Il bretone Guillevic (Eugéne Guillevic, 1907-1997) è considerato uno dei poeti francesi più importanti del XX secolo. Il suo stile è lontano da ogni artificio stilistico: i suoi versi sono brevi, disadorni, semplici, al punto che sono stati paragonati agli haiku. Altrettanto comuni sono i soggetti delle sue poesie: i paesaggi rocciosi e severi della sua Bretagna, sospesi tra vento e mare, i menhir, le passeggiate solitarie, il profumo del pane fresco, i muri, il quotidiano lavoro d’ufficio. E, soprattutto, c’è la constatazione del mistero di ciò che separa l’uomo dalle cose che lo circondano, dalle sue attività più disparate, lo straniamento presente sia quando il falegname costruisce un mobile sia quando un ricercatore fa una nuova scoperta. Una separazione che il poeta si sforza di superare con la parola, cercando di ricomporre l’unità primordiale. Una poesia “primitiva” e profonda, intensamente autobiografica, visto che egli stesso si definì “un uomo della preistoria”.
La sua opera è poco conosciuta da noi, forse perché è proprio la semplicità del linguaggio a renderla difficile da tradurre. Il passaggio da una lingua all’altra non rende giustizia all’alone magico che circonda anche le parole più semplici quando sono usate in modo appropriato. Con il suo suono originale se ne va anche una parte, talvolta fondamentale, del significato. Così la traduzione rischia di apparire piatta e noiosa. Eppure Guillevic ha pubblicato molte raccolte nel suo paese: una quindicina a partire dal 1942, quando uscì Terraqué, fino a Présent, uscita l’anno della sua morte, senza contare le edizioni postume di inediti. In mezzo tanti capolavori, che sono valsi al loro autore il Gran Premio di poesia dell'Académie française nel 1976 e il Gran Premio nazionale di poesia nel 1984.
La raccolta più famosa di Guillevic uscì nel 1961. Dedicata alla natia Bretagna, Carnac fonde il suo linguaggio con le pietre della terra, per forgiare una poesia minima e potente, in cui il non detto è altrettanto importante delle parole. Da Carnac traggo qualche esempio rappresentativo del poetare dell’autore:
Eglise de Carnac
qui est comme un rocher
on aurait creusé
et meublé de façon
y avoir plus peur.
Chiesa di Carnac
che è come una roccia
che si scavò
e arredò in modo
da avervi più paura.
La sua opera è poco conosciuta da noi, forse perché è proprio la semplicità del linguaggio a renderla difficile da tradurre. Il passaggio da una lingua all’altra non rende giustizia all’alone magico che circonda anche le parole più semplici quando sono usate in modo appropriato. Con il suo suono originale se ne va anche una parte, talvolta fondamentale, del significato. Così la traduzione rischia di apparire piatta e noiosa. Eppure Guillevic ha pubblicato molte raccolte nel suo paese: una quindicina a partire dal 1942, quando uscì Terraqué, fino a Présent, uscita l’anno della sua morte, senza contare le edizioni postume di inediti. In mezzo tanti capolavori, che sono valsi al loro autore il Gran Premio di poesia dell'Académie française nel 1976 e il Gran Premio nazionale di poesia nel 1984.
La raccolta più famosa di Guillevic uscì nel 1961. Dedicata alla natia Bretagna, Carnac fonde il suo linguaggio con le pietre della terra, per forgiare una poesia minima e potente, in cui il non detto è altrettanto importante delle parole. Da Carnac traggo qualche esempio rappresentativo del poetare dell’autore:
Eglise de Carnac
qui est comme un rocher
on aurait creusé
et meublé de façon
y avoir plus peur.
Chiesa di Carnac
che è come una roccia
che si scavò
e arredò in modo
da avervi più paura.
Beaucoup d’hommes sont venus,
sont restés. Terre d’ossements,
poussière d’ossements.
Il y avait donc
l’appel de Carnac.
Comment chantaient-ils,
ceux des menhirs?
Peut-être est-ce là
qu’ils avaient moins peur.
Centre du ciel et de la mer,
de la terre aussi,
la lumière le dit.
Chantant, eux,
pas loin de la mer,
pour être admis par la lumière.
Regardant la mer,
lui tournant le dos,
implorant la terre.
Molti uomini sono arrivati,
sono restati. Terra d’ossa,
polvere d’ossa.
C’era dunque
il richiamo di Carnac.
Come cantavano,
quelli dei menhir?
