"Per lunghi mesi, sulle grandi lavagne che occupavano quasi tutta la parete dietro le cattedre, nelle Aule del Seminario di Matematica in via delle Sette Sale (una stradina del Colle Oppio con le selci che hanno il colore dell’argento, i muri di cinta interrotti da bellissimi portali adeguati alle dimensioni delle vecchie carrozze padronali), tra l’odore dei fiori e il cinguettio dei passeri che, chiuse le imposte, lasciavano come una scia, dietro la quale veniva a stabilire il silenzio necessario ad accogliere quelle cifre, quelle sillabe e quelle linee d’oro, il professore apriva il suo rito, proprio come un sacerdote apre la messa; con un segno di croce. Che non era tracciato dalla mano nell’aria e non invocava nessuna presenza divina: erano due solchi di polvere bianca sul buio schermo di ardesia, due assi ortogonali, l’asse delle ascisse e l’asse delle ordinate, che fermavano lo spazio intorno a quella O maiuscola, quella O che nei nostri fogli di esercitazione non restava mai un punto d’incrocio immateriale, senza dimensioni, come Euclide e Cartesio e Castelnuovo avrebbero voluto, ma diventava per la nostra inesperienza di disegnatori, oltre che di geometri, una specie di fossa, un buco, una bruttura sulle candide tese di carta Fabriano, dove imparammo a costruire la spirale, la catenaria, la cissoide, e molti altri ghirigori dalle virtù pressoché sublimi.
La Croce di Cartesio venne a sovrapporsi nelle nostre ingenue meditazioni di allora, ossessiva, imperiosa, alla caritatevole Croce di Gesù. I paradisi che essa ci prometteva ci parvero più immediati, e i sentieri della verità furono per noi, lungamente, labili curve disegnate a lapis, intorno ai due assi e a quella tonda lettera astrusa".
(Leonardo Sinisgalli, da Assi cartesiani, in Horror Vacui, Roma, O.E.T, 1945, pp.11-12)
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