domenica 6 novembre 2011

I sette soli di Roma

Alcuni dei più spettacolari fenomeni ottici dell’atmosfera accadono quando la luce solare incontra formazioni di cirri ad altitudini di 5-10 km nella parte superiore della troposfera. Tali nubi sono formate da cristalli di ghiaccio, che si comportano come prismi, riflettendo e rifrangendo la luce solare tra le loro facce, emettendo luce in direzioni particolari che dipendono in gran parte dalla loro geometria.


Ne può risultare la formazione di aloni bianchissimi che, a causa della scomposizione della luce bianca nei colori fondamentali, presentano una sfumatura rossastra all'interno e violetta all'esterno; l'area di cielo interna all'alone è generalmente più scura si quella esterna.


Talvolta, invece dell’alone o della corona, si formano archi di ghiaccio, che appaiono come archi di cerchio luminosi che circondano il Sole quando esso è basso sull’orizzonte, cioè poco dopo l’alba e poco prima del tramonto (alcune volte essi presentano anche degli archi tangenti rovesciati a causa della riflessione). Le sezioni più luminose dell’arco appaiono alla stessa altezza del Sole (ma anche sopra e sotto), a circa 22° di distanza da esso. In alcuni casi, queste aree, chiamate cani solari o pareli (gr. parà èlios = intorno al sole) sono talmente luminose da sembrare dei falsi soli, per cui il cielo sembra illuminato da più astri, che si allontanano da esso e si indeboliscono al crescere della sua altezza. I cristalli di ghiaccio all’origine di questo fenomeno hanno la forma di piatti esagoni disposti orizzontalmente di dimensioni che variano da 0,5 a 1 mm. Questi cristalli rifrangono la luce del sole in molte direzioni, ma con un angolo di deviazione minimo di circa 158°, che causa la formazione di pareli a circa 22° gradi dal Sole.


I pareli sono fenomeni abbastanza comuni nelle fredde giornate invernali, anche se solo raramente assumono le caratteristiche di spettacolarità che li fanno notare. Quando succede, oggi si fanno bellissime fotografie, un tempo si redigevano cronache sospese tra la meraviglia e il timore.


Diodoro Siculo (I sec. a.C), nella Biblioteca Storica (XVII, 7), ne fa cenno parlando del monte Ida nella Troade: “Su questo monte avviene qualcosa di particolare e di straordinario. (…) si vede il sole levarsi, e non disegna i raggi secondo una figura circolare, ma ha la fiamma suddivisa in molte direzioni, così che si ha l'impressione che molti fuochi tocchino l'orizzonte della terra”. Il suo contemporaneo Cicerone parla di un parelio in un passo del De Repubblica: (…) cosa ci sia di vero su questo secondo Sole di cui si è parlato al Senato? Infatti non sono né pochi né sciocchi coloro che dicono di aver visto due soli, tanto che non si tratta più di non avere fede, quanto di cercare una ragione”. Bellissima la conclusione del razionalista Cicerone il quale, di fronte a un fenomeno inspiegabile, non invoca improbabili potenze divine, ma invita a “cercare una ragione”.

Un’attestazione più recente arriva dal predicatore anabattista sudtirolese Jacob Hutter († 1536), il quale, in una lettera inviata nel novembre 1533 da Auspitz, in Moravia, fornisce la prima sicura descrizione di un parelio: “Mio amatissimo bambino, voglio raccontarti che nel giorno seguente la partenza dei nostri fratelli Kuntz e Michel, in un venerdì, vedemmo tre soli nel cielo per un bel po' di tempo, circa un'ora, così come due arcobaleni. Questi avevano le loro parti esterne vicine l'una all'altra, quasi a contatto nel mezzo, e le loro estremità orientate in direzioni opposte. E questo io, Jakob, l'ho visto con i miei occhi, e molti fratelli e sorelle l'hanno visto con me. Dopo un po' i due soli e gli arcobaleni sono scomparsi, ed è rimasto l'unico Sole. Sebbene gli altri due soli non fossero luminosi quanto il primo, erano chiaramente visibili. Sento che questo è stato un miracolo non da poco”.

Una splendida testimonianza pittorica è fornita dal più antico dipinto di Stoccolma, che è anche la prima raffigurazione di un parelio, avvenuto il 20 aprile 1535, quando per circa un’ora il cielo della città fu attraversato da archi e cerchi bianchi e comparvero più soli contemporaneamente. Il dipinto, il Vädersolstavlan (sv. “dipinto del cane del sole”), fu ordinato dal cancelliere svedese e intellettuale luterano Olaus Petri per documentare l’evento e mettere fine alle voci che lo volevano un presagio della vendetta divina perché il re Gustavo I Vasa aveva introdotto il protestantesimo nel paese. L’originale, attribuito ad Urban Målare, è andato perduto, ma si può ammirare una copia fedele fatta da Jacob Heinrich Elbfas nel 1636.


Un fenomeno atmosferico che può essere ricondotto a un parelio avvenne il 24 gennaio 1630 a Roma, dove comparvero addirittura sette soli. Naturalmente molti osservatori lo considerarono un presagio celeste, ma ci fu anche chi se ne interessò dal punto di vista scientifico. Lo studioso gesuita Christoph Scheiner, docente di matematica e astronomia a Roma dal 1624 al 1633, che fu uno dei primi astiosi contestatori del primato di Galileo nell’osservazione delle macchie solari, registrò il fenomeno, assieme a un altro simile visto dieci mesi prima, senza tuttavia cercare di darne una spiegazione.


Il documento originale del 1630, con una illustrazione dell’evento, circolò tra gli studiosi del tempo, come Cartesio. Purtroppo andò perduto dopo il 1658, quando l’astronomo e fisico olandese Christiaan Huygens elaborò le prime teorie per una spiegazione “naturale” di tali fenomeni ottici studiando e facendo una riproduzione del diagramma di Scheiner contenuto in un testo dell’astronomo francese Pierre Gassendi.

Per secoli si è ritenuta la copia fatta da Huygens la più antica esistente, fino a quando nel 1890 si ritrovò una copia originale di Scheiner alla Biblioteca Universitaria di Monaco di Baviera, ma il destino volle che essa venisse distrutta quando l’edificio fu bombardato nel 1943.


All’inizio del 2011, una copia dell’immagine originale è stata ritrovata in Germania dalla bibliotecaria scientifica Eva Seidenfaden, che stava navigando nella collezione digitalizzata della Biblioteca del Principe Augusto a Wolfenbüttel. Riconosciutala, la studiosa ha avvertito Walter Tape, un matematico americano in pensione, e il meteorologo tedesco Günther Können. I tre, con l’aiuto delle notizie rimaste alla Biblioteca Universitaria di Monaco dell’altro originale, ne hanno riconosciuto la paternità di Scheiner e ne hanno dato notizia in due articoli (purtroppo a pagamento) pubblicati quest’anno su Applied Optics.


Fonte principale: Kate McAlpine The seven suns of Rome. A diagram lost for more than 350 years documents a spectacular sky of 1630. Published online 30 September 2011 | Nature | doi:10.1038 / news.2011.567

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