Penso che ogni appassionato di chimica, per studi o per diletto, dovrebbe leggere Zio Tungsteno – Ricordi di un’infanzia chimica di Oliver Sacks (Adelphi, Milano, 2002), nel quale il neurologo e scrittore inglese (chi non ricorda Risvegli, da cui è stato tratto l’omonimo film con Robin Williams e Robert de Niro, oppure L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello?) ripercorre con nostalgia e humour la sua formazione scientifica sin dalla più tenera età, da quando fu attratto prima dai metalli e poi dalla chimica. Una trama sommaria del libro si trova su una pagina di Wikipedia, per cui ve la risparmio. Infatti il libro di cui mi voglio occupare oggi è un altro. Lo lascio però presentare a Sacks, che nel capitolo 7 di Zio Tungsteno, parla del suo incontro con lo “spettacolo” della chimica:
“Il mio primo piacere fu per lo spettacolare – le schiume, le incandescenze, le puzze e gli scoppi, che più o meno esprimono un primo ingresso nella chimica. Una delle mie guide furono le Chemical Recreations di J. J. Griffin, un libro degli anni intorno al 1850 che avevo trovato in un negozio di libri usati. Griffin aveva uno stile semplice, pratico e soprattutto giocoso: la chimica era per lui chiaramente un divertimento, ed egli la rendeva un divertimento per i suoi lettori, lettori che dovevano essere stati spesso, decisi, dei ragazzi come me, perché egli aveva scritto sezioni come “Chimica per le vacanze” – che comprendeva il “Budino di prugne volatile” (“quando si toglie il coperchio.. esso abbandona il piatto e sale verso il soffitto”), “Una fontana di fuoco” (utilizzando il fosforo – “L’operatore deve stare attento a non bruciarsi”) e “Brillante deflagrazione” (anche in questo caso si era avvertiti di “togliere le mani istantaneamente”). Mi divertiva la citazione di una formula speciale (tungstato di sodio) per far diventare incombustibili i vestiti delle signore e le tende – i fuochi erano comuni nell’età vittoriana? – e la usai per rendere ignifugo un mio fazzoletto. Il libro si apriva con “Esperimenti elementari”, esperimenti prima con coloranti vegetali, per vedere i loro cambiamenti di colore con gli acidi e gli alcali. Il colorante vegetale più comune era il tornasole – Griffin diceva che deriva da un lichene. Utilizzai alcune cartine di tornasole che mio padre teneva nel suo laboratorio, e vidi come esse diventavano rosse con acidi differenti e blu con la basica ammoniaca”.
“Griffin suggeriva esperimenti con i candeggianti – io usai la polvere candeggiante di mia madre al posto della soluzione di cloro che suggeriva Griffin e con questa sbiancai cartine al tornasole, succo di cavolo, e un fazzoletto rosso di mio padre. Griffin suggeriva anche di tenere una rosa rossa su dello zolfo incendiato, in modo che il biossido di zolfo prodotto l’avrebbe sbiancata. Immergendola in acqua, miracolosamente, avrebbe ripristinato il suo colore”.
"Da qui Griffin si spostava (e io con lui) verso gli “inchiostri simpatici”, che diventavano visibili solo quando erano riscaldati o trattati in modo speciale. Giocai con alcuni di essi - sali di piombo, che diventavano neri con l’acido solfidrico; sali d’argento, che si annerivano se esposti alla luce; sali di cobalto, che diventavano visibili quando asciugati o riscaldati. Tutto ciò era divertente, come lo era la chimica”.
Ecco come Griffin descriveva l’esperimento della rosa citato da Sacks: “Privare una rosa rossa del suo colore e restituirglielo di nuovo – Tenete una rosa rossa sopra la fiamma blu prodotta dallo zolfo incendiato. Potete farlo fissando la rosa in cima a un barattolo di vetro tenuto al contrario. Questa fiamma diffonde un gas che ha la proprietà di privare i vegetali del loro colore. Esso è chiamato gas acido solforoso. Quando esso viene in contatto con la rosa, il colore è così indebolito da renderla o meravigliosamente variegata o interamente bianca. Se poi immergete la rosa in acqua, il suo colore rosso le viene restituito”.
