I primi decenni del ‘900 segnarono un forte legame tra le scoperte delle scienze fisico–matematiche e i movimenti letterari ed artistici d’avanguardia. La storica dell’arte americana Linda Dalrymple Henderson, che ha dedicato gran parte dei suoi studi all’esame degli influssi che la nuova fisica e la matematica esercitarono in campo culturale e, in particolare, alla loro ricezione in campo artistico, gli ha definiti opportunamente come l’ingresso delle realtà invisibili, “un mondo invisibile di forme ed energie proprio al di là del potere della percezione umana che era stato rivelato da una serie di scoperte scientifiche altamente pubblicizzate”. Tra queste scoperte, che rivoluzionarono i tradizionali paradigmi con i quali si interpretava la realtà, vi furono i raggi–X (1895), la radioattività (1896, 1898), l’elettrone (1897) e la relatività (1905), che si andarono ad aggiungere alle onde elettromagnetiche e, in campo matematico, alle geometrie non euclidee e a quelle a n–dimensioni.
La scoperta dei raggi–X, fatta da Röntgen nel 1895, dimostrava che esisteva un mondo invisibile e che non si trattava di speculazioni mistiche o filosofiche, ma di un fatto scientifico accertato. Le pubblicazioni del fisico tedesco sulle suo scoperte diedero il via ad una massiccia serie di pubblicazioni scientifiche e divulgative, oltre che, a livello popolare, ad articoli sulla stampa, poesie, disegni e canzoni. L’immediato impatto dei raggi–X fu quello di rendere trasparente la materia solida, rivelando forme precedentemente invisibili e suggerendo una nuova relazione, più fluida, di quelle forme con lo spazio intorno ad esse. Questa idea fu centrale per i pittori Cubisti francesi e per i Futuristi italiani. Severini, Carrà, Balla, Russolo e Boccioni dichiararono nell’Aprile del 1910, nel Manifesto tecnico della pittura futurista, “Chi può credere ancora all'opacità dei corpi, mentre la nostra acuita e moltiplicata sensibilità ci fa intuire le oscure manifestazioni dei fenomeni medianici? Perché si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X?” e più oltre: “La scienza d'oggi, negando il suo passato, risponde ai bisogni materiali del nostro tempo; ugualmente, l'arte negando il suo passato, deve rispondere ai bisogni intellettuali del nostro tempo”. Sul piano letterario opere come il romanzo L’uomo invisibile (1897) di H. G. Wells o il dramma da camera di August Strindberg Sonata di fantasmi (1907) mostrano il riflesso dei raggi di Röntgen sullo specchio del tempo.
La realtà extrasensoriale rivelata dai raggi–X suggerì anche l’inadeguatezza della percezione umana e animò le speranze di chi era convinto che si potesse arrivare a una dimostrazione scientifica e a una spiegazione razionale di fenomeni come la telepatia o lo spiritismo. Come asserì l’astronomo, editore e divulgatore francese Camille Flammarion nel libro L’inconnu, et les problèmes psychiques (1900), “L’ultima scoperta dei raggi Röntgen, così inconcepibile e così strana nella sua origine, dovrebbe illuminarci sulla limitatezza del campo delle nostre osservazioni abituali (…) Questo è in effetti uno degli esempi più eloquenti a favore dell’assioma che è antiscientifico sostenere che le realtà si fermano al limite delle nostre conoscenze e della nostre osservazioni”. Il testo di Flammarion, che aveva l’indicativo sottotitolo «Manifestations de Mourants, Apparitions, Télépathie, Communications Psychiques, Suggestion Mentale, Vue à Distance, Le Monde des Rêves, La Divination de l'avenir» riportava, come molti altri in quel periodo, un primitivo schema dello spettro elettromagnetico, sottolineando quanto piccolo fosse il campo della luce visibile.
Sia i raggi–X che le onde hertziane della telegrafia senza fili attirarono l’attenzione del pubblico su una nuova immagine dello spazio, piena di onde vibranti. Nello stesso periodo cambiavano le idee sulla costituzione della materia. Se i raggi–X avevano reso trasparenti gli oggetti, la loro intima solidità e stabilità fu messa in discussione dall’identificazione da parte di J. J. Thompson nel 1897 dell’elettrone in movimento e dall’annuncio che i nuovi elementi radioattivi scoperti dai coniugi Curie nel 1898 emettevano continuamente particelle subatomiche. La buona borghesia poteva addirittura trastullarsi con giocattoli come lo “spintariscopio”, un piccolo aggeggio, inventato da William Crookes nel 1903 e antenato dell’oscilloscopio, che permetteva di osservare con una lente il decadimento alfa di una sezione sottilissima di radio attraverso la scintille che le particelle provocavano su uno schermo ricoperto di solfuro di zinco.
