martedì 21 giugno 2022

Whoroscope, l’esordio modernista di Samuel Beckett

 


Whoroscope è una parola portmanteau, cioè formata dall’unione di altre due parole. Le parole in questione sono whore (puttana) e horoscope (oroscopo). Pertanto, il titolo di questo componimento in versi scritto di getto il 15 giugno 1930 dal poeta, scrittore, saggista e drammaturgo irlandese Samuel Beckett (1906-1989), è stato reso in italiano sia come Puttanoroscopo sia come Oroscopata. Si tratta di un poemetto volutamente arcano, esageratamente intellettuale, pieno di citazioni erudite, turpiloquio e accostamenti blasfemi. Innegabili le ascendenze joyciane di questo centinaio di versi modernisti. 

Il poeta Andrew Goodspeed, in Contemporary Poetry Review, lo definì "Obliquo, resistente e complesso per lo studioso come lo è per il lettore inesperto... squallore per amore dello squallore, indulgenza nell'oscurità, oscurità infinita, oscurantismo inutile, erudizione incomprensibile, riferimento all'introvabile personale e l'occasionale inspiegabile diversione verso ciò che sembra un degrado senza motivo dell'umanità... tentacolare, brusco, divertente, oscuro, disgustoso, fantasticamente referenziale e, soprattutto, annotato. Tradisce l'erudizione provocatoria, il ghigno intellettualistico e il confronto verbale che Beckett adottò presto"

Nel 1930 Beckett stava leggendo la Vita di Cartesio di Adrien Baillet, il quale aveva scritto la prima biografia del filosofo nel 1691. Un aneddoto fornì lo spunto per il tema previsto da un concorso indetto da alcuni intellettuali inglesi residenti a Parigi: il Tempo. Pare infatti che Cartesio fosse restio a dichiarare la sua data di nascita, temendo che qualche astrologo potesse da essa ricavare la data di morte. Un altro fatto che fece da spunto fu la disgustosa abitudine del filosofo di mangiare uova covate a lungo. 

Il poemetto si apre con Cartesio che dà al suo servitore Gillot un uovo affinché glielo cucini. Ma l’uovo è troppo fresco e Cartesio si raccomanda a Gillot affinché aspetti che sia abbastanza guasto e vecchio prima di prepararglielo. Si alternano così versi in cui Cartesio chiede a che punto è l’uovo ad altri in cui si lascia andare a ragionamenti più o meno oscuri. 

Forse perché gli altri partecipanti avevano inviato opere piuttosto scadenti, o per l’audacia stilistica dell’opera, lo scrittore Richard Aldington, che aveva l’incarico di selezionare i testi, non ebbe dubbi nell’assegnare al giovane Beckett l’alloro del vincitore e un premio di dieci sterline. 

Whoroscope venne pubblicato in un’edizione limitata di 300 copie in ottavo a Parigi da The Hours Press (una di queste oggi costa una fortuna). Fu la prima opera di Beckett ad uscire autonomamente in volume. E, di fatto, aprì la strada alla sua carriera. 

L’originale si può trovare in rete in diversi indirizzi, ad esempio qui, dove compaiono le note originali fornite dall’autore. Personalmente ho azzardato un adattamento, aggiungendo in corsivo alle note di Beckett alcuni chiarimenti che ritengo utili per la comprensione dell’opera, sempre che sia possibile capirla del tutto. 


Oroscopata 

Che cos'è? 
Un uovo?1 
Per i fratelli Boot2 puzza di fresco. 
Datelo a Gillot3

Galileo come stai? 4 
e i suoi terzi consecutivi! 
lo schifoso vecchio copernicano pendolatore di pesi, figlio di una vivandiera! 
Ci stiamo muovendo, disse ce ne andiamo - Porca Madonna!
come un nostromo o un sacco di patate 
impostore alla carica 
Non si sta muovendo, sta commuovendo

Che cos'è? 
Un po' di fritto di verdure o uno ai funghi? 
Due ovaie frustate con prosciutto*? 
Per quanto tempo l'ha uterato, quella piumata? 
Tre giorni e quattro notti? 
Datelo a Gillot 

Faulhaber, Beeckmann e Pietro il Rosso5
arrivano ora nella valanga nuvolosa o nella nuvola cristallina rosso sole di Gassendi 
e vi prenderò a sassate tutte le galline e mezzo 
o in mezzo alla giornata metterò una lente a collo di bottiglia sotto la coperta 
Pensare che era mio fratello6, Pierre il Colosso, 
e non un sillogismo fuori da lui 
non più che se ci fosse dentro ancora papà. 
Ehi! Passa sopra quelle monetine 
dolce sudore macinato del mio fegato ardente! 
Erano i giorni in cui sedevo nella stanza bollente. 
gettando Gesù fuori dal lucernario. 
Chi è quello? Hals7
Fatelo aspettare. 

La mia strabica suonata8
Io mi nascondevo e tu cercavi. 
E Francine, mio prezioso frutto di feto casalingo! 
Che esfoliazione! 
La sua piccola grigia epidermide scorticata e le tonsille scarlatte!9 
La mia unica bambina 
Flagellata da una febbre a ristagnare sangue torbido-Sangue! 
Oh Harvey10 amato 
Come potranno il rosso e il bianco, i molti nei pochi, 
(caro Harvey turbinoso di sangue) 
vorticare attraverso quel battitore incrinato? 
E il quarto Enrico venne alla cripta della Freccia11
Che cos'è? 
Per quanto tempo? 
Sieditici sopra. 

Un vento diabolico scagliò la mia ricerca disperata di pace 
contro le aguzze guglie dell'unica signora: 
non una o due volte ma... 
(Corpo di Cristo, covalo!) 
in un solo annegamento di sole 
Gesuitastri per favore copiate). 
Quindi avanti con le calze di seta 
il completo in maglia e la pelle morbida... 
che dico, il tessuto morbido... 
E avanti verso Ancona, sul luminoso Adriatico12
e addio per un attimo alla chiave gialla dei Rosacroce. 

Non sanno cosa fece il maestro di ciò che fanno, 
che il naso sia toccato dal bacio di tutti 
aria marcia e dolce, 
e i tamburi, e il trono dell'entrata fecale, 
e gli occhi dai suoi zig-zag 
Quindi Lo beviamo e Lo mangiamo13 
e il Beaune acquoso e i pezzetti stantii di pane Hovis
perché Egli può danzare 
più vicino o più lontano dal Suo Sé Danzante 
e un triste o vivace come chiede il calice o il vassoio 
Com'è, Antonio? 
Nel nome di Bacon mi tirerai fuori quell'uovo. 
Devo ingoiare i fantasmi delle caverne? 

 Anna Maria!14 
Legge Mosè e dice che il suo amore è crocifisso. 
Purtroppo! Purtroppo! 
È fiorita e appassita, 
un pallido parrocchetto abusivo in una finestra di maggio. 
No, credo a ogni sua parola, te lo assicuro 
Sbaglio, ergo sum
Il timido vecchio struscione! 
suonò e diede le gambe15 
e si abbottonò il gilet redentorista. 
Non importa, che passi. 
Sono un ragazzo audace lo so 
quindi non sono mio figlio 
(se mai fossi un portinaio) né quello di Joachim mio padre 
ma la scheggia di un bastone perfetto16 che non è né vecchio né nuovo, 
il petalo solitario di una grande rosa alta e brillante. 

Sei maturo finalmente, 
il mio stronzetto pallido in doppiopetto 
Quanto odora forte, 
questo aborto di un neonato! 
Lo mangerò con una forchetta da pesce. 
Bianco e tuorlo e piume. 
Poi mi alzerò e mi muoverò commosso 
verso Raab delle nevi, 
l'amazzone assassina confessata dal papa di mattina, 
Cristina lo squartatore17
Oh Weulles18 
risparmia il sangue di un Franco 
Che ha salito i gradini amari, 
(René du Perrron...!) 
e concedimi la mia seconda 
imperscrutabile ora senza stelle. 


Note

1. René Descartes, Seigneur du Perron, amava la frittata di uova covate da otto a dieci giorni; di più o di meno sotto la gallina e il risultato, dice, è disgustoso. Teneva per sé la data del proprio compleanno in modo che nessun astrologo potesse prevedere la data della sua morte. La Spola di un uovo puzzolente pettina l’ordito dei suoi giorni. 

2. Nel 1640 i fratelli Boot rifiutarono Aristotele a Dublino. 

Beckett aveva trovato questo dettaglio in un libro dello storico e filosofo John Pentland Mahaffy, che racconta di come i fratelli Boot furono incoraggiati dall’erudito arcivescovo anglicano James Ussher a pubblicare la loro refutazione di Aristotele, “che avevano pensato da tempo e costruito in reciproca conversazione”. Il testo fu pubblicato nel 1642 (e non nel 1640) a Dublino. 

3. Descartes passava i problemi più facili di geometria analitica al suo cameriere Gillot. 

L’ugonotto Jean Gillot, aiutante di Cartesio, risolveva i problemi di matematica giudicati troppo banali dal suo padrone. 

4. Fare riferimento al suo disprezzo per Galileo Jr., (che confuse con il più musicale Galileo Sr.), e ai suoi opportuni sofismi riguardo al movimento della Terra. 

Beckett fa riferimento a Vincenzo Galilei, padre di Galileo, grande liutista e teorico musicale, che aveva riscoperto la proporzione tra le frazioni di numeri interi e le scale armoniche. Da qui l’accento ai “terzi consecutivi” della riga successiva. Galileo apparteneva alla generazione precedente a quella di Cartesio, ma il francese sosteneva di aver scoperto per primo la legge quadratica inversa della caduta dei corpi e, in una lettera a Mersenne del 1638, criticava il metodo scientifico del pisano. Cartesio concepiva il movimento solo in un mezzo e rifiutava di ammettere che le astrazioni, fisicamente irrealizzabili, possono servire al progresso della scienza. Gli mancava il senso delle condizioni dell'applicazione della matematica a questioni diverse da quelle dei numeri, delle forme e delle grandezze geometriche, sentimento che Galileo possedeva, al contrario, al massimo grado. 

* In italiano nel testo. Nel secondo caso è probabile un gioco di parole Prosciutto/Prostata. 

5. Risolse i problemi presentati da questi matematici. 

L’olandese Isaac Beeckman, che aveva conosciuto a Breda, il tedesco Johann Faulhaber, conosciuto a Ulm, e Peter Roten di Norimberga (Pietro il Rosso) furono colpiti dalle abilità matematiche di Cartesio. Pierre Gassendi fu un oppositore della teoria della conoscenza di Cartesio perché non basata sull’esperienza dei sensi. 

6. Il tentativo di truffare la parte del fratello maggiore Pierre de la Bretaillière - Il denaro che aveva ricevuto come soldato. 

