“Verso la metà del mattino di Pentecoste, l'8 giugno 1783, con tempo sereno e calmo, a nord delle montagne apparve una nebbia nera di sabbia. La nuvola era così estesa che in breve tempo si era diffusa su tutta l'area e così fitta da creare oscurità all'interno. Quella notte si verificarono forti terremoti e scosse”.
Inizia così il resoconto del testimone oculare di uno degli episodi più straordinari di cambiamento climatico mai visti. Fu scritto dal pastore luterano Jon Steingrimsson (1728–1791), nel distretto di Sida, nel sud dell'Islanda. Alle nove di quella mattina, la terra si aprì lungo una fessura vulcanica di 25 chilometri detta Laki o Lakagígar, tra i ghiacciai di Mýrdalsjökull e Vatnajökull, in un'area di faglie che corrono in direzione da sud-ovest a nord-est che costituiscono un prolungamento emerso della dorsale medio-atlantica. All’inizio, l’evento si manifestò violentemente, con esplosioni freatomagmatiche a causa dell'interazione delle acque sotterranee con il magma basaltico ascendente. Dopo pochi giorni, le eruzioni divennero meno esplosive, di carattere stromboliano e successivamente hawaiano, con alti tassi di effusione lavica. per un periodo di otto mesi tra il giugno 1783 e il febbraio 1784, liberando circa 42 miliardi di tonnellate (14 chilometri cubi) di lava basaltica e aerosol solforici e nubi di acido fluoridrico che contaminarono il suolo, provocando la morte di oltre la metà del bestiame islandese e la distruzione della stragrande maggioranza di tutti i raccolti. Si stima che le fontane di lava abbiano raggiunto altezze comprese tra 800 e 1.400 metri. I gas, tra cui circa 8 milioni di tonnellate di fluoro e circa 120 milioni di tonnellate di anidride solforosa, furono trasportati dalla colonna eruttiva convettiva fino ad altezze di circa 15 km, oltre il limite della troposfera. Si stima che circa il 20-25% della popolazione islandese sia morta durante la carestia che fu provocata dalle eruzioni della fessura. Circa l'80% degli ovini, il 50% dei bovini e il 50% dei cavalli morì a causa della fluorosi dentale e della fluorosi scheletrica provocate dal consumo dell'erba contaminata. Fu la più grande calamità nella storia dell'Islanda.
Jón Steingrimsson non aveva dubbi: l'eruzione era “il castigo del Signore”. La quarta domenica dopo Pentecoste, il 20 luglio 1783, con la lava che avanzava a valle verso la sua chiesa “che tremava e tremava per il cataclisma”, raccolse il suo gregge per il servizio domenicale, come al solito: “In quest'ultima settimana, e nelle due precedenti, piovve dal cielo più veleno di quanto le parole possano descrivere: cenere, frammenti di lava, pioggia piena di zolfo e salnitro, il tutto misto a sabbia. I musi, le nari e i piedi del bestiame che pascolava o camminava sull'erba diventavano di un giallo brillante e erano scorticati. Tutta l'acqua è diventata tiepida e di colore azzurro e le frane di ghiaia sono diventate grigie. Tutte le piante della terra sono bruciate, appassite e ingrigite, una dopo l'altra, mentre il fuoco aumenta e si avvicina ai villaggi”.
"L’alluvione di fuoco", scrive Steingrimsson, "scorreva alla velocità di un grande fiume gonfio di acqua di disgelo in un giorno di primavera". Quando il flusso di lava scorreva nell'acqua o nelle paludi, "le esplosioni erano forti come se fossero stati sparati molti cannoni contemporaneamente". Quando colpiva un ostacolo, come i vecchi campi di lava, grandi getti di roccia fuso erano lanciati in aria, schizzando di nuovo a terra, "come moscerini".