Tutto questo impercettibile mondo di onde e particelle popolava l’etere, l’ipotetico mezzo che si riteneva riempisse tutto lo spazio e che consentiva la trasmissione delle vibrazioni delle onde hertziane. Come i raggi–X, l’onnipresente etere, ritenuto da alcuni come la fonte stessa della materia, fu uno dei dogmi principali del credo del primo modernismo. Anche se Einstein aveva dimostrato che le equazioni di Maxwell erano valide anche senza l’esistenza di questo misterioso fluido, altri, come Hendrik Lorentz, continuavano a sostenere la sua esistenza e la teoria dell’etere rimase popolare, almeno a livello di opinione pubblica, fino agli Trenta (e il successivo, affollatissimo, “vuoto quantistico” ne tramanda alcune caratteristiche fino ai tempi odierni).
Da questo etere popolato dalle onde vibranti della telegrafia senza fili alcuni modernisti trassero insegnamenti e nuove ispirazioni. Nel 1912 il fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, proclamò, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, l’invenzione dell’”immaginazione senza fili”, l’uso cioè di parole senza i fili connettivi della sintassi: “Noi inventeremo insieme ciò che io chiamo l'immaginazione senza fili. Giungeremo un giorno ad un'arte ancor più essenziale, quando oseremo sopprimere tutti i primi termini delle nostre analogie per non dare più altro che il seguito ininterrotto dei secondi termini. Bisognerà, per questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. Noi ne abbiamo fatto a meno, d'altronde, quando esprimevamo frammenti della sensibilità futurista mediante la sintassi tradizionale e intellettiva”. Agli esperimenti tipografici degli italiani, Guillaume Apollinaire replicò nel giugno 1914 con la poesia Lettre–Ocean, con il testo, affiancato dalla sigla TSF (telegrafo senza fili), disposto a partire da un centro di irradiazione da cui si dipartono parole come onde hertziane. Marcel Duchamp utilizzò la telegrafia senza fili e la propagazione della luce come modello di comunicazione tra la Sposa e gli Scapoli nel suo capolavoro La sposa messa a nudo dagli scapoli, anche (1915–23), conosciuto anche come Il grande vetro.
Sia Boccioni che il pioniere dell’astrattismo Wassily Kandinsky si riferivano nei loro scritti all’importante “teoria elettrica della materia”, che riduceva la materia a vortici roteanti nell’etere (secondo la teoria degli atomi–vortice di Kelvin, di cui ho dato conto qui). Boccioni pensava che l’etere fosse “l’unica forma di continuità nello spazio”, il titolo della sua scultura più nota (1913). Legato anch’egli agli ambienti dell’occultismo, sosteneva che “ciò che deve essere dipinto è (…) ciò che vede il pittore chiaroveggente”. Così egli vedeva ad esempio Lo sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912).
Il concetto fisico–matematico che più affascinò l’opinione pubblica fu tuttavia quello di quarta dimensione, altamente pubblicizzato già nella seconda metà dell’Ottocento da libri come Flatland di Abbott o dall’opera divulgativa e visionaria di un Charles Hinton. Non si trattava ancora dello spazio–tempo relativistico così come era stato formulato da Hermann Minkowski in risposta alla Relatività Speciale introdotta da Einstein nel celeberrimo articolo del 1905, Ci si limitò a lungo all’ambito geometrico, considerando la quarta dimensione come un fenomeno spaziale soprasensibile. I sostenitori della quarta dimensione spaziale trovarono supporto nella rinascita dell’idealismo che caratterizzò il tardo Ottocento e spesso ricordavano l’allegoria platonica della caverna per suggerire che il mondo visibile può essere solo l’ombra, o una sezione, di una realtà a più dimensioni.
