lunedì 28 novembre 2011

Problemi matematici per gli ebrei sovietici


ResearchBlogging.orgTanya Khovanova oggi lavora al MIT, ma è nata e vissuta in Russia quando ancora faceva parte dell’Unione Sovietica. Nel 1975 si stava preparando a rappresentare il suo paese alle Olimpiadi della Matematica, quando fu contattata da Valera Senderov, insegnante in una delle scuole speciali di matematica della capitale. La Senderov cercava il suo aiuto per lo svolgimento ottimale di alcuni problemi che venivano assegnati nelle prove orali di ammissione al Dipartimento di Matematica dell’Università Statale di Mosca, in modo da allenare i suoi allievi a risolverli senza difficoltà. La prima particolarità di questi problemi è che erano stati predisposti in modo da richiedere soluzioni elementari che tuttavia erano assai difficili da trovare. La seconda, inquietante, è che erano concepiti come veri e propri “tranelli” per non ammettere al Dipartimento gli studenti indesiderati, evitando in questo modo eventuali reclami e ricorsi. La terza, davvero scandalosa, era che le vittime designate di questa operazione erano gli studenti ebrei, al punto che tali esercizi erano chiamati informalmente, oltre che “problemi-bara”, anche “problemi per gli ebrei”.

L’antisemitismo è purtroppo una costante mai davvero sopita nella storia russa, come è dimostrato ad esempio dal fatto che la parola pogrom è un termine di quella lingua (Погром, "devastazione"), che designava inizialmente le sommosse popolari antisemite nella Russia zarista (avvenute con il consenso se non l’appoggio delle autorità) e oggi indica qualsiasi massacro di una minoranza. Inoltre, i famigerati Protocolli dei Savi di Sion, falso documento creato per “rivelare” i presunti piani di controllo del mondo da parte degli ebrei, furono opera della polizia dello Zar. La diffidenza verso gli ebrei ha caratterizzato anche la politica interna dell’Unione Sovietica, con esclusione forse del primo periodo post-rivoluzionario (molti dei capi rivoluzionari erano ebrei, come Trotsky). Scriveva a proposito Sergio Romano: “[Per Stalin] gli ebrei erano troppo internazionali, troppo cosmopoliti, troppo legati per vincoli familiari ad altre nazioni. Li usò spregiudicatamente quando gli servivano e li eliminò spietatamente quando li considerò pericolosi”. Negli anni della Guerra Fredda, e quasi sino al crollo dell’URSS, l’antisionismo fu ufficialmente propagandato in funzione anti-israeliana e anti-occidentale, particolarmente negli anni immediatamente successivi alla Guerra dei Sei Giorni (1967), Per quanto si dichiarasse che non si trattava di antisemitismo, nei fatti la politica del PCUS, che equiparava sionismo e razzismo, portò al controllo della polizia politica sulle sinagoghe e, con limitate eccezioni, alla preclusione per i cittadini ebrei all’ingresso nelle università e alle principali cariche pubbliche.

Tanya Khovanova, in un articolo scritto con Alexey Radul dell’Hamilton Institute del NUIM di Kildare (Eire), propone all’attenzione del lettore 21 dei “problemi per gli ebrei” di allora, convinta che questa raccolta abbia valore sia storico sia matematico. I due autori sottolineano come oggi questi esercizi appaiano più semplici di quanto lo fossero negli anni Settanta, perché nel frattempo nelle scuole essi vengono affrontati e risolti con maggiore frequenza. Allora venivano sottoposti uno dopo l’altro ai candidati, che venivano allontanati al primo errore. Di ogni problema, nelle tre sezioni in cui si divide il paper, viene fornito l’enunciato, poi un suggerimento per la soluzione, infine il procedimento risolutivo. Per questioni di brevità ne riporto tre, rimandando per gli altri all’articolo originale.

Enunciati

Problema n.1

Risolvete la seguente disequazione per > 0:


Problema n.9

Date nel piano due rette che si intersecano, trovate il luogo dei punti A tale che la somma delle distanze da A di ciascuna retta sia uguale a un dato valore.

Problema n.21

Il grafico di una funzione monotonamente crescente è intersecato da due rette orizzontali. Trovate il punto sulla curva tra le intersezioni tale che sia minima la somma delle due aree limitate dalle rette, dalla curva e dalla retta verticale che passa per il punto.


Suggerimenti

Problema n.1

Conviene sostituire:


Problema n.9

In un triangolo isoscele la somma delle distanze da un punto qualsiasi della base ai due lati obliqui è costante.

Problema n.21

Il punto equidistante dalle due rette orizzontali dovrebbe essere quello cercato.

Soluzioni

Problema n.1

Osserviamo dapprima che per > 1 i termini nell’enunciato sono indefiniti. Poi definiamo y in base al suggerimento:


Osserviamo che per i valori ammissibili di x abbiamo:


e y descresce monotonamente in x. Osserviamo anche che:


Date le seguenti osservazioni preliminari, la nostra disequazione si trasforma come segue:








Ora, il trinomio nella seconda parentesi è sempre negativo, così la nostra mostruosa disequazione si riduce, alla fine, nella semplice:


Facendo riferimento alla monotonia di y in x e al fatto che


La nostra risposta finale è


Problema n.9


Nella figura, la somma delle aree dei due triangoli ABD e CBD equivale all’area del triangolo ABC. Annullando la lunghezza del lato BC (=AB), la somma delle altezze dal punto D è uguale all’altezza dal punto A (e a quella dal punto C). Pertanto, il luogo è il rettangolo i cui vertici sono i quattro punti che sono ciascuno su una delle rette e alla distanza desiderata uno dall’altro.


