dei Vinti, sai. Così mi viene un commento che sembra che io non abbia letto attentamente il tuo post, ma io invece l'ho letto, davvero. E più il tuo stile continuava ad essere asciutto e preciso, più la malinconia mi assaliva, nella lettura.
RispondiEliminaTe lo ricordi Schindler’s List, che non è che c'entri troppo, ma ti ricordi questo dialogo ? =
Goeth: Il controllo è potere. Questo è il potere.
Schindler: E’ per questo che ci temono?
Goeth: Abbiamo il potere di uccidere, per questo ci temono.
Schindler: Ci temono perchè abbiamo il potere di uccidere arbitrariamente. Un uomo commette un reato, doveva pensarci, lo facciamo uccidere e ci sentiamo in pace…o lo uccidiamo noi stessi, ci sentiamo ancora meglio. Questo non è il potere però: questa è giustizia, è una cosa diversa dal potere. Il potere è quando abbiamo ogni giustificazione per uccidere e non lo facciamo.
Goeth: E’ questo il potere?
Schindler: L’avevano gli imperatori questo. Un uomo ruba qualcosa, viene portato davanti all’imperatore e si lascia cadere per terra tremante, implora per avere pietà, è conscio che sta per andarsene. E l’imperatore lo perdona invece. Quell’uomo, immeritevole, lo lascia libero…
Goeth: Credo che lei sia ubriaco.
Schindler: Questo è il potere, Amon. Questo è il potere…
Poi alla fine il cattivo uccide il bambino lo stesso, nel film, ma era per dire che non è caduta una gemma, dalla corona di Hubble, secondo me. E' che proprio la corona non c'è mai stata.
La storia è piena di uomini piccoli, vero Popinga? Viene voglia di credere in Gesù, o forse basta Dersu Uzala, chi lo sa.
B
B., tutte le corone sono insanguinate. Come diceva quello di Pàvana, "Il potere è l'immondizia della razza degli umani".
RispondiEliminaPopinga, questi suoi lavori sono un piacere a cui non si può rinunciare, se lo lasci dire.
RispondiEliminaPeppe, anche i suoi autorevoli commenti lo sono!
RispondiEliminaSulla questione delle "omissioni" nel lavoro di Lemaitre, ti segnalo anche questa breve nota, apparsa poco tempo fa su arXiv http://arxiv.org/pdf/1106.1195v1
RispondiEliminaGrazie Amedeo della conferma.
RispondiEliminaCosa pretendiamo? In fin dei conti Hubble era un avvocato!
RispondiEliminaPopinga, com'è che della fisica non me ne frega niente, dell'astrofisica anche meno, eppure 'ste cose le leggo fino in fondo? E me le bevo anche. Grazie
RispondiEliminaGrazie a lei, Marco F. Se non è in giro per la Maccaronesia, una di queste sere la invito a cena!
RispondiEliminaQuesto è ciò che penso io:
RispondiEliminahttp://rinabrundu.files.wordpress.com/2012/06/lavvocato-hubble-e-la-presunta-espansione-delluniverso.pdf
http://www.altrogiornale.org/news.php?item.7836
Saluti.
Leonardo RUBINO.
leonrubino@yahoo.it