Nel clima culturale dell’epoca, in cui erano molte le suggestioni dell’occultismo e della teosofia, (erano gli anni in cui Rudolf Steiner fondava il suo sistema antroposofico e in cui maturarono grandi pensatori esoterici come René Guènon o noti mistici come Gurdjieff), i confini tra scienza e ciò che oggi definiremmo “paranormale” erano assai fluidi, e la quarta dimensione fu esplorata anche nei termini di coscienza superiore, con un gran fiorire di pubblicazioni che, almeno fino agli Venti inoltrati, ne diffusero la popolarità nell’opinione pubblica. Uno dei pensatori che maggiormente influenzarono gli scrittori e gli artisti interessati alle tematiche dell’occulto fu il matematico e mistico russo Pyotr Demianovich Ouspensky. Nel suo La quarta dimensione (1909), Ouspensky faceva proprie le idee di Hinton, che vedeva in essa un mezzo per raggiungere una maggiore consapevolezza interiore del singolo individuo predisposto e adeguatamente “allenato”. Due anni dopo, con il Tertium Organum (1911), sviluppò l’idea originaria, predicando l’evoluzione della consapevolezza umana verso uno stato di “consapevolezza cosmica” quadridimensionale. Il testo fu tradotto in America nel 1920 dall’architetto Claude Bragdon, che lo fece pubblicare decretandone il successo. Le conferenze di Ouspensky a Londra furono un evento mondano, e vi parteciparono scrittori come Aldous Huxley e T. S. Eliot. La “consapevolezza cosmica” era a portata soprattutto degli artisti della penna e del pennello, che potevano intuirla e rivelarla.
L’influenza di queste idee sugli artisti fu notevole. La quarta dimensione spaziale non fu vista solo come un concetto matematico, ma come una realtà ultrasensoriale in grado di elevare l’ispirazione artistica, come un simbolo di liberazione. La nuova concezione dello spazio affascinò pittori e scultori, perché sfidava le tecniche tradizionali come la prospettiva tridimensionale e invitava ad abbandonare la realtà visuale a favore di un’arte astratta. Tra il 1908 e il 1930 gli artisti di praticamente tutti i movimenti d’avanguardia, seppure con accenti diversi, si impegnarono con la quarta dimensione, dai cubisti ai futuristi italiani e russi, dai suprematisti ai costruttivisti, dai dadaisti ai surrealisti.
Ci furono artisti che spinsero il rifiuto della realtà visuale fino ad abbracciare l’astrattismo più totale. Tra i più importanti mi limito a citare, con un esempio, il suprematista russo Kazimir Malevich (Composizione suprematista, 1916), l’orfista ceco František Kupka (Le temps passe, 1920–21), i futuristi Umberto Boccioni (La risata, 1911) e Gino Severini (Ballerina=Elica=Mare, 1915), l’olandese Piet Mondrian (Composizione, 1920), fondatore del De Stijl, e il pittore e teorico russo Vassily Kandinsky (Composition VII, 1913).
Altri invece non rigettarono completamente l’esperienza sensoriale e, di volta, associarono la quadridimensionalità alla gravità, all’antigravità, alle spirali, alla scomposizione del movimento, ai giochi specchi e di riflessioni. Tra questi il futurista Giacomo Balla, (Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912), Marcel Duchamp, di cui ho già parlato, e Salvador Dalì, che nel 1954 ritrasse un Cristo crocifisso a un ipercubo in Crocifissione (Corpus Hypercubicus).
Anche per molti scrittori il nuovo concetto spaziale costituì uno stimolo importante. H. G. Wells utilizzò la quarta dimensione in alcuni dei suoi racconti, ma essa compare, in forma più o meno esplicita, anche nelle opere di Gertrude Stein, Ezra Pound, James Joyce fino ad arrivare a Jorge Luis Borges. Lunghissimo sarebbe poi l’elenco degli autori di fantascienza che, con talenti differenti (alcuni davvero eccelsi) hanno utilizzato le scoperte scientifiche di quel periodo come cornici o soggetti principali dei loro racconti.
Le geometrie non euclidee non acquisirono mai la vasta popolarità delle n–dimensioni. Così, la lista dei movimenti e degli artisti interessati alle geometrie sferiche o iperboliche risulta assai più scarsa, probabilmente perché questi concetti offrivano meno appigli alle speculazioni filosofiche su realtà “superiori”. I maggiori sostenitori di queste geometrie nell’arte furono il costruttivista russo El Lissitzky (Proun, 1925), il poeta dadaista franco–rumeno Tristan Tzara e, più tardi, i Surrealisti come Ives Tanguy (Mamma, papà è ferito!, 1927) e Max Ernst (Young Man Intrigued by the Flight of a Non–Euclidean Fly, 1942). Echi di queste influssi non–euclidei sono presenti anche in molte opere di Salvador Dalì, come negli orologi piegati de La persistenza della memoria, 1931.
