lunedì 25 ottobre 2021

Di mappe e territori

 


Tutte le mappe sono false

In matematica, il termine mappa è spesso usato come sinonimo di funzione, che è una relazione tra due insiemi, chiamati dominio e codominio, che associa a ogni elemento del dominio uno e un solo elemento del codominio. Mappare vuol dire allora stabilire una corrispondenza biunivoca tra elementi di due insiemi diversi (o dello stesso insieme), secondo leggi diverse. In cartografia, questa corrispondenza si realizza tra insiemi di punti (quelli sulla superficie terrestre e quelli sul piano, che è il foglio su cui si disegna la mappa). Le leggi che associano questi insiemi di punti sono delle trasformazioni geometriche, matematiche o empiriche i cui risultati sono le cosiddette proiezioni cartografiche. Purtroppo, ciò comporta un certo margine di errore, inevitabile per qualsiasi tipo di proiezione si adotti. La rappresentazione della superficie terrestre sul piano genera sempre delle deformazioni, come era noto fin dall’antichità, poiché è una conseguenza di diversi risultati contenuti negli Sphaerica di Menelao di Alessandria (70 ca. – 140 ca.) sulla geometria dei triangoli tracciati sulla superficie di una sfera, come ad esempio il fatto che la somma degli angoli in un triangolo sferico è sempre maggiore di 180°. 


Trasformare delle coordinate geografiche in coordinate cartesiane è sempre un atto disonesto. La dimostrazione formale fu fornita da Eulero nel 1777, in Sulla mappatura delle Superfici Sferiche sul Piano, che chiamava perfetta una mappa f da una regione S della sfera al piano euclideo se valgono le seguenti due condizioni:

(1) f manda meridiani e paralleli a due campi di linee che formano reciprocamente gli stessi angoli;
(2) f conserva le distanze infinitesimamente lungo i meridiani e i paralleli.

Quindi, una mappa perfetta manda i meridiani e i paralleli a due campi di linee ortogonali. Inoltre, essa conserva globalmente l'elemento della lunghezza lungo i meridiani e i paralleli. Si noti che, sul globo sferico, i meridiani sono geodetiche, ma i paralleli non lo sono. Il fatto che le distanze siano conservate infinitesimamente lungo i meridiani implica immediatamente che le distanze tra i punti su queste linee debbano essere preservate. Ne consegue anche, sebbene non così immediatamente, che in una mappa perfetta anche le distanze tra i punti sui paralleli debbano essere preservate. L'idea della dimostrazione di Eulero fu di tradurre queste condizioni geometriche in un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali e mostrare che questo sistema non ha soluzione:

“Così è dimostrato attraverso il calcolo che una perfetta mappatura della Sfera sul piano non è possibile. Essendo quindi esclusa una rappresentazione perfettamente esatta, siamo obbligati ad ammettere rappresentazioni non simili, in modo che la figura sferica differisce in qualche modo dalla sua immagine sul piano. Per quanto riguarda la divergenza tra l'immagine e la realtà, possiamo fare varie ipotesi, e secondo l'assunzione che si assume come base, possiamo realizzare l'immagine più adatta a questo o quello scopo. In questo modo, le esigenze che l'immagine deve soddisfare possono variare in modi molto diversi”.



Un’ulteriore conferma alle dimostrazioni di Eulero arrivò da Gauss con l’opera Disquisitiones generales circa superficies curvas, vera pietra miliare nella storia della geometria differenziale, che Gauss pubblicò nel 1828. Riflettendo su cosa significasse definire le superfici, scoprì che la curvatura è una loro caratteristica intrinseca, perché è interamente determinata dalle misurazioni nella superficie e non coinvolge in alcun modo una terza dimensione normale ad essa. Così le superfici non andavano più considerate come immerse nello spazio tridimensionale, ma piuttosto “non come contorni di corpi, ma come corpi di cui una dimensione è infinitamente piccola”, una specie di velo “flessibile ma inestensibile”. La maggior parte delle superfici ha una curvatura non nulla, maggiore o minore di 0. Al contrario, se la superficie è un piano, la sua curvatura è nulla in tutti i suoi punti.

