Il mese di Aprile è, come dice il poeta, il più crudele dei mesi, ma è anche il Mese della Consapevolezza Matematica, quest’anno dedicato in tutto il mondo alla Matematica della Sostenibilità, tema fondamentale perché l’umanità deve trovare un compromesso tra i suoi crescenti bisogni e le risorse finite della Terra. La matematica, che non è affatto una scienza fine a se stessa come comunemente si pensa, può essere di aiuto per comprendere meglio questi problemi e viene utilizzata in svariati campi per cercare soluzioni creative per scelte sostenibili. Così essa viene applicata, solo per fare alcuni esempi, nello studio e nella gestione delle risorse energetiche, del clima e dei suoi mutamenti, nella comprensione e controllo delle malattie, nello studio degli ecosistemi e delle risorse biotiche. Da tempo è poi impiegata nello studio dei problemi del trasporto e del traffico nei centri urbani, e, in Italia più che altrove, nella difesa del patrimonio artistico e architettonico.
Il nostro paese possiede infatti un patrimonio storico e artistico unico al mondo, che merita di essere salvaguardato dal degrado. In questo contesto, l'Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone” (IAC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha iniziato da vari anni a sviluppare una serie di ricerche sul tema della conservazione e protezione dei beni culturali. L’applicazione della matematica in questo campo può infatti offrire migliori strumenti di previsione e diagnosi, e rendere perciò più efficaci gli interventi di quanti studiano e operano nel settore.
Un aspetto importante studiato dall'IAC riguarda il ruolo della matematica nella modellizzazione e simulazione dei processi di degrado, soprattutto l'azione dell'anidride solforosa (SO2), sulle superfici marmoree, che si manifesta sia con fenomeni di dilavamento ed erosivi, sia attraverso la formazione di croste nere, che si trovano prevalentemente in zone protette dal contatto diretto della pioggia, in cui si accumulano gas e particelle atmosferiche. Il componente principale delle croste nere è il solfato di calcio diidrato, il gesso (CaSO4.2H2O), Nonostante il gesso sia una sostanza originariamente di colore bianco, le croste diventano nere a causa di particelle di diversa origine, come quelle provenienti dall’uso dei combustibili fossili. Il gesso: amico degli insegnanti, nemico dei monumenti.
La composizione chimica e le caratteristiche fisiche della crosta, rispetto alla pietra, appaiono molto differenti e causano un aumento della velocità di degrado della pietra per diversi motivi:
• solubilità differente: il solfato di calcio è molto più solubile del marmo e quindi, una volta che si è formato questo strato esterno, il solfato può, se esposto, essere lavato via dalla pioggia.
• variazione del volume: il gesso ha un volume maggiore rispetto a quello del carbonato di calcio di cui prende il posto, e ciò genera rilevanti stress meccanici all'interno della struttura causando rotture e distacchi di grossi frammenti di calcare;
• differente espansione termica di gesso e calcite: questo effetto è importante per lo strato nero che assorbe una quantità di radiazioni maggiori rispetto alla superficie bianca.
Per prevedere lo sviluppo del degrado delle superfici lapidee, la carta del rischio del Ministero dei Beni culturali considera, tra le altre cose, l'indice di erosione, dato dalla formula di Lipfert, la quale calcola in effetti solo la quantità media di materiale eroso in funzione della precipitazione, della deposizione del SO2 e della concentrazione degli NOx. Essa però risulta inadeguata riguardo al danneggiamento di monumenti, perché non rende conto dello specifico comportamento dei singoli materiali e prende in considerazione solo i fenomeni a carattere erosivo, ma non permette di valutare adeguatamente il danneggiamento operato dalla crescita di croste superficiali, e ancora meno la loro dipendenza dal tempo. Bisognava andare oltre la relazione di Lipfert, elaborando un modello del degrado più adatto ai beni architettonici e monumentali. A questo punto sono entrati in campo i chalk busters, guidati da una persona che molti dei miei lettori conoscono bene: Roberto Natalini, coordinatore del sito MaddMaths, e dirigente di ricerca del CNR, responsabile della sezione "Sistemi Complessi" dell’IAC. Devo alla sua cortesia il materiale scientifico e divulgativo che ho utilizzato per scrivere questo articolo, e che il lettore interessato può trovare qui (bibliografia compresa).
