Nella piazzola davanti al castello di Elsinore fa freddo ed è notte fonda. Bernardo arriva a dare il cambio a Francesco nel posto di guardia. Poco più tardi arrivano Orazio, amico fidato di Amleto, e Marcello. Parlano delle strane apparizioni dello spettro del padre di Amleto, il re di Danimarca morto due mesi prima. Ma c’è anche dell’altro:
Horatio
Well, sit we down,
And let us hear Bernardo speak of this.
Bernardo
Last night of all,
When yond same star that's westward from the pole
Had made his course to illume that part of heaven
Where now it burns, Marcellus and myself,
The bell then beating one,--
Orazio
E va bene,
sediamoci e ascoltiamo quel che dice
il nostro buon Bernardo. Allora, parla.
Bernardo
Ecco, la scorsa notte,
quando la stella a occidente del polo
aveva ormai compiuto il suo percorso
in quella parte del cielo ove brilla,
la campana batteva il primo tocco,
Marcello ed io...
Di quale stella parla Bernardo? Secondo tre ricercatori della Texas State University, nell’articolo The stars of Hamlet pubblicato su Sky and Telescope nel novembre del 1998, la scena, scritta dal genio di Stratford intorno al 1600, si riferirebbe alla supernova che comparve nei cieli europei nel 1572, la quale potrebbe aver colpito l’immaginazione di Shakespeare bambino (aveva allora otto anni) al punto da ricordarla nella prima scena del primo atto dell’Amleto.
Bernardo parla di una stella luminosa indicando la sua posizione nel cielo in una fredda notte. I fisici Don Olson e Russell Doescher e l’anglista Marilynn Olson, utilizzando i riferimenti climatici e astronomici della sua descrizione, ritengono che la scena iniziale del più noto capolavoro di Shakespeare possa esser stata ambientata nel mese di novembre. In quella porzione del cielo ("westward from the pole") si trova la costellazione di Cassiopea, le cui stelle non posseggono una brillantezza tale da attirare particolare attenzione. Una “stella” degna di nota, una delle sole otto supernovae visibili ad occhio nudo di cui si ha testimonianza storica, tuttavia brillò per sedici mesi dalle parti di Cassiopea: quella che fu visibile nel 1572-73 proprio a partire dai primi giorni di novembre, il che corrisponde esattamente con il racconto del personaggio della tragedia.
La “stella” fu osservata e studiata dai più eminenti astronomi del tempo. Per il danese Tycho Brahe, allora ventiseienne, la comparsa dell’astro segnò il suo futuro come astronomo. Non a caso i moderni astronomi si riferiscono alla supernova del 1572 (N1572, o B Cassiopeiae) come “la supernova di Tycho”, proprio perché egli fece studi dettagliati sulle caratteristiche di quel nuovo oggetto celeste. Secondo quanto riferisce lo stesso Tycho Brahe nella Astronomiae instauratae progymnasmata (1610), egli osservò il fenomeno nella sera dell’11 novembre: “Improvvisamente e inaspettatamente vidi presso lo zenit una stella insolita con una luce brillantissima”. La nuova stella aveva una luminosità come quella di Venere e poteva essere notata ad occhio nudo anche nel cielo diurno. Tycho notò che il nuovo corpo celeste non possedeva parallasse diurna rispetto alle stelle fisse. Ciò dimostrava che si trovava molto al di là della Luna e degli altri pianeti che mostrano tale parallasse, in aperta contraddizione con coloro che affermavano, sulla scorta delle tesi di Aristotele, che il cielo oltre la Luna fosse immutabile. Egli notò anche che l’oggetto non cambiava la sua posizione relativa rispetto alle stelle fisse in tutti i diversi mesi di osservazione che gli dedicò, contrariamente a ciò che facevano i pianeti nei loro periodici movimenti orbitali, anche quelli esterni che non possedevano una parallasse diurna apprezzabile. Ciò gli suggerì l’idea che l’oggetto non fosse un pianeta, ma una nuova stella posta al di là di tutti i pianeti. Pubblicò i suoi primi studi nel 1573, nel volumetto De nova stella (da cui derivò il termine astronomico novae per denotare tali eventi, che oggi sono invece chiamati supernovae). In aperta denuncia di coloro che non volevano arrendersi all’evidenza dei fatti e perseveravano nelle loro false dottrine, più o meno gli stessi che avrebbero poi portato Galileo a giudizio, il testo portava in esergo la frase “O crassa ingenia. O caecos coeli spectatores”. La “nuova stella” di Tycho, riprodotta con “I” nella mappa celeste che accompagnava il testo, si spense lentamente nel corso del 1574.