Problema n.21

Sia A il punto della funzione equidistante dalle due rette orizzontali che giace sulla loro perpendicolare. Se muoviamo il punto di intersezione verso destra, allora l’area sotto la funzione cresce più velocemente di quanto decresce l’area sotto di essa. Muovendolo verso sinistra, la situazione è simmetrica.


Tanya Khovanova, Alexey Radul (2011). Jewish Problems arXiv:1110.1556v2

domenica 27 novembre 2011

I matematici di Flatlandia (2)

Sinceramente non credevo che i miei esperimenti grafici potessero suscitare tanto interesse. Così sono tornato a Flatlandia, questa volta in compagnia di Nicola Chiriano, amico di Facebook e insegnante di matematica di Catanzaro, e di Piero Patteri, grande fumettologo dell'INFN, il quale si è intrattenuto con Leibniz. 





Simona Barberio così ha voluto commentare i nostri vaneggiamenti:

Esperti nel disegno
dei grandi numerati,
da dotti ammaestrati
le linee lor tracciavano.
Di cerchi e poi gradini,
di punti e numerini
creavano visioni
per gli occhi dei piccini.

giovedì 24 novembre 2011

I matematici di Flatlandia

Sui social network sta girando un invito a stilare una classifica dei trenta più grandi matematici della storia. Io non amo le classifiche al di fuori dello sport, e a mio parere sono tutti bravi. Ricordo solo quelli che ho conosciuto personalmente durante il mio recente viaggio a Flatlandia:



martedì 22 novembre 2011

Einstein e i reazionari

Einstein nel 1921
Nel 1919 Albert Einstein (1879-1955) aveva ottenuto il suo primo grande trionfo, con la conferma della previsione, basata sulla teoria generale della relatività, che la luce viene deviata dal campo gravitazionale di una grande stella come il Sole. La verifica di tale fatto, ottenuta dalla spedizione inglese nell'isola di Principe per lo studio dell’eclisse solare condotta da Arthur Eddington (1882-1944), aveva colpito l’immaginazione del pubblico attraverso una grande copertura dei giornali di tutto il mondo, dando a Einstein una notorietà internazionale e un prestigio che irritarono i circoli più reazionari della Repubblica di Weimar.

Il fatto infastidì infatti gli accademici conservatori, in particolare Philipp Lenard (1862-1947), premio Nobel nel 1905 per gli studi sui raggi catodici, che, come si vedrà, manifestò in questa occasione tutte le sue tendenze ultra-reazionarie, che lo avrebbero portato ad aderire molto presto al partito nazista. Durante il nazismo, ormai professore emerito, Lenard sarebbe stato un convinto sostenitore dell'idea che la Germania dovesse appoggiarsi solo sul lavoro dei fisici tedeschi, ignorando le ingannevoli idee dei fisici ebrei. Consigliere di Hitler, egli divenne guida della fisica ariana sotto il regime, finché nel 1945, conclusa la guerra, fu privato del titolo di professore emerito ed espulso dall'Università di Heidelberg.

Philipp Lenard
Einstein sperimentò le amare conseguenze della fama planetaria recentemente acquisita nell’estate del 1920: in agosto, nel grande auditorium della Filarmonica di Berlino (che poteva contenere più di 1600 persone), fu organizzata una serie di conferenze che lo denunciavano come impostore e propagandista, in settembre, in un convegno della Società degli Scienziati e Fisici Tedeschi a Bad Nauheim, fu coinvolto in un acceso dibattito con Lenard su alcuni aspetti fondamentali della teoria della relatività.

Tra i due eventi, il 27 agosto 1920, la prima pagina del Berliner Tageblatt, un quotidiano di ampia diffusione della capitale, riportava un amaro giudizio di Albert Einstein: “Sotto il pomposo nome di Arbeitsgemeinschaft deutscher Naturforscher [Società di Lavoro degli Scienziati Tedeschi], si è organizzato un variegato insieme di persone il cui scopo sembra quello di screditare, agli occhi dei profani, la teoria della relatività e me in quanto suo assertore… Ho buone ragioni per credere che motivi diversi dalla ricerca della verità siano all’origine dell’affare. (Se fossi un nazionalista tedesco, con o senza svastica, invece di un ebreo con idee liberali cosmopolite, allora…)”.

Paul Weyland
La campagna contro Einstein era iniziata il 6 agosto, con un ingiurioso articolo sul quotidiano berlinese Tägliche Rundschau: “Il signor Alberto Magno è risorto, ha rubato il lavoro di altri e ha matematizzato la fisica a un livello tale che i colleghi fisici sono stati resi ignoranti”. Inoltre, continuava l’articolo, “Einstein ha intrapreso una campagna che ha gettato un incantesimo sia sul pubblico sia sui circoli accademici, ma in realtà la relatività non è altro che frode e fantasia”. L’autore dell’articolo era Paul Weyland (1888-1972), oscuro pubblicista di estrema destra e abile agitatore politico, uno dei più loschi prodotti della Berlino del dopoguerra.