Gauss studiò anche quando una superficie può essere mappata su un'altra in modo tale che le distanze non siano alterate, e dimostrò che una condizione necessaria affinché ciò accada è che le curvature nei punti corrispondenti siano le stesse. Ad esempio, il cilindro e il piano sono localmente isometrici; sebbene curva, la superficie laterale del cilindro ha una curvatura zero nel senso di Gauss, proprio come il piano, ed è per questo che è possibile stampare con un tamburo rotante (la geometria intrinseca del cilindro è piatta, in quanto su di essa valgono tutti gli assiomi del piano euclideo). Una sfera (con curvatura positiva) e il piano (con curvatura nulla), invece, hanno sempre curvature diverse e non possono essere fra loro isometriche.

Visto che l’errore è sempre presente, si sceglie la proiezione che lo minimizza per il nostro scopo. Esistono infatti diverse leggi proiettive, in grado di privilegiare il mantenimento delle proporzioni tra le superfici, o tra le distanze, o conservare gli angoli tra direzioni. Un altro importante fattore di distorsione è la scala, cioè il rapporto tra distanze sulla mappa e distanze sul terreno. In genere, tanto più grande è la scala, tanto maggiore è l’errore. 



 Il paradosso della mappa in scala 1.1

L’ideale sarebbe una mappa in scala 1:1, ma anche in questo caso sorgono problemi. Il notissimo paradosso di Borges relativo alla Mappa dell’Impero, contenuto in Storia universale dell’infamia (1961), e contenuto nel frammento Del rigore della scienza, ci permette di evidenziarli. Come sua abitudine, l’autore argentino attribuisce la citazione a un libro che in realtà non esiste: 

“(…) In quell'Impero, l'Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell'impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell'Impero che aveva l’Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme fosse inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacere Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non c’è altra reliquia delle Discipline Geografiche. (Suárez Miranda, Viajes de varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida, 1658)”. 

Umberto Eco, nel Secondo diario minimo (1992), esaminò con finta serietà la possibilità teorica di tale mappa e, attraverso speculazioni sulla sua possibile natura (mappa opaca stesa sul territorio, mappa sospesa, mappa trasparente, permeabile, stesa e orientabile), sul suo ripiegamento e dispiegamento, giunse a concludere, sulla base del paradosso di Russell (l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi appartiene a se stesso se, e solo se, non appartiene a se stesso), che tale mappa non potrebbe rappresentare l’insieme territorio + mappa.

Il logico e divulgatore Piergiorgio Odifreddi è stato più conciliante, affermando che l’ipotesi di una mappa perfetta di un territorio disegnata su una sua parte non implica comunque una contraddizione, perché esiste almeno un punto del territorio che coincide con la sua immagine sulla mappa. Il teorema del punto fisso di Banach-Caccioppoli garantisce infatti che una qualsiasi contrazione definita su uno spazio metrico ammette almeno un punto fisso, dove l'immagine sulla mappa coincide con il punto stesso. Il che vuol dire che una mappa, anche in scala 1:1, è sempre infedele, tranne che in quel solo punto.