Pierre Descartes, signore de la Bretaillière, magistrato e deputato al parlamento di Bretagna, era il fratello maggiore di Cartesio. I due ebbero delle dispute sul possesso e la vendita di alcuni terreni appartenuti alla famiglia. Troppo dedito agli studi e in cerca di mezzi di sostentamento, Cartesio invidiava la sicurezza economica dei parenti più prossimi, ottenuta grazie ad accurati investimenti immobiliari e all’ottenimento di cariche. 

All’età di 25 anni, ottenne un'eredità dalla defunta madre e si assicurò il permesso di suo padre di vendere alcune fattorie e case nel Poitou, forse con l'intesa che avrebbe utilizzato il ricavato per acquistare un redditizio ufficio di rifornimento dell'esercito francese. Ma non fece nulla del genere, e il reddito di 40.000 lire realizzate dalle proprietà del Poitou e da altri immobili venduti nel corso degli anni - forse da sei a settecento lire all'anno - furono usati per assicurare a Cartesio quella "modesta indipendenza" che significava che poteva scrivere filosofia per il resto della sua vita. 

Come orgogliosamente scrisse nel Discorso, "non ero, grazie al cielo, in una condizione che mi obbligasse a fare merce di scienza per il miglioramento della mia fortuna". Rifiutandosi di acquistare un ufficio, non mostrando alcun interesse a sposare un'ereditiera, divenne, un parassita di famiglia. Forse, nel 1628, ne aveva avuto abbastanza di tutta quella disapprovazione familiare e, all'età di 32 anni, prese il denaro e corse in Olanda, per non rivedere mai più suo padre, o per non avere più a che fare con il fratello maggiore, tranne quando aveva bisogno di più soldi. 

7. Franz Hals. 

Frans Hals (1580 – 1666) fu un pittore olandese contemporaneo di Rembrandt, come lui protagonista del Secolo d’Oro della pittura olandese. Eseguì il più famoso ritratto di Cartesio. 

8. Da bambino giocava con una ragazzina strabica. 

I biografi sostengono che Cartesio considerava positivamente questo difetto dell'amica di poco più grande di lui. 

9. Sua figlia morì di scarlattina all'età di sei anni. 

Figlia illegittima di Cartesio e di Helena van der Strom, Francine morì di scarlattina nel 1641 ad Amersfoort, nei Paesi Bassi. Poco dopo morì anche la madre, liberando il filosofo da accuse presenti e future di immoralità. 

10. Onorava Harvey per la sua scoperta della circolazione del sangue, ma non ammetteva che egli avesse spiegato il movimento del cuore. 

11. Il cuore di Enrico IV fu portato al collegio dei Gesuiti di La Flèche mentre Descartes vi era ancora studente. 

Cartesio fu, tra il 1604 e il 1612, tra i primi studenti dell’istituzione voluta dal sovrano. 

12. Le sue visioni e il pellegrinaggio a Loreto. 

Cartesio visse all’estero la maggior parte della sua vita da adulto, soprattutto in Olanda. Anche la vita militare (era un volontario non retribuito, avendo propri mezzi e un valletto) era per lui l’occasione per viaggiare e conoscere persone, luoghi, usi e costumi. Come racconta egli stesso nel Discorso sul metodo, “Perciò, appena l'età mi permise di uscire dalla soggezione de' miei precettori, lasciai interamente lo studio delle lettere; e deciso a non cercare più conoscenza di quella che si potrebbe trovare in me o nel grande libro del mondo, impiegai il resto della mia giovinezza a viaggiare, a vedere corti ed eserciti, ad associarmi con persone di vari stati d'animo e condizioni, per raccogliere varie esperienze, per mettermi alla prova negli incontri che la fortuna mi proponeva, e ovunque per fare tali riflessioni sulle cose che si presentavano da cui potevo trarne profitto”

La notte del 10 novembre 1619 Cartesio fece tre sogni. Si era all'inizio della Guerra dei Trent'anni ed egli approfittò di una tregua per rinchiudersi per l'inverno in una stanza riscaldata da una stufa in Baviera. Questi tre racconti di sogni, cui Beckett fa cenno (come il “vento diabolico" che soffia nel secondo di essi) sono riportati, in francese, dal Baillet, che li aveva tradotti da un documento autografo di Descartes, scritto poco dopo questi sogni, in latino. 

Tra i molti paesi che Cartesio visitò c’era l’Italia, dove si recò per esaudire un voto fatto dopo i sogni che gli ispirarono la sua filosofia e l’abbandono della vita militare. Si recò infatti in pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto. Durante il soggiorno in Germania, cercò invano di mettersi in contatto con qualche membro della misteriosa setta dei Rosacroce. 

13. La sua sofisticheria eucaristica, in risposta al giansenista Antoine Arnauld, che lo sfidava a conciliare la sua dottrina della materia con la sua dottrina della transustanziazione. 

Questa parte è una evidente parodia del rito eucaristico sotto le due specie del pane del vino. Beaune è una località della Borgogna nota per i suoi eccellenti vini. Insomma, pane intinto nel buon vino di Borgogna. Hovis è una nota marca di pane e biscotti. I giochi verbali continuano con Bacon, che può essere il filosofo naturale Francis Bacon o la pancetta da friggere con le uova. 

14. Schurmann, l'intellettuale olandese, pia allieva di Voetius, avversario di Cartesio. 

Anna Maria van Schurman fu una pittrice, poetessa e studiosa, nota soprattutto per la sua eccezionale cultura e la sua difesa dell'educazione femminile. Era una donna altamente istruita, che eccelleva in arte, musica e letteratura, e divenne esperte in quattordici lingue, tra cui latino, greco, ebraico, arabo, siriaco, aramaico ed etiope, oltre a varie lingue europee contemporanee. Fu anche la prima donna a studiare non ufficialmente in un'università olandese. Fu amica del teologo calvinista Gisbertus Voetius (Gijsbert Voet), che continuò a polemizzare con Cartesio per tutta la vita. 

15. Sant'Agostino ha una rivelazione nel boschetto e legge San Paolo. 

Un altro gioco di parole: “He tolle'd and legge'd” (suonò e diede le gambe), che richiama le parole latine tolle, lege (prendi e leggi), che sant’Agostino udì nella macchia prima di convertirsi. 

16. Egli prova Dio per esaustione. 

Il metodo di esaustione è un procedimento geometrico, attribuito ad Eudosso di Cnido, per calcolare aree di varie figure geometriche piane. Consiste nella costruzione di una successione di poligoni che convergono alla figura data. L'area della figura risulta essere quindi il limite delle aree dei poligoni. Ad esempio, all'aumentare del numero dei lati dei poligoni le figure tenderanno ad avvicinarsi alla forma del cerchio, considerato il poligono con infiniti lati e quindi il più perfetto. Cartesio adottò un metodo simile per dimostrare l’esistenza di Dio, Secondo il filosofo, infatti, l’esistenza di Dio può essere conosciuta mediante una semplice considerazione della sua natura e Cartesio cercò di dimostrare questa tesi partendo dalla premessa che dire che qualcosa è contenuto nella natura o nel concetto di un ente equivale a dire che quel qualcosa è vero dell’ente in questione aggiungendo che un’esistenza necessaria e perfetta è contenuta nel concetto di Dio. E se Dio è perfetto, allora esiste. Un’altra versione un po’ deboluccia dell’argomento ontologico. 

17. Cristina, regina di Svezia. A Stoccolma, in novembre, chiedeva a Cartesio, che era rimasto a letto fino a mezzogiorno per tutta la vita, di essere con lei alle cinque del mattino. 

Una delle teorie più accreditate riguardo alla morte di Cartesio alla corte svedese spiega che morì di polmonite perché le stanze dove lo riceveva la Regina prima dell'alba erano troppo fredde. Qui Beckett paragona Cristina a Raab, la locandiera (o prostituta?) biblica che accolse e protesse a Gerico due spie israelite prima dell’assalto degli Ebrei, fu risparmiata con la sua famiglia durante la conquista e avrebbe poi sposato uno dei progenitori di Cristo. 

18. Weulles, medico peripatetico olandese alla corte svedese, nemico di Cartesio. 

Johan van Weulles era un medico di corte a Stoccolma, che alcuni accusarono di aver avvelenato il filosofo francese. Il miglior medico della regina, il suo «protomedico», era francese. Si chiamava du Ryer, ed era amico di Cartesio, di cui ammirava le opere, ma il caso volle che, quando Cartesio cadde malato, du Ryer fosse lontano da Stoccolma. La regina, perciò, inviò al filosofo il suo «secondo dottore», l’olandese Weulles. Secondo Baillet, Weulles era “nemico giurato di Cartesio fin dai tempi dell'offensiva sferrata contro di lui dai pastori e dai teologi di Utrecht e di Leida”. Weulles era stato alleato dei membri anticartesiani dell'ambiente accademico olandese, e per di più, stando sempre a Baillet, voleva “vedere Cartesio morto”. Baillet menziona la voce che cominciò a circolare subito dopo il decesso del filosofo: che fosse stato avvelenato da Weulles d'intesa con altri personaggi della corte, gelosi del suo posto nel cuore della regina; altri odiavano la sua filosofia e lo consideravano un ateo. Cartesio era un cattolico e la regina, come la maggior parte dei suoi sudditi, era luterana. Molti temevano l'influenza di un cattolico sulla sovrana, la quale, ironia della sorte, si sarebbe poi convertita al cattolicesimo, abdicando e stabilendosi poi a Roma (“confessata dal papa di mattina”).

giovedì 16 giugno 2022

Bloomsday! Ulysses, o della complessità

 


The gift you gave is desire 
The match that started my fire 

(The Style Concil. The Paris Match, 1984)


C’è passaggio dell'Ulysses, nell'episodio Eolo, dedicato alla retorica, che ha suscitato diversi commenti sulla evidente parodia di Joyce delle convenzioni della stampa, del linguaggio forense e della narrativa vittoriana. 
“Pausa. J.J. O'Molloy prese l’astuccio delle sigarette. 
Quiete apparente. Qualcosa di abbastanza ordinario. 
Il messaggero prese la scatola di fiammiferi con fare pensieroso e accese il suo sigaro. 
Da allora ho spesso pensato, riconsiderando quel tempo strano, che sia stato quel tale atto minimo, banale in sé, l’aver acceso quel fiammifero, a determinare interamente il successivo corso di entrambe le nostre vite”. 
(Traduzione di Enrico Terrinoni) 
Nel contesto in cui si trova, la frase finale è enigmatica, e i lettori potrebbero essere tentati di dimenticarla come semplicemente assurda. La parodia è certamente coinvolta (parte della prosa di Charles Dickens è ripetuta testualmente), ma a un esame più attento la frase dice molto su ciò che Joyce una volta chiamava "il significato delle cose banali" e sui suoi audaci esperimenti narrativi. Questa interpolazione del "messaggero", tuttavia, ha per l’Ulysses un significato interessante. Ad esempio, si potrebbero interpretare i cambiamenti della narrazione come un ulteriore movimento nel flusso di coscienza di Stephen Dedalus. Allo stesso modo, Stephen, all'interno del passaggio stesso, si difende dalle seduzioni della retorica, prima preparandosi a sentire "qualcosa di abbastanza ordinario" e poi fornendo questo "qualcosa di ordinario": un portentoso cliché narrativo, la sua banalità rafforzata dal suo stile goffo. 