Forse è proprio là
che avevano meno paura.
Centro del cielo e del mare,
e pure della terra,
la luce lo dice.
Cantando, essi,
non lontano dal mare,
per essere ammessi dalla luce.
Guardando il mare,
girandogli la schiena,
implorando la terra.
Il motivo principale per il quale parlo di Guillevic è tuttavia un altro. Egli, prima di intraprendere la carriera di funzionario pubblico al ministero delle finanze francese, aveva ottenuto il Bac in matematica nel 1926. E di matematica parlano le poesie della raccolta Euclidiennes, comparsa nel 1969. Si tratta di un insieme di testi relativi alla geometria euclidea, ciascuno accompagnato dall’illustrazione dell’ente relativo. Vi si trovano le rette e le loro proprietà, i poligoni regolari, le coniche, le curve come la sinusoide e la cicloide, i solidi regolari. Lo stile è semplice e a prima vista ingenuo: l’autore nell’introduzione afferma di conoscere solo la matematica elementare. Non è però il caso di fidarsi di un Ispettore delle Finanze…
Ecco alcuni esempi dell’Euclide di Guillevic:
Droite
Au moins pour toi,
pas de problème.
Tu crois t'engendrer de toi-même
à chaque endroit qui est de toi,
au risque d'oublier
que tu as du passé,
probablement au même endroit.
Ne sachant même pas
que tu fais deux parties
de ce que tu traverses,
tu vas sans rien apprendre
et sans jamais donner.
Almeno per te,
nessun problema.
Credi di darti origine da sola,
in qualsiasi punto che t’appartiene,
a rischio di dimenticare
che hai del passato,
probabilmente nello stesso punto.
Non sapendo nemmeno
che fai due parti
di ciò che attraversi,
tu vai senza imparare
e senza mai donare.
Carré
Chacun de tes cotés
s'admire dans les autres.
Où va sa préférence?
Vers celui qui le touche
ou vers celui d'en face?
Mais j'oubliais les angles
où le dehors s'irrite
au point de t'enlever
les doutes qui renaissent.
Ciascuno dei tuoi lati
si contempla negli altri.
A quale va la sua preferenza?
Verso quello che lo tocca
o verso quello di fronte?
Ma ho scordato gli angoli,
dove l’esterno si irrita
al punto di toglierti
i dubbi che rinascono.
Triangle isocèle
J'ai réussi à mettre
un peu d'ordre en moi-même.
J'ai tendance à me plaire.
Sono riuscito a mettere
un po’ d’ordine in me stesso.
Ho la tendenza a piacermi.
Triangle équilatéral
Je suis allé trop loin
Avec mon souci d'ordre.
Rien ne peut plus entrer.
Sono andato troppo lontano
con il mio desiderio d’ordine.
Non può entrare più niente.
Triangle scalène
Bon pour danser,
virevolter
sur ma base, sur mon sommet,
sur mes côtés, mes autres angles.
C’est que je suis toujours
agité, tiraillé,
par des angles, pare des côtés
assemblés au hasard
et sans égalité.
Buono per danzare,
fare giravolte
sulla mia base, sul mio vertice,
sui miei lati, i miei altri angoli.
È che sono sempre
agitato, strattonato
per degli angoli, per dei lati
messi insieme a casaccio
e senza regolarità.
Tangente
Je ne toucherai qu’une fois
et vous saurez que c’est furtif.
Inutile de m’appeler
tout autant de me rappeller.
Vous aurez grandement le temps
de vous redire ce moment
et d’essayer de vous convaincre
que nous restons l’un contre l’autre.
Non toccherò che una volta
e saprete che è furtivo.
Inutile chiamarmi
e altrettanto richiamarmi.
Avrete tutto il tempo
di ripetervi questo momento
e di provare a convincervi
che restiamo l’uno contro l’altro.
salve, vorrei chiederle se ne sa di più su Guillevic e i suoi testi tradotti in italiano. Saluti dalla Sicilia. Giampaolo
RispondiEliminaCaro Giampaolo, purtroppo non mi risultano opere di Guillevic tradotte in italiano. Cio sono due saggi sulla sua opera:
RispondiEliminaRuscelli incontro al sole. Percorsi di (auto)esplorazione sulle tracce del poeta Guillevic, di Domenico Pezzini - Servitium - 2012 (15 €);
La poesia dell'oggetto nell'opera di Guillevic, di Sara Arena - Fiorini - 2012 (29 €)