Odifreddi dice inoltre che “Una delle ossessioni di Borges, apparentata all'autoriferimento e apparentemente paradossale, è la cosiddetta mappa di Royce, che egli ha citato almeno tre volte”. In effetti Borges cita esplicitamente il paradosso del filosofo idealista americano Josiah Royce in un passo del saggio Magie parziali del “Don Chisciotte”, contenuto in Altre inquisizioni (Feltrinelli, 1963, ma l’originale è del 1960): 

“Le invenzioni della filosofia non sono meno fantastiche di quelle dell’arte: Josiah Royce, nel primo volume dell’opera The world and the individual (1899), ha formulato la seguente: ‘Immaginiamo che una porzione del suolo d'Inghilterra sia stata livellata perfettamente, e che in essa un cartografo tracci una mappa d’Inghilterra. L’opera è perfetta. Non c’è particolare del suolo d’Inghilterra, per minimo che sia, che non sia registrato nella mappa; tutto ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal caso, deve contenere una mappa della mappa, che deve contenere una mappa della mappa della mappa, e così all'infinito’.” 

 

Il paradosso di Bonini

Charles P. Bonini, professore emerito di Scienze gestionali alla Stanford Graduate School of Business, è stato esperto, ricercatore e insegnante delle applicazioni delle tecniche quantitative e statistiche ai problemi decisionali. Queste tecniche includono analisi delle decisioni, modelli di ottimizzazione, sistemi di elaborazione, teoria delle code, simulazione e data mining. È stato autore e coautore di numerosi libri di testo. 

Nel 1963 propose quello che è noto come il Paradosso di Bonini che illustra la difficoltà di costruire modelli o simulazioni che colgano completamente il funzionamento di sistemi complessi (come il cervello umano).

Nel dibattito scientifico moderno, il paradosso è stato articolato nel 1971 da John M. Dutton e William H. Starbuck: "Quando un modello di un sistema complesso diventa più completo, diventa meno comprensibile. In alternativa, quando un modello diventa più realistico, diventa anche altrettanto difficile da capire quanto i processi del mondo reale che rappresenta”.

Questo stesso paradosso era stato accennato nel 1942 da un “cattivo pensiero” del filosofo-poeta Paul Valéry: "Ce qui est simple est toujours faux. Ce qui ne l'est pas est inutilisable" (Ciò che è semplice, è sempre falso. Ciò che non lo è, è inutilizzabile.)

Inoltre, lo stesso argomento fu discusso dall’agronomo, matematico, ecologo e filosofo della scienza Richard Levins nell’articolo per l’American Scientist "The Strategy of Model Building in Population Biology" (1966), dove affermava che i modelli complessi hanno "troppi parametri da misurare, portando a equazioni analiticamente insolubili che supererebbero la capacità dei nostri computer, ma i risultati non avrebbero alcun significato per noi anche se potessero essere risolti”.

Il paradosso di Bonini può essere visto come un caso di relazione mappa-territorio: mappe più semplici sono rappresentazioni meno accurate ma più utili del territorio. 

Devo dire che mi è subito affiorato alla mente il ricordo della frequenza ai corsi di aggiornamento sulla costruzione delle mappe concettuali (quelle vere, non dei semplici diagrammi spacciati per esse), dove veniva chiesto di programmare delle attività didattiche interdisciplinari e di costruire la mappa dei contenuti della propria materia da integrare con quelle elaborate dai colleghi. Il risultato di tale volenterosa attività erano dei lenzuoli incomprensibili a tutti i partecipanti. Il bello è che in seguito questa prassi fu utilizzata obbligatoriamente nelle progettazione delle cosiddette Unità Formative a livello di istituto, che andavano declinate anche come competenze, in ossequio ai dettami del vangelo predicato da Bertagna e fatto proprio dall’allora ministra Moratti. Ero bravissimo a preparare tali mostruose e rizomatiche piovre, ma mentivo sapendo di mentire. 



La mappa non è il territorio

L’originale matematico, ingegnere e filosofo polacco-americano Alfred Korzybski (1879-1950) osservò che "la mappa non è il territorio" e che "la parola non è la cosa", sintetizzando la sua visione che un'astrazione derivata da qualcosa, o una reazione ad essa, non è la cosa stessa. Korzybski sosteneva che molte persone confondono le mappe con i territori, cioè confondono i modelli della realtà con la realtà stessa. 