Gran parte delle accuse di Weyland non erano nuove, ma erano state mosse per primo da Ernst Gehrcke (1878-1960), fisico ottico e spettroscopista di spicco del prestigioso Istituto Imperiale Fisico-Tecnico, che aveva già criticato la teoria di Einstein nel 1911. Weyland aveva attinto anche alle obiezioni più sostanziali di Lenard contro la teoria di Einstein, che erano state pubblicate nel 1918. Einstein aveva risposto immediatamente alle critiche di Lenard, ma Weyland sosteneva che erano rimaste senza replica.

La copertina agiografica del Berliner Illustrirte Zeitung
In realtà di nuovo c’erano il tono oltraggioso dell’articolo di Weyland e il carattere pubblico delle sue accuse. Nuova era anche la loro natura sottilmente antisemita: Weyland dichiarava che Einstein godeva di “una stampa particolare, una comunità particolare” che continuava ad alimentare storie in suo favore presso il pubblico. Un’allusione abbastanza chiara. Il liberale Berliner Tagblatt era pubblicato da Rudolf Mosse, un ebreo assai conosciuto, ed era chiamato nei circoli antisemiti Judenblatt, il “giornale degli ebrei”. Nel 1919 aveva pubblicato un articolo in cui annunciava i risultati della spedizione inglese condotta da Eddington con un iperbolico elogio che giungeva al punto di dichiarare che “una verità più alta, oltre Galileo e Newton, oltre Kant”, era stata rivelata “da un oracolo che parla dalla profondità dei cieli”. Il suo autore, Alexander Moszkowski, era anch’egli ebreo e buon conoscente di Einstein. Oltre a ciò, lo stesso Einstein aveva pubblicato una breve nota sui risultati della spedizione inglese in Die Naturwissenschaften, un noto periodico diretto da un altro ebreo, Arnold Berliner. Infine, il 14 dicembre 1919, la copertina del Berliner Illustrirte Zeitung portava una grande fotografia in primo piano di Einstein, con la didascalia “Una nuova eminenza nella storia del mondo: Albert Einstein, le cui ricerche rappresentano una completa rivoluzione della nostra comprensione della natura e le cui intuizioni uguagliano in importanza quelle di Copernico, Keplero e Newton”. Questa rivista era stata fondata da Leopold Ullstein, un altro ebreo berlinese. A Weyland tutto ciò bastava per rivelare i metodi di Einstein: se la “Scienza tedesca” aveva deciso di serrare i ranghi e di mobilitarsi contro Einstein, di “regolare i conti”, egli doveva rimproverare solo se stesso. Come si vede, i toni e le argomentazioni della propaganda reazionaria e fascista non cambiano con il passare degli anni e delle stagioni politiche, potendo ritrovarsi anche nell’Italia del secondo millennio.

L’11 agosto 1920, cinque giorni dopo che l’articolo di Weyland era comparso sul Tägliche Rundschau, Max von Laue (1879-1960), un altro premio Nobel, amico e collega di Einstein a Berlino, rispose allo stesso giornale smentendo categoricamente che Einstein avesse plagiato il lavoro di altri e sostenendo con forza che egli meritava pienamente la stima accordatagli dai suoi colleghi fisici. Von Laue espresse le sue obiezioni personali alle critiche di Lenard sulla teoria della relatività che Weyland aveva riportato. Lo stesso Weyland gli rispose immediatamente, annunciando che si sarebbe tenuta una serie di conferenze che avrebbero smascherato Einstein. In effetti, il Der Tag e il Tägliche Rundschau annunciarono venti conferenze, organizzate dalla Società di Lavoro degli Scienziati Tedeschi per la Salvaguardia della Pura Scienza, che si sarebbero tenute nel grande salone della Filarmonica di Berlino a partire dal 24 agosto, con Weyland and Gehrcke come primi conferenzieri. A quanto pare, la fantomatica associazione di scienziati poteva contare come unico aderente lo stesso Weyland, che l’aveva chiaramente inventata per dare una patina di autorevolezza scientifica alle sue idee.

Berlino, 1920
Tali tattiche meschine non sono sorprendenti alla luce delle credenziali politiche di Weyland. Egli era un attivista del Partito Nazionale del Popolo Tedesco (Deutschnationale Volkspartei, DNVP), un partito di estrema destra i cui membri andavano da conservatori nazionalisti a veri e propri esaltati razzisti. Più tardi, in ottobre, Weyland pubblicò un articolo sul giornale di destra Deutsche Zeitung, nel quale criticava la posizione del partito sulla “questione ebraica”, che a suo giudizio era troppo moderata. Lo storico e fisico Hubert Goenner ritiene che Weyland intraprese la sua campagna contro Einstein proprio per propiziarsi l’appoggio dei diversi gruppi della destra più estrema con i quali era in rapporto. Ad ogni modo egli riuscì a far credere a Einstein di avere l’appoggio di un certo numero di fisici.

Come annunciato da Weyland, il 24 agosto 1920, egli tenne la sua sfuriata demagogica nella sede della Filarmonica: “Meine Damen und Herren! Difficilmente nella scienza un sistema scientifico è stato più fondato da una campagna di propaganda come nel caso del principio della relatività generale, che a un esame più approfondita rivela di aver bisogno di prove”. Egli proseguiva fornendo una serie di esempi di quella che chiamava la Einsteinpress, scagliandosi soprattutto contro la relazione dei risultati della spedizione di Eddington fatta dal Naturwissenschaften e sbeffeggiando gli azzardati paragoni con Copernico, Keplero e Newton fatti dagli altri giornali della “cricca” di Einstein. Lo stesso scienziato veniva criticato per non aver detto una parola per porre fine a questa “ondata di glorificazione e ammirazione” fomentata dalla stampa in “certe mani”. Tutto ciò provava che la teoria della relatività era solo moda e propaganda.