Questa intrusione testuale ci ricorda tre fatti fondamentali della nostra esistenza: (1) cause minute possono avere conseguenze molto grandi, (2) gli eventi sembrano essere puramente accidentali e contingenti nel momento in cui si verificano, e (3) questi stessi eventi, una volta spostati nel passato e rivisti, sembrano essere stati completamente deterministici, per “determinare interamente il successivo corso di entrambe le nostre vite”.

In Ulysses, James Joyce anticipa in modo inquietante la prospettiva dei teorici della complessità e condivide le implicazioni filosofiche della loro visione del mondo. Inoltre, comprendere l’Ulysses alla luce della teoria della complessità può migliorare sostanzialmente il nostro senso di come il romanzo dovrebbe essere letto e interpretato. 


Ma che cosa intendiamo per complessità? In generale, tutte le sostanze in natura che sperimentiamo attraverso i nostri organi sensoriali sono sistemi costituiti da un gran numero di particelle, atomi o molecole. In tali sistemi con molte particelle, interazioni appropriate tra i componenti provocano i cosiddetti fenomeni cooperativi e danno origine a proprietà collettive dell'intero sistema, che potrebbero non essere ridotte alle proprietà dei singoli componenti del sistema. 

Sebbene non esista una definizione precisa di complessità, essa è solitamente caratterizzata da una grande variabilità derivante dalle interazioni non lineari tra i componenti. Più precisamente, un sistema complesso è spesso descritto dalle seguenti tre caratteristiche: 

1) è un sistema con un gran numero di componenti. Le interazioni non lineari tra i componenti portano all'emergere di proprietà collettive irriducibili ai singoli componenti. Pertanto, osservando il sistema complesso con un’analisi microscopica oppure macroscopica, si trovano nuovi dettagli e diversità presenti in ogni fase e strutture autorganizzate di tutte le dimensioni; 
2) è un sistema aperto (una “opera aperta” avrebbe detto Eco). Di conseguenza un sistema complesso continua a scambiare energia e/o informazioni con l'ambiente circostante e mostra l'emergere di nuovi stati, mentre un sistema chiuso e isolato dal mondo esterno dovrebbe raggiungere un equilibrio; 
3) implica una grande variabilità al confine tra ordine e disordine. Ciò significa che il sistema complesso costruisce una struttura moderatamente stabile tra ordine e disordine e possiede flessibilità verso nuove possibilità. 

La grande variabilità può portare a imprevedibilità, nel senso che piccole differenze nelle condizioni iniziali possono portare a risultati totalmente diversi. Un sistema complesso con una variabilità così ampia mostra flessibilità nell'adattamento ai cambiamenti della situazione, come l'ambiente, e cerca costantemente altre possibilità scambiando influenze con l'ambiente circostante. In breve, la complessità implica nuove possibilità. 


A questo proposito, tre aspetti importanti della teoria hanno fondamentalmente modificato il modo in cui gli esperti affrontano lo studio di fenomeni vari come il tempo, i mercati delle materie prime, la tettonica a placche, l'evoluzione, l'epidemiologia, la dinamica delle popolazioni negli ecosistemi, la distribuzione delle galassie, e così via. Queste caratteristiche sono (1) il principio di dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali e il ruolo correlato del feedback (retroazione) nei sistemi dinamici, (2) l'enfasi sulla spiegazione scientifica, piuttosto che sulla previsione, e (3) il concetto di schema, innato o emergente, nei sistemi caotici. Si possono disegnare anche correlazioni con gli equivalenti letterari di questi principi in Ulisse (e in altre opere totali, come ad esempio Cent’anni di solitudine di Garcia Marques o I detective selvaggi di Bolaño), certamente non pensando che Joyce fosse consapevole della teoria della complessità circa quarant'anni prima dei suoi primi sviluppi, ma dalla constatazione che egli anticipa l'obiettivo ricercato dai contemporanei nella scienza: un'immagine più accurata del mondo in tutta la sua complessità e apparente casualità. I recenti sviluppi della critica di Joyce, e della teoria critica in generale, offrono alcuni illuminanti parallelismi con il cambio di paradigma che si sta verificando nelle scienze. 

La visione del mondo cartesiana e newtoniana dipingeva il cosmo come guidato da forze piuttosto semplici e tre secoli di tradizione cartesiana hanno applicato il "rasoio di Occam" alla ricerca, supponendo che tutti i fenomeni possano, e alla fine saranno compresi come risultato di semplici regole, o leggi. Negli studi letterari il termine "convenzione" ha la stessa forza delle "leggi" della scienza, per cui non sembra essere un caso che, all’inizio del secolo XX, contemporaneamente all'indebolimento della convinzione dello scienziato di un cosmo spiegabile e prevedibile, l'adesione dello scrittore alle convenzioni come assolute cominciò a vacillare. Tuttavia, ancora generalmente fiduciosi che tutti gli eventi fossero riducibili alla semplicità, gli scienziati ignoravano sistematicamente quei fenomeni complessi che sembravano intrattabili per la modellazione matematica e l'analisi scientifica. Si consideri ad esempio il principio meccanico che per ogni azione c'è una reazione uguale e contraria; due logiche conseguenze di questa idea sono l'assunto che piccole cause abbiano piccoli effetti e che grandi cause abbiano grandi effetti. Una delle prime conclusioni della teoria della complessità, tuttavia, era lo studio di molti eventi reali in natura in cui piccole cause producono enormi conseguenze. Spesso, differenze anche minime nelle condizioni iniziali di un sistema dinamico, infatti, portano a grandi differenze nel tempo, differenze sia imprevedibili che apparentemente non analizzabili. Questo principio di dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali è stato soprannominato "effetto farfalla", dalla descrizione della dinamica dei sistemi meteorologici fatta dal meteorologo Edward Lorenz. A meno che i meteorologi non dispongano di informazioni infinitamente precise per ogni millimetro cubo dell'atmosfera - la temperatura esatta, la velocità del vento, la pressione atmosferica e così via - istante per istante, non saranno in grado di prevedere il tempo futuro con assoluta certezza. Lorenz dimostrò che la "prevedibilità", l'obiettivo amato da Laplace, se non da Newton, e da generazioni di scienziati da allora in poi, è irraggiungibile in termini globali. Non c'è da stupirsi, quindi, che gli scienziati chiamano “caotici” questi sistemi sensibilmente dipendenti da piccole variazioni delle condizioni iniziali. 


In realtà, l'effetto farfalla di Lorenz non è una formulazione del tutto originale; il matematico francese Poincaré aveva osservato all’inizio del Novecento qualcosa di molto simile nelle equazioni non lineari, e lo scozzese Maxwell, aveva anticipato Joyce in una lettera, illustrando una simile sproporzione tra causa ed effetto: "Il fiammifero è responsabile dell'incendio boschivo, ma il riferimento a un fiammifero non basta per capire il fuoco". Allo stesso modo, le fantasticherie di Stephen secondo cui l'accensione del sigaro da parte del messaggero, "l’aver acceso quel fiammifero", potrebbe determinare "il successivo corso di entrambe le nostre vite", non sembra una profonda intuizione metafisica; anzi, suona molto come un cliché. E se è un cliché, è perché Stephen riflette, attraverso uno stile narrativo convenzionale, qualcosa che spesso si pensa e si riconosce nell'esperienza quotidiana: la sensibile dipendenza dei nostri destini da condizioni iniziali apparentemente piccole e accidentali. Nonostante il suo status di luogo comune, Joyce in effetti costruisce il suo intero romanzo proprio su un "piccolo atto, di per sé banale", l’incontro di Stephen e Bloom. La stessa formulazione di Lorenz del suo effetto farfalla illustra il principio di cui parla, perché la reiterazione di un'idea familiare ha generato, attraverso una serie di conseguenze, un massiccio orientamento del pensiero contemporaneo verso la complessità, l'irregolarità e l'imprevedibile confusione del mondo come lo viviamo. La teoria dei sistemi complessi spinge la scienza verso la descrizione del mondo reale e indica che la complessità è radicata nel semplice, in un modo molto diverso dalla concezione tradizionale della semplicità.

Comprendiamo il passaggio del messaggero perché tutti noi a volte abbiamo ripensato a una serie di eventi che abbiamo vissuto e ci siamo chiesti: se non avessi fatto quella cosa in quel momento, e poi quell’altra, eccetera, verso qualche calamità o fortuna, incontrata o mancata. Allo stesso modo, in Circe, Bloom osserva: "Però non puoi salvarti sempre. A superare la vetrina di Truelock quel giorno due minuti più tardi, mi avrebbero sparato”. Tale riflessione è semplicemente la disposizione retrospettiva di una catena di effetti moltiplicatori che emerge da un'unica causa ultima. Attraverso questa catena, un certo effetto risultante da una causa precedente viene "alimentato" nel collegamento causale successivo, portando all'effetto successivo che, a sua volta, viene reimmesso nel collegamento successivo. In effetti, questo principio di feedback caratterizza tutti i fenomeni sensibilmente dipendenti, intensificando esponenzialmente gli effetti anche della più umile delle cause. 

Se dovessimo rappresentare graficamente la relazione di azione e reazione in un sistema dinamico caratterizzato da tale feedback, non otterremo la retta diagonale di un classico sistema newtoniano, dove cause equivalenti creano effetti equivalenti: quindi, gli scienziati chiamano tali sistemi "non lineari". Le nostre vite, il nostro mondo e "quasi tutto il resto che ci interessa" sono decisamente non lineari. 


Un classico esempio di sistema non lineare, caratterizzato da feedback, è la fluttuazione irregolare delle popolazioni negli ecosistemi. Una varietà di circostanze influenzerà la crescita e il declino di una popolazione, per esempio di insetti in un particolare ambiente: tassi di riproduzione, disponibilità di cibo, popolazioni di predatori, ecc. Una delle più importanti di queste condizioni, ovviamente, è la popolazione della generazione precedente, i genitori della generazione successiva. I biologi delle popolazioni talvolta usano ancora la vecchia (1838) equazione logistica di Verhulst, per proiettare i tassi di crescita; l'equazione differenziale di Verhulst include un fattore che stima la popolazione attuale. Questo modello assume che il tasso di riproduzione è proporzionale alla popolazione esistente e all'ammontare di risorse disponibili. 