Torniamo a Shakespeare. Non si sa se abbia mai incontrato l’astronomo danese, ma esistono prove che egli abbia conosciuto le sue opere. Il più noto ritratto di Brahe, realizzato nel 1586 da Jakob de Gheyn e posto sulla copertina dell’Astronomiae instauratae mechanica (1598), lo mostra circondato dagli stemmi dei suoi antenati. Ebbene, due dei blasoni portano i cognomi Rosenkrans e Guldensteren, straordinariamente simili ai nomi di due personaggi dell’Amleto, Rosencrantz and Guildenstern, i due compagni di studi del protagonista invitati dal re e dalla regina per indagare sulle ragioni della sua malinconia, che lo tradiranno e saranno uccisi dal loro stesso piano. C’è da dire, in verità, che i due cognomi erano piuttosto diffusi nella nobiltà danese: i resoconti dell'incoronazione del 1596 mostrano che un decimo degli aristocratici intervenuti appartenevano ad una delle due casate.
Secondo gli studiosi americani, il drammaturgo, nella fase di raccolta della documentazione necessaria per ambientare storicamente e geograficamente la tragedia, potrebbe aver consultato il
Civitates orbis terrarum del tedesco Georg Braun, un atlante riccamente illustrato da Franz Hogenberg il cui quarto volume, pubblicato nel 1588, contiene una stampa dello Øresund, lo stretto che separa l’isola danese di Sjaelland dalla Scania svedese. Nell’illustrazione è visibile Uraniborg, il castello in cui si trovava l’osservatorio di Brahe (regalo del re Federico II di Danimarca all’astronomo per i suoi meritori studi), che sorgeva su un’isola nello stretto, Hven, posta al largo del castello di Elsinore (oggi Helsingør), dove è ambientato l’
Amleto.
Esistono anche prove che Shakespeare conoscesse le opere del matematico e astronomo inglese Thomas Digges, il quale espose in Alae seu Scalae Mathematicae (1573) le sue scrupolose osservazioni sulla supernova, che riconobbe come fenomeno celeste e di cui calcolò la posizione con precisione superiore a quella dello stesso Tycho Brahe. Si sa anche che Digges e Brahe avevano legami epistolari. Digges fu il diffusore delle idee copernicane in Inghilterra, che rese ancor più radicali con l’affermazione dell’infinità dell’universo. In effetti, Shakespeare viveva vicino a Digges, e i biografi del drammaturgo hanno accertato i suoi legami con la famiglia dell’uomo di scienza.
Un famoso passo della scena 2 del secondo atto dell’Amleto (quello della “follia” di Amleto) parla dell’infinità dei cieli con un linguaggio che rivela l’adesione di Shakespeare al sistema copernicano propagandato da Digges:
Hamlet:
Denmark's a prison.
Rosencrantz:
Then is the world one.
Hamlet:
A goodly one, in which there are many confines,
wards and dungeons, Denmark being one o' the
worst.
Rosencrantz:
We think not so, my lord.
Hamlet:
Why, then, 'tis none to you; for there is nothing
either good or bad, but thinking makes it so. To me
it is a prison.
Rosencrantz:
Why then, your ambition makes it one; 'tis too
narrow for your mind.