“Sia io che tutti gli altri nella chiesa non avevamo assolutamente paura”, scrisse. "Nessuno ha mostrato segni di impazienza durante il servizio, che avevo fatto leggermente più lungo del solito." All'uscita, i fedeli scoprirono che due fiumi, bloccati dalla colata lavica, avevano cambiato corso e si erano uniti, bagnando la lava e fermandola a pochi metri dalla porta della chiesa. (Due secoli dopo, gli islandesi hanno creato lo stesso ostacolo con mezzi artificiali per salvare una città minacciata da un'altra eruzione.) "Da quel giorno in poi l'incendio non ha danneggiato in alcun modo la mia parrocchia". Il “miracolo del sermone del fuoco" divenne ben noto anche al di fuori dell’isola.
Nel giro di pochi giorni, il Laki aveva prodotto un vasto pennacchio di pioggia acida, che incombeva sui cieli dell'Islanda meridionale. Ma i danni subiti dall'Islanda furono solo l'inizio di una scia di distruzione molto più grande, che sarebbe poi arrivata dall'altra parte del mondo. L'emissione di gas diede origine a ciò che da allora è diventata nota come la "nebbia di Laki" in tutta Europa. L'eruzione di Laki e le sue conseguenze causarono un drammatico calo delle temperature globali. Ciò provocò la rovina dei raccolti in Europa e alterò il clima in tutto il mondo.
Nel normale corso degli eventi, i venti prevalenti avrebbero spinto questo pennacchio velenoso verso nord, verso il Circolo Polare Artico. Ma l'estate del 1783 non era normale. Un’area stabile di alta pressione gravava sull'Europa nord-orientale, trascinando i venti, e la nuvola di Laki, a sud-est, verso la terraferma europea.
Ciò che accadde dopo può essere ricostruito nei minimi dettagli perché alla fine del Settecento i diari erano di moda tra i ceti medi appena alfabetizzati e la circolazione dei giornali era in aumento anche nei piccoli centri; c'era anche un crescente interesse scientifico per il mondo naturale, con dilettanti istruiti che tenevano note dettagliate dei fenomeni naturali. Da tali registrazioni, si può tracciare il corso della nuvola di Laki letteralmente giorno per giorno (vedi mappa).
Il 10 giugno, il poeta islandese Sæmundur Magnusson Holm scriveva all’Università di Copenaghen che la caduta di cenere colorava di nero il ponte e le vele delle navi in viaggio verso la Danimarca. Lo stesso giorno, un pastore luterano in Norvegia, Johan Brun, riferì che la cenere caduta aveva seccato l'erba e le foglie a Bergen. La nuvola velenosa si spostò a Praga nel Regno di Boemia entro il 17 giugno, a Berlino entro il 18 giugno, a Parigi entro il 20 giugno. La nebbia era così fitta che le barche rimasero in porto, incapaci di navigare, e il sole era descritto come "colore del sangue". Il matematico boemo Anton Strnad riferì che "la nebbia secca" era salita lungo il fiume Moldava fino a Praga, mentre il matematico svizzero Nicolaus von Beguelin riferì la sua prima apparizione a Berlino il giorno successivo. “Il sole”, scrisse, “era opaco nel suo splendore e colorato come se fosse stato intriso di sangue”.
Prima del 18 giugno i venti sembravano aver spinto le nuvole a sud e a ovest. Il botanico ed esploratore Robert de Lamanon scrisse da Laon, nel nord della Francia, che "la nebbia era fredda e umida, con il vento proveniente da sud, e si poteva facilmente guardare il sole con un telescopio senza un lente”. De Lamanon disse che la nebbia,"come qui i più vecchi non hanno mai visto prima”, apparve per la prima volta quel giorno a Parigi, Torino e Padova, da dove l’abate naturalista e meteorologo Giuseppe Toaldo scrisse che tutto il nord Italia era coperto dalla nebbia e odorava di zolfo: “Ma due fenomeni particolari si presentano da esser memorati, la Nebbia, ed i Fulmini. Nel giorno 18, dopo un temporale della mattina in seguito d’altri, apparve dopo mezzodì il Sole bianco e smorto, per una sottile caligine sparsa nell’alto dell’Atmosfera, la quale nei successivi giorni andò sempre più condensandosi, né si dileguò punto da qualche temporale trammezzo, come quello de’ 26 mattina, che diede tante Saette in tutta la linea de’ monti da un mare all’altro. Dura ancora in questi primi giorni di luglio, anzi sembra farsi più folta, almeno in certe ore. Non toglie la vista del Sole, nè delle Stelle maggiori, se non presso l’Orizzonte. Scorgesi il Sole ad occhio nudo, come se si mirasse coi vetri colorati, e affumicati, tinto di varj colori, secondo la varia densità della Caligine, che lascia passare questa, o quella specie di raggi, generalmente i più forti, i gialli, ed i rossi, parendo quindi un globo infuocato, o color di sangue, e dando occasione alle fantasie riscaldate, e rozze di vedervi figure varie, teste umane, o d’animali come nelle nuvole. Per lo più appariva in alto pallido, e bianco per la scarsezza de’ raggi d’ogni colore trasmessi, o soppressi parzialmente, al basso rosso, non passando che questa specie di raggi più forti per il lungo tratto orizzontale che la luce dovea valicare”. (Osservazioni Meteorologiche del mese di giugno 1783, con un discorsetto sulla Nebbia straordinaria, ed influenza de’ Fulmini nella presente Stagione).