Questa equazione è così sensibilmente dipendente che un errore di solo un decimo di biliardesimo (uno seguito da sedici zeri) nella stima del numero di insetti nello stagno renderà il calcolo della popolazione, dopo cinquanta cicli (o iterazioni dell'equazione), totalmente inaffidabile. Per accertare la probabile crescita o il declino della popolazione nell'arco di diversi anni, si dovrebbe avere una cifra incredibilmente esatta per la popolazione del primo anno; qualsiasi errore verrà restituito ogni volta che l'equazione viene ricalcolata (iterata) per un anno successivo. Quindi, se il nostro margine di errore non può essere maggiore di 1 x 10-16, un'accuratezza di gran lunga superiore alla capacità umana, perché dovremmo anche tentare la previsione nell'analizzare il comportamento di tali sistemi non lineari? Una risposta ovvia è che questi sistemi sono, dopo tutto, i più caratteristici della vita come la conosciamo; non possiamo semplicemente abbandonare lo studio della non linearità. Tuttavia, se non possiamo proiettare il loro comportamento, quale dovrebbe essere il nostro obiettivo nell'esaminare i sistemi non lineari? Questa è precisamente la domanda affrontata dalle scienze della complessità. Una delle conseguenze più importanti del cambio di paradigma verso la ricerca sulla complessità è che gli scienziati hanno riconosciuto di non poter avventurarsi nella previsione, ma di dover accontentarsi della spiegazione. In breve, nelle parole “relativistiche” di Joyce nel capitolo del Finnegans Wake, gli scienziati della complessità hanno trovato nel cosmo un "caosmo" (un neologismo che avrà una certa fortuna nella filosofia contemporanea, da Deleuze a Derrida). 
“every person, place and thing in the chaosmos of Alle anyway connected with the gobblydumped turkery was moving and changing every part of the time”. 

“ogni persona, luogo e cosa nel caosmo del Tutto comunque connesso con la turcheria mal digerita si muoveva e cambiava ogni parte del tempo” 
(traduzione mia) 
Esiste un’analogia in letteratura per il fenomeno del feedback che rende il comportamento dei sistemi dinamici imprevedibile e irrimediabilmente complesso. Nell'atto stesso della lettura, la risposta del singolo lettore altera il comportamento del "sistema", del libro, ad ogni "iterazione" o lettura. Gli stessi e molti lettori aggiuntivi eseguono successive iterazioni/letture: in tutti i casi, i prodotti dell'esperienza saranno diversi, a volte con cambiamenti imprevedibili e vasti nei risultati. Il comportamento di Joyce, spesso notato, come lettore del proprio lavoro, trasmettendo nel testo la sua precedente esperienza del testo, intensifica questa caotica complessità. La crescita esponenziale di Ulisse dal suo primo stato come racconto destinato a essere incluso nei Racconti di Dublino ai metodi di composizione incrementali ben documentati di Joyce sia per Ulysses che per Finnegans Wake, è parallela al comportamento dei sistemi dinamici non lineari che si avvicinano alla turbolenza caotica. Le condizioni iniziali apparentemente semplici del testo di Joyce si avvicinano e mantengono un precario equilibrio sul cosiddetto "limite del caos", quella regione dove risiede la più grande diversità e creatività in natura. 

Come ha scritto Umberto Eco, “è superfluo qui richiamare alla mente del lettore, come esemplare massimo di opera " aperta " - intesa proprio a dare una immagine di una precisa condizione esistenziale e ontologica dcl mondo contemporaneo - l'opera di James Joyce. In Ulysses un capitolo come quello delle Wandering Rocks costituisce un piccolo universo riguar­dabile da vari angoli prospettici, dove l'ultimo ricordo di una poetica di stampo aristotelico, e con essa di un decorso univoco del tempo in uno spazio omogeneo, è del tutto scomparso. Come si è espresso Edmund Wil­son : “La sua forza (di Ulysses), invece di seguire una linea, espande se stessa in ogni dimensione (inclusa quel­la del Tempo) intorno a un singolo punto. Il mondo di Ulysses è animato da una vita complessa e inesauri­bile: noi lo rivisitiamo come faremmo per una città, dove torniamo più volte per riconoscere i volti, comprendere le personalità, porre relazioni e correnti di interessi. Joyce ha esercitato una considerevole ingegnosità tecnica per in­trodurci agli elementi della sua storia in un ordine tale che ci rende capaci di trovare da noi le nostre vie (...) E quando lo rileggiamo, noi possiamo incominciare da qualsiasi punto, come se fossimo di fronte a qualcosa di solido come una città che esista veramente nello spazio e nella quale si possa entrare da qualsiasi direzione - così come Joyce ha detto, componendo il suo libro, di aver lavorato contemporaneamente alle varie parti". 


La nuova enfasi sulla descrizione piuttosto che sulla previsione come obiettivo della scienza, il recente allontanamento dal sogno di Laplace di risolvere i misteri della macchina universale, significa, tra l'altro, che le arti e le scienze stanno nuovamente camminando su un terreno parallelo. Da un lato, la descrizione è sempre stata l'attività delle arti letterarie e visive. D'altra parte, i ritratti del caos generati al computer, ad esempio l’insieme di Mandelbrot, una rappresentazione grafica del comportamento di un'equazione non lineare reiterata molto semplice, sono diventati una nuova forma d'arte, che adorna copertine di libri, t-shirt e manifesti; il successo dei volumi con tali "ritratti del caos" suggerisce che il confine tra arte generata dal computer e arte non rappresentativa è davvero sottile. I fisici teorici, come Stephen Hawking nella sua Breve storia del tempo, hanno previsto la riunificazione di fisica e metafisica nel prossimo futuro; i ricercatori del Santa Fe Institute for the Study of Complexity affrontano la loro materia nello stesso modo in cui alcuni critici praticano l'analisi della letteratura. Questo non è del tutto casuale, dal momento che uno dei fondatori del Santa Fe Institute era Murray Gell-Mann, che si era rivolto al Finnegans Wake per trovare un nome per una particella elementare nella fisica quantistica, il "quark". 


Se la teoria del caos ci mostra che un sistema dinamico non lineare apparentemente semplice può generare fenomeni di straordinaria complessità, vale anche il contrario: che le semplici radici di fenomeni estremamente complessi possono essere scoperte da un'analisi minuziosamente dettagliata, che il caos ha un disegno profondamente radicato. I ritratti del caos, resi possibili dai progressi tecnologici, dai computer in grado di reiterare equazioni non lineari centinaia di migliaia di volte in poche ore, hanno dato agli scienziati le prime intuizioni che il caos potrebbe rivelare qualche forma di ordine. Così anche le statistiche erratiche come le distribuzioni della popolazione, che fino a poco tempo fa potevano essere studiate solo per pochi cicli alla volta, sembrano ordinate in modo intricato quando abbiamo a disposizione molte migliaia di dati e computer molto potenti. L'implicazione più notevole della teoria del caos, infatti, è la reintroduzione del concetto di struttura nei fenomeni naturali, una dinamica di natura antientropica e auto-organizzativa (Prigogine), ma che comunque è al di là dell'influenza o del controllo del singolo osservatore.

L’Ulysses, un romanzo che molti lettori hanno percepito come caotico e incomprensibile, illustra bene la distinzione tra struttura immanente ed emergente in un sistema non lineare. Come tutti sappiamo, Joyce stesso ha inserito nel suo romanzo una serie di strutture organizzative: il mito omerico, le allusioni all'Amleto, alla storia irlandese, e così via. Questi rappresentano il disegno immanente del romanzo, le strutture deterministiche del creatore, del legislatore. La struttura emergente di Ulysses, tuttavia, comprende quelle caratteristiche casuali del romanzo, come i messaggeri o gli accenditori di fiammiferi, ognuno di loro apparentemente privo di intenzioni. Tuttavia, questi dettagli apparentemente casuali e gradualmente emergenti si combinano progressivamente in una comunità di comportamenti mentre il romanzo assume una mente e una vita propria. Solo in rari momenti Stephen intuisce vagamente di abitare nel sistema ordinato di un romanzo. Bloom non ha idea di ricapitolare le peregrinazioni di Ulisse. Allo stesso modo, nessun neurone cerebrale ha alcuna "idea" di agire collettivamente con altri neuroni, fornendo a un'altra entità l'esperienza molto più ampia e complessa di un'idea. Vivendo all'interno di un sistema, come un romanzo, Stephen e Bloom e tutti gli altri personaggi del libro non riescono a cogliere il disegno che li contiene. 

Anche l'opera letteraria contemporanea nasce da una concezione semplice, un "fiammifero acceso", ma si sviluppa in un sistema complesso, come l'incendio boschivo, o come il tempo, o meglio ancora come quei sistemi adattativi complessi come il mercato azionario, o la comunità internazionale, dove la mente dell'uomo, una specie di ali di farfalla, può generare fluttuazioni di comportamento ancora più imprevedibili. Un romanzo dinamico non lineare come Ulysses si autoalimenta, adattandosi e influenzando i suoi molteplici contesti, e assimila il lettore nella sua complessità. Ulysses si allontana dal mondo ordinato e statico del sistema stabile, non nel caos, ma verso il limite della complessità, l'orlo del caos, dove le piccole cause hanno grandi effetti e dove si trovano sia la vita stessa sia le grandi opere letterarie. 

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Fonti principali:
 
Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, 1962
Thomas Jackson Rice, Ulysses, Chaos, and Complexity, University of Illinois Press, 1997 

lunedì 6 giugno 2022

Atomismo, metodo e scienza di Pierre Gassendi



Nato nel 1592 nella cittadina provenzale di Champtercier da una famiglia di allevatori, Pierre Gassend (Gassendi) divenne filosofo, teologo, professore di astronomia e matematica al
Collège Royal nonché membro del principale gruppo intellettuale francese del suo tempo (il circolo, o Accademia, di Mersenne). Da bambino, i suoi maestri riconobbero le sue potenzialità e lo inviarono all'età di sedici anni ad Aix-en-Provence per studi più profondi rispetto a quelli che la sua scuola locale poteva fornire. In questi primi anni di studio, Gassendi fece la spola tra Aix e Digne (il capoluogo di provincia) e iniziò così una vita itinerante. La sua vasta e precoce educazione lo portò alla cattedra di teologia ad Aix mentre era ancora poco più che ventenne. Ottenne successo non solo nei circoli accademici, ma anche nella Chiesa cattolica.

La carriera ecclesiastica di Gassendi è un aspetto cruciale della sua costituzione intellettuale: i suoi scritti riflettono una fedeltà alla Sacra Scrittura e agli insegnamenti della Chiesa, anche se non necessariamente in luci dottrinali ortodosse. Fu ordinato sacerdote all'età di 25 anni e, anche se non c'è dubbio sulla sincerità della sua fede, una delle motivazioni della sua carriera nella Chiesa sembra essere stata l’ottenimento di una sinecura. Così Gassendi iniziò come canonico della Cattedrale di Digne e salì al grado di prevosto, sempre a Digne, una ventina di anni dopo. Sebbene avesse chiaramente perseguito una relazione pacifica con le autorità superiori, per tutto il tempo scrisse lettere di sostegno a Galileo, ebbe un incarico al secolare College Royal e coltivò profondi legami personali e intellettuali con i suoi mecenati non ecclesiastici, come l’erudito consigliere al Parlamento di Aix Nicole-Pierre Fabri de Peiresc e il nobile parigino Habert de Montmor. 