Weyland sostenne che Einstein era ricorso ai metodi della propaganda quando la critica accademica si era fatta troppo spavalda. Tutto ciò era una conseguenza del declino morale e intellettuale della società tedesca, che era favorito e condizionato da “una certa stampa”. Questa decadenza aveva “attirato ogni tipo di avventurieri, non solo nella politica, ma anche nelle arti e nelle scienze”. Infatti, la teoria di Einstein era stata “gettata alle masse” nello stesso identico modo in cui i “signori dadaisti” promuovevano i loro prodotti, che, come la relatività, ben poco avevano a che fare con l’osservazione della natura. Weyland concludeva dicendo che nessuno doveva sorprendesi, pertanto, della nascita di un movimento per combattere questo “dadaismo scientifico”.

Einstein era presente alla conferenza di Weyland e sembrò tranquillo, anche se in realtà era rimasto fortemente turbato. Ernst Gehrcke parlò dopo Weyland. Anch’egli sostenne che la relatività non era altro che “ipnosi scientifica di massa”, era inconsistente, portava al solipsismo e non era confermata dall’osservazione, ma almeno lo fece senza inveire e infiammarsi. Ad Einstein fu completamente chiaro che i suoi oppositori erano motivati politicamente. Secondo una testimonianza, in sala furono distribuiti opuscoli antisemiti, e secondo un’altra, si vendevano spille con la svastica. Era in vendita anche il libretto anti-relativistico di Lenard che, non stranamente, era previsto come uno dei venti futuri conferenzieri della serie. Weyland era andato a trovare Lenard all’Università di Heidelberg ai primi d’agosto, e la corrispondenza di Lenard rivela che egli era affascinato da questo giovane focoso che “vuole combattere [Einstein] sistematicamente come non-tedesco”. Alla fine, tuttavia, Lenard decise di non farsi troppo coinvolgere da Weyland e la sua conferenza alla Filarmonica di Berlino fu annullata.

Immagine del tentato Putsch di Kapp

L’attacco a Einstein non era affatto un incidente isolato, ma faceva parte di un disegno molto più vasto nella Germania del tempo. La nuova Repubblica di Weimar era in una situazione incerta. Nel marzo 1920, il fallito Putsch del reazionario Kapp aveva tentato di abbattere il governo del socialdemocratico Friedrich Ebert, e aveva dato origine a un’ondata di violenze della destra estrema che nell’estate si indirizzò non solo contro i militanti dell’estrema sinistra, ma più in generale contro i pacifisti e tutti quanti erano accusati di essere “traditori della Germania”. Così, velate minacce di morte furono indirizzate sulla stampa di estrema destra contro il fisico fisiologo e pacifista Georg Friedrich Nicolai (1874-1964). Einstein aveva preso posizione in favore di Nicolai, ma le lezioni di entrambi all’università di Berlino erano state interrotte dagli squadristi.

L’iniziativa contro Einstein alla Filarmonica di Berlino aveva avuto una grande eco sulla stampa berlinese. Il 27 agosto Einstein rispose indignato alla campagna di Weyland nell’articolo sopra citato sul Berliner Tageblatt, dirigendo la sua penna affilata non solo contro Weyland, ma anche contro Gehrcke e Lenard. Circolarono immediatamente voci sulla volontà di Einstein di abbandonare Berlino e la Germania.

Nei giorni successivi giunsero al giornale da tutta la Germania molte lettere di sdegno per la campagna diffamatoria di Weyland e in favore di Einstein, deprecando che la scienza fosse coinvolta in basse manovre politiche e testimoniando che la teoria della relatività godeva del favore della maggioranza della popolazione. Einstein, in quanto “scienziato tedesco”, era invitato a non abbandonare la patria, anche perché la nazione non si trovava nella stessa agitata situazione della capitale.

Einstein aveva pensato di lasciare la Germania perché riteneva che Weyland godesse di un grande sostegno presso i circoli scientifici. Al contrario, molti colleghi gli si strinsero attorno. I giornali di Berlino già avevano riportato dichiarazioni in suo favore da parte di colleghi e amici come il premio Nobel del 1914 Max von Laue. Altri, come Max Planck, gli avevano scritto personalmente per invitarlo a non abbandonare il paese. Paul Ehrenfest, amico stretto di Einstein e professore a Leida, gli assicurò che, in caso di abbandono della Germania, per lui era pronta una cattedra in Olanda. Ehrenfest disse anche che la nota di risposta sul Berliner Tageblatt era stata un errore, così poco einsteniana nello stile da fargli pensare che “quei maiali” erano riusciti a turbarlo profondamente.

Arnold Sommerfeld
Anche Arnold Sommerfeld (1868-1971), presidente della Società Tedesca di Fisica (DPG), scrisse ad Einstein, pregandolo di non “ammainare la bandiera“ e informandolo dei suoi progetti per l’imminente congresso della Società degli Scienziati e Fisici Tedeschi a Bad Nauheim. Egli intendeva chiedere al presidente, il medico internista di Monaco Friedrich von Müller, di prendere posizione contro la demagogia nel suo discorso introduttivo. Inoltre, stava cercando di mediare tra Einstein e Lenard, condizione indispensabile dati gli attriti nella DPG tra i liberali membri di Berlino e coloro che non risiedevano nella capitale, in particolare, oltre a Lenard, gli altri premi Nobel, l’ultranazionalista Johannes Stark, e il conservatore Wilhelm Wien. Il congresso, diceva Sommerfeld, avrebbe dovuto discutere anche di una riforma della Società.