Il libro di John Joseph Griffin fu davvero un long-seller, e la sua importanza per la divulgazione della chimica nel mondo anglosassone fu enorme: la prima edizione uscì nel 1834 e quella in possesso di Sacks bambino (del 1854) era la decima. Il testo fu ristampato fino alla prima guerra mondiale. Il suo autore era nato a Londra nel 1802 e aveva iniziato la carriera come libraio scientifico e fornitore di apparati chimici a Glasgow, in Scozia, assieme al fratello maggiore Richard. Nel 1852 il sodalizio si ruppe e l’attività libraria fu portata avanti dal nipote Charles, mentre John Joseph fondò un’azienda di produzione di strumentazioni per la chimica che ebbe un grande successo commerciale e che dura tuttora. Egli progettò diversi tipi di apparati per il laboratorio, e si attivò per introdurre il metodo scientifico nei processi produttivi e industriali. Griffin tuttavia non abbandonò mai la passione per la divulgazione per la chimica, che era iniziata in giovane età con la traduzione dell’Handbuch der analytischen Chemie (1829) del mineralogista e chimico tedesco Heinrich Rose, e che proseguì per tutta la vita. Dopo le Chemical recreations, pubblicò infatti importanti libri per rendere popolare la disciplina, come, ad esempio, System of Crystallography (1841), The Radical Theory in Chemistry (1858), e Chemical Handicraft (1866 e 1877). Griffin fu anche l’autore di nove articoli che apparvero in diverse riviste scientifiche tra il 1840 ne il 1860. Morì nel 1877.
Le Chemical recreations erano introdotte da una Prefazione in cui l’autore spiegava che il suo manuale era rivolto ai principianti, con particolare attenzione a due categorie di lettori: gli studenti dei corsi propedeutici di chimica e gli insegnanti di chimica. Non si trattava tuttavia di un libro di chimica sistematica e teorica, ma un libro di esperimenti disposti in sequenza e collegati da una spiegazione della disciplina. Esso, data la sua natura introduttiva, tralasciava volutamente i dettagli della chimica organica. Gli esperimenti, secondo Griffin, erano stati scelti perché efficaci e convincenti, oltre ad essere facili ed economici da realizzare. L’autore assicurava di essersi preoccupato anche della loro sicurezza, ma, come si è visto dal commento di Sacks, il concetto all’epoca era assai diverso da quello odierno. Un apparato di centinaia di illustrazioni veniva in soccorso del lettore nella comprensione degli esperimenti.
Nella successiva Introduzione, Griffin affrontava in primo luogo la “Natura della Chimica”, in un paragrafo che merita di essere tradotto integralmente per conoscere quale fosse lo stato dell’arte della disciplina alla metà del XIX secolo (mi riferisco alla nona edizione del testo, del 1847) e come essa, dopo mezzo secolo di straordinario sviluppo dai tempi eroici di Lavoisier, Dalton e Davy avesse ormai assunto i connotati di scienza moderna e dalle vaste applicazioni:
“La Chimica è la scienza che ci rende conosciute le proprietà delle particelle componenti tutti i corpi naturali. Non parlo solo di quelle particelle composte che sono il risultato dell’organizzazione, ma delle particelle fondamentali, indivisibili, o elementari. Essa tratta delle diverse specie di sostanze che esistono in natura, e dell’esatta determinazione delle loro differenze. Essa insegna in che modo le parti componenti dei corpi composti possono essere separate le une dalle altre, o come gli elementi dei composti possono essere combinati assieme. Infine, essa mostra con quali procedimenti i corpuscoli, le particelle solide che costituiscono le sostanze materiali del mondo, possono essere nella maniera più benefica applicate al servizio dell’uomo”.
Ci sono i primi accenni alla teoria atomica e, a scanso di equivoci, bisogna precisare che le “particelle elementari” di cui parla Griffin non sono quelle subatomiche di oggi, ma gli elementi chimici stessi, o almeno gli atomi “chimici” degli sperimentatori, distinti in base al loro peso, cui ancora si opponevano forti resistenze dei teorici e dei fisici. La differenza tra sostanze semplici e sostanze composte è oramai acquisita, anche se ancora non sono ancora ben chiari la natura e il comportamento di tutti i “corpuscoli” che si organizzano a comporre la materia.
Sempre nell’Introduzione, interessante è anche il paragrafo “Motivi per lo studio della chimica”: essa è qualificata per esercitare sia la mente che le mani dei giovani alle consuetudini della laboriosità, della regolarità e dell’ordine. “Essa insegna la dottrina che l’accurata e ampia osservazione è necessaria per l’acquisizione dei fatti; che la scrupolosa ed esatta comparazione è necessaria per la riduzione di questi fatti a enunciazioni generali; che la precisione logica è necessaria per stimare il valore relativo di diversi enunciati problematici sui punti in cui manca un’informazione positiva; che, di conseguenza, il chimico deve studiare per diventare capace di giudicare secondo l’evidenza ragionevole, e in questo modo abituarsi alla formazione di solide opinioni su tutti i soggetti che siano di sua competenza”. La chimica, secondo Griffin, è una scienza a tutti gli effetti, ed è una scienza autonoma, capace oramai di affrancarsi dalla tutela delle discipline al cui interno veniva precedentemente insegnata, come la medicina o la fisica. “C’è, nella disciplina mentale e morale che affronta il suo studio, un forte incentivo per fare della Chimica una branca riconosciuta dell’educazione liberale”.