Dopo alcuni anni di insegnamento di filosofia e teologia, Gassendi si allontanò da quelli che riteneva i rigidi insegnamenti della Scolastica nelle Exercitationes Paradoxicae del 1624. Da allora iniziò un sodalizio in studi fisiologici, astronomici e storici con il sapiente e ricco Peiresc, riassunto nella brillante biografia scritta da Gassendi alla morte di costui nel 1637. A questo punto, Gassendi aveva sviluppato i primi interessi in un certo numero di questioni di fisica di base e nel ripristino della filosofia di Epicuro, integrando il suo pensiero con ciò che riteneva teologicamente valido. La sua opera in filosofia naturale catturò l'attenzione dell’erudito, matematico e frate minimo Marin Mersenne, amico e compagno di studi di Cartesio. Gassendi trascorse gli ultimi due decenni della sua vita viaggiando avanti e indietro tra la Provenza e Parigi a causa dei vari impegni con i mecenati, della nomina al Collège Royal e dei problemi di salute. Per tutto il tempo fu coinvolto nelle discussioni accademiche del gruppo di filosofi e scienziati uniti attraverso la corrispondenza con Mersenne. Nel circolo di Mersenne, che comprendeva tra gli altri Pascal, Hobbes, Grotius, Campanella, Huygens, Fermat e Cartesio, gli interessi spaziavano su numerosi argomenti essenziali per lo smantellamento delle visioni del mondo aristoteliche e scolastiche, e Mersenne usava spesso il suo ruolo di facilitatore per organizzare dibattiti su questi temi. In quel contesto, Mersenne contribuì a favorire la circolazione delle critiche di Gassendi alle Meditazioni di Cartesio (Gassendi pubblicò successivamente le sue confutazioni nella Disquistio Metaphysica del 1646). I membri di questo circolo riferivano regolarmente sugli esperimenti di ciascuno e proponevano nuove sfide, come il noto enigma di Jean-Baptiste Poysson sul fatto che gli indivisibili fisici potessero o dovessero essere identificati con i punti matematici. 


La sua carriera scientifica fu varia e complessa. Alcuni storici considerano il suo più grande successo in questo ambito il contributo alla rinascita dell'atomismo antico, ma ciò rappresenta solo un fine della sua fisica antiaristotelica e un piccolo, sebbene fondamentale elemento dei suoi interessi scientifici. Le altre sue realizzazioni in fisica includono uno studio dei corpi in caduta libera (modellato sul lavoro di Galileo), un'enunciazione del principio di inerzia e un'interpretazione precoce e ragionevolmente accurata degli esperimenti di barometria di Pascal della fine degli anni Quaranta del Seicento. Gassendi si avventurò anche nella scienza sperimentale: tentò di misurare la velocità del suono prodotto dallo sparo dei cannoni, fece cadere dei pesi dall'albero di una nave in movimento per mettere in atto l'esperimento mentale di Galileo (e dissipare così i dubbi sul moto della Terra), e condusse numerose prove chimiche che coinvolsero, tra l'altro, la dissoluzione dei sali e la formazione di cristalli (che usò per rafforzare la sua teoria molecolare della materia). Nel 1635 scriveva: 
"questi grandi solidi, siano cubici, ottaedrici o altro, sono tutti composti da altri minori, della stessa figura, e quelli di altri minori fino alla risoluzione in tali piccoli, che sono quasi insensibili e sempre figurano similmente, dal che ne deduco che quelli sono ancora risolti anche agli atomi, che per necessità debbono essere della stessa figura”. 
Egli dedicò gran parte del suo tempo ad attività astronomiche. Fece osservazioni regolari dei cieli per decenni, producendo prove di conferma per le opinioni di Keplero, osservando le macchie solari, le eclissi, la stana forma ad anse di Saturno (gli anelli sarebbero stati descritti solo nel 1655 da Huygens) e il passaggio di Mercurio davanti al Sole (1631). Il corso che Gassendi tenne al Collége Royal, pubblicato con il titolo Institutio Astronomica (1647), divenne un manuale rispettato in Francia, Inghilterra, Italia e America. Gassendi fu identificato con la nuova astronomia per le sue osservazioni, le sue biografie di Copernico, Ticho e Keplero e l'osservazione del transito di Mercurio. Riedito più volte, il suo manuale comparve in biblioteche pubbliche e private insieme agli altri testi fondamentali dell'astronomia moderna e rivoluzionaria di Copernico, Galileo e Keplero. Gassendi previde con successo l'eclissi solare del 12 agosto 1654, cercando invano di rassicurare in un opuscolo anonimo la popolazione parigina che non sarebbero successi disastri. Nel 1621, fu il primo a fornire una descrizione scientifica del fenomeno che egli denominò “aurora boreale”, partendo dall'osservazione, ad Aix-en-Provence, di un'eccezionale aurora polare. Fu in contatto con tutti i grandi astronomi del suo tempo, come Keplero, Riccioli, Martinus Hortensius e Hévélius. Il 20 luglio 1625 scrisse a Galileo:
"Innanzitutto, amico Galileo, vorrei che foste ben convinto del piacere dell'anima con cui abbraccio la vostra opinione in astronomia, sul sistema di Copernico. Le barriere di un mondo sicuramente volgare sono abbattute. La mente liberata vaga per la vastità dello spazio. Forse dovreste pubblicare il vostro lavoro. Nascondendolo fareste un grave insulto alle lettere e a coloro che si dedicano alle scienze più divine (…) Se una ferma risoluzione, o un destino, vi impone una tale riserva danon poter nemmeno comunicare per lettera ai vostri amici ciò che avete concepito, fate un’eccezione per me. Fatemi sperare, vi chiedo, di essere vostro corrispondente.” 
L'elemento più controverso dell'astronomia di Gassendi riguarda se egli possa essere considerato un difensore di Galileo e della visione copernicana. Non c'è dubbio che simpatizzasse per Galileo e che fosse pienamente consapevole dei meriti del copernicanesimo, a volte difendendo apertamente la teoria e alcuni dei suoi fondamenti. Eppure, era anche chiaramente preoccupato della fedeltà alla Sacra Scrittura come interpretata dalla Chiesa, e a tal fine diede un resoconto ecclesiale della condanna delle tesi di Galileo nel 1634 che si concentrava non sull'eliocentrismo, ma sulle particolarità del modello galileiano. Il suo giudizio è che il modello di Tycho Brahe è preferibile al modello tolemaico, ma anche al modello copernicano, in quest'ultimo caso semplicemente perché il quadro eliocentrico non si adatta agli insegnamenti della Chiesa. Si affrettò a suggerire, tuttavia, che quegli insegnamenti erano essi stessi giustificati dall’attuale evidenza empirica, con l'implicazione che tali verità e il concomitante rifiuto del copernicanesimo potevano essere rivedibili (furbacchione). 

Le opere di Gassendi ebbero un'importanza particolare per i filosofi naturali italiani. Sotto il controllo di una chiesa autoritaria e reazionaria, sperimentatori ed empiristi intimiditi dalla condanna di Galileo erano, come Gassendi, alla ricerca di un sistema filosofico che potesse spiegare e ordinare i fatti forniti dalle sperimentazioni frammentarie dell'epoca. Il sistema di Gassendi - cioè l'antico atomismo di Epicuro epurato dalle sue tendenze ateistiche - offrì agli intellettuali italiani un'alternativa al neo-aristotelismo senza dirigersi nella direzione del meccanismo deterministico di Cartesio. Per loro Gassendi era diventato il naturale complemento di Galileo. 

Nei suoi ultimi anni, Gassendi cedette alle pressioni degli amici e pubblicò gran parte dei suoi studi epicurei, pubblicando la sua traduzione latina del Libro X su Epicuro di Diogene Laerzio, insieme ad un ampio commento, nelle Animadversiones del 1649. Nello stesso anno diede le dimissioni dal Collége Royal per problemi di salute. Continuò a lavorare su questo materiale interpretativo, incorporando costantemente intuizioni filosofiche e scientifiche, fino alla sua morte nell'appartamento parigino di Montmor nel 1655. Montmor, in qualità di esecutore testamentario, raccolse questo materiale in forma di manoscritto e con gli altri amici parigini di Gassendi fece in modo che fosse pubblicato il postumo Syntagma Philosophicum


Il Syntagma è più sistematico delle Animadversiones, in gran parte allontanandosi dal carattere talvolta filologico del commento precedente e discutendo principalmente di logica, scienze naturali, psicologia ed etica dalla prospettiva di ciò che Gassendi ritiene filosoficamente, storicamente e teologicamente sostenibile. Fortunatamente, Montmor e compagni ebbero il buon senso di raggruppare il Syntagma insieme alla maggior parte degli altri scritti di Gassendi (eccettuate le Animadversiones) in sei volumi di opere raccolte, l'Opera Omnia (Lione, 1658), che comprende anche lettere precedenti sull'ottica e la caduta libera dei corpi, una parte delle sue voluminose osservazioni astronomiche e gran parte della sua corrispondenza. 

Commentatori e storici designano di solito Gassendi come un pensatore della prima età moderna; tuttavia, ci sono buone ragioni per considerare la sua opera come appartenente alla fine del periodo precedente. Un aspetto della sua opera che ricorda da vicino la filosofia e la scienza rinascimentali è il fulcro storico del suo metodo di indagine. Per quasi tutte le questioni filosofiche che Gassendi ritiene degne di discussione, introduce prima un'ampia gamma di precedenti punti di vista contrastanti, a cominciare dalle scuole antiche, che considera opzioni "vive". Critica Aristotele e l’aristotelismo e si dice debitore del pensiero scettico, stoico ed epicureo. La storia della filosofia è per lui una fonte di ragionamento di vitale importanza, oltre che il modo generalmente corretto di inquadrare le nostre domande e, più occasionalmente, le risposte a quelle domande. Pertanto, una delle principali attrazioni dell'atomismo per Gassendi è che suggerisce un modo di pensare alla causalità tra oggetti materiali che trova un'alternativa attraente alle opinioni aristoteliche. Nella sua teoria della conoscenza troviamo un altro esempio dell'utilizzo di strutture antiche per modellare problemi contemporanei: nessun criterio di verità, ad esempio, è adeguato se non soddisfa i punti degli scettici classici. Alcuni potrebbero vedere questa attitudine come una prova del modernismo di Gassendi, ma le sue ampie preoccupazioni per il pensiero scettico lo collocano sicuramente in una buona compagnia rinascimentale. 

