ad uso degli specializzandi in medicina editoriale
La conoscenza delle sindromi letterarie più comuni è un requisito indispensabile per gli operatori clinici impiegati in strutture pubbliche o private per la cura degli scrittori compulsivi o semplicemente inetti, come ad esempio nelle case di tolleranza letteraria. Questo breve articolo è un invito all'istituzione di un prontuario clinico, con alcuni esempi considerati tra i più significativi.
Bulemia (gr. Βουλή): mania degli scrittori di voler dare consigli di scrittura. Lo scrittore bulemico avverte l’irrefrenabile impulso di dare ricette sul bello scrivere in ogni occasione, salvo poi smentirle, rigettarle, in quella successiva, Al di là di epoche, stili, correnti letterarie o biografie personali, si può sostenere che esistono due tipi di scrittori: quelli che danno consigli su come scrivere e quelli che si fanno giustamente i fatti loro. Gli uni sono convinti di poter dire qualsiasi cosa sulla poesia, sul racconto, sul romanzo, e così via, solo perché hanno avuto la fortuna di imbattersi in un editore compiacente. Gli altri invece non sono mai stati pubblicati, forse perché il loro anonimato deriva dall'inesistenza: l’insieme degli scrittori che non danno consigli è infatti da sempre inesorabilmente vuoto.
Colpo dello Strega: improvvisa e dolorosissima mialgia dorsale che colpisce i favoriti di un premio letterario che poi non lo vincono. Anche scrittori apparentemente indifferenti alle glorie editoriali e mondane ne soffrono. Si narra che al Campiello del 1994, all'annuncio della vittoria di Antonio Tabucchi con Sostiene Pereira, ben due finalisti si accasciarono al suolo colpiti da acuti dolori dorsali. Il c. d. s. si cura con il riposo e una dieta a base di letture di scrittori che ottennero soltanto riconoscimenti postumi. Nel 2012 la sconfitta allo Strega di G. C. causò un c. d. s. così forte al punto che si temette potesse smettere di scrivere. Purtroppo invano.
Displagia (lat. plagium): anormale sviluppo stilistico e lessicale in un testo letterario, consistente in genere in una evidente ripetizione, letterale o in parafrasi, di frasi o concetti di altri autori. Se la ripetizione è smaccatamente evidente si è in presenza di una neoplagia. Non sempre la diagnosi di d. è agevole, anche perché c’è chi ritiene che la storia del pensiero sia oramai così lunga che è stato scritto tutto, pertanto i nuovi autori non possono far altro che ripetere l’esistente, magari con le stesse parole. Per questo motivo non necessariamente la d. è indice di dolo: esistono prove accertate di totale identificazione con un autore da parte di un altro autore. Il caso più noto di questo accidente letterario è quello del francese Pierre Menard, che, nel primo dopoguerra, non volle rifare il Don Chisciotte, né adattarlo all’epoca contemporanea, ma volle identificarsi totalmente con Cervantes e riscrivere parola per parola il Don Chisciotte senza peraltro copiarlo.
È stato inoltre rilevato da recenti studi clinici francesi che il fenomeno si può manifestare percorrendo all'inverso la freccia del tempo; si tratta della cosiddetta displagia per anticipazione, nella quale l’autore che ripete un’opera è vissuto o ha operato precedentemente all'autore considerato l’ispiratore.
Un esempio di questo caso è fornito dall'opera di Arnaldo Biserani (1905-1963), che è stato uno dei più grandi poeti e pittori inventati del ‘900. Esponente di spicco dell’avanguardia romagnola, ha per certi versi anticipato le tematiche e gli stili della beat generation e del gruppo ’63, ma impregnati dello spirito solare della sua terra. Questa sua Maiali nell’alba (1952) è stata da alcuni accostata alla nota Urlo di Allen Ginsberg, che è tuttavia di tre anni posteriore:
Un esempio di questo caso è fornito dall'opera di Arnaldo Biserani (1905-1963), che è stato uno dei più grandi poeti e pittori inventati del ‘900. Esponente di spicco dell’avanguardia romagnola, ha per certi versi anticipato le tematiche e gli stili della beat generation e del gruppo ’63, ma impregnati dello spirito solare della sua terra. Questa sua Maiali nell’alba (1952) è stata da alcuni accostata alla nota Urlo di Allen Ginsberg, che è tuttavia di tre anni posteriore:
Sono andato con la macchina nuova
all'allevamento dei maiali del Donnini
su fino a Mirandola, e li ho visti.