Stark e Lenard erano di estrema destra e decisamente contrari alla Repubblica di Weimar, Wien era assai critico, mentre Einstein era favorevole e in rapporti personali con il Ministro dell’Educazione Konrad Haenisch. Il dibattito sulla riforma della DPG era alimentato sia dalle tensioni tra il centro e la periferia, sia dalle divisioni politiche, rappresentate ai due estremi da Lenard e Einstein.

Einstein prese tempo prima di rispondere agli inviti a rimanere, finché si decise. Haenisch ricevette l’8 settembre la lettera di Einstein che gli comunicava che non lasciava Berlino. A Sommeferld confessò due giorni più tardi che forse sarebbe stato meglio non scrivere la nota sul Berliner Tageblatt, ma egli non aveva voluto dare l’impressione che il suo silenzio fosse considerato come ammissione di colpa. Einstein espresse il suo rammarico anche a Ehrenfest, con la stessa motivazione. Egli era convinto che la campagna contro la relatività stava fallendo e disse che non aveva “alcuna intenzione di ammainare la bandiera”, come Sommerfeld aveva temuto. In effetti, delle venti promesse da Weyland, si tenne una sola altra conferenza alla Filarmonica, il 2 settembre, tenuta dall’ingegnere Ludwig Glaser, mentre il secondo discorso della serata, che doveva essere tenuto dal filosofo Oskar Kraus, era stato annullato. Stava diventando palese a Einstein e ai suoi amici che la Società di Weyland non doveva poi contare su tanti aderenti. Fallì anche il tentativo di coinvolgere nell’iniziativa anti-relativistica l’olandese Willem Julius, un conoscente di Einstein che all’inizio dell’anno aveva presentato un articolo in cui metteva in dubbio le osservazioni del redshift gravitazionale.

L’insuccesso di Weyland non deve tuttavia ingannare sulla reale consistenza del movimento di opinione contro la relatività in Germania. Esso poteva contare, oltre che sugli accademici conservatori che criticavano l’abbandono dell’etere o della natura assoluta del tempo, sui filosofi che trovavano nell’edificio eretto da Einstein troppo poco spazio per le loro prospettive metafisiche, anche su un numero consistente di dilettanti e invasati “scientifici”, che ritenevano di avere una loro soluzione per i misteri dell’universo e consideravano Einstein un rivale. Per questi gruppi, tra i quali erano numerose le persone che, secondo lo spirito del tempo, avevano abbracciato dottrine esoteriche, la politica non era la motivazione fondamentale, anche se poteva diventare uno stimolo alla mobilitazione contro colui che consideravano una minaccia per il loro sistema di pensiero. Come aveva detto Weyland con fini inconfessabili, era stato Einstein ad attaccarli, e non viceversa.

L’esperienza vissuta aveva convinto con ragione Einstein che il pericolo più grande per lui veniva dalla politica. In una lettera del 12 settembre 1920 all’amico e collaboratore Marcel Grossmann, si lamentava della situazione con queste parole: “Il mondo è una gabbia di matti. Al giorno d’oggi, ogni vetturino, ogni cameriere, discute se la teoria della relatività è corretta. L’opinione in proposito dipende dall’affiliazione a un partito politico oppure a un altro”.
La sede del congresso della DPG a Bad Nauheim
La provvisoria serenità del fisico di Ulm sarebbe durata ben poco. Il 20 settembre 1920, il presidente Friedrich von Müller aprì l’86° congresso della Società Tedesca di Fisica a Bad Nauheim e, sebbene criticasse “le assemblee popolari con slogan demagogici” che erano state organizzate contro Einstein a Berlino, egli diede sfogo ai suoi sentimenti fortemente nazionalisti, che furono calorosamente accolti dalla platea. Né fu von Müller il solo ad esprimere le sue opinioni reazionarie. I dibattiti sulla riorganizzazione della DPG, durante i quali si distinse Wien, contribuirono a creare un’atmosfera tesa e decisamente sfavorevole a Einstein.

Nella sua nota pubblicata sulla stampa egli aveva sfidato i suoi oppositori al dibattito in quella sede. E, nei mesi precedenti la campagna organizzata da Weyland contro di lui, aveva proposto di tenere una discussione generale sulla relatività a Bad Nauheim invece di tenervi una lectio. Ora, tuttavia, dopo gli avvenimenti di Berlino, tutti, compresi i giornalisti di tutto il paese, si aspettavano un sensazionale Einsteindebatte. Dalle cinque alle seicento persone affollavano la sala congressi, che era già piena un’ora prima dell’inizio dei lavori, previsto per le nove, e fu difficile poter accogliere i partecipanti di diritto. Il pubblico dovette aspettare almeno altre quattro ore prima che il dibattito vero e proprio iniziasse e che durò soltanto quindici, infuocati minuti.