Tra i vari processi di reazione di biossido di zolfo-pietre carbonatiche che portano alla formazione delle croste gessose, il modello matematico elaborato all’IAC ha preso in considerazione la cosiddetta deposizione secca di SO2, che avviene quando l'anidride solforosa reagisce con la superficie lapidea in forma gassosa. Per far ciò è conveniente ridurre tutte le reazioni ad un'unica reazione ad un passo, in cui una molecola di carbonato di calcio, in presenza di acqua e altri fattori fondamentali, come una sufficiente temperatura, reagisce con una molecola di SO2 per formare una molecola di solfato di calcio diidrato, cioè il gesso.
CaCO3 + SO2 + 1/2 O2 + 2H2O → CaSO4.2H2O + CO2
Di fronte a questa complessità, la strategia di elaborazione di un modello matematico deve procedere per gradi: si deve innanzitutto isolare un effetto primario, in questo caso l'azione aggressiva dell'SO2 sul carbonato di calcio, creando un modello matematico quantitativo che permetta almeno di riprodurre le esperienze di laboratorio, in assenza di altri fattori. In seguito si complica a poco a poco il modello, fino ad ottenere una descrizione più realistica. In questa fase risulta fondamentale scegliere bene i fattori che hanno una reale influenza sul fenomeno, per evitare di sviluppare un modello eccessivamente complesso e in pratica non verificabile.
Un’idea importante per l’ideazione di un primo modello è il concetto di mezzo poroso, che dobbiamo pensare come una specie di matrice solida, formata da vuoti e da pieni, al cui interno circolano dei fluidi, che però hanno accesso solamente alla parte vuota. Ciò richiede l’introduzione del concetto di porosità, in seguito denotata con la lettera φ. La sua definizione teorica è molto semplice, essendo il rapporto tra il volume dei vuoti e il volume di riferimento, per valori piccoli dei volumi di riferimento. Il valore della porosità risulta ben definito, almeno per alcune classi di materiali, chiamati appunto mezzi porosi, e misurabile con vari procedimenti.
Una volta introdotta la porosità, le leggi di bilancio di massa non si scrivono più in termini di una concentrazione assoluta ρ, ma in termini della concentrazione porosa s = ρ/φ, vale a dire la concentrazione presa solo relativamente all'insieme dei vuoti. Una volta definito l'ambiente in cui il fluido deve scorrere, dobbiamo definire quali sono le leggi che regolano l'evolversi nel tempo della concentrazione (porosa).
Nel caso della solfatazione, chiamiamo s la concentrazione porosa di SO2 entrato all'interno di un marmo di porosità φ, e Vs la sua velocità fluida all'interno del mezzo. Possiamo allora scrivere una legge di bilancio, in forma di equazione alle derivate parziali, che esprima il fatto che il cambiamento nel tempo della concentrazione è governato dal flusso locale e dalla possibile presenza di fenomeni di assorbimento. Per assegnare la velocità fluida Vs, anziché usare argomenti di carattere microscopico, si è preferito utilizzare alcune leggi che legano la velocità del fluido a grandezze macroscopiche come la pressione o la concentrazione stessa. Queste relazioni sono la legge di Darcy, per la parte convettiva del flusso, e di legge di Fick, per la sua parte diffusiva (quindi il flusso sVs è proporzionale al gradiente spaziale di s).