Ho visto le bestie migliori
della mia generazione
distrutte dalla follia, ingrassate, nude,
trascinarsi nei recinti negri all'alba
in cerca di un sollievo astioso,
un pastone nel truogolo celeste,
nella dinamo stellata nel meccanismo
della notte. Con gli occhi vuoti
sedevano grugnendo nell'oscurità
chiedendosi il perché e il come
di una vita vissuta per diventare
costine e salami, prosciutti e ciccioli,
per i Biserani come me, angeli
sterminatori dell’Apocalisse suina.
In Milano (1959) qualcuno ha visto echi del Pagliarani di La ragazza Carla:
A Milano in un lungo inverno scuro, quando il sole è cosa di Romagna,
incontro la cassoela untuosa, le puntine, le cotenne, i salamini
nella verza accogliente come una vagina innamorata; alla sera mi portano
in un ristorante di pesce a Lambrate, nella sera metallica e nebbiosa
di treni e di tram e gente che si aggira insonnolita e gelida
e trovo nel menù il rombo di nuovo, e le sue forme regolari
e schiacciate di pesce geometrico, con la superficie prodotto
delle diagonali, quattro lati, paralleli due a due, ingobbiti
dalla pressione dell’acqua, ma io ordino un gran fritto misto,
che dicono che qui è più fresco che al porto di Rimini,
può darsi ma non lo sanno fare e sa di bombolone riscaldato,
allora prendiamo la macchina e andiamo a bere un digestivo
in centro, dove i camerieri hanno più puzza sotto il naso
dei clienti ricchi, industriali e negozianti con il gozzo
da macellaio che ordinano vischi d’annata per loro e le due-tre
puttane che li accompagnano fumando Muratti e Mercedes.
Usciamo sotto le colonne e la nebbia è sparita, tira aria di neve,
allora ci congediamo e ci diamo appuntamento per la mostra
di Fontana l’indomani, e io sono contento, tra i primi fiocchi
illuminati dai fanali, di tornare al caldo, mettermi in pigiama,
e sedermi sul water che mi scappa anche da cagare.
Labirintite s. f. sing. (gr. λαβύρινθος): sindrome letteraria che colpisce gli imitatori scadenti di Jorge Luis Borges. Lo scrittore labirintitico soffre di mancanza di equilibrio, pertanto utilizza uno stile letterario ricco di riferimenti culturali, vagamente arcano, quando non ce n’è assolutamente bisogno. Fa inoltre un eccessivo uso di metafore, quali quella del labirinto o della biblioteca, di frequente derivanti dai concetti della matematica del Novecento. Il labirintitico utilizza concetti arditi per fatti banali, spesso facendo riferimento a testi inesistenti.
Un esempio di scrittore colpito da questa malattia è il parmigiano Secondo Barezzi (1968), indeciso tra il minimalismo delle sue storie e lo stile inutilmente erudito:
“Tra gli intricati scaffali della Ipercoop, nel reparto Frutta e Verdura, con i prodotti esposti con meticoloso ordine su banconi che ricordano una tassellatura universale dell’orticoltura, Paolo Barani indossò il guanto di plastica trasparente e prese in mano una cipolla. Ricordò che nella Biblioteca Universitaria di Bologna esiste una copia dell’Erbarium Alchemicum del Sangalli su cui, di fianco a una rappresentazione a colori del comune bulbo, una mano coeva scrisse che gli strati della cipolla sono indefiniti e tuttavia non infiniti. Vide la propria immagine riflessa nella parete a specchio, aborrendola come la propria paternità recente. Prese un mazzo di cipolle, lo infilò nel sacchetto e lo pesò sulla bilancia. Schiacciò poi il tasto corrispondente al prodotto, come aveva fatto migliaia di volte nell’interminabile Conad della lontana e ineffabile Fidenza. Appiccicò l’etichetta sul sacchetto, lo ripose nel carrello, le cui ruote disegnavano con il movimento immaginarie e dolorose cicloidi. Passò nel reparto Salumeria e si sentì come Martin Fierro ai confini dell’Uruguay”.
