In un precedente articolo, dedicato al cosiddetto “paradosso di Olbers” (perché il cielo notturno è buio nonostante esista un’infinità di stelle?), facevo notare come Edgar Allan Poe avesse dichiarato di non amare la scienza, pur avendo una discreta conoscenza delle più recenti scoperte delle sua epoca. Nel 1848, nel suo visionario “poema in prosa” Eureka, dedicato ad Alexander Von Humboldt, aveva addirittura, in anticipo sui tempi, sostenuto l’idea di un universo non eterno, non infinito e in continua evoluzione. La cosmologia non fu il solo campo di interesse dello scrittore americano, visto che il detective Dupin da lui creato ispirò i metodi di indagine oggettiva di Sherlock Holmes, spesso basati sulle conoscenze scientifiche, e visto che Poe fu un vero e proprio esperto di crittografia e codici segreti.
Nel dicembre 1839 Poe scrisse un articolo per il settimanale di Philadelphia Alexander's Weekly Messenger nel quale sfidava i lettori a inviagli dei messaggi cifrati che egli avrebbe decrittato. Inizialmente giunsero crittogrammi solo dai dintorni della città, ma presto incominciarono ad arrivare da tutti gli Stati Uniti. Poe pubblicò molti dei crittogrammi con le loro soluzioni per quindici numeri del giornale.
L’anno successivo Poe pubblicò a commento di questa esperienza un articolo-saggio intitolato A Few Words on Secret Writing (“Qualche parola sulla scrittura segreta”), in cui affrontava con toni molto divulgativi il tema della codifica e decodifica di un messaggio inviato per lettera. Così scriveva:
A pochi può essere fatto credere che non è affatto una cosa facile inventare un metodo di scrittura segreta che possa confondere l’indagine. Eppure si può sostenere con forza che l’ingegno umano non può architettare un codice che l’ingegno umano non possa risolvere. Sulla facilità con la quale una tale scrittura venga decifrata, tuttavia, esistono differenze assai degne di nota in diversi intelletti. Spesso, nel caso di due persone di riconosciuta parità riguardo alle capacità mentali ordinarie, si troverà che, mentre uno non è in grado di penetrare il più semplice codice, l’altro è solo minimamente confuso dal più astruso. In genere si può osservare, che in tali indagini è fortemente chiamata in causa l’abilità analitica; e, per questo motivo, le soluzioni crittografiche dovrebbero essere introdotte nelle accademie con grande vantaggio, come metodo per tonificare il più importante dei poteri della mente.
Poniamo il caso di due individui, totalmente digiuni di crittografia, desiderosi di tenere una corrispondenza per lettera che sia inintelligibile a tutti tranne che a loro stessi. È molto probabile che essi dovrebbero subito pensare ad un alfabeto particolare, del quale entrambi dovrebbero possedere la chiave. All’inizio potrebbe, forse, essere concordato che la A sta per Z, B per Y, C per X, D per W, ecc., il che vuol dire che sarebbe ribaltato l’ordine delle lettere. In un secondo momento, poiché questa disposizione appare troppo banale, bisognerebbe adottare un sistema più complesso. Le prime tredici lettere dovrebbero essere scritte sotto le ultime tredici, in modo che:
N O P Q R S T U V W X Y Z
A B C D E F G H I J K I M
Così sistemate, A potrebbe strare per N e viceversa, O per B e viceversa, il tutto con un’aria di regolarità che l’alfabeto chiave potrebbe essere costruito assolutamente a caso. Così,
A potrebbe voler dire P
B potrebbe voler dire X
C potrebbe voler dire U
D potrebbe voler dire O,
ecc.
I due corrispondenti, a meno di essere convinti del loro errore dalla [eventuale] decifrazione del loro codice, senza dubbio vorrebbero restare in quest’ultima sistemazione, che offrirebbe piena sicurezza. Ma, in caso contrario, essi probabilmente escogiterebbero il piano di simboli arbitrari usati al posto di quelli usuali. Ad esempio:
. potrebbe voler dire B
: potrebbe voler dire C
; potrebbe voler dire D
) potrebbe voler dire E,
ecc.