Principio di equivalenza
Sfortunatamente non esiste un verbale completo del “duello” tra Einstein e Lenard. Non si fece alcuna trascrizione letterale e i resoconti, per quanto abbastanza dettagliati, sono talvolta contraddittori e spesso carenti in più punti. Ad ogni modo, le diverse fonti concordano nel dire che la più importante obiezione mossa da Lenard fu la contestazione che Einstein avesse bisogno di campi gravitazionali fittizi per assicurare la validità del suo principio di equivalenza, secondo il quale un osservatore solidale con una massa in moto non è in grado di distinguere un'accelerazione dovuta a una forza esterna da quella prodotta da un campo gravitazionale. Per illustrare questo principio, Einstein aveva proposto l'esperimento mentale di immaginare un ascensore spaziale che trasporta l'osservatore e altri oggetti. Se l'ascensore è spinto da una forza esterna, l'osservatore e gli oggetti sentiranno un'accelerazione e inizieranno a muoversi verso l'alto o verso il basso. Analogamente, in presenza di un campo gravitazionale fuori dall'ascensore, le loro masse saranno spinte in qualche direzione, esattamente come accade quando sono accelerate da una forza esterna. Dall'interno dell'ascensore, l'osservatore non può stabilire se al di fuori c'è una forza che determina un’accelerazione sui corpi o una massa in quiete che li attrae.

Lenard contrappose il caso di un treno in frenata. Se, secondo il principio di equivalenza, il rallentamento del treno è equivalente all’effetto di qualche campo gravitazionale, allora quali masse avrebbero generato tale campo? Einstein rispose che il campo gravitazionale responsabile del rallentamento del treno è una soluzione perfettamente valida delle equazioni di campo per una certa configurazione di masse distanti, vale a dire per un insieme appropriato di condizioni limite. Lenard replicò che ciò dava una spiegazione di una valida ragione con un argomento puramente formale. Egli riteneva che la relatività violasse la comprensione intuitiva dei fisici, principalmente perché aveva abbandonato il concetto di etere. Einstein allora sottolineò che le intuizioni dei fisici erano sempre cambiate nel corso del tempo.

Bad Nauheim oggi

Alcuni articoli di quotidiani evidenziarono che i punti di vista erano stati scambiati in modo del tutto obiettivo. Un giornalista ritenne persino che una “calma esemplare” era prevalsa durante il dibattito. Malgrado ciò, le tensioni stavano salendo. Paul Weyland era presente, ma mantenne un basso profilo. Einstein e sua moglie Elsa furono profondamenti scossi dalla tensione della polemica: Elsa cadde in una forma di depressione. Il fisico sperimentale viennese Felix Ehrenhaft affermò in seguito che dovette accompagnare per una passeggiata nel parco un Einstein assai scosso dopo la disputa. Più tardi in serata essi non se la sentirono di affrontare la compagnia degli altri fisici.

Sia Einstein che Lenard abbandonarono la conferenza fortemente turbati. Lenard rinunciò alla sua iscrizione alla DPG (e più tardi negò l’ammissione nel suo ufficio all’Università di Heidelberg agli iscritti). Più tardi dichiarò che Einstein era in stretto contatto con Mosca, e che aveva tentato di intimidire gli oppositori della relatività con lettere minatorie. Tutti i tentativi di riconciliazione fallirono e anzi, da quel momento, l’antagonismo di Lenard verso Einstein crebbe fino alla sua scelta nazionalsocialista e all’ideologia razzista della Deutsche Physik.

Dopo gli eventi di quella fine estate, Einstein e il suo gruppo di amici divennero assai attenti alle conseguenze negative del successo e dell’esposizione mediatica. Quando Alexander Moszkowski, il giornalista del paragone con i grandi della fisica, annunciò l’imminente pubblicazione di un libro basato sulle sue conversazioni con Einstein, egli, Max Born e la moglie di questi tentarono senza successo di fermarne l’uscita, perché esso avrebbe potuto ridare fiato alle accuse di Weyland di vergognosa autopromozione.

Tuttavia, a dispetto di tutte le difficoltà, Einstein rimase in Germania, rifiutando le possibilità che gli venivano offerte di trasferirsi all’estero. Lo fece nonostante la pubblicità sui giornali, nonostante le idee reazionarie e nazionaliste della maggioranza degli accademici tedeschi, nonostante l’inflazione galoppante del dopoguerra, nonostante la situazione politica molto incerta e la povertà crescente del paese. Einstein rimase soprattutto perché sentiva intorno a sé il calore degli amici ed estimatori, temendo che una sua partenza fosse considerata come un tradimento. Così scriveva all’amico Marcel Grossmann: “Qui la gente farà ogni tentativo per trattenermi. In parte perché mi vogliono qui per ragioni personali e per il mio prestigio, ma soprattutto perché sono diventato un idolo a causa del clamore della stampa. Ho un ruolo simile a quello delle ossa di un santo nella chiesa di un convento. La mia partenza sarebbe percepita come una battaglia perduta”.

Jeroen van Dongen (2011). Reactionaries and Einstein's Fame: "German Scientists for the
Preservation of Pure Science," Relativity, and the Bad Nauheim Meeting Physics in Perspective, 9 (2007), 212-230 arXiv: 1111.2194v1


Jeroen van Dongen (2011). On Einstein's opponents, and other crackpots Studies in History and Philosophy of Modern Physics, 41 (2010), 78-80 arXiv: 1111.2181v1

sabato 19 novembre 2011

Per la scuola pubblica


Un invito alle anime belle che scoprono oggi certe storture e privilegi e pensano che il mondo sia nato con loro. Un invito a scoprire la straordinaria attualità di uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento, morto in una prigione fascista (fu liberato ormai moribondo) a causa delle sue idee: Antonio Gramsci, un comunista (è meglio appuntarsi questa parola, che presto tornerà di moda).

