C’è un libro di Douglas Hofstadter (l’autore di Gödel, Escher, Bach) che ha un titolo francese, è stato scritto in inglese, si occupa di traduzioni e non è mai stato tradotto in nessun’altra lingua per precisa scelta dell’autore Si tratta di Le Ton Beau de Marot, In Praise of the Music of Language, pubblicato nel 1997 da Basic Books di New York. L’autore è conosciutissimo e amato da me e gran parte dei lettori di questo blog, perciò rinvio alla pagina di Wikipedia per una sua biografia. Hofstadter, che è poliglotta e si è occupato di numerose traduzioni, ha scritto questo testo con l’intento di far conoscere le sue "ruminations on the art of translation", che gli forniscono l’opportunità di parlare anche degli argomenti che gli sono più cari, come il linguaggio, le scienze cognitive, l’intelligenza artificiale. In molti hanno considerato questo libro bello quanto GEB, che ha dato all’autore fama e stima pressoché universali.
Il curioso titolo Le Ton Beau de Marot è un gioco di parole. Significa “Il bello stile (o suono) di Marot” (anche se avrebbe più senso anteporre l’aggettivo al sostantivo: le beau ton), ma a un orecchio francese esso suona anche come “Le Tombeau de Marot”, cioè la “La tomba di Marot” (sulla copertina c’è infatti l’immagine di una pietra tombale). In realtà, tombeau possiede altri significati, altrettanto validi nel contesto, che ho trovato grazie alla sempre indispensabile Parolata di Carlo Cinato:
1. (musica) Nei secoli XVII e XVIII, brano di musica strumentale dedicato alla memoria di un personaggio defunto, genere poi ripreso nel secolo XX.
2. (storia, arte) Nelle arti figurative, nome dato in Francia alle rappresentazioni figurative di Cristo morto in grembo alla Vergine.
Ma chi era Marot?
Clément Marot (1497-1544) è considerato uno dei più grandi poeti francesi del Cinquecento. Fu poeta ufficiale della corte di Francia durante il regno di Francesco I . Nell’autunno 1537 scrisse una breve poesia dal titolo A une Damoyselle Malade (A una fanciulla malata), dedicata a Jeanne d’Albret (figlia di Margherita di Navarra), che Hofstadter preferisce chiamare “Ma Mignonne”, dalle due prime parole dell’opera. La poesia, che oggi potremmo definire minimalista, possiede una struttura interessante, perché è composta da 28 versi con 14 distici a rima baciata (AA, BB, CC, ecc.), ciascuno dei quali contiene tre sillabe con l’accento che cade sempre sull’ultima. Inoltre il primo e l’ultimo verso sono uguali e il poeta, che inserisce il proprio nome a circa metà dell’opera, si rivolge alla fanciulla con il “voi” nei primi 14 versi e poi passa al “tu” nei 14 successivi:
A une Damoyselle malade
Ma Mignonne
Je vous donne
Le bon jour.
Le séjour
C'est prison :
Guérison
Recouvrez,
Puis ouvrez
Vostre porte,
Et qu'on sorte
Vistement :
Car Clement
Le vous mande.
Va, friande
De ta bouche,
Qui se couche
En danger
Pour manger
Confitures :
Si tu dures
Trop malade,
Couleur fade
Tu prendras,
Et perdras
L'embonpoint.
Dieu te doint
Santé bonne
Ma Mignonne.
La poesia è l’occasione per Hofstadter per una ponderosa opera (circa 600 pagine) sul significato, i pregi, i difetti, gli errori e la bellezza della traduzione. Per sostenere le sue riflessioni, egli alterna alla trattazione ben 89 diverse traduzioni della poesia (realizzate da amici, studenti, traduttori professionisti e colleghi), in inglese e in altre lingue, presentando un gran numero di variazioni e possibilità di renderla. Da queste versioni parte per trattare dei diversi aspetti del processo di traduzione, da quella letterale a quella libera, dei livelli del linguaggio, dello stile, dei prestiti di parole da una lingua all’altra, dei “falsi amici”, della differenza tra cultura di provenienza e quella di destinazione. A une Damoyselle Malade è così la struttura di base del libro, o il suo tema omnicomprensivo, dal quale talvolta Hofstadter si stacca per affrontare lunghe disquisizioni non connesse direttamente all’argomento principale, ma, com’è nel suo stile, legate ai suoi campi di interesse preferiti: la traduzione poetica dunque è il mezzo per capire il linguaggio, e il linguaggio è il mezzo per capire il pensiero.