Arrivati a questo punto, si è resa necessaria qualche correzione nelle equazioni iniziali. Infatti la scelta di considerare la porosità costante durante il processo è sembrata incoerente, essendo la configurazione microscopica del gesso e del marmo totalmente differenti. Si è allora pensato di porre la porosità come funzione (lineare) della densità locale c del carbonato di calcio, con una formula del tipo φ= φ(c) secondo parametri determinati sperimentalmente. Quest'ultimo passaggio ha permesso di “chiudere” il modello in maniera conveniente ed esprimibile in termini matematici attraverso un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari di tipo diffusivo, che permette quindi di determinare l'evoluzione della concentrazione porosa di SO2 e della densità di carbonato di calcio. Nelle equazioni, le costanti mc e ms sono rispettivamente i pesi molecolari del carbonato di calcio e del biossido di zolfo, d è la costante di diffusività molecolare e A è il tasso della reazione di produzione del solfato di calcio.
Si tratta di due equazioni multidimensionali paraboliche, che sono degeneri perché nella seconda non c'è diffusione. Esse sono state utilizzate per descrivere la penetrazione dell'SO2 e la conseguente trasformazione del carbonato di calcio. Sono stati trascurati gli effetti di permeabilità: per rocce molto compatte come il marmo risulta essere abbastanza realistico pensare che non vi sia un flusso convettivo, ma solo un fenomeno di diffusione chimica all'interno della roccia.
Si tratta di due equazioni multidimensionali paraboliche, che sono degeneri perché nella seconda non c'è diffusione. Esse sono state utilizzate per descrivere la penetrazione dell'SO2 e la conseguente trasformazione del carbonato di calcio. Sono stati trascurati gli effetti di permeabilità: per rocce molto compatte come il marmo risulta essere abbastanza realistico pensare che non vi sia un flusso convettivo, ma solo un fenomeno di diffusione chimica all'interno della roccia.
Il lavoro successivo all'elaborazione di questo modello ha seguito tre direzioni distinte, ma ben allacciate tra loro:
Analisi del sistema e delle sue proprietà matematiche - Innanzitutto è chiaro che si deve rinunciare ad ottenere soluzioni esplicite del sistema, che ha una struttura fortemente non lineare; in pratica questo vuol dire che non si può ottenere la soluzione come somma di termini che corrispondono a diversi “pezzi” del sistema, ma bisogna risolvere il sistema come un tutto. Questo non vuol dire che la soluzione non esista, ma solo che per calcolarla si deve fare ricorso alla simulazione numerica. Con un lavoro analitico si può controllare la regolarità delle soluzioni e a determinare la correttezza del modello, una volta assegnati opportuni dati iniziali e al contorno.
Sviluppo e analisi di schemi di approssimazione numerica - Per capire un po' meglio il comportamento qualitativo delle soluzioni, si sono approntati test numerici per un campione di lunghezza unitaria per diversi valori della concentrazione di SO2 e di densità di CaCO3, con diversi parametri di reazione A. La relativa rapidità della transizione ha portato a considerare una reazione di tipo veloce, in cui la trasformazione del carbonato in solfato avviene su di una scala di tempi molto ridotta. Per capire meglio questo fenomeno si è studiato allora il limite del modello per il parametro di reazione A che tende all'infinito, detto limite di reazione veloce, ottenendo che le soluzioni venivano ben approssimate in termini di un problema già studiato in precedenza, il cosiddetto problema di Stefan ad una fase per l'equazione del calore, che per simmetrie monodimensionali fortunatamente possiede una soluzione esplicita. Questo approccio riflette una tecnica abbastanza utilizzata nello studio dei sistemi a derivate parziali non lineari: se non si conosce la soluzione, si approssima con qualche cosa che si può calcolare esplicitamente: niente trucco e niente inganno: è prassi.