Logotomia, s. f. sing (gr. λόγος e τομή): intervento editoriale d’urgenza per salvare ciò che si può dell’opera letteraria di autori eccessivamente verbosi e barocchi. La l. consiste nell'eliminazione di parole, incisi, frasi, periodi, capitoli considerati non necessari o dannosi, la cui presenza è considerata alla stregua di un arto cancrenoso. Si consideri ad esempio il seguente brano:
“Ci sono luoghi in Campania che sono un buco nero. Sì, un buco nero che attira tutto a sé e non restituisce niente. Tutto, nel buco nero, viene attratto e non esce più: danaro, energie, speranze, illusioni, intelligenza, amore. E questo buco nero in cui finiscono danaro, energie, speranze, illusioni, intelligenza e amore si chiama Camorra. La Camorra è il buco nero della Campania, un oggetto che chiude, che imprigiona, e quindi non è aperto, non libera. Girando vorticosamente su stesso, il buco nero che si chiama Camorra è la maledizione della Campania. Terribile. Insaziabile. La Camorra è terribile, insaziabile, un buco nero nel cuore della Campania.”
Un intervento di logotomia leggera porterebbe al seguente risultato: “Ci sono luoghi in Campania che sono un buco nero che attira tutto a sé e non restituisce niente. Tutto, nel buco nero, viene attratto e non esce più: danaro, energie, speranze, illusioni, intelligenza, amore. E questo buco nero si chiama Camorra. La Camorra è un oggetto che chiude, che imprigiona. Girando vorticosamente su stesso, il buco nero è la maledizione della Campania. Terribile. Insaziabile. un buco nero nel cuore della Campania.”
Un editore più severo, o più pietoso, attuerebbe questo ulteriore intervento logotomico: “Ci sono luoghi in Campania che sono un buco nero che attira tutto a sé: danaro, energie, speranze, illusioni, intelligenza, amore. E questo buco nero si chiama Camorra. Terribile. Insaziabile.”
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Omeropatia, s. f. sing. (gr. ‘Ομηρος e πάθος): teoria letteraria secondo la quale è sufficiente inserire una parola tratta dall'Iliade o dall'Odissea per fare di un testo qualsiasi un’opera degna di essere letta. Se, ad esempio, si inserisce ίππος (cavallo) ogni diecimila parole scritte da Baricco, si dirà che il racconto è una preparazione omeropatica di grado 4 applicata a Baricco, dove la cifra indica l’esponente negativo della diluizione della parola omerica (1/10.000 = 10−4). I sostenitori dell’omeropatia pensano che la parola omerica inserita sia in grado di modificare il campo testuale, trasferendo ad esso le sue proprietà vibrazionali benefiche. Per alcuni autori sono necessarie elevate concentrazioni di parole omeriche, per cui il testo rischia di contenerne troppe, rendendolo poco agevole la lettura. Gli omeropati considerano indispensabili diluizioni 2 o 3 (1/100 o 1/1.000) per autori come Tamaro o Faletti.
La bulemia si può diagnosticare anche in Baricco dato che lo stesso ha fondato una scuola (Holden)i cui proventi nascono proprio con il voler insegnare a scrivere.
RispondiEliminaCome se fosse così facile.
Saluti!
io soffro della prima patologia, anche se in realtà consiglio metodi per scrivere male. Però credo che l'atteggiamento di chi si esprime sulla scrittura con gli occhi di un lettore che deve subire certi obbrobri sia un po' differente da quello di chi si autoproclama un guru dell'arte dello scrivere. Insomma, è un po' più simile a un clitoride che insegna a un uomo come essere stimolato. Per il piacere di entrambi.
RispondiEliminaPopinga, ciao.
RispondiEliminaIo veramente volevo scrivere un commento tautologico qui, ma sono rimasta intimidita dal commento precedente.
Io a certe similitudini non ci avevo mai pensato, e forse giammai ci avrei pensato, se non fossi venuta a trovarti in questa clinica.
Esiste una patologia del Lettore Basìto? Eh?
A me sembra di non soffrire di nessuna di queste malattie. Mi farete lo sconto nelle case di tolleranza letteraria?
RispondiEliminaForse sono ancora troppo giovane per soffrire di queste malattie. Anche se probabilmente sono sulla strada della prima e, quando imparerò a scrivere meglio, dovrò imparare a dominare la presunzione...
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