Che cosa implica la traduzione secondo Hofstadter? Innanzitutto essa è una creazione di analogie. Essa può essere vista infatti come un’ambizione, “il fedele trasporto di qualche schema astratto da un ambiente [di significato] a un altro ambiente, in altre parole, l’analogia”. Detto altrimenti, se si afferma qualcosa in una lingua entro una determinata cultura, si vuole trovare un modo analogo per dirlo in un altro linguaggio e in un’altra cultura. Di solito non possiamo dire qualcosa esattamente nello stesso modo in due lingue diverse, tuttavia cerchiamo di trovare l’approssimazione più vicina, o un’analogia. Quando traduciamo la frase A di una lingua nella frase B di un’altra lingua, spesso consideriamo frase A = frase B. La realtà è che frase A ~ frase B. Tutti i traduttori lo sanno, ma non sempre agiscono di conseguenza.
Hofstadter sviluppa poi un concetto che definisce frame blend (mescolanza di strutture di riferimento), che così illustra: “Nell’atto della traduzione ci sono sempre due “strutture” – la cultura d’origine e quella di destinazione – che inevitabilmente si mescolano in modi innumerevoli come le idee sono trapiantate da una all’altra. Alcune idee si trapiantano facilmente, altre creano un conflitto, talvolta feroce, altre ancora semplicemente non si spostano, per quanto esse siano spinte”. La traslazione tra strutture di riferimento – lingue, culture, modi di espressione – o persino tra i pensieri di una persona e un’altra, diventa per l’autore un modo per tornare a parlare dei concetti da lui trattati nelle opere precedenti.
La traduzione è qualcosa di significativamente diverso dal mero trasferimento di un testo da una lingua a un’altra: “La scelta principale del traduttore è naturalmente quella della lingua, ma un insieme ugualmente importante di scelte è la combinazione di restrizioni [contraintes] volontariamente assunte. Una restrizione non deve essere rigida o strettamente definita”. Queste restrizioni, che possono riguardare il contesto culturale, quello storico, lo stile, la modalità di fruizione, ecc., costituiscono “il più delizioso grado di libertà aperto al traduttore, ed è ciò che rende la traduzione così aperta e piena di potenziale illimitato per la creatività”. Mi sembra di sentire la frase spesso citata dai membri dell’Oulipo a proposito delle loro contraintes autoimposte: “Un Oulipiano è un topo che costruisce il labirinto da cui si propone di uscire più tardi”.
Hofstadter sostiene in modo convincente che, siccome restrizioni come la rima e il metro influenzano fortemente il contenuto di ogni opera poetica, è un grave errore ignorare questi fattori quando si traducono versi. Secondo lui, la struttura dell’opera è importante tanto quanto il contenuto (se non di più), e i due sono così inestricabilmente intrecciati che diventa imperdonabile ignorarne uno. Sostenendo che il processo di traduzione è un processo fondamentalmente creativo, che comporta scelte importanti del traduttore che richiedono “ingenuità e buon senso”, Hofstadter dichiara, abbastanza decisamente, che al ruolo del traduttore dovrebbe essere assegnato lo stesso peso di quello dell’esecuzione da parte di un interprete di una composizione classica. Su questo assunto, egli rivolge una feroce critica alla traduzione automatica così come è attualmente praticata, dicendo che l’unico modo per avere una macchina traduttrice soddisfacente è quello di sviluppare un programma di traduzione davvero intelligente. Qui siamo nel campo più famigliare a Hofstadter, che è uno dei principali esperti mondiali di intelligenza artificiale.