In un libro di chimica ricreativa, basato soprattutto sulle esperienze pratiche, non poteva mancare anche un paragrafo intitolato “Differenti categorie di esperimenti”, in cui l’autore distingueva tra:
- esperimenti determinativi, fatti per stabilire la composizione di una sostanza, dal punto di vista solo qualitativo oppure anche dal punto di vista quantitativo (esperimenti di ricerca);
- esperimenti dimostrativi, impiegati nella comunicazione del sapere chimico, sia da parte di chi fa una scoperta e la comunica agli altri membri della comunità scientifica, sia da chi insegna la chimica a studenti e appassionati;
- esperimenti produttivi, che hanno per oggetto la produzione di determinate sostanze, come avviene nella farmacopea o nella preparazione di composti utili nella vita quotidiana o nell’industria.
Il primo capitolo, “Elementary Experiments” (quello che tanto ha deliziato Sacks) era scritto appositamente con un linguaggio semplice, “per mostrare come si possono insegnare gli elementi di chimica pratica a grandi fasce di studenti nelle scuole”. Poi, sempre partendo dalle esperienze di laboratorio, di cui era descritta con cura meticolosa la strumentazione, i capitoli successivi introducevano il giovane lettore, o il suo insegnante, alla chimica “spettacolare”, poi all’analisi qualitativa, alle teorie, alle leggi, all’analisi quantitativa e matematica della chimica.
Che in quegli anni un chimico “pratico” come Griffin parlasse senza problemi di “mathematical arrangements of chemistry” dimostra la sua modernità, di fronte a posizioni allora ancora molto influenti come quella del padre del positivismo Auguste Comte che, ancora nel 1830, rifiutava l’idea stessa di unità della materia e condannava ogni ricerca volta a determinarne la struttura, al punto di criticare l’uso del microscopio, arrivando a sostenere che “Ogni tentativo di utilizzare metodi matematici nello studio dei problemi chimici è da considerarsi profondamente irritante e contrario allo spirito della chimica”. Griffin, con lo spirito pragmatico di un buon anglosassone, ignorava di proposito le disquisizioni di filosofi, dottori e sapienti per dedicarsi, con risultati davvero apprezzabili, all’illustrazione degli esperimenti che avrebbero potuto introdurre i giovani al mondo della chimica. Una lezione anche per i giorni nostri, soprattutto per la scuola italiana.
Non conosco Le Recreations ma ho tanto amato Zio Tungsteno, un libro per niente facile (mi sembra di ricordare che Sacks ringrazia Roald Hoffmann, premio Nobel per la Chimica, per averlo consigliato). Ho tanto invidiato a sacks quell'infanzia così avventurosa, anche se si trattava della seconda guerra mondiale.
RispondiEliminaDopo più di 150 anni ancora c'è qualcuno che pensa che la chimica non sia una scienza a tutti gli effetti, una scienza autonoma, e non una semplice appendice della fisica o della biologia.
Grazie per avercelo ricordato.
Tò! Un libro che mi sono perso. Lo aggiungo subito alla lista per Babbo Natale. Quest'anno sono stato particolarmente quasi buono e sono sicuro che arriverà.
RispondiEliminaQuando leggo queste recensioni di "Chimica Ricreativa" chi l'avrebbe mai immaginato che la chimica considerata da noi in Italia arida,astrusa e mnemonica come il libro del Cavalieri ricorda invece in passato grazie a Griffin ha avuto un appellativo che fa riferimento al gioco, alla ricreazione al divertimento.
RispondiEliminaForse questo è un monito a professori universitari moderni o a docenti di scuola superiore per i quali la chimica va solo letta e scritta e NON vista e NNON fatta. Perchè non c'è tempo, non c'è il laboratorio ma soprattutto manca la capacità di amare la scienza
Lo zio Tungsteno, senza alcun dubbio, è un ottimo libro che ti avvicina piacevolmente alla Chimica e più in generale alla tradizione del solco tracciato dalla Scienza.
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