Una lettera composta di tali simboli avrebbe senza dubbio un aspetto intricato. Se, ancora, tuttavia, essa non dà piena soddisfazione, potrebbe essere concepita e poi realizzata l’idea di un alfabeto perpetuamente in movimento. Prepariamo due pezzi circolari di cartone, il primo di diametro circa mezzo pollice più piccolo dell’altro. Disponiamo il centro del più piccolo sul centro del più grande, assicurandoli per un momento dallo scivolamento mentre disegniamo i raggi dal centro comune alla circonferenza del cerchio più piccolo e poi a quella del cerchio più grande. Tracciamo 26 di questi raggi, che formano su ciascun cartone ventisei settori. In ciascuno di questi spazi sul cerchio inferiore scriviamo una lettera dell’alfabeto, meglio se in ordine casuale. Facciamo la stessa cosa sul cerchio superiore. Ora facciamo passare uno spillo attraverso il centro comune, e facciamo girare il cerchio superiore mentre teniamo stretto quello inferiore. Ora fermiamo la rotazione del cerchio superiore e, mentre entrambi sono fermi, scriviamo la missiva desiderata, utilizzando al posto della A quella lettera nel cerchio più piccolo che corrisponde alla A in quello più grande, al posto della B quella lettera nel cerchio più piccolo che corrisponde alla B in quello più grande, ecc. Per far sì che una missiva scritta in questo modo possa essere letta dalla persona che si desidera, è necessario solo che egli possegga dei cerchi costruiti nella maniera appena indicata e che conosca due qualsiasi dei caratteri (uno nel cerchio inferiore e uno in quello superiore) che erano giustapposti quando il suo corrispondente ha scritto la lettera cifrata. Su quest’ultimo punto egli viene informato guardando alle due lettere iniziali del documento, che fanno da chiave. Così, se vede una M all’inizio, deduce che, facendo girare i suoi cerchi in modo da mettere questi caratteri in corrispondenza, egli arriverà all’alfabeto impiegato.
A uno sguardo frettoloso, questi diversi modi di costruire un testo cifrato sembrano avere intorno a sé un’aria di inscrutabile segretezza. Sembra quasi impossibile scoprire ciò che è stato messo insieme con un metodo così complesso. E per alcune persone la difficoltà potrebbe essere enorme; ma per altri – quelli pratici di decifrazione – tali enigmi sono davvero molto semplici. Il lettore deve tenere presente che le basi dell’intera arte della soluzione, per quanto riguarda questi argomenti, si trova nei principi generali della formazione stessa del linguaggio, e quindi è del tutto indipendente dalle leggi particolari che regolano un qualsiasi codice, o la costruzione della sua chiave. La difficoltà di leggere un enigma crittografico non è affatto sempre in accordo con la fatica o l’ingegno con i quali è stato congegnato. Il solo uso di una chiave, infatti, è per coloro che sono in confidenza con il codice; nella sua lettura attenta da parte di un terzo, non si dispone di alcun riferimento. La serratura del segreto è forzata. Nei diversi metodi di crittografia prima trattati, si osserverà che esiste una complessità gradualmente crescente. Ma questa complessità è solo un’ombra. Non possiede alcuna sostanza. Appartiene solamente alla formazione, e non ha alcuna importanza sulla soluzione, il codice. L’ultimo metodo menzionato non è in ultimo grado più difficile da decifrare che il primo – qualsiasi possa essere la difficoltà di entrambi.
Dopo aver illustrato altri metodi, via via più complessi, tra i quali l’uso di alfabeti dove uno stesso carattere può rappresentare più di una lettera, oppure l’uso di chiavi in lingue diverse da quella dei corrispondenti, lo scrittore spiegava tramite alcuni esempi come la decifrazione di un messaggio segreto possa partire dall’analisi della frequenza dei caratteri, parole o gruppi di parole che, per una data lingua, si presenta con caratteristiche abbastanza riconoscibili. Ad esempio, oggi si sa che in un testo inglese sufficientemente lungo la lettera E è la più frequente, presentandosi nel 12,31% dei casi, seguita dalla T con il 9,59%.
Avendo in questo modo riconosciuto una lettera scritta, mentre la parola chiave è sconosciuta, la persona che tentasse la sua decifrazione si potrebbe immaginare che si chieda, o in altro modo tenti di convincere se stesso, che un determinato carattere (ad esempio I) possa rappresentare la E. Controllando tutto il testo per trovare una conferma alla idea, egli non potrebbe incontrare altro che una negazione di essa. Egli vedrebbe il carattere in situazioni in cui esso non potrebbe in alcun modo rappresentare la E. Potrebbe, per esempio, essere sconcertato da quattro I che formano da sole una sola parola, senza che ci sia alcun altro carattere; in questo caso, naturalmente, non potrebbero essere tutte E. (…)
Durante il XIX secolo, la maggior parte delle persone considerava la crittografia come una misteriosa arte esoterica, e il merito dello scrittore fu di suscitare nel pubblico un grande interesse verso queste discipline. Grazie alle pubblicazioni di Poe, i rompicapo crittografati divennero molto popolari su quotidiani e riviste. Ispirato dal successo dei crittogrammi e dall’interesse per il suo saggio, egli decise di scrivere una short story che coinvolgesse la crittografia. Il risultato fu un racconto dal titolo Lo scarabeo d’oro (The Golden Bug), con il quale vinse un concorso letterario guadagnando 100 dollari. Il testo fu pubblicato il 21 giugno 1843 sul Philadelphia's Dollar Newspaper ed ebbe un immediato successo, che dura tuttora. Lo scarabeo d’oro fu la prima pubblicazione non professionale a contenere non solo un testo crittografato nella trama, ma anche una dettagliata descrizione di come decodificarlo attraverso l’analisi della frequenza delle lettere. Nella seconda parte di questo articolo prenderò in esame il messaggio cifrato contenuto nel racconto. Un po’ di pazienza, ché prima ci sarà il Carnevale della Matematica, sabato prossimo, qui.
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