Un altro elemento di tipo rinascimentale degli scritti di Gassendi è la sua ossessione stilistica per l'antichità. Il suo latino è colto anche se un po' ampolloso. Una certa ricercatezza contraddistingue anche i suoi pochi scritti francesi esistenti. Cita spesso e liberamente da fonti classiche, di solito in latino anche se a volte in greco. Gassendi non suggerisce, come fa Cartesio, che il suo lavoro sia così moderno da essere stato inventato de novo. Piuttosto, rimanda costantemente il lettore ad altri scrittori, generalmente classici, come fonti di idee sia affini che contrastanti. Infine, il progetto più lungo della sua carriera consiste nei suoi grandi sforzi per far rivivere le opere e la reputazione di una particolare figura classica, Epicuro. 

Nonostante gli orpelli rinascimentali, ci sono almeno due ragioni per collocare Gassendi tra i moderni. In primo luogo, egli abbraccia la valutazione del nuovo empirismo nei confronti della vecchia scienza: ciò che è sbagliato nella fisica degli aristotelici è la prassi della sua presentazione, oltre che il suo fondamento, basati su affermazioni teoriche a priori. Non è l'unico o il primo autore con una tale visione. Galileo rompe con la tradizione nel distinguere una scienza del moto che, almeno in linea di principio, fa uso dell'osservazione e dell'esperimento. Bacone e Cartesio, da parte loro, consigliano anche (in varia misura) un metodo scientifico che si basa sulla conoscenza esperienziale. Ma tra i savants del primo Seicento, solo Gassendi integra filosofia e scienza su basi che ritiene strettamente empiristiche. Questa integrazione è una conseguenza naturale della volontà di acquisire tutta la conoscenza (al di fuori della teologia) dai sensi. 

Dalle sue proposte di fondamenti empirici per la nuova scienza e i suoi metodi deriva una serie di punti di vista altrettanto moderni. Suggerisce una nozione probabilistica di ciò che conta come credenza empirica giustificata e insiste sul fatto che possiamo autorizzare credenze su ciò che va oltre il sensibile, ma solo se sono ben radicate nelle nostre convinzioni sul dato percettivo. Inoltre, escogita regole per accettare o rifiutare ipotesi e linee guida per dirigere le scoperte empiriche e i nostri giudizi sulle stesse, in cui tutte queste affermazioni sono soggette alla prova dell'evidenza dall'esperimento o dall'osservazione. È tutt'altro che vero che tutte, o anche la maggior parte, delle sue affermazioni sulla natura del mondo fisico soddisfano questa prova, ma la modernità della filosofia e della scienza di Gassendi sta nella sua proposta che questo è un obiettivo da perseguire. 

Per molti commentatori, la teoria della conoscenza di Gassendi e le obiezioni alle Meditazioni di Cartesio rappresentano i suoi contributi filosofici principali. Nella sua epistemologia centrale, egli offre il primo modello moderno di conoscenza dei sensi da integrare con un resoconto fisiologico della percezione. Nelle sue obiezioni a Cartesio, rifiuta il criterio della chiarezza e della distinzione, critica il ragionamento alla base del cogito e attacca l'argomento ontologico. Ciascuno di questi punti di vista rappresenta una battaglia che Gassendi intraprese contro la tradizione aristotelica o la posizione cartesiana; il suo profondo empirismo si pone in alternativa a entrambe queste prospettive contrastanti.

Una pietra angolare dell'anti-aristotelismo di Gassendi è l’idea che non c'è nulla di necessario nel modo in cui il mondo è. Dio, sostiene, avrebbe potuto far funzionare il mondo in molti modi, e la storia e il carattere contingenti della Creazione significano che non c'è nulla di immutabile nell'essenza di una cosa materiale. Inoltre, indipendentemente dal fatto che ci siano essenze e che possano essere mutevoli, non ve ne sono a cui abbiamo accesso epistemico. L'unica fonte originaria della nostra conoscenza sono le informazioni fornite dai sensi, in modo tale che ciò che sappiamo sia strettamente legato a ciò che possiamo percepire. Quindi ci manca la conoscenza dell'essenza delle cose, se davvero ce n'è una. Più in generale, dalla nostra principale fonte di idee, i sensi, sappiamo solo come ci appaiono le cose. 

Gassendi discute l'opinione che ci sono proposizioni che possiamo conoscere con certezza. Poiché tutte le proposizioni sono giudicate vere o false su base empirica, nessuna può essere considerata indubitabile, tranne quelle della teologia e della cosmologia di derivazione teologica. Questa mancanza di certezza si estende anche alla dimostrazione logica, sia di carattere induttivo che deduttivo. Nulla è certo di tale dimostrazione, suggerisce Gassendi, salvo i limiti imposti dalla fragilità delle capacità intellettuali umane. I limiti naturali della nostra comprensione epistemica nelle scienze fisiche, nell'astronomia o in quasi tutti gli altri campi di studio sono proprio ciò che i sensi ci dicono, più qualsiasi correttivo fornito dalla ragione sulla base della conoscenza sensoriale che abbiamo già accumulato. 

Il fatto che Gassendi pensi che siano necessari correttivi sulle informazioni sensoriali chiarisce la profondità del suo rifiuto del fondazionalismo epistemico nel pensiero aristotelico o cartesiano: non possiamo fidarci nemmeno delle informazioni dai sensi per darci un'immagine sicura del mondo. In questo abbraccia il giudizio scettico che nessuna fonte di credenza può fornire una conoscenza certa. La conoscenza dei sensi è possibile solo nel caso in cui abbiamo la garanzia di giudizi sulle apparenze, anche se potremmo non avere garanzie di certezza su quei giudizi. 

Gassendi articola tali disaccordi con Cartesio nelle Obiezioni, dove rifiuta anche il criterio cartesiano di chiarezza e distinzione (le caratteristiche dell'evidenza), sia come standard per giudicare le idee che come fonte di giustificazione epistemica. Per quanto riguarda la prima, Gassendi sottolinea che la ragione, che comprende i nostri giudizi intellettuali e interpretazioni delle informazioni sensoriali, è essa stessa soggetta a errore. 

Se, nonostante tutti i loro difetti, le affermazioni basate su informazioni sensoriali sono più affidabili di quelle basate sul ragionamento, allora non dovremmo fare appello a queste ultime come base per giudicare le affermazioni delle prime. Uno dei motivi per cui pensa che le affermazioni basate sui sensi siano le più affidabili è che usano i sensi per raccogliere informazioni in modo passivo (quindi costantemente), in contrasto con il nostro giudizio mentale che organizza o mette in relazione attivamente (quindi irregolarmente) le informazioni. 

Inoltre, il criterio cartesiano è irrilevante per giudicare casi di conoscenza empirica, e anche se questo criterio non fosse irrilevante, le pretese di conoscenza di Cartesio dovrebbero ugualmente fallire. In primo luogo, nel caso della conoscenza empirica, Gassendi propone che il criterio cartesiano fallisca per i motivi scettici classici: è possibile per noi avere idee dai sensi che riteniamo chiari e distinti che non sono tuttavia la base per affermazioni giustificate di conoscenza di carattere generale. Sebbene possiamo avere idee chiare e distinte sull'aspetto, ad esempio, del colore del cielo che percepiamo, non possiamo dedurre da questa chiarezza e nitidezza che sappiamo di che colore è il cielo. Come avvertono gli scettici, il cielo potrebbe apparire a persone diverse con colori diversi e, come aggiunge Gassendi, le nostre idee su un tale aspetto potrebbero essere ciascuna chiara e distinta. In secondo luogo, Cartesio sostiene che la conoscenza può essere dimostrata dalla sola ragione, Gassendi respinge come comunque non conforme al criterio proposto; le idee ottenute con il solo ragionamento sono parziali e confuse, suggerisce, perché mancano dell'immediatezza caratteristica dei giudizi che otteniamo con mezzi strettamente empirici. Mentre le idee che otteniamo dai sensi rappresentano direttamente oggetti ed eventi mondani, le idee che otteniamo mediante prove deduttive non sono che ipotetici analoghi di tali idee di derivazione sensoriale.

Non tutte le critiche di Gassendi al criterio cartesiano sono radicate nella sua difesa della conoscenza dai sensi. Quindi, suggerisce, un altro problema con quel criterio è il suo fallimento nel mantenere la sua promessa fondazionalista. Nel caso in cui alcune delle nostre idee chiare e distinte si rivelassero sbagliate, avremo bisogno di qualche ulteriore criterio per distinguerle dalle idee corrette. E se il nuovo criterio è semplicemente qualcosa come "più chiaro e più distinto", allora siamo sulla strada per infiniti criteri di ordine superiore, che vanificano del tutto gli obiettivi del progetto fondazionalista. Infine, Gassendi offre quella che lo stesso Cartesio chiamò "l'obiezione delle obiezioni". Le nostre idee essendo idee chiare e distinte sono perfettamente in sintonia con una prospettiva solipsistica, ma poi l'unica cosa che possiamo sapere con certezza sono i nostri pensieri. Tuttavia, un criterio praticabile dovrebbe (a) distinguere anche le nostre affermazioni di conoscenza sul mondo esterno e (b) contrassegnare le affermazioni solipsistiche come dubitabili per cominciare. Oltre a queste obiezioni, Gassendi propone che Cartesio abbia messo il carro davanti ai buoi suggerendo che possiamo riconoscere facilmente ciò che è chiaro e distinto e usarlo come guida a ciò che è indubitabile quando ciò di cui abbiamo bisogno, in primo luogo, è una guida come a ciò che è chiaro e distinto. 

Allo stesso modo, anche il ragionamento del cogito di Cartesio è sottoposto a un attento esame. Gassendi interpreta questo ragionamento come l'inferenza di una persona dal suo indubitabile riconoscimento dell'attività cognitiva, all'affermazione che lui o lei esiste come sede stessa di tale attività. Contro tale inferenza sottolinea che il riconoscimento di avere una serie di pensieri non implica che uno sia un pensatore particolare o un altro. Se dovessimo muoverci dall'osservazione che c'è un pensiero che sta accadendo all'attribuzione di questo pensiero a un particolare agente, assumiamo semplicemente ciò che ci siamo proposti di provare, cioè che esiste una persona particolare dotata della capacità di pensiero. Come minimo, l'argomento richiede un significativo salto di ragionamento e, per Gassendi, questa è un'ulteriore prova che Cartesio ripone complessivamente troppa fiducia nel suo criterio e nel lavoro che pensa di poter svolgere. 

La necessità di una teoria della conoscenza empirica secondo Gassendi deriva dall'inadeguatezza delle risposte passate e contemporanee agli scettici, i cui enigmi egli trova particolarmente avvincenti nella forma dei tropi presentati da Sesto Empirico. I tropi scettici richiamano la nostra attenzione sul problema generale se, data la fallibilità dei sensi, qualsiasi conoscenza sia possibile. Gassendi ribalta il problema, limitando la sua portata a trovare giustificazioni per la conoscenza empirica e dichiarando la soluzione speciale per risolvere il caso generale. La sua mossa significativa al riguardo è di proporre, contro gli Stoici (e Cartesio), che non esiste condizione necessaria per avere qualche pretesa di certezza. Questo probabilismo amplia immediatamente la gamma di ciò che possiamo conoscere attraverso i sensi, così come il suo suggerimento di includere tra tali pretese di conoscenza quelle affermazioni su ciò che può essere nascosto ai sensi ma legittimamente dedotto dall'evidenza del dato percettivo. Questa è la sua teoria dell'inferenza basata sui segni, che suggerisce che tali inferenze sono legittime nel caso in cui siano accettate da un numero sufficientemente grande di esperti che danno testimonianza, oppure sarebbero false solo a pena di contraddizione. 

