giovedì 16 giugno 2022

Bloomsday! Ulysses, o della complessità

 


The gift you gave is desire 
The match that started my fire 

(The Style Concil. The Paris Match, 1984)


C’è passaggio dell'Ulysses, nell'episodio Eolo, dedicato alla retorica, che ha suscitato diversi commenti sulla evidente parodia di Joyce delle convenzioni della stampa, del linguaggio forense e della narrativa vittoriana. 
“Pausa. J.J. O'Molloy prese l’astuccio delle sigarette. 
Quiete apparente. Qualcosa di abbastanza ordinario. 
Il messaggero prese la scatola di fiammiferi con fare pensieroso e accese il suo sigaro. 
Da allora ho spesso pensato, riconsiderando quel tempo strano, che sia stato quel tale atto minimo, banale in sé, l’aver acceso quel fiammifero, a determinare interamente il successivo corso di entrambe le nostre vite”. 
(Traduzione di Enrico Terrinoni) 
Nel contesto in cui si trova, la frase finale è enigmatica, e i lettori potrebbero essere tentati di dimenticarla come semplicemente assurda. La parodia è certamente coinvolta (parte della prosa di Charles Dickens è ripetuta testualmente), ma a un esame più attento la frase dice molto su ciò che Joyce una volta chiamava "il significato delle cose banali" e sui suoi audaci esperimenti narrativi. Questa interpolazione del "messaggero", tuttavia, ha per l’Ulysses un significato interessante. Ad esempio, si potrebbero interpretare i cambiamenti della narrazione come un ulteriore movimento nel flusso di coscienza di Stephen Dedalus. Allo stesso modo, Stephen, all'interno del passaggio stesso, si difende dalle seduzioni della retorica, prima preparandosi a sentire "qualcosa di abbastanza ordinario" e poi fornendo questo "qualcosa di ordinario": un portentoso cliché narrativo, la sua banalità rafforzata dal suo stile goffo. 

Questa intrusione testuale ci ricorda tre fatti fondamentali della nostra esistenza: (1) cause minute possono avere conseguenze molto grandi, (2) gli eventi sembrano essere puramente accidentali e contingenti nel momento in cui si verificano, e (3) questi stessi eventi, una volta spostati nel passato e rivisti, sembrano essere stati completamente deterministici, per “determinare interamente il successivo corso di entrambe le nostre vite”.

In Ulysses, James Joyce anticipa in modo inquietante la prospettiva dei teorici della complessità e condivide le implicazioni filosofiche della loro visione del mondo. Inoltre, comprendere l’Ulysses alla luce della teoria della complessità può migliorare sostanzialmente il nostro senso di come il romanzo dovrebbe essere letto e interpretato. 


Ma che cosa intendiamo per complessità? In generale, tutte le sostanze in natura che sperimentiamo attraverso i nostri organi sensoriali sono sistemi costituiti da un gran numero di particelle, atomi o molecole. In tali sistemi con molte particelle, interazioni appropriate tra i componenti provocano i cosiddetti fenomeni cooperativi e danno origine a proprietà collettive dell'intero sistema, che potrebbero non essere ridotte alle proprietà dei singoli componenti del sistema. 

Sebbene non esista una definizione precisa di complessità, essa è solitamente caratterizzata da una grande variabilità derivante dalle interazioni non lineari tra i componenti. Più precisamente, un sistema complesso è spesso descritto dalle seguenti tre caratteristiche: 

1) è un sistema con un gran numero di componenti. Le interazioni non lineari tra i componenti portano all'emergere di proprietà collettive irriducibili ai singoli componenti. Pertanto, osservando il sistema complesso con un’analisi microscopica oppure macroscopica, si trovano nuovi dettagli e diversità presenti in ogni fase e strutture autorganizzate di tutte le dimensioni; 
2) è un sistema aperto (una “opera aperta” avrebbe detto Eco). Di conseguenza un sistema complesso continua a scambiare energia e/o informazioni con l'ambiente circostante e mostra l'emergere di nuovi stati, mentre un sistema chiuso e isolato dal mondo esterno dovrebbe raggiungere un equilibrio; 
3) implica una grande variabilità al confine tra ordine e disordine. Ciò significa che il sistema complesso costruisce una struttura moderatamente stabile tra ordine e disordine e possiede flessibilità verso nuove possibilità. 

La grande variabilità può portare a imprevedibilità, nel senso che piccole differenze nelle condizioni iniziali possono portare a risultati totalmente diversi. Un sistema complesso con una variabilità così ampia mostra flessibilità nell'adattamento ai cambiamenti della situazione, come l'ambiente, e cerca costantemente altre possibilità scambiando influenze con l'ambiente circostante. In breve, la complessità implica nuove possibilità. 


A questo proposito, tre aspetti importanti della teoria hanno fondamentalmente modificato il modo in cui gli esperti affrontano lo studio di fenomeni vari come il tempo, i mercati delle materie prime, la tettonica a placche, l'evoluzione, l'epidemiologia, la dinamica delle popolazioni negli ecosistemi, la distribuzione delle galassie, e così via. Queste caratteristiche sono (1) il principio di dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali e il ruolo correlato del feedback (retroazione) nei sistemi dinamici, (2) l'enfasi sulla spiegazione scientifica, piuttosto che sulla previsione, e (3) il concetto di schema, innato o emergente, nei sistemi caotici. Si possono disegnare anche correlazioni con gli equivalenti letterari di questi principi in Ulisse (e in altre opere totali, come ad esempio Cent’anni di solitudine di Garcia Marques o I detective selvaggi di Bolaño), certamente non pensando che Joyce fosse consapevole della teoria della complessità circa quarant'anni prima dei suoi primi sviluppi, ma dalla constatazione che egli anticipa l'obiettivo ricercato dai contemporanei nella scienza: un'immagine più accurata del mondo in tutta la sua complessità e apparente casualità. I recenti sviluppi della critica di Joyce, e della teoria critica in generale, offrono alcuni illuminanti parallelismi con il cambio di paradigma che si sta verificando nelle scienze. 

La visione del mondo cartesiana e newtoniana dipingeva il cosmo come guidato da forze piuttosto semplici e tre secoli di tradizione cartesiana hanno applicato il "rasoio di Occam" alla ricerca, supponendo che tutti i fenomeni possano, e alla fine saranno compresi come risultato di semplici regole, o leggi. Negli studi letterari il termine "convenzione" ha la stessa forza delle "leggi" della scienza, per cui non sembra essere un caso che, all’inizio del secolo XX, contemporaneamente all'indebolimento della convinzione dello scienziato di un cosmo spiegabile e prevedibile, l'adesione dello scrittore alle convenzioni come assolute cominciò a vacillare. Tuttavia, ancora generalmente fiduciosi che tutti gli eventi fossero riducibili alla semplicità, gli scienziati ignoravano sistematicamente quei fenomeni complessi che sembravano intrattabili per la modellazione matematica e l'analisi scientifica. Si consideri ad esempio il principio meccanico che per ogni azione c'è una reazione uguale e contraria; due logiche conseguenze di questa idea sono l'assunto che piccole cause abbiano piccoli effetti e che grandi cause abbiano grandi effetti. Una delle prime conclusioni della teoria della complessità, tuttavia, era lo studio di molti eventi reali in natura in cui piccole cause producono enormi conseguenze. Spesso, differenze anche minime nelle condizioni iniziali di un sistema dinamico, infatti, portano a grandi differenze nel tempo, differenze sia imprevedibili che apparentemente non analizzabili. Questo principio di dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali è stato soprannominato "effetto farfalla", dalla descrizione della dinamica dei sistemi meteorologici fatta dal meteorologo Edward Lorenz. A meno che i meteorologi non dispongano di informazioni infinitamente precise per ogni millimetro cubo dell'atmosfera - la temperatura esatta, la velocità del vento, la pressione atmosferica e così via - istante per istante, non saranno in grado di prevedere il tempo futuro con assoluta certezza. Lorenz dimostrò che la "prevedibilità", l'obiettivo amato da Laplace, se non da Newton, e da generazioni di scienziati da allora in poi, è irraggiungibile in termini globali. Non c'è da stupirsi, quindi, che gli scienziati chiamano “caotici” questi sistemi sensibilmente dipendenti da piccole variazioni delle condizioni iniziali. 


In realtà, l'effetto farfalla di Lorenz non è una formulazione del tutto originale; il matematico francese Poincaré aveva osservato all’inizio del Novecento qualcosa di molto simile nelle equazioni non lineari, e lo scozzese Maxwell, aveva anticipato Joyce in una lettera, illustrando una simile sproporzione tra causa ed effetto: "Il fiammifero è responsabile dell'incendio boschivo, ma il riferimento a un fiammifero non basta per capire il fuoco". Allo stesso modo, le fantasticherie di Stephen secondo cui l'accensione del sigaro da parte del messaggero, "l’aver acceso quel fiammifero", potrebbe determinare "il successivo corso di entrambe le nostre vite", non sembra una profonda intuizione metafisica; anzi, suona molto come un cliché. E se è un cliché, è perché Stephen riflette, attraverso uno stile narrativo convenzionale, qualcosa che spesso si pensa e si riconosce nell'esperienza quotidiana: la sensibile dipendenza dei nostri destini da condizioni iniziali apparentemente piccole e accidentali. Nonostante il suo status di luogo comune, Joyce in effetti costruisce il suo intero romanzo proprio su un "piccolo atto, di per sé banale", l’incontro di Stephen e Bloom. La stessa formulazione di Lorenz del suo effetto farfalla illustra il principio di cui parla, perché la reiterazione di un'idea familiare ha generato, attraverso una serie di conseguenze, un massiccio orientamento del pensiero contemporaneo verso la complessità, l'irregolarità e l'imprevedibile confusione del mondo come lo viviamo. La teoria dei sistemi complessi spinge la scienza verso la descrizione del mondo reale e indica che la complessità è radicata nel semplice, in un modo molto diverso dalla concezione tradizionale della semplicità.