La prima menzione della nube in Gran Bretagna è del 22 giugno, quando il botanico Henry Bryant scrisse al Norfolk Chronicle che "c'era un'oscurità insolita nell'aria, con calma mortale e rugiada molto abbondante". Gilbert White, un pastore anglicano dell'Hampshire, annotò nei suoi diari del 23 che "i fili di grano in diversi campi sono diventati gialli e sembrano bruciati dal gelo".
ll 26 giugno, Leonhard Euler, il grande matematico svizzero, riferì di una "nebbia secca" a San Pietroburgo. Entro la fine del mese, la nuvola aveva raggiunto Mosca e Tripoli in Siria, secondo Simeon Pieter van Swinden della Società meteorologica olandese, le cui "Osservazioni sulla nuvola apparse nel 1783" riferiscono che "una nebbia molto densa copriva sia la terra che il mare; il sole si vedeva di rado, e sempre con un colore sanguinante, cosa rara in Siria”. Infine, il 1° luglio, la nebbia apparve a Baghdad e sui monti Altai, secondo il geologo e mineralogista russo Нans Mikael Renovantz, che riferì di gelate fuori stagione in Asia centrale.
A quel punto, in Europa, la nuvola si era addensata. Dopo la sua iniziale effusione, Laki eruttò nuovamente, più violentemente, l'11 giugno e con ancor maggiore forza il 14. Ferenc Weiss, un meteorologo ungherese, aveva ragione a ipotizzare che "la fitta nebbia veniva continuamente alimentata".
Quando la nuvola si avvicinò all'Europa occidentale, fu risucchiata a spirale verso la superficie terrestre, producendo una fitta nebbia vicino al livello del suolo. A metà luglio, la “nebbia secca” si era posata sull'Europa come una coperta; doveva rimanere lì per tutta l'estate.
Spesso la situazione provocava allarme e terrore, e quindi il ricorso alla religione: “Alcuni temono di andare a letto, aspettandosi un terremoto; alcuni affermano che [il sole] non sorge né tramonta dove ha sempre fatto, e affermano con grande sicurezza che il giorno del giudizio è vicino", scrisse il poeta inglese, William Cowper. I parrocchiani vicino a Broué, nel nord della Francia, trascinarono il loro sacerdote fuori dal letto e lo obbligarono a compiere un rito di esorcismo sulla nuvola. Dopo che le piogge ebbero portato un sollievo temporaneo ad Anversa, la Gazette van Antwerpen riferì che si erano tenute preghiere pubbliche per portarne di più.
L'allarme e l'incomprensione non erano confinati agli analfabeti. Il governo britannico, temendo una epidemia di peste, elaborò piani per chiudere i porti al traffico dal continente. Né le paure popolari erano semplici superstizioni. I registri parrocchiali delle Midlands inglesi rivelano un picco nel numero di morti nei mesi di luglio e agosto 1783, sebbene l'estate sia normalmente il periodo di mortalità più bassa nelle società agricole. Circa 23 mila inglesi in più della media morirono quell'anno, raddoppiando il normale bilancio delle vittime. In Francia, secondo alcune stime, quell'estate morì il 5% della popolazione. Insolitamente, le morti comprendevano giovani uomini e donne che lavoravano nei campi, respirando aria inquinata in un caldo soffocante.