Hamlet:
O God, I could be bounded in a nutshell and count
myself a king of infinite space, were it not that I
have bad dreams.
Guildenstern:
Which dreams indeed are ambition, for the very
substance of the ambitious is merely the shadow
of a dream.
Hamlet:
A dream itself is but a shadow.
Amleto:
La Danimarca è tutta una prigione.
Rosencrantz:
Tutto il mondo n’è una, allora.
Amleto:
Infatti, come si deve; in cui son molte celle,
molti posti di guardia, molti masti.
La Danimarca è fra le sue peggiori.
Rosencrantz:
A noi non pare affatto, monsignore.
Amleto:
Si vede allora che non lo è per voi:
niente è buono o cattivo
se non è tale nel nostro pensiero.
Per me è una prigione.
Rosencrantz:
È l’ambizione che ve la fa tale.
La Danimarca è troppo angusto spazio
per una mente come quella vostra.
Amleto:
Oh, Dio! Io potrei viver confinato
in un guscio di noce, e tuttavia
ritenermi signore d’uno spazio
sconfinato, non fossero i miei sogni.
Guildenstern:
E questi sono appunto l’ambizione,
perché nient’altro che l’ombra d’un sogno
è la sostanza dell’uomo ambizioso.
Amleto:
Il sogno già in se stesso è solo un’ombra.
(traduzione di Goffredo Raponi)
Shakespeare utilizzò spesso immagini astronomiche nelle sue opere. I tre ricercatori americani ritengono quindi che egli possa aver usato uno degli eventi celesti più spettacolari dei suoi tempi (e uno dei più importanti di tutta la storia dell’astronomia) nella sua tragedia più importante. L’apparizione di un nuovo oggetto celeste nel cielo era motivo di una vasta preoccupazione, come capitava anche per le comete, in quanto tali “segni” erano interpretati come presagi funesti. E’ assai probabile che Shakespeare abbia utilizzato questo sentimento di sciagura imminente per i suoi scopi drammatici.
Il lettore curioso potrebbe ora chiedersi che fine abbia fatto la supernova N1572, la “stella di Tycho”, e che cosa si sia riusciti a sapere nel frattempo su questo oggetto celeste. Fino al 1952 la ricerca dei resti dell’esplosione stellare non aveva dato esiti, fino a quando si incominciò a studiare le emissioni di quella parte del cielo nella banda delle radiofrequenze. Sì identificò l’oggetto 3C10 come il resto della supernova del 1572, determinandone la distanza tra i 2,5 e i 3 kiloparsec (tra gli 8000 e i 9800 anni luce). Nel 1960 l’oggetto fu identificato anche otticamente dal telescopio di Monte Palomar come una
nebula assai debole. Gli astronomi hanno classificato la supernova N1572 come appartenente al
tipo Ia, risultante cioè dall’esplosione di una nana bianca che ha superato la
massa limite di Chandrasekhar risucchiando materia da un’altra stella con la quale costituiva un sistema binario. Nel 2005 gli astronomi sarebbero riusciti anche a identificare la stella compagna, chiamata Tycho G, abbastanza simile al nostro Sole, ma che prima dell’esplosione doveva essere una subgigante, ma l’identificazione è stata contestata.
Recentemente la “stella di Tycho”, o almeno i suoi resti, è tornata all’onore delle cronache scientifiche grazie alle scoperte effettuate dal telescopio spaziale a raggi-X
Chandra, che ha rivelato una forte
emissione di strisce di raggi X ad alta energia, fornendo la prima evidenza diretta che un evento cosmico come l’esplosione di una
supernova può accelerare le particelle sino ad energie centinaia di volte maggiori di quanto si possa ottenere con i più potenti acceleratori sulla Terra ed essere una sorgente dei raggi cosmici che colpiscono il nostro pianeta.
La ricerca continua, ben consapevoli che "There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy."