venerdì 12 luglio 2013

La riforma geometrica di Leopold Hugo

Disegno preparatorio per il medaglione esposto al Salon
Leopold Armand Hugo era nato nel 1828 dal conte Abel Joseph, fratello maggiore del famoso Victor e da Louise Duvidal de Montferrier, artista e pittrice. Lavorò come funzionario del Ministero dei Lavori pubblici, ma dimostrò sempre una grande attitudine per gli studi, prima storici sulle antichità galliche e poi scientifici, sempre con scarsa fortuna. Sulle orme della madre, artista e pittrice, si dilettava anche con la pittura e la scultura, con discreti risultati: un suo medaglione fu esposto al Salon del 1874 e un marmo, Electryon, genio dell'elettricità terrestre a quello del 1877, quando ormai, c’è da precisarlo, l’accesso delle opere all’esposizione era quasi libero. 

Me ne occupo perché nel 1867 scoprì, o meglio inventò, i cristalloidi a direttrice circolare, solidi regolari il cui nome non va confuso con quello che oggi designa le soluzioni acquose di sostanze idrosolubili capaci di diffondersi attraverso una membrana semipermeabile. I cristalloidi di Leopold Hugo, descritti in Les cristalloides à directrice circulaire, erano ad esempio l'equidomoide a base quadrata (già considerato da Archimede con il banale nome di piramide), l’equitremoide, utile per la misura del tempo se riempito di sabbia fine, e l’equidomoide a base circolare, che altro non è che la comune sfera.


Scriveva nell’avvertenza: “Con il nome di Teoria dei Cristalloidi ho designato una teoria generale dei solidi geometrici basata sulla considerazione di solidi poligonali e sulla scomposizione razionale dei solidi, sia antichi sia nuovi, in pennacchi di superficie cilindrica e sezione triangolare. (…) I cristalloidi poligonali sono, a mio parere, le forme primordiali dei solidi di rotazione; nel presente studio geometrico tratterò principalmente dei cristalloidi a direttrice circolare (…), ma la sfera non vi figura che in un corollario" (…). 

La Proposizione 1 descrive bene il tenore dell’intera opera: “La superficie costruita in un angolo diedro, su una porzione di poligono regolare ABCD tracciata in una delle facce dell’angolo, con il diametro FG che coincide con lo spigolo dell’angolo, ha come misura la proiezione MQ del perimetro ABCD sul diametro FG, moltiplicato per la tangente costruita su un raggio uguale a quello del cerchio inscritto nel poligono, e per un angolo α corrispondente all’angolo diedro di partenza”

Nel 1874 riassunse la sua riforma della geometria descrittiva nelle 19 pagine di Une réforme géométrique: introd. à la géométrie descript. des cristalloïdes. Di questo ardito e originale seguace di Monge si è interessato Raymond Queneau nell’appendice a Figli del limo dedicata a una rassegna dei folli letterari, assieme ai quadratori del cerchio e ai trisettori dell’angolo. 

Nonostante lo scetticismo generale degli esperti, nel 1875 Hugo diede alle stampe la Géométrie hugodomoidale, anhellénique, mais philosophique et architectonique, preceduta giudiziosamente da un’Avvertenza in cui sosteneva: «Mi sono visto costretto ad accentuare al massimo l'originalità della forma nelle mie successive produzioni per imprimere, almeno a grandi linee, la mia piccola teoria nella memoria dei lettori. Continuerò a fare così anche in futuro, per tentare di abbreviare il periodo di noviziato che è costretta a superare ogni ardita novità (e nessuna è più ardita della teoria dell'equidomoide, il domatore delle sfere, sphaerarum domitor) prima di arrivare a una giusta notorietà, soprattutto quando l'innovazione ha la prerogativa di rimandare anche i più dotti a scuola perché riprende semplicemente le cose ab ovo». Rovesciando l’edificio della geometria per costruirne uno più nuovo e bello sulle sue macerie, la Scuola hugodomoidale, «la Scuola romantica della geometria», Leopold non risparmiava alcun concetto o figura esistente, sostenendo che «La sfera non ha che da sgonfiarsi... o da rassegnarsi al ruolo di equidomoide limite». Sicuro della vittoria finale, minacciava che non avrebbe fatto prigionieri: «Analista! rendi omaggio alla verità, altrimenti l'equidomoide vendicatore verrà a pesare di notte sul tuo petto ansioso»



Un piccolo ritratto conserva le fattezze di Leopold Armand: aveva la pappagorgia degli Hugo, anche se era più magro del padre e meno furbo dello zio scrittore, che la copriva con una bella barba. Nel 1855 aveva sposato a Versailles Marie-Jeanne Solliers, di sette anni più giovane, che l’anno successivo gli diede la figlia Marie Zoé. Fu l’unica discendente, perché i molteplici interessi di Leopold lo allontanarono progressivamente dalla moglie fino a quando, nel 1885, i due si lasciarono approfittando della recente reintroduzione del divorzio in Francia. Troppo preso dal proprio genio, poco modesto al punto di chiamare la nuova geometria hugodomoidale con il proprio nome, era anche innamorato delle parole bizzarre che inventava e che costellano i suoi scritti e i loro titoli. 

Sempre nel 1875 pubblicò la monografia Le Valhalla des sciences pures et appliquées, in cui proponeva di insediare un museo e mausoleo delle Scienze in un’ala del castello di Blois, al cui ingresso si sarebbe dovuta collocare una grande statua di Denis Papin, enfant du pays.


Assai interessanti sono le tre appendici. Nella prima, Hugo contesta la concezione di Auguste Comte secondo la quale è possibile classificare le scienze secondo il loro grado di complessità. Per Hugo non ha senso stabilire gerarchie. Egli scrive che “L’interesse filosofico delle scienze matematiche è di andare incontro alle scienze naturali. Non c’è nulla che assomigli a una subordinazione di qualche scienza”. La seconda appendice è dedicata alle orbite planetarie (curiosamente chiamate ovhélites). L’autore sottolinea come le recenti scoperte astronomiche hanno rivelato il movimento del sistema solare nello spazio, pertanto le traiettorie orbitali non giacciono su un piano. L’orbita è invece una curva elicoidale con una proiezione ovale o ellittica, da cui il nome ov-hél-ite. Hugo detta anche il seguente teorema: “Le oveliti planetarie sono tracciate su cilindri a sezione retta ellittica (salvo perturbazioni) o almeno ovale. Una delle linee focali delle suddette oveliti è comune; questa linea è la traiettoria solare”. La terza e ultima appendice, Base scientifique de la numération décimale, è sicuramente la più bizzarra. Scrive Leopold: “Propongo oggi di utilizzare una delle più antiche e più curiose teorie della geometria, rimasta finora inutilizzata, per stabilire un legame tra la geometria e l’aritmetica, attribuendo come base a quest’ultima scienza un numero assoluto ed eterno. Pitagora aveva trattato i cinque solidi regolari cui ha dato il nome, Cauchy e Poinsot hanno aggiunto a questi quattro poliedri stellati. “Aggiungendo a mia volta la sfera (che è il regolare infinitoidico), posso costruire geometricamente il numero insuperabile di DIECI”. Esiste così una somiglianza tra le nove cifre e lo zero da una parte e i nove poliedri e la sfera dall’altro. Inoltre, particolare curioso, tra questi ci sono cinque primi così come ci sono cinque solidi convessi regolari. Ecco quindi “la conception philosophique et vraiment scientifique du nombre fundamental DIX.”

Lettera di Leopold Hugo alla figlia, con disegni

Hugo replicò le sue concezioni astronomiche pubblicando nel 1876 un Essai sur la cinématique celeste: Astronomie géométrique; ou, Breves considérations sur la nouvelle théorie des ovhélites, contenente la nuova teoria delle oveliti. L’anno successivo tornò al suo sistema di numerazione con La théorie hugodécimale ou la base scientifique et definitive de l'arithmo-logistique universelle. Queneau descrive il suo contenuto: “(…) un'Enciclica supremolamasica, un'evocazione cinotibetana, la geometria panimmaginaria a 1/m dimensioni, l'aritmetica a 1/m cifre, un Decreto presidenziale ecumenico relativo alla base hugodefinitiva della numerazione decimale”. Con l’abilità di un comunicatore, o di un titolista, era consapevole delle sue esagerazioni verbali: «Nel mio isolamento di semplice filosofo, sarò costretto a usare le combinazioni più strane e a colpire l'attenzione del lettore con la stessa singolarità della mia esposizione»

Fu probabilmente la sua ultima opera, a compimento di due lustri di grafomania compulsiva, perché non si ha traccia di pubblicazioni di Léopold Hugo successive a questa data, nonostante sia morto soltanto il 19 aprile 1895. Fu sepolto nel cimitero parigino di Montparnasse.

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