In generale, però, “i Connoscenti” (termine di Cowper) cercavano spiegazioni razionali per la nebbia, piuttosto che le consolazioni della religione. A Parigi, i meteorologi "desiderosi di fare alcune osservazioni dell'atmosfera, fecero volare una specie di aquilone a grande altezza, dopodiché fu trascinato dentro, coperto di innumerevoli piccoli insetti neri". In un apparente tentativo di placare il panico, l’astronomo francese, Jérome de Lalande, scrisse un articolo in cui affermava che il tempo insolito non era "nient'altro che l'effetto molto naturale di un sole caldo dopo un lungo periodo di pioggia battente" (si sbagliava). Ovunque, uomini istruiti lasciarono descrizioni dettagliate della copertura nuvolosa; dell'aspetto insolito del sole ("ferruginoso" diceva White; "il volto di una calda salamandra" diceva Cowper); e della bruciatura delle foglie e dell'erba e dello stato delle messi e del bestiame.
In Europa, l'estate del 1783 fu insolitamente calda, la più calda registrata in Inghilterra prima del 1995. White definì la stagione "una stagione straordinaria e portentosa, piena di fenomeni orribili" e si lamentò del numero anomalo di vespe.
Quel che è più certo è che, in alto nell'atmosfera, i gas vulcanici filtravano parte della radiazione solare anche dopo che la nuvola si era dissipata a livelli più bassi. Questa diffusione doveva avere un impatto maggiore sul clima rispetto alla stessa nuvola estiva. Gli inverni che seguirono l'eruzione del Laki furono tremendamente freddi.
All'epoca, solo alcune persone sospettavano che la colpa fosse del vulcano. Benjamin Franklin, allora ambasciatore d'America a Parigi, scrisse alla Società Letteraria e Filosofica di Manchester che:
“Durante molti dei mesi estivi dell'anno 1783, quando l'effetto dei raggi solari per riscaldare la terra in queste regioni settentrionali avrebbe dovuto essere maggiore, esisteva una nebbia costante su tutta l'Europa e gran parte del Nord America. Questa nebbia era di natura permanente; era secca, ed i raggi del sole sembravano avere scarso effetto nel dissiparla, come fa facilmente una nebbia umida, che nasce dall'acqua [...] Naturalmente, il loro effetto estivo nel riscaldare la Terra era estremamente diminuito. Quindi la superficie è stata presto congelata. Quindi le prime nevi rimasero su di esso non sciolte e ricevettero continue aggiunte. Quindi l'aria era più fredda e i venti più freddi. Quindi forse l'inverno 1783-1784 fu più rigido di qualsiasi altro che fosse accaduto per molti anni. La causa di questa nebbia universale non è ancora accertata [...] o se sia stata la grande quantità di fumo, che da tempo continuava, a emettere durante l'estate da Hekla in Islanda, [o da un vulcano vicino] che sorse dal mare vicino a quell'isola, il cui fumo potrebbe essere sparso da vari venti, sulla parte settentrionale del mondo”.
Si sbagliava di pochi chilometri. Secondo i documenti contemporanei, il vulcano Hekla non eruttò nel 1783; la sua precedente eruzione risaliva al 1766. L'eruzione della fessura di Laki avvenne 72 km a est, e il vulcano Grímsvötn stava eruttando a circa 121 km a nord-est. Katla, a soli 50 km a sud-est, era ancora rinomata dopo la sua spettacolare eruzione 28 anni prima nel 1755.
In media, le temperature in Europa nel 1784 furono di circa 2°C al di sotto della norma della seconda metà del XVIII secolo; e, più vicino all'Islanda, maggiore era l'impatto. La stessa Islanda era quasi 5°C più fredda del normale e vide il periodo di ghiaccio marino più lungo mai registrato intorno all'isola. Berlino e Ginevra, a circa 1.300 miglia di distanza, erano 2°C al di sotto del normale, mentre l'anomalia a Vienna, a 1.700 miglia da Laki, era di soli 1,5°C. Stoccolma e Copenaghen, le città più vicine a poco più di 1.000 miglia di distanza, videro le temperature scendere di oltre 3°C.