Korzybski voleva criticare le ambiguità del linguaggio e fondare una nuova dottrina di (quasi) tutto che chiamava Semantica generale (un’idea che purtroppo sedusse anche gente psico-cosa tipo L. Ron Hubbard, quello di Scientology, per dire), ma la sua frase rimase nella storia del pensiero.

Korzybski sosteneva che gli esseri umani sono limitati in ciò che conoscono dalla struttura del loro sistema nervoso e dalla struttura delle loro lingue. Gli uomini non possono sperimentare il mondo direttamente, ma solo attraverso le loro "astrazioni" (impressioni non verbali o "spunti" derivati ​​dal sistema nervoso e indicatori verbali espressi e derivati ​​dal linguaggio). Questi a volte ci ingannano su quale sia la verità. La nostra comprensione a volte manca di somiglianza di struttura con ciò che sta realmente accadendo. In termini più astratti, la proposizione di Korzybski asserisce che sempre quando c'è pensiero o percezione oppure comunicazione sulla percezione vi è una trasformazione, una codificazione, tra la cosa comunicata e la sua comunicazione. Soprattutto, la relazione tra la comunicazione e la cosa comunicata tende ad avere la natura di una classificazione, di un'assegnazione della cosa a una classe. Dare un nome è sempre un classificare e tracciare una mappa è essenzialmente lo stesso che dare un nome. Bisogna anche dire che onestamente riconobbe che “Una mappa non è il territorio che rappresenta, ma, se corretta, ha una struttura simile al territorio, il che spiega la sua utilità”.

L'espressione comparve per la prima volta in stampa in "A Non-Aristotelian System and Its Necessity for Rigor in Mathematics and Physics", resoconto di una conferenza che Korzybski tenne a una riunione della American Association for the Advancement of Science a New Orleans il 28 dicembre 1931. Il documento fu ristampato in Science and Sanity (1933). In questo libro, Korzybski riconosceva il suo debito nei confronti del matematico Eric Temple Bell, la cui epigrammatica asserzione "la mappa non è la cosa mappata", comparve nel saggio Numerology nello stesso anno. Il libro di Temple Bell era un serio tentativo di smontare ogni velleità di intravvedere significati simbolici nei numeri e dedicava un capitolo intero a criticare l’idea di alcuni matematici suoi contemporanei che “Il cosmo è matematica pura e la matematica pura è il Cosmo”, giungendo a contestare persino l’idea di isomorfismo se riferita alla relazione tra matematica pura e realtà esterna.




Il territorio non è il territorio

Gregory Bateson, in Verso un'ecologia della mente (1972), nel capitolo "Forma, sostanza e differenza" (basato sulla conferenza per il diciannovesimo Annual Korzybski Memorial, tenuta il 9 gennaio 1970), sostenne in modo radicale l’impossibilità di sapere cosa sia un territorio reale. Qualsiasi comprensione di qualsiasi territorio si basa su uno o più canali sensoriali che riportano in modo adeguato ma imperfetto:

“Diciamo che la mappa è diversa dal territorio; ma che cos’è il territorio? Da un punto di vista operativo, qualcuno (...) è andato a ricavare certe rappresentazioni che poi sono state riportate sulla carta. Ciò che si trova sulla carta topografica è una rappresentazione di ciò che si trovava nella rappresentazione retinica dell’uomo che ha tracciato la mappa; e se a questo punto si ripete la domanda, ciò che si trova è un regresso all’infinito, una serie infinita di mappe: il territorio non entra mai in scena. Il territorio è la Ding an sich [la cosa in sé], e con esso non c’è nulla da fare, poiché il procedimento di rappresentazione lo eliminerà sempre, cosicché il mondo mentale è costituito solo da mappe di mappe, ad infinitum”.