Il profilo asintotico si può descrivere in questo modo: nel piano spazio-temporale delle x e delle t, c'è una curva che separa due regioni. A sinistra di questa curva il valore della S, ossia del limite asintotico della s, è data dalla soluzione dell'equazione del calore, mentre la C, che rappresenta il carbonato di calcio, vale zero. A destra della curva, la S è uguale a zero e la C è uguale alla condizione iniziale per la densità di carbonato di calcio. La curva stessa si muove con velocità proporzionale alla radice del tempo. Questa soluzione, e in particolare la forma speciale della legge di propagazione del fronte, possono essere ora utilizzate per stimare, almeno approssimativamente l'accordo del modello con la velocità di propagazione reale della crosta di gesso.
Confronto con i dati sperimentali - Nella letteratura chimica e ingegneristica esistono molti lavori che studiano il tasso di crescita delle croste. Purtroppo però gli esperimenti riportati erano stati fatti senza tener conto dei possibili problemi di calibrazione di un modello matematico. Si è allora deciso che fosse il caso di realizzare nuovi esperimenti, esplicitamente volti alla realizzazione del modello.
Questo accordo ha permesso di stabilire una sostanziale coerenza del modello con il problema chimico-fisico. Molto rimane però ancora da fare, tra cui per esempio, la verifica sperimentale della dipendenza della velocità di crescita della crosta in dipendenza dalle concentrazioni esterne. Tale dipendenza, che è di grande interesse applicativo, in quanto permetterebbe di programmare meglio le azioni di politica ambientale, è in corso di verifica sul campo.
Più recentemente il gruppo di Roberto Natalini presso l’IAC-CNR di Roma ha sviluppato e studiato un modello ancor più realistico, che considera variabili importanti come l’aumento di volume e l’umidità relativa. Questi due fattori hanno una grande influenza sull’evoluzione della solfatazione, pertanto richiedono una trattazione specifica.
La trasformazione del marmo in gesso è accompagnata da un aumento di volume, che comporta una consistente alterazione della disposizione spaziale. Benché non sia facile determinare il tasso di accrescimento, è ragionevole dire che il volume del gesso prodotto durante la trasformazione è da due a tre volte quello del marmo originario.
Riguardo l’umidità, sulla scorta della letteratura chimica, si è determinata l’esistenza di due diversi regimi per il tasso di crescita della crosta di gesso a seconda dell’umidità relativa. Le simulazioni eseguite con i dati reali raccolti a Villa Ada di Roma hanno consentito di quantificare la conseguenza della rimozione della crosta dopo un dato tempo. Infine, si è potuto stabilire che lo spessore della crosta varia in funzione della radice di un fattore che dipende dalla concentrazione di SO2. Così, anche se si riuscisse a diminuire la concentrazione dei questo inquinante di quattro volte, si otterrebbe una riduzione di solo la metà del marmo alterato.
Tutti questi studi sono stati confermati dal progetto di validazione "Vittoriano", conclusosi nel 2011, finanziato dal Ministero dei Beni Architettonici e Culturali, in collaborazione con l'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro e l'Università La Sapienza di Roma. Non c’è più solo Lipfert!
Naturalmente questo è solo l’inizio di un cammino, e bisognerà attivare o continuare una serie di ricerche mirate a creare un sistema matematico-informatico integrato che, partendo dall'acquisizione dei dati su di uno specifico manufatto in pietra, porterebbe alla creazione di un modello numerico specifico contenente tutti i più rilevanti effetti di degrado, anche tenendo conto dell'evoluzione temporale degli agenti esterni, in grado di simulare in maniera affidabile l'effetto dei cambiamenti di condizioni al contorno, l'interazione tra i vari fenomeni e stabilire in modo più sistematico il grado di priorità degli interventi di pulizia e restauro.
Ecco trovata un’altra bella risposta a chi chiede a che cosa serve la matematica: serve per la conservazione dei monumenti: E vediamo che faccia fa il nostro interlocutore.
In questo caso l'aumento di volume non dipende dalla trasformazione del marmo in gesso |