Hofstadter fornisce così i suoi numerosi esempi di possibili traduzioni della piccola poesia di Clément Marot, da quella letterale a quella in stile rap urbano, da quella in stile elisabettiano (filologicamente più rigorosa), a quella in cui la bimba malata diventa una mucca. C’è, in tutto questo campionario, un’altra componente che l’autore non manca di sottolineare: la traduzione è anche una sfida creativa, e può essere un divertimento per chi la fa. Così, con un acuto anagramma, Hofstadter sostiene che TRANSLATION è anche LOST IN AN ART, l’arte della traduzione, appunto.
Al tema principale della traduzione Hofstadter ne mescola uno strettamente personale, che è probabilmente all’origine del suo rifiuto di autorizzare traduzioni: la perdita della moglie Carol per un tumore cerebrale mentre egli procedeva alla scrittura del libro. In questo contesto, la poesia dedicata a una fanciulla malata acquista un altro significato, profondamente e tragicamente personale, anche se le traduzioni di “Ma Mignonne” erano incominciate prima ancora che la malattia fosse nota. Il libro è dedicato alla moglie deceduta con l’appellativo Ma Rose, mentre egli si definisce Ton Beau. Carol è stata anche l’autrice di una delle versioni della poesia di Marot, scritta in ospedale in un giorno di primavera. Eccola.
Chickadee
Carol Hofstadter
Chickadee,
I decree
A fine day.
Dart away
From your cage
And engage
In brave flight,
So you might
Flee the croup.
Hope you swoop
Into ham,
Apple jam,
And French bread,
Or instead
You will lose
The bright hues
Of your plumes.
Flu consumes
Scrawny birds;
Heed my words
And take care.
Slip the snare
That does pinch
My wee finch.
Hopes abound
That aground
You won’t be,
Chickadee.
Scrive l’autore: “Chickadee [la cincia americana] è una bella esplorazione del concetto di “uccello”, dall’inizio alla fine. L’idea di sostituire la prigione metaforica [dell’originale] con una gabbia (cage), per esempio, è affascinante ed elegante, come lo è la trasformazione della perdita di colore dalla pelle alle piume. L’uccello che scende in picchiata, beccando pezzi di cibo a metà volo, è un’altra immagine carina, un frame blend per eccellenza, che mi ricorda un’immagine simile che lei propose una volta (…). A mio giudizio, gli ultimi sette versi di Chickadee sono ben congegnati e incantevoli. Devo dire, poiché sento la sua dolcezza, il mio occhio scivola sulla sua forma elegante, che non posso fare a meno di sentire che questa poesia è tra le più belle e tenere di tutte le “Ma Mignonne”. Ma poi, sono di parte – l’amavo così tanto, e continuo a farlo, giorno dopo giorno”.
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Ovviamente, considerata la mia fedina penale poetica, condivido il parere di Hofstadter sulle potenzialità creative e ludiche della traduzione sotto contrainte, e mi sono cimentato in un adattamento in italiano della poesia di Marot, cercando di dedicargli a mio modo un piccolo tombeau. Devo premettere tuttavia alcune considerazioni:
− Il rispetto della contrainte di tre sillabe per verso è, nella nostra lingua, condizione più dura che in francese o in inglese: le nostre sillabe sono di solito più corte e le parole sono in genere composte da più sillabe di quanto avvenga fuori d’Italia. L'amico e lettore Sebastiano Zanetello fa notare come in italiano un verso tronco di 3 sillabe equivale a un verso piano di 4 sillabe (e a un verso sdrucciolo di 5);
− Il risultato non può di certo ambire a un gran valore artistico: si tratta di un gioco di equilibrismo verbale;
− Per adattare il vezzeggiativo mignonne all’italiano, ho dato un nome alla fanciulla malata, Margot, per cercare di avvicinare la rima con il secondo verso “io vi do”, anche se l’accento è differente.
Ecco la mia versione, emendata da Sebastiano:
A una fanciulla malata
Mia Margot
io vi do
il buondì.
Stare lì
che follia:
l'energia
ritrovate,
e schiodate
quella porta,
già risorta,
già fremente:
e Clemente
a voi la da.