Seguendo un modello fisico epicureo, Gassendi raccomanda che le preoccupazioni scettiche siano soddisfatte da criteri di verità ed elementi di garanzia epistemica radicati nella regolarità e affidabilità della nostra percezione sensoriale e formazione delle idee. L'evidenza attendibile dai sensi fornisce la garanzia di convinzioni empiriche, anche se senza certezza, e nel caso in cui l'evidenza per esse non sia in conflitto con le esperienze probatorie accettate. Queste affermazioni si basano sulla proposta che l'informazione sensoriale ha una forma materiale, che la mente riceve informazioni sensoriali attraverso un processo fisico e che alcune facoltà cognitive ci consentono in modo affidabile di rilevare le proprietà di verità degli oggetti di conoscenza. Il processo fisico alla base di questo resoconto percettivo è ispirato da Epicuro, ma i dettagli fisiologici, l'ottica della trasmissione della luce e le lezioni epistemologiche sono proprie di Gassendi. 

Il lato negativo della teoria della conoscenza di Gassendi va verso la direzione degli scettici classici: non possiamo essere conclusivamente certi, né trovare verità ultime tra le credenze empiriche. Il lato positivo rifiuta un dubbio scettico assoluto, tuttavia, suggerendo che la conoscenza empirica è possibile perché possiamo identificare una serie di punti di forza che sono normalmente associati a molte credenze sulle apparenze: la loro affidabilità, approssimazione alla verità e probabilità per gradi. 

Sulla base di queste visioni globali della conoscenza in generale, Gassendi sviluppa elementi di una teoria della conoscenza e di un metodo specifici dell'attività scientifica. Questi elementi includono la proposta che raggiungiamo e giustifichiamo per deduzione affermazioni empiriche con la massima garanzia, tuttavia quelle affermazioni sono fondamentalmente probabilistiche. Propone inoltre di mantenere le ipotesi come base del ragionamento scientifico fintanto che ci sono prove empiriche per esse, per quanto ampiamente interpretate. Presi insieme, questi elementi costituiscono uno sforzo per un deduttivismo ipotetico che è caratteristico di alcuni esempi di ragionamento scientifico effettivo che Gassendi discute. Questa non è una specie moderna di deduttivismo ipotetico, tuttavia, saldamente legata com'è al suo empirismo. In effetti, il metodo di Gassendi non può essere adeguatamente caratterizzato nella sua interezza in questo modo, date le numerose altre forme di inferenza non deduttiva che egli avalla o utilizza come fondamentali per il suo metodo scientifico, comprese l'inferenza basata sui segni, il ragionamento analogico e l'inferenza alla migliore spiegazione

Un ulteriore elemento del metodo scientifico di Gassendi consiste nei suoi appelli a prove indirette per affermazioni sull'inosservabile e nella sua disponibilità a considerare tali prove come basi empiriche adeguate a sostenere valide ipotesi. L'esempio più importante di questa strategia è il suo abbracciare una teoria atomistica della materia come "ipotesi più probabile". Di necessità, qualsiasi prova a favore di questa ipotesi va trovata nella forma indiretta di segni "indicativi": questi sono i fenomeni di livello superficiale per i quali egli considera l'esistenza degli atomi una conditio sine qua non. A suo avviso, un esempio fondamentale di tali prove è ciò che possiamo vedere attraverso il microscopio, quando i fenomeni visivi sono spiegabili solo data l'esistenza delle microstrutture che percepiamo e, a loro volta, queste sono spiegabili solo in termini di strutture ancora più piccole. Gassendi sostiene che le osservazioni microscopiche della formazione e dissoluzione cristallina dimostrano la struttura molecolare della materia, un aspetto chiave del suo atomismo. Altrettanto innovativo è il suo appello a questa presunta fonte di garanzia a sostegno della sua teoria della materia. 

Tali argomenti a favore dell'atomismo evidenziano l'anticipazione di Gassendi della moderna nozione di inferenza alla migliore spiegazione come mezzo per giudicare tra ipotesi concorrenti. Avanzando questa strategia, sottolinea la capacità di una data ipotesi di spiegare una gamma di fenomeni diversi come guida al grado in cui tale ipotesi si avvicina alla verità. Questa strategia per giustificare le affermazioni sugli atomi riafferma anche la sua dipendenza dai dati empirici nella ricerca di conferme di affermazioni riguardanti allo stesso modo l'evidente e il non evidente. Sebbene molto sia insostenibile o improbabile in queste opinioni, Gassendi ha almeno offerto una serie di proposte per risolvere una delle domande più spinose dell'empirismo: come trascendere i limiti dei dati sensoriali. Possiamo conoscere elementi non osservabili come gli atomi, propone, nel caso in cui il nostro empirismo faccia avanzare la conoscenza scientifica attraverso un ragionamento ipotetico e garantisca il tipo di inferenze sui fenomeni fisici che tengono conto delle caratteristiche invisibili del mondo, per le quali le caratteristiche sensibili possono fornire prove. 

Le affermazioni atomiste di Gassendi sono radicate nella sua metafisica di fondo e nel rifiuto della divisibilità infinita della materia. Basa i punti più sottili del suo atomismo (per quanto riguarda le qualità degli atomi e dei loro aggregati) su osservazioni, esperimenti e interpretazioni degli stessi, nonché sulle valutazioni di prospettive alternative sulla teoria della materia. Seguendo il modello epicureo (con debiti a Lucrezio, Democrito e altri ancora), inaugura un'ontologia di base della materia e del vuoto e sviluppa un resoconto approfondito del mondo fisico radicato in un'immagine delle caratteristiche intrinseche degli atomi. 


Gassendi introduce nozioni di spazio e tempo assoluti secondo cui l'universo è ciò che contiene la Creazione materiale. Nel linguaggio colloquiale della metafisica, espone la "mappa" della sua immagine dell'universo in cui intende che Dio colloca i "mobili", vale a dire, gli atomi e le loro combinazioni. Spazio, tempo, accidente e sostanza sono le categorie basilari e reali (non ideali) dell'esistenza: lo spazio e il tempo non sono modi della sostanza. "Materia" si riferisce alla sostanza che esiste nello spazio e nel tempo. In effetti, è l'unica e immutabile sostanza delle cose fisiche e quindi deve esistere finché esistono le cose fisiche. Gassendi vuole che frammenti di materia abbiano le loro qualità distintive senza l'imposizione scolastica della forma. In particolare, propone, la materia ha qualità essenziali e accidentali, sebbene possiamo conoscere solo quelle accidentali, attraverso l'esperienza.

Quanto allo spazio contenitore in cui risiedono gli atomi, Gassendi propone argomentazioni empiriche e a priori a favore di un vuoto. Prende gli esperimenti barometrici del suo tempo, compreso il suo a Tolone, per dimostrare l'esistenza di almeno un vuoto parziale e diffuso. Andando oltre tale argomento empirico, ripercorre le argomentazioni classiche secondo cui senza il vuoto tra le parti dei corpi non si può spiegare la divisione e la separazione della materia a livello delle particelle di base, 

Per stabilire che gli atomi sono i principi o gli elementi primari della materia, Gassendi attinge dall’antica tradizione atomistica. Questo tipo di "prove storiche" o "testimonianze" vale come supporto per affermazioni fisiche all'alba del primo periodo moderno. Il suo approccio alternativo è una serie di difese ragionate dei principi atomistici di base - spesso, amplificazioni e riformulazioni di argomenti epicurei e lucreziani - comprese affermazioni sull'esistenza e sulla natura degli atomi come principi materiali primari. 

Per fare un esempio, Gassendi presume che gli oggetti materiali debbano avere un substrato composto da elementi di base e indivisibili ("principi") e propone gli atomi come i migliori candidati per il ruolo di substrato. Per arrivare a questa prima ipotesi, segue Epicuro e Lucrezio nell'adottare le idee di Parmenide secondo le quali nulla viene dal nulla e che tutta la materia deve provenire da qualcosa. Abbraccia inoltre l'antica concezione che quelle idee comportino un sostrato comune per tutta la materia, poiché la composizione delle cose materiali produce sempre materia. Eppure, questo sostrato comune non può essere materia primaria senza caratteristiche, senza forma, come propongono gli aristotelici. Dovrebbe avere alcune caratteristiche identificabili e immutabili perché tali caratteristiche sono ineliminabili dalla materia. Conclude che tutti gli oggetti materiali devono essere composti da particelle elementari che condividono le caratteristiche essenziali della materia, e le particelle con quelle caratteristiche sono proprio gli atomi. 

In una seconda linea di ragionamento lucreziano, Gassendi sostiene che gli atomi sono i principi primari della materia, sulla base del fatto che alcuni elementi materiali fondamentali devono essere impenetrabili se vogliamo rendere conto di vari gradi di resistenza in oggetti di dimensioni macroscopiche. Suggerisce che, poiché tutte le cose materiali resistono in una certa misura alla pressione, hanno tutte l'uno o l'altro grado di solidità. L'unico modo per spiegare questa solidità, o resistenza alla pressione, sostiene, è supporre che gli elementi costitutivi ultimi di tutti i corpi non siano morbidi, il che è garantito se sono tutti solidi. Altrimenti, non ci potrebbero essere corpi più duri di quelli più molli, perché se gli elementi costitutivi ultimi fossero molli, allora non potrebbero mai essere composti da essi corpi più solidi. Da ciò conclude che tutte le cose materiali devono essere composte da elementi massimamente duri che, quando messi insieme con più spazio vuoto tra loro, producono corpi più morbidi e, quando messi insieme con meno spazio vuoto tra loro, producono corpi più duri. 

A parte tali argomenti e obiezioni, Gassendi concentra i suoi maggiori sforzi per negare l'infinita divisibilità della materia sulla rilevanza di considerazioni matematiche e geometriche per le spiegazioni fisiche delle particelle ultime o quasi ultime della materia. Pur riconoscendo l'ampio parallelismo concettuale tra i continui fisici e matematici nelle discussioni antiche, mette in guardia dall'errata nozione che le grandezze fisiche dovrebbero essere infinitamente divisibili solo perché lo sono le grandezze matematiche. Quest'ultima osservazione di per sé non riesce a stabilire che gli atomi sono effettivamente divisibili. Eppure, Gassendi vede questa nozione come il crollo di un importante argomento contro l'atomismo. 