“I clericali parlano spesso e volentieri di libertà della scuola. Ma non si ingannino i lettori. La parola libertà acquista nelle loro bocche un significato tutto suo che non coincide affatto col concetto che della libertà possono avere gli uomini pensanti che non sono clericali. Libertà della scuola significa propriamente per i clericali libertà di essere asini col godimento di tutti i diritti che sono riconosciuti a chi ha studiato. È questa formula «Per la libertà della scuola», una bellissima bandiera che copre una lucrosissima speculazione economica e di setta.

Le scuole private clericali sono floridissime in Italia. Nessuna legge ne inceppa lo sviluppo e la libera esplicazione. Esse possono fare la concorrenza che vogliono alla scuola di Stato. Se sono migliori, se danno ai frequentatori una istruzione migliore di quella che sia possibile trovare nelle scuole pubbliche, esse possono moltiplicarsi all'infinito, possono far pagare le rette che vogliono. Lo Stato riconosce il diritto di comprare la merce «istruzione» dove si vuole.

Ma la merce «istruzione» vale poco in Italia, quantunque costi discretamente. Ciò che vale è la merce «titolo», che viceversa costa pochissimo. E qui incominciano i dolori clericali. Lo Stato tiene il cartello per la merce «titolo». Chi ha «titoli» di studio, li vende specialmente allo Stato, il quale li compra ad occhi chiusi, per ciò che riguarda il loro effettivo valore, ma vuole riservarsi il più assoluto controllo per ciò che riguarda la loro provenienza. Lo Stato, insomma, è sempre disposto a comprare titoli di studio, ma pretende che essi siano stati emessi da uno dei suoi istituti accreditati.

Abbiamo usato un linguaggio economico appunto per mettere meglio in vista il fatto che la questione per cui si agitano i clericali è prettamente economica. Essi vorrebbero vendere allo Stato quanto più merce avariata possono. Vorrebbero conquistare una libertà che sarebbe solo un privilegio per loro, un privilegio per gli studenti che frequentano le loro scuole, a danno della collettività. Non si accontentano di battere moneta che, passando attraverso il controllo degli enti statali, è riconosciuta di corso legale; vorrebbero anche battere moneta falsa, molta moneta falsa, allagarne tutto il mercato italiano, e hanno la pretesa che lo Stato dia anche ad essa corso legale, la accrediti presso le sue Amministrazioni, la accrediti presso le Amministrazioni private, che hanno tuttora la mania di scontare solo valori di Stato. Questa speculazione losca di baratteria i clericali la chiamano «libertà della scuola».”

(da Avanti!, anno XXI, n. 102, 13 aprile 1917, cronache torinesi)


“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.

(da L'Ordine Nuovo, anno I, n. 1, 1° maggio 1919)


“Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza”.

(da Quaderni dal Carcere, 12 (XXIX): 1932. Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali)

lunedì 14 novembre 2011

Mamma Oca e la scienza moderna


Mamma Oca è una vecchia palmipede che veste alla contadina, con un grembiule variopinto e il cappellaccio in testa, e che da secoli è conosciuta per la sua grande abilità di raccontare favole, filastrocche e nonsense ai bambini. Di origini francesi (il primo accenno all’esistenza di ma mère l'Oye è del 1626), è stata celebrata da Jacques Perrault il quale, nel 1695, riportò per iscritto una serie di fiabe nelle Histoires ou contes du temps passés, avec des moralités, meglio conosciute con il sottotitolo Contes de ma mère l'Oye, tra le quali ne troviamo alcune che sarebbero diventate immortali come Cenerentola, Il Gatto con gli stivali o Barbablù. Ben presto la sua fama ha varcato la Manica, giungendo in Inghilterra dove, con il nome di Mother Goose, si è specializzata nelle ninnenanne e filastrocche per bambini che là chiamano nursery rhymes e che spesso le vengono attribuite, anche se in realtà appartengono alla tradizione popolare e sono molto più antiche. La pubblicazione di Mother Goose's Melody, or, Sonnets for the Cradle (1765) da parte di John Newbery costituisce la prima raccolta scritta di molte di quelle poesiole tradizionali, ancora in uso al giorno d’oggi, come ad esempio Little Jack Horner, le cui origini si fanno risalire al regno di Enrico VIII (l’asterisco indica quando l’adattamento è mio):


*Il piccolo Giannuccio
sedeva in un cantuccio
mangiando il panettone:
ci mise dentro un dito,
ci estrasse un candito
dicendo “Sono un cannone!”

Il periodo di maggior successo della nostra beccuta contastorie è stato il secolo XIX, durante il quale la sua fama si è estesa in Germania, negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo. Nel 1803, in una raccolta attribuita a Mamma Oca, faceva il suo esordio un personaggio che avrebbe fatto carriera grazie a Lewis Carroll e al suo Alice nel paese delle meraviglie, l’uovo parlante Humpty Dumpty:


Humpty Dumpty sul muro sedeva,
Humpty Dumpty dal muro cadeva.
Tutti i cavalli e i soldati del re
non riuscirono a rimetterlo in piè.

Due anni dopo (1805), in Songs for the Nursery, veniva pubblicata per la prima volta la storiella di Little Miss Muffet che ha paura dei ragni:


*La signorinella Gina
sedeva su una panchina
mangiando siero e cagliata;
quando un ragnaccio sbucò
e accanto a lei si sistemò
e la povera Gina fu spaventata.