Ghiotta, sì, va
la tua bocca,
quando tocca
e si arrischia
nella mischia
dei babà:
se stai là
così fiacca
come biacca
tu parrai,
perderai
vigoria.
Dio ti sia
di buon pro
Mia Margot.
Ho amato GEB ma, conoscendo la complessità dei temi affrontati da Hofstadter, ho paura che affrontarli in un testo in inglese, lingua che conosco ma non domino completamente, sia un'impresa troppo dura per me.
RispondiEliminaMa chissà che tra qualche giorno non cambi idea...
Ho attaccato GEB durante una vacanza in Corsica vent'anni fa, armato di carta e matita per seguire gli esercizi di algebra tipografica, ma non ce l'ho fatta a finirlo (vacanze troppo corte). Il che per un testo dedicato (anche) al teorema di incompletezza, può avere un senso :-) - da allora è lì che mi guarda. Magari lo riprendo.
EliminaChapeau! A toi, et Margot.
RispondiEliminaComplimenti per l'articolo. Per quanto riguarda la tua traduzione, devi tener conto che un verso tronco di 3 sillabe equivale a un verso piano di 4 sillabe (e a un verso sdrucciolo di 5). Per cui si potrebbe correggere così(butto lì velocemente, senza pensarci troppo):
RispondiEliminaMia Margot
io vi do
il buondì.
Stare lì
che follia:
l'energia
ritrovate,
e schiodate
quella porta,
già risorta,
già fremente:
e Clemente
a voi la da.
Ghiotta, sì, va
la tua bocca,
quando tocca
e si arrischia
nella mischia
dei babà:
se stai là
così fiacca
come biacca
tu parrai,
perderai
vigoria.
Dio ti sia
di buon pro
Mia Margot.
Sebastiano, hai perfettamente ragione. Per ragioni ginniche continuo a voler ignorare la metrica italiana, ma la tua versione è assai più bella della mia. A questo punto ti chiedo il permesso di inserirla nell'articolo al posto della mia, naturalmente con indicazione della tua correzione.
RispondiEliminanon si passa mai di qua senza portare a casa qualcosa
RispondiEliminaPermesso accordato, ovviamente. Ma mi sta venendo il prurito di provare una mia versione. In questo periodo non trovo neanche il tempo di aggiornare il mio blog, però, chissà...
RispondiEliminaA disposizione (e grazie dell'aiuto).
RispondiEliminaah, curiosità: la versione hardback del libro aveva un segnalibro con da un lato la versione di Clément e dall'altro Chickadee. Posso fornire immagine, se necessario :-)
RispondiEliminaCerto, .mau., se me la invii la inserisco, grazie! Se poi trovi anche la tua versione di Ma Mignonne... :-)
RispondiEliminala versione della poesia mi sa che è definitivamente perduta in un passaggio di formato email :-(
RispondiEliminaNon posso vedere un testo di Marot formulato in altra lingua che il francese. Comunquesia perde di autenticità.
RispondiEliminaElisabetta, la traduzione è sempre un compromesso, soprattutto in poesia. E poi la Damoyselle malade è per Hofstadter solo uno spunto per parlare proprio della traduzione in generale. La bellezza e la creatività della traduzione, e il ruolo importante e sottovalutato dei traduttori trovano nel Ton beau de Marot una convincente difesa. E, prima di Hofstadter, io Marot non sapevo neanche chi fosse.
RispondiEliminaDevo citare a memoria dopo tanti anni.
RispondiEliminaMark Twain aveva scherzato sul problema della traduzione dal francese all'inglese e viceversa, proponendo un doppio passaggio, molto maccheronico, della sua novella "Il ranocchio saltatore", con esiti che solo la sua penna poteva ottenere.
Complimenti per 'Mia Margot'! Io personalmente sarei interessata a leggere anche la versione precedente -- con versi tutti di tre sillabe, giusto?
RispondiEliminaSegnalo anche il brillante "Translator, Trader", Basic Books 2009, dove Hofstadter approfondisce alcuni aspetti del processo di traduzione. E' in inglese, e ancora una volta intraducibilmente tale...