Un compito più importante è l'enumerazione delle proprietà atomiche. Gassendi distingue tra due tipi: quelle proprietà inerenti ed essenziali a tutti i singoli atomi e quelle che sono una caratteristica degli atomi nei gruppi. Il suo elenco di caratteristiche atomiche intrinseche, che segue da vicino l'elenco di Epicuro, include: estensione, dimensione, forma, peso o massa (pondus) e solidità (soliditas). Relativamente a ciascuna di queste caratteristiche, tutti gli atomi generalmente si assomigliano, essendoci una gamma limitata di dimensioni e pesi. Un'eccezione è la forma. Per rendere conto dell'enorme varietà tra gli oggetti naturali, afferma Gassendi, devono esserci molti tipi diversi di forme atomiche. 

Un'altra caratteristica notevole di questo elenco di proprietà è che segnala il rifiuto di Gassendi della visione cartesiana secondo cui l'estensione è sufficiente per caratterizzare ciò che è essenziale per il minimo frammento di materia. Cartesio ha torto, quindi, per la stessa ragione per cui gli scolastici hanno torto a parlare di materia senza caratteristiche nel contesto della teoria fisica. Come sostiene Gassendi, mentre potremmo astrattamente concepire la materia con una caratteristica come l'estensione, la materia non può effettivamente esistere senza le caratteristiche che Dio assegna alla Creazione, vale a dire dimensione, forma, peso e solidità. 

La caratteristica essenziale degli atomi che funziona meglio nella fisica di Gassendi - e genera anche più difficoltà - è il loro peso, che conferisce loro una tendenza intrinseca e naturale a muoversi. Data questa tendenza, il riposo degli atomi o è provvisorio oppure è un'illusione. Il peso degli atomi dà origine non solo a una semplice capacità di moto costante, ma anche a una serie di comportamenti più complessi, che consentono agli atomi di “… districarsi, liberarsi, balzare via, urtare contro altri atomi, per allontanarli, per allontanarsi da loro, e similmente [hanno] la capacità di afferrarsi l'un l'altro, di attaccarsi l'uno all'altro, di unirsi, di legarsi l'un l'altro velocemente…” Altri tre aspetti del moto atomico meritano la nostra attenzione. In primo luogo, deve essere la tendenza generale degli atomi a muoversi in linea retta, dato che gli atomi qui non presentano il clinamen (contrariamente alla tradizione epicurea). In secondo luogo, Gassendi propone che Dio doti gli atomi di un solido insieme di capacità di muoversi da soli a vari livelli, portando alcuni commentatori a vedere Gassendi come un vitalista o animista. Infine, egli aderisce a una composizionalità senza soluzione di continuità della materia e all'invarianza di scala rispetto alla natura e alle leggi del movimento, ognuna delle quali lo conduce in acque torbide. A livello microscopico, è impegnato in una costanza di movimento che non può essere arrestata permanentemente, mentre a livello macroscopico, sostiene che un principio di inerzia governa il movimento e il riposo di tutti i corpi. 

La tesi di Gassendi consiste nell'affermazione che le varie combinazioni di atomi danno origine a tutti i tipi di caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del mondo e dei fenomeni che esibiscono. Due elementi di questa tesi sono degni di nota. In primo luogo, gli atomi si combinano in particolari strutture molecolari che corrispondono a particolari caratteristiche e fenomeni di livello macroscopico. Questa visione pre-daltoniana non offre alcun suggerimento sul fatto che diversi insiemi di atomi siano la fonte della varietà molecolare. Eppure, questo molecolarismo è nuovo lo stesso, per l'ampio suggerimento che tali microstrutture siano elementi costitutivi di livello intermedio di macrostrutture e per la particolare proposta che i quattro elementi di base aristotelici siano concepiti come aggregati molecolari. In secondo luogo, le strutture molecolari si comportano allo stesso modo delle strutture di livello macroscopico: possono essere messe in moto, tirate, allungate, compresse e così via. D'altra parte, ci sono differenze significative tra atomi e molecole: movimento, densità ed elasticità sono tutti punti di differenza, che suggeriscono la difficoltà di una teoria della materia unificata e internamente coerente, rispetto a norme o leggi fisiche. Ciò nonostante, Gassendi è fiducioso che, almeno in linea di principio, l'universo potrebbe essere stato creato da Dio con una data composizione di particelle, di dimensioni, forma o altre dimensioni variabili. Ciò suggerisce che da quel livello di astrazione le leggi che governano il moto sono intese come invarianti scalari. Anche a un esame superficiale, queste allettanti affermazioni suggeriscono conseguenze significative e controverse dell'affermazione che gli atomi hanno un peso intrinseco e le conseguenti tendenze al movimento. 

Un ulteriore segno distintivo delle teorie atomiche e molecolari di Gassendi è la sua idea, seguendo le opinioni dei primi atomisti (in particolare Lucrezio), che alcuni atomi sono dotati di un'attività maggiore di altri. La varia attività di tali atomi speciali, o semina rerum, dà origine a un dinamismo differenziale nella materia (di natura puramente materialistica), consentendo strutture organiche speciali, nonché la crescita dei cristalli. Al contrario, né gli atomi né le molecole sono dotati di poteri di per sé. Né gli atomi sopportano forze, sebbene alcune forze come la gravità possano essere spiegate con riferimento al comportamento degli atomi. Le forze chimiche, d'altra parte, hanno spiegazioni molecolari. 

Una delle maggiori sfide all'atomismo di Gassendi da una prospettiva interna è la natura apparentemente impossibile della sua ricerca di basi empiriche per l'atomismo. Nella sua epoca non c'è il minimo accenno di una conoscenza percettiva di qualcosa di così piccolo. C'è, pensa, una fonte empiricamente valida di almeno alcune affermazioni sugli atomi: i dati indiretti dei segni indicatori. Eppure, il tenore generale della sua caratterizzazione e difesa dell'atomismo fisico segnala un allontanamento dal suo consueto empirismo. Come nella sua difesa di una tesi di indivisibilità, Gassendi si basa principalmente sulla ragione, non sull'esperienza, per rendere conto dell'origine e della quantità degli atomi e di quelle che considera le loro proprietà, il loro impulso interno, il movimento e il ruolo causale, e il loro contributo ai movimenti e alle qualità che attribuiamo agli oggetti macrofisici. Non è certo da biasimare a questo riguardo, data la mancanza di prove empiriche dirette disponibili. 

Per Gassendi, la grande promessa dell'ipotesi atomistica è il potere esplicativo in diversi domini dei fenomeni materiali (e la grande sfida, ove possibile, è la raccolta di prove empiriche a favore di tale ipotesi). Il progresso di Gassendi qui è quello di sviluppare spiegazioni atomistiche che sono meccanicamente praticabili, dove non esistevano in precedenza. 

In ciò che oggi chiamiamo chimica e fisica, Gassendi sviluppa una vasta serie di applicazioni per la sua ipotesi atomistica. Nella sua ottica, la teoria atomistica della luce fornisce un contrasto alla visione di Cartesio della luce come pressione. Per Gassendi, la luce è una proprietà veicolata da particolari atomi (atomi lucificae) che sono identici agli atomi di calore. Questi tendono a viaggiare a velocità superiore alla media perché generalmente hanno meno ostacoli nel loro percorso rispetto alla maggior parte degli atomi. Anche il suono è costituito da particelle e viaggia con loro. Contrariamente a una tipica visione dell'onda sonora, il mezzo circostante non gioca un ruolo importante: Gassendi ritiene che la velocità delle particelle sonore, come quella delle particelle luminose, sia invariante rispetto all'aria o al vento in cui viaggiano. In un esperimento, che modella su uno simile di Mersenne, stima che la velocità del suono sia 1.473 piedi/sec (478 metri/sec) e invariante rispetto all’altezza del suono. Anche il movimento planetario ha una spiegazione in definitiva atomistica, poiché le forze sottostanti che guidano i pianeti sono forze magnetiche sostenute da atomi particolari. 

Le spiegazioni atomistiche di Gassendi sui fenomeni chimici sono ugualmente ambiziose, suggerendo tra l'altro come si creano i vapori e come i metalli siano solubili. I vapori sono provocati dall'aumento della distanza tra gli atomi in un volume liquido. Gli atomi di calore rimuovono alcuni degli atomi presenti nel volume, determinando una maggiore percentuale di vuoto e la materia assumendo la forma di vapori. Per quanto riguarda la solubilità, consideriamo l'acqua regia che dissolve l'oro e l'acquaforte che dissolve l'argento, come risultato delle loro strutture atomiche complementari: gli atomi d'oro si adattano ai pori dell'acqua regia e gli atomi d'argento si adattano ai pori dell'acquaforte. 

Nel dominio dei fenomeni biologici, Gassendi offre ragioni molto diverse, attingendo alla sua teoria atomistica. La sua proposta più significativa a questo proposito è un spiegazione della generazione e dell'eredità in termini di un'anima materiale o di un'anima che porta informazioni ontogenetiche. Nella riproduzione sessuale, due insiemi di materia seminale e corrispondenti animulae si incontrano e determinano congiuntamente la divisione, la differenziazione e lo sviluppo della materia nel nuovo organismo. La determinazione dei tratti ereditari richiede la combinazione o la scelta tra i contributi di ciascun genitore, comportando competizione e predominio tra le animulae. L'animula è definita in base  ai suoi atomi costituenti, che devono essere uniformi affinché le animulae possano operare in modo equivalente attraverso diversi modi di generazione, sia "pre-organizzati" sia spontanei. Inoltre, Gassendi offre il suo modello molecolare come mezzo materiale per immagazzinare informazioni ontogenetiche ricevute dalle anime degli organismi genitori. 

Anche non considerando la struttura degli atomi e del vuoto, l'ontologia gassendista pone un'alternativa alle concezioni aristoteliche e cartesiane rivali, rispetto allo spazio e al tempo. La concezione gassendiana del tempo e dello spazio è assoluta. Il tempo scorre uniformemente indipendentemente da qualsiasi movimento, e lo spazio è uniformemente esteso, indipendentemente dagli oggetti che possono essere contenuti al suo interno. In effetti, sia lo spazio che il tempo sono anteriori alla Creazione e hanno un carattere infinito. 

Lo spazio e il tempo sono precondizioni per l'esistenza della sostanza, piuttosto che proprietà delle sostanze. La nozione di spazio non relativo di Gassendi è in diretto contrasto con l’idea cartesiana, che suggerisce che lo spazio è solo il luogo dove risiede la materia. Questo contrasto porta un chiaro risultato rispetto alla teoria della materia: Cartesio è bloccato in una visione della materia come infinitamente divisibile, per rendere conto dell'assenza del vuoto o (che è la stessa cosa) dell'onnipresenza della materia. Gassendi, invece, è libero di porre l'esistenza degli atomi e del vuoto, dove la materia si trova nello spazio ma non è né definita né definitiva di quello spazio. 

Fonte principale: Fisher, Saul, "Pierre Gassendi", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2014 Edition), Edward N. Zalta (ed.), https://plato.stanford.edu/archives/spr2014/entries/gassendi/