Nel 1842 James Halliwell-Phillipps, studioso scespiriano e raccoglitore filastrocche popolari, diede alle stampe Nursery Rhymes of England, in cui la nostra Mother Goose racconta la storia di Solomon Grundy:

Solomon Grundy,
Born on a Monday,
Christened on Tuesday
Married on Wednesday,
Took ill on Thursday,
Grew worse on Friday,
Died on Saturday,
Buried on Sunday.
That was the end of
Solomon Grundy.

Solomon Grundy,
nato di lunedì,
battezzato di martedì,
sposato di mercoledì,
ammalatosi di giovedì,
peggiorato di venerdì,
morto di sabato,
sepolto di domenica.
Questa è la fine di
Solomon Grundy.

Che a me ricorda molto una filastrocca italiana, anch’essa basata giorni della settimana, che mi racconta spesso mia moglie e che mi sembra più vicina allo spirito di Mamma Oca:


Lunedì chiusin chiusino
martedì bucò l'ovino
uscì fuor mercoledì
pio pio fe’ giovedì
venerdì fu un bel pulcino
beccò sabato un granino
la domenica mattina
avea già la sua crestina.

All’inizio del Novecento, Mamma Oca godeva di un indiscusso prestigio internazionale, tanto da informare di sé lo spirito e la memoria di ogni buon anglosassone e da essere celebrata in Francia da Maurice Ravel, il quale si ispirò principalmente ai racconti di Perrault per la suite in cinque parti Ma Mère l'Oye, inizialmente composta per pianoforte a quattro mani (1908) e poi adattata per orchestra (1920). Per la mia generazione Mother Goose è il titolo di un brano dei Jethro Tull, dal loro album capolavoro Aqualung (1971), nel quale gli incontri di una passeggiata in città ricordano al protagonista personaggi e situazioni delle filastrocche udite da bambino:



Nel Novecento la storia di Mamma Oca si mescola (o si contamina: è questione di punti di vista) con le vicende del mondo che cambia e ne viene influenzata. Le filastrocche per bambini della narratrice pennuta si modernizzano e si aprono alle novità scientifiche e tecnologiche della società moderna, come l’automobile o l’aeroplano.


La prima versione dell’era spaziale dei racconti di Mamma Oca è senz’altro la curiosa raccolta Space Child's Mother Goose, pubblicata presso Simon and Schuster nel 1958. I versi, fintamente infantili e molto scientifici, sono di Frederick Winsor, che morì proprio quell’anno all’età di 58 anni, e le illustrazioni, eleganti e intricate, sono di Marian Parry. Le filastrocche, in gran parte parodie di testi tradizionali, sono gradevoli come opere in se stesse, ma acquistano maggiore fascino se considerate dal punto di vista della matematica e della fisica, delle quali sono un simpatico esempio di narrazione umoristica. I temi trattati sono quelli che più appassionavano l’opinione pubblica in un periodo di grandi speranze riposte nell’esplorazione dello spazio, ma toccano argomenti vari, tra i quali la topologia e la fisica nucleare. Di seguito presento una piccola selezione:



Little Jack Horner
Sits in a corner
Extracting cube roots to infinity,
An assignment for boys
That will minimize noise
And produce a more peaceful vicinity.

*Il piccolo Giannuccio
sedeva in un cantuccio
estraendo radici cubiche a perdifiato.
Un compito per ragazzi
che riduce gli schiamazzi
e ci dà un più tranquillo vicinato.


Solomon Grundy
Walked on Monday
Rode on Tuesday
Motored Wednesday
Planed on Thursday
Rocketed Friday
Spaceship Saturday
Time Machine Sunday
Where is the end for
Solomon Grundy?

*Solomon Grundy
a piedi il lunedì,
in bici il martedì,
in auto di mercoledì,
con l’aereo di giovedì,
con il razzo il venerdì,
in astronave di sabato,
con la macchina del tempo la domenica.
Dove si fermerà mai
Solomon Grundy?


Three jolly sailors from Blaydon-on-Tyne
They went to sea in a bottle by Klein.
Since the sea was entirely inside the hull
The scenery seen was exceedingly dull.

*Tre allegri marinai di Blaydon-on-Tyne
andavano per mare in una bottiglia di Klein.
Finché tutto il mare non entro nell’imbarcazione
lo spettacolo non regalava alcuna emozione.



Little Miss Muffet
Sits on her tuffet
In a nonchalant sort of a way.
With her force field around her
The spider, the bounder,
Is not in the picture today.

*La signorinella Gina
siede su una panchina
con grande disinvoltura.
Col suo campo di forza attorno
il ragno che l’atterrì un giorno
oggi non è nella figura.


Flappity, Floppity, Flip!
The Mouse on the Möbius strip.
The strip revolved
The mouse dissolved
In a chronodimensional skip.

*Gira, giro, girotondino!
Sul nastro di Möbius il topolino.
Il nastro s’è avvolto,
il topo s’è dissolto
in un cronodimensionale saltino.


Probable-Possible, my black hen,
She lays eggs in the Relative When.
She doesn't lay eggs in the Positive Now
Because she's unable to Postulate How.

*Probabile/possibile, la mia gallina nera,
depone le uova nel Quando relativo.
Non depone uova nell’Adesso positivo
perché non sa concepire in che maniera.