L'inverno 1783-1784 fu molto rigido; il naturalista Gilbert White a Selborne, nello Hampshire, riferì di 28 giorni di gelo continuo. Prima:
“L'estate dell'anno 1783 fu sorprendente e portentosa, e piena di orribili fenomeni; poiché oltre alle allarmanti meteore e ai tremendi temporali che hanno spaventato e angosciato le diverse contee di questo regno, la peculiare nebbia, obnebbia fumosa, che ha prevalso per molte settimane in quest'isola, e in ogni parte d'Europa, e anche oltre i suoi limiti, era un aspetto più straordinario, a differenza di tutto ciò che è noto nella memoria dell'uomo. Dal mio diario scopro di aver notato questo strano avvenimento dal 23 giugno al 20 luglio compresi, periodo durante il quale il vento variava da ogni trimestre senza alterare l'aria. Il sole, a mezzogiorno, sembrava vuoto come una luna offuscata, e diffondeva una luce ferruginosa color ruggine sul terreno e sui pavimenti delle stanze; ma era particolarmente lurido e color sangue al sorgere e al tramontare. Per tutto il tempo il caldo era così intenso che la carne dei macellai difficilmente poteva essere mangiata il giorno dopo essere stata uccisa; e le mosche sciamavano così nei viottoli e nelle siepi che rendevano i cavalli quasi frenetici e irritanti nel cavalcare. La gente di campagna cominciò a guardare, con superstizioso timore reverenziale, l'aspetto rosso e splendente del sole [...]
Si stima che l'inverno estremo abbia causato ottomila morti in più nel Regno Unito. Durante il disgelo primaverile, la Germania e l'Europa centrale riportarono gravi danni causati dalle inondazioni.
L'impatto meteorologico di Laki continuò, contribuendo in modo significativo a diversi anni di condizioni meteorologiche estreme in Europa. In Francia, la sequenza di eventi meteorologici estremi includeva un raccolto fallito nel 1785 che causò miseria per i lavoratori rurali, ma anche siccità, inverni ed estati difficili. In molti sostengono che questi eventi contribuirono in modo significativo a un aumento della povertà e della carestia che potrebbe aver indirettamente portato alla Rivoluzione francese nel 1789.
Oltre l'Europa, l’influenza di Laki sembra aver operato anche su maggiori distanze. Gli effetti di dispersione della luce dei gas vulcanici nell'alta atmosfera ridussero la quantità di energia solare che raggiunge la Terra e interruppero il normale rapporto tra le temperature, sia ai livelli superiore e inferiore dell'atmosfera, sia tra i poli e l'equatore. Queste interruzioni indebolirono le correnti a getto occidentali, alteravano i monsoni e influenzarono il tempo in tutto l'emisfero settentrionale.
Gli Stati Uniti orientali subirono uno degli inverni più lunghi e freddi, con temperature di quasi 5°C al di sotto della media. George Washington, che aveva appena sciolto il suo esercito vittorioso e si era ritirato a Mount Vernon, si lamentò di essere stato "rinchiuso" lì da neve e ghiaccio tra la Vigilia di Natale e l'inizio di marzo. James Madison scrisse dalla sua casa in Virginia:
"Abbiamo avuto una stagione più rigida e in particolare una quantità di neve maggiore di quella che si ricorda abbia contraddistinto qualsiasi inverno precedente. Il fiume San Lorenzo gelò per una dozzina di miglia nell'entroterra. A Charleston, nella Carolina del Sud, che al giorno d'oggi si ferma a causa di una leggera spolverata di neve, il porto si è congelato abbastanza da poter continuare a pattinare. La cosa più straordinaria di tutte, i banchi di ghiaccio galleggiano lungo il Mississippi, oltre New Orleans e nel Golfo del Messico”.