“Tutti i ’fenomeni’ sono letteralmente ’apparenze’. Oppure si può andare nel verso opposto della catena. Io ricevo vari generi di mappe, che chiamo dati o informazioni; e, quando le ricevo, agisco. Ma le mie azioni, le mie contrazioni muscolari, sono trasformate [informazioni] di differenze nel materiale d’ingresso, e io ricevo dati che sono a loro volta trasformate delle mie azioni. Si ottiene così un quadro del mondo mentale che in qualche modo si è affrancato dal nostro quadro tradizionale del mondo fisico”. (...)

“Torniamo alla mappa e al territorio e chiediamoci: "Quali sono le parti del territorio che sono riportate sulla mappa?". Sappiamo che il territorio non si trasferisce sulla mappa: questo è il punto centrale su cui qui siamo tutti d’accordo. Ora, se il territorio fosse uniforme, nulla verrebbe riportato sulla mappa se non i suoi confini, che sono i punti ove la sua uniformità cessa di contro a una più vasta matrice. Ciò che si trasferisce sulla mappa, di fatto, è la differenza, si tratti di una differenza di quota, o di vegetazione, o di struttura demografica, o di superficie, o insomma di qualunque tipo. Le differenze sono le cose che vengono riportate sulla mappa.

Ma che cos’è una differenza? Una differenza è un concetto molto peculiare e oscuro. Non è certo né una cosa né un evento. Questo pezzo di carta differisce dal legno di questo leggio; vi sono tra essi molte differenze, di colore, di grana, di forma, eccetera. Ma se cominciamo a porci domande sulla localizzazione di quelle differenze, cominciano le difficoltà. Ovviamente la differenza tra la carta e il legno non è nella carta; ovviamente non è neppure nel legno; ovviamente non è nello spazio che li separa; e non è ovviamente nel tempo che li separa. (Una differenza che si produce nel corso del tempo è ciò che chiamiamo ’cambiamento’). Dunque, una differenza è un’entità astratta”. (...)

“Nelle scienze fisiche gli effetti, in generale, sono causati da condizioni o eventi piuttosto concreti: urti, forze e così via. Ma quando si entra nel mondo della comunicazione, dell’organizzazione, eccetera, ci si lascia alle spalle l’intero mondo in cui gli effetti sono prodotti da forze, urti e scambi di energia. Si entra in un mondo in cui gli ’effetti’ (e non sono sicuro che si debba usare la stessa parola) sono prodotti da differenze. Cioè essi sono prodotti da quel tipo di ‘cosa’ che viene trasferita dal territorio alla mappa. Questa è la differenza”.

Altrove, in quello stesso volume, Bateson ha sostenuto che l'utilità di una mappa non è necessariamente una questione di veridicità letterale, ma di avere una struttura analoga, per lo scopo in questione, al territorio. 

Jean Baudrillard in Simulacri e simulazione (1981) sosteneva che il processo di mascheramento della mappa è ormai giunto alle sue estreme conseguenze: lo sviluppo dei media offusca il confine tra mappa e territorio, consentendo la simulazione delle idee codificate in segnali elettronici. Oramai è la mappa che precede il territorio, o addirittura lo sostituisce. Adesso si direbbe che viviamo in un’epoca di post-verità, che è come dire di menzogna (occhio: non sta parlando di scienza, ma di media).

Un'analogia specifica che Jean Baudrillard usa è proprio il racconto della mappa dell’impero. Nell'interpretazione di Baudrillard, il territorio non precede più la mappa né sopravvive alla mappa. È la mappa che precede il territorio. Le persone vivono nella mappa, ossia nella simulazione della realtà in cui la gente dell’impero passa la vita, garantendo che il loro posto nella rappresentazione sia adeguatamente circoscritto e dettagliato dai cartografi che hanno creato la mappa. Di contro la realtà si sgretola per il disuso, infatti ciò che non si usa si atrofizza e ciò che si atrofizza si perde. La transizione da segni che nascondono qualcosa a segni che nascondono che non c’è nulla è la svolta decisiva. 