La teoria della relatività, che costituiva una summa di tutte le scoperte precedenti in campo fisico e matematico, faticò ad affermarsi come fonte di ispirazione per gli artisti. Lo storico della scienza Arthur I. Miller ha recentemente investigato il precoce legame della teoria rivoluzionaria di Einstein con Pablo Picasso e i cubisti, parlando addirittura di “comune programma di ricerca”. È vero che i principi fondamentali della teoria cubista, così come vennero formulati da Picasso, Braque e dallo scrittore Apollinaire, sembrano mutuare dalla scienza l’analisi e la scomposizione dell’oggetto rappresentato nelle sue forme geometriche costitutive, viste da sistemi di riferimento spaziale differenti (come nel famoso Les demoiselles d’Avignon, 1907), ma parlare di “programma di ricerca” presuppone relazioni con la relatività che Miller ha provato solo parzialmente. Chi volesse approfondire l’argomento può comunque fare riferimento all’articolo che scrissi in proposito.
In realtà la relatività divenne nota a livello popolare sono negli anni ’20, quando Arthur Stanley Eddington incominciò a pubblicare una serie di ottimi libri divulgativi sull’argomento. La quarta dimensione della teoria della relatività non era poi un’ulteriore dimensione euclidea, ma uno spazio–tempo, e ciò non andava incontro alle aspirazioni teosofiche di molti tra gli artisti del tempo. Fu solo negli anni Trenta che gli artisti incominciarono a occuparsi, a loro modo, della teoria di Einstein: Salvador Dalì, nel saggio surrealista del 1935 La conquista dell’irrazionale, parlò dei suoi orologi piegati anche nel contesto della relatività. Dicendo che gli erano stati ispirati da un piatto di Camembert, l’artista catalano li descrisse come “lo stravagante e solitario Camembert dello spazio–tempo”. Nonostante l’entusiasmo con il quale molti critici d’arte e molti divulgatori hanno parlato della relatività nella pittura e nella scultura, non esistono prove evidenti che essa abbia direttamente ispirato gli artisti. Essa costituisce piuttosto il coronamento finale di tutte le scoperte precedenti che avevano influenzato i movimenti d’avanguardia e che costituirono il paesaggio culturale senza il quale difficilmente si sarebbe espresso creativamente il modernismo.
[Questo articolo nasce dal suggerimento dell’amico Roberto Natalini, dirigente di ricerca del CNR e coordinatore di MaddMaths!, il quale mi ha anche inviato alcuni degli studi di Linda Dalrymple Henderson sull’argomento. A lui va la mia più sincera stretta di mano.]
E le architetture non euclidee di Lovecraft!
RispondiEliminaBeh, caro Popinga, del mio piccolo input hai tratto un lavoro egregio. Posso solo aggiungere che la quarta dimensione è in qualche modo strettamente connessa con la realtà invisibile. Come già argomentato in Flatlandia (mi sembra), un essere quadridimensionale potrebbe vedere all'interno di un corpo tridimensionale. Insomma, ancora una volta potremmo "vedere l'invisibile".
RispondiEliminaChissà se le Stringhe riusciranno a ispirare qualcosa agli artisti contemporanei (o futuri ma questi mi interessano meno, se non si sbrigano non riuscirò a valutarli). Lì di dimensioni ce ne sono a profusione: se ne hai meno di dieci sei un poverello.
RispondiEliminaMa forse i tempi sono cambiati, se fossi giovane adesso non so se rifarei le stesse cose, colpa della Luna: allora ci stavamo andando.
Davvero ben fatta questa lezione di arte-scienza!
RispondiEliminaAnche se e' solo marginalmente connessa con l'argomento, immagino che tu sia al corrente della teoria dell' universo olografico di David Bohm e ti volevo chiedere che cosa ne pensi
RispondiEliminaMaria, hai una domanda di riserva? Di Bohm conosco solo quello che ho letto su Wikipedia. Si può elaborare qualsiasi teoria purché sia in accordo con i dati sperimentali e finché non viene falsificata da altre evidenze. Per quello che ho capito, l'universo olodinamico è per noi come il noto velo di Maya. Personalmente sono propenso a utilizzare il rasoio di Occam e perciò mi chiedo: non esiste una spiegazione più semplice?
RispondiEliminaChe bel posto popinghiano che hai fatto, Popinga!
RispondiElimina"Vorrei avere nella mia casa: una donna ragionevole, un gatto che passi tra i libri, degli amici in ogni stagione senza i quali non posso vivere".
Secondo me Apollinaire sei un po' tu, Popinga.
B
Grazie, B.! Finalmente sei tornata: mi mancavano i tuoi commenti...
RispondiEliminadavvero un bel post.
RispondiEliminanon sono sicuro che l'interpretazione temporale della quarta dimensione fosse sconosciuta/poco conosciuta nell'800. se ricordi, in flatland quando compare l'ipersfera lo fa proprio in maniera "temporale": nello spazio tridimensionale inizia lentamente a comparire una sfera sempre piú grande (ossia una famiglia di sue sezioni tridimensionali!).