Gli Stati Uniti orientali si ripresero abbastanza rapidamente, ma i luoghi più lontani non furono così fortunati. Il Giappone subì una delle tre peggiori carestie della sua storia nel 1783-86, quando un freddo eccezionale distrusse il raccolto del riso e morì ben un milione di persone. In Giappone questa carestia è solitamente attribuita a un'altra eruzione vulcanica, quella del Monte Asama, ma il suo impatto è stato piccolo rispetto a quello di Laki.
Le prove degli anelli di accrescimento degli alberi dagli Urali, dalla penisola di Yamal in Siberia e Alaska suggeriscono tutte che le aree settentrionali vissero la loro estate più fredda da 400 a 500 anni. La storia orale della tribù Kauwerak dell'Alaska nord-occidentale chiama il 1783 "l'anno in cui l'estate non venne"; la tribù fu quasi spazzata via.
A causa dell'interruzione dei monsoni, le precipitazioni nel bacino del Nilo diminuirono di quasi un quinto e in quello del Niger di oltre un decimo. Nei suoi “Viaggi attraverso la Siria e l'Egitto”, il conte Constantine Volney, orientalista francese, scrisse che “la piena [del Nilo] del 1783 non fu sufficiente, gran parte delle terre, quindi, non poteva essere seminata per mancanza di irrigazione. Nel 1784, il Nilo di nuovo non raggiunse un'altezza favorevole e la carenza divenne ancor più drammatica. Poco dopo la fine di novembre, la carestia portò via al Cairo quasi tante vite quante la peste”. Nel gennaio 1785, scriveva, un sesto della popolazione egiziana era morto o era fuggito.
In Europa, l'eruzione del Laki non lasciò un segno indelebile. Nel giro di pochi anni, le condizioni meteorologiche tornarono alla normalità e gli europei dimenticarono la straordinaria "nebbia secca". Ma in retrospettiva, l'eruzione può essere vista per esemplificare alcune verità sul cambiamento climatico.
I gas inquinanti possono modificare molto le temperature globali (in questo caso raffreddando, non riscaldando). I gas vulcanici possono fare tanto danno quanto qualsiasi attività umana. Ma la nuvola velenosa era solo una parte della storia. Anche i modelli meteorologici sono importanti. Anticicloni stabili hanno portato il gas sulla Terra in Europa e le correnti stratosferiche lo hanno poi diffuso su un terzo del globo. E le connessioni tra inquinamento e condizioni meteorologiche sono complesse e imprevedibili: le persone all'epoca capivano il legame tra il vulcano e la nebbia, ma non il collegamento con gli eventi dall'altra parte del globo. Le società furono colpite in modo molto diverso: l'impatto fu modesto nella maggior parte dell'Europa, ma devastante in Egitto, Giappone e Alaska. Infine, le persone reagirono alle perturbazioni ambientali in modi che furono essi stessi dirompenti. Viviamo in un sistema complesso e vulnerabile..
Mentre gli islandesi lottavano per tornare alla normalità nell'estate del 1785, il sovrintendente del paese ordinò che i poveri dei distretti vicini fossero trasferiti nell'area di Steingrimsson, sebbene non ci fosse cibo. In preda alla disperazione, disse,
“abbiamo tenuto consiglio e abbiamo deciso di dirigerci a est verso le spiagge. Un uomo solo che era lì davanti a noi, un contadino di Stapafell chiamato Eirikur, quel giorno aveva ucciso a bastonate 70 foche adulte e 120 cuccioli sulle spiagge. Ho celebrato un servizio a Kalfafell nel bel tempo che abbiamo vissuto durante quel periodo, in cui tutti noi abbiamo ringraziato volentieri Dio per la Sua misericordia nel provvedere così riccamente per noi in questa terra arida e nel rimuovere così piacevolmente tutta la carestia e la morte che altrimenti attendevano”.
L'eruzione di Laki dimostra che le eruzioni basaltiche a bassa energia, di grande volume e di lunga durata possono avere impatti climatici maggiori delle eruzioni esplosive ricche di silice di grande volume. Il contenuto di zolfo dei magmi basaltici è 10-100 volte superiore a quello dei magmi ricchi di silice.