“L'astrazione oggi non è più quella della mappa, del doppio, dello specchio o del concetto. La simulazione non è più quella di un territorio, di un essere referenziale o di una sostanza. È la generazione per modelli di un reale senza origine né realtà: un iperreale. Il territorio non precede più la mappa, né le sopravvive. Ormai è la mappa che precede il territorio - precessione dei simulacri - è la mappa che genera il territorio e, se dovessimo far rivivere la favola oggi, sarebbero i brandelli del territorio che stanno lentamente morendo sulla mappa. È il reale, e non la mappa, di cui vestigia sussistono qua e là, nei deserti che non sono più quelli dell'Impero, ma i nostri. Il deserto del reale stesso. (…)

Ma non si tratta più né di mappe né di territorio. Qualcosa è scomparso: la grande differenza tra loro, che era il fascino dell'astrazione. Perché è la differenza che forma la poesia della mappa e il fascino del territorio, la magia del concetto e il fascino del reale. Questo immaginario rappresentativo, che culmina ed è al tempo stesso inghiottito dal folle progetto del cartografo di una coestensività ideale tra mappa e territorio, scompare con la simulazione, il cui funzionamento è nucleare e genetico, e non più speculare e discorsivo. (…) Il reale è prodotto da unità miniaturizzate, da matrici, banchi di memoria e modelli di comando - e con questi può essere riprodotto un numero indefinito di volte. Non deve più essere razionale, poiché non è più misurato rispetto a qualche istanza ideale o negativa. Non è altro che operativo. Infatti, poiché non è più avvolto da un immaginario, non è più affatto reale. È un iperreale: il prodotto di una sintesi irradiante di modelli combinatori in un iperspazio senza atmosfera. In questo passaggio ad uno spazio la cui curvatura non è più quella del reale, né quella della verità, l'età della simulazione inizia così con una liquidazione di tutti i referenti (...) nei sistemi di segni, che sono un materiale più duttile che il significato, in quanto si prestano a tutti i sistemi di equivalenza, a tutte le opposizioni binarie e a tutta l'algebra combinatoria. 

(…) Mai più il reale dovrà essere prodotto: questa è la funzione vitale del modello in un sistema di morte, anzi di risurrezione anticipata che non lascia più alcuna possibilità anche in caso di morte. Un iperreale ormai al riparo dall'immaginario, e da ogni distinzione tra reale e immaginario, che lascia spazio solo alla ricorrenza orbitale dei modelli e alla generazione simulata della differenza”.


Che fare?

Forse aveva ragione Lewis Carroll, che, per non sbagliare, disegnò per i protagonisti de La caccia allo Snark una mappa dell’Oceano completamente vuota? Assolutamente no. La mappa non è il territorio, e forse tutti i modelli sono falsi. Ma proprio perché consci di questo, senza derive di nichilismo epistemologico (Ignoramus et ignorabimus), possiamo dedicarci a scoprire, con tutti i nostri limiti, il mondo che ci circonda. Sono i suoi limiti epistemologici, ontologici, semplicemente logici, che fanno grande l'impresa scientifica, compreso il difficile compito di costruire mappe e modelli che siano esplicativi, predittivi, coerenti con il contesto e altre mappe. È scienza: funziona, anche se ci sarà sempre un mistico fallito, un complottista, un teorete, un terrapiattista o un prete a sparare cazzate.

1 commento:

  1. L'ultima riga di questo bell'articolo è quindi una mappa imperfetta di un verso dell'Avvelenata.
    Ma per un giovane non lo è affatto perchè non conosce Guccini. Curioso che quello che a me appare lampante per Goggle non lo è per nulla. " ci sarà sempre un mistico fallito, un complottista, un teorete, un terrapiattista o un prete a sparare cazzate" nella stinga di ricerca di Goggle non cita Guccini nemmeno di striscio!

    RispondiElimina