martedì 13 marzo 2018

Il cervello euclideo (e lo spazio a priori)

Da Euclide ai neuroni. La geometria nel cervello, di Giorgio Vallortigara, (Castelvecchi, 2017) è un libretto di una quarantina di pagine pieno di descrizioni di ipotesi e esperimenti con varie specie di animali per indagare il modo in cui la geometria è rappresentata nel cervello. Si legge in poche ore, e ne vale proprio la pena. Innanzitutto perché l’autore è un’autorità nel campo delle neuroscienze, e si è già occupato di cervello e matematica, e poi perché mette in risalto l’enorme differenza tra le nozioni acquisite dai matematici sulle proprietà degli enti geometrici e quello che si continua a scoprire su come lo spazio sia rappresentato, vissuto, attraverso un complicato sistema di attivazione di centri neuronali.

Nella prima parte, dedicata al comportamento dei viventi che si orientano nell’ambiente, scopriamo che esiste un esprit géometrique che consente agli animali di codificare la geometria dello spazio, un talento innato indipendente da qualsiasi forma di imprinting o di trasmissione culturale. Esso si basa fondamentalmente, a livello ambientale, sulla capacità metrica di valutare la distanza delle superfici e su quella di senso di distinguere tra destra e sinistra. Se invece si considera l’informazione geometrica locale degli oggetti, abbastanza sorprendentemente, diventa importante la capacità di valutare angoli, distanze e lunghezze, mentre la direzione, cioè il senso, è assai meno rilevante.

La seconda parte riferisce della localizzazione nel cervello delle capacità descritte. Fondamentale risulta così l’ippocampo, una regione evolutivamente molto antica del sistema nervoso dei vertebrati. Esso ospita delle place cells (“cellule dei posti”), in grado di fornire indicazioni sulla posizione, e head direction cells (“cellule della direzione della testa”) , che si attivano in base alla direzione della testa (e solo di essa). L’orientamento degli animali nello spazio non dipende tuttavia solo da indicatori esterni. Ci sono meccanismi che consentano un orientamento su base endogena, come la capacità di misurare un percorso in termini di conteggio di distanze e di angoli.

In una regione limitrofa dell’ippocampo, la corteccia entorinale, sono state scoperte le grid cells (“cellule a griglia”), in grado di comporre mappe geometriche attraverso un sistema di coordinate spaziali, e speed cells (“cellule della velocità”), ossia neuroni in grado di valutare la velocità con la quale l’animale si muove nello spazio. A questo elenco si aggiungono le border cells (“cellule dei bordi”), che consentono di valutare la distanza da un bordo o da un confine, indipendentemente dalla direzione della testa.

A questa complessa circuiteria per l’orientamento spaziale che si trova nell’ippocampo e nelle regioni limitrofe si aggiungono alcune regioni del complesso occipitale laterale e dell’area ippocampale dei luoghi, (Ppa) che rispondono rispettivamente agli oggetti ma non alle scene in cui sono inseriti e, in modo complementare, alle scene indipendentemente dagli oggetti che vi si trovano.

Quali conclusioni trae Vallortigara in questo breve ma densissimo testo? Tralascio le valutazioni cliniche, per concentrarmi su quelle che più possono interessare i cultori e i professionisti della geometria. In primo luogo, ma già era noto, il nostro cervello è euclideo, nel senso che rappresenta, abita, una geometria che è quella descritta da Euclide più di due millenni fa. In secondo luogo, e ciò ha un certo interesse filosofico, gli studi empirici suggeriscono “che lo spazio, così come il numero, il tempo, la casualità e la conoscenza degli oggetti fisici e sociali, siano pre-disposti nel nostro cervello e configurino di conseguenza la nostra psiche”.

L’autore ribadisce un concetto che ha più volte ribadito: se Kant fosse vivo oggi sarebbe senza dubbio un neuroscienziato. Nella Critica della ragion pura (1781) il filosofo tedesco scriveva infatti che:
“Lo spazio non è un concetto empirico, ricavato da esperienze esterne. […] Pertanto, la rappresentazione dello spazio non può esser nata per esperienza da rapporti del fenomeno esterno; ma l'esperienza esterna è essa stessa possibile, prima di tutto, per la detta rappresentazione. Lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, la quale sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. […] Lo spazio non è un concetto discorsivo o, come si dice, universale dei rapporti delle cose in generale, ma una intuizione pura. Perché, primieramente, non ci si può rappresentare se non uno spazio unico, e, se si parla di molti spazi distinti, si intende soltanto parti dello stesso spazio unico e universale”.
Questa analisi, che per decenni condizionò la ricerca sul V postulato di Euclide e in qualche maniera rallentò la ricerca sulle geometrie non-euclidee, conserva tuttavia un valore fondamentale se da essa se ne trae la considerazione che la geometria (e la matematica, come suggerirebbero le ricerche sul concetto di numerosità presso gli animali) si basano su capacità evolutivamente sviluppate e ora intrinseche del nostro cervello. Credo che mai si dovrebbe dimenticare questo legame profondo, naturale, ancestrale, tra la disciplina “astratta” per eccellenza e il mondo che siamo e nel quale siamo immersi.

1 commento:

  1. Devo dire che sono in parte "terrorizzato" da queste conclusioni, in particolare per ciò che riguarda il futuro. Sbaglio se affermo che portano ad una forma di determinismo ?(vecchia storia nevvero..)
    Meno male che ci salva Heisemberg .anche per il cervello ,presumo.

    caino

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