Comprendiamo il passaggio del messaggero perché tutti noi a volte abbiamo ripensato a una serie di eventi che abbiamo vissuto e ci siamo chiesti: se non avessi fatto quella cosa in quel momento, e poi quell’altra, eccetera, verso qualche calamità o fortuna, incontrata o mancata. Allo stesso modo, in Circe, Bloom osserva: "Però non puoi salvarti sempre. A superare la vetrina di Truelock quel giorno due minuti più tardi, mi avrebbero sparato”. Tale riflessione è semplicemente la disposizione retrospettiva di una catena di effetti moltiplicatori che emerge da un'unica causa ultima. Attraverso questa catena, un certo effetto risultante da una causa precedente viene "alimentato" nel collegamento causale successivo, portando all'effetto successivo che, a sua volta, viene reimmesso nel collegamento successivo. In effetti, questo principio di feedback caratterizza tutti i fenomeni sensibilmente dipendenti, intensificando esponenzialmente gli effetti anche della più umile delle cause. 

Se dovessimo rappresentare graficamente la relazione di azione e reazione in un sistema dinamico caratterizzato da tale feedback, non otterremo la retta diagonale di un classico sistema newtoniano, dove cause equivalenti creano effetti equivalenti: quindi, gli scienziati chiamano tali sistemi "non lineari". Le nostre vite, il nostro mondo e "quasi tutto il resto che ci interessa" sono decisamente non lineari. 


Un classico esempio di sistema non lineare, caratterizzato da feedback, è la fluttuazione irregolare delle popolazioni negli ecosistemi. Una varietà di circostanze influenzerà la crescita e il declino di una popolazione, per esempio di insetti in un particolare ambiente: tassi di riproduzione, disponibilità di cibo, popolazioni di predatori, ecc. Una delle più importanti di queste condizioni, ovviamente, è la popolazione della generazione precedente, i genitori della generazione successiva. I biologi delle popolazioni talvolta usano ancora la vecchia (1838) equazione logistica di Verhulst, per proiettare i tassi di crescita; l'equazione differenziale di Verhulst include un fattore che stima la popolazione attuale. Questo modello assume che il tasso di riproduzione è proporzionale alla popolazione esistente e all'ammontare di risorse disponibili. 

Questa equazione è così sensibilmente dipendente che un errore di solo un decimo di biliardesimo (uno seguito da sedici zeri) nella stima del numero di insetti nello stagno renderà il calcolo della popolazione, dopo cinquanta cicli (o iterazioni dell'equazione), totalmente inaffidabile. Per accertare la probabile crescita o il declino della popolazione nell'arco di diversi anni, si dovrebbe avere una cifra incredibilmente esatta per la popolazione del primo anno; qualsiasi errore verrà restituito ogni volta che l'equazione viene ricalcolata (iterata) per un anno successivo. Quindi, se il nostro margine di errore non può essere maggiore di 1 x 10-16, un'accuratezza di gran lunga superiore alla capacità umana, perché dovremmo anche tentare la previsione nell'analizzare il comportamento di tali sistemi non lineari? Una risposta ovvia è che questi sistemi sono, dopo tutto, i più caratteristici della vita come la conosciamo; non possiamo semplicemente abbandonare lo studio della non linearità. Tuttavia, se non possiamo proiettare il loro comportamento, quale dovrebbe essere il nostro obiettivo nell'esaminare i sistemi non lineari? Questa è precisamente la domanda affrontata dalle scienze della complessità. Una delle conseguenze più importanti del cambio di paradigma verso la ricerca sulla complessità è che gli scienziati hanno riconosciuto di non poter avventurarsi nella previsione, ma di dover accontentarsi della spiegazione. In breve, nelle parole “relativistiche” di Joyce nel capitolo del Finnegans Wake, gli scienziati della complessità hanno trovato nel cosmo un "caosmo" (un neologismo che avrà una certa fortuna nella filosofia contemporanea, da Deleuze a Derrida). 
“every person, place and thing in the chaosmos of Alle anyway connected with the gobblydumped turkery was moving and changing every part of the time”. 

“ogni persona, luogo e cosa nel caosmo del Tutto comunque connesso con la turcheria mal digerita si muoveva e cambiava ogni parte del tempo” 
(traduzione mia) 
Esiste un’analogia in letteratura per il fenomeno del feedback che rende il comportamento dei sistemi dinamici imprevedibile e irrimediabilmente complesso. Nell'atto stesso della lettura, la risposta del singolo lettore altera il comportamento del "sistema", del libro, ad ogni "iterazione" o lettura. Gli stessi e molti lettori aggiuntivi eseguono successive iterazioni/letture: in tutti i casi, i prodotti dell'esperienza saranno diversi, a volte con cambiamenti imprevedibili e vasti nei risultati. Il comportamento di Joyce, spesso notato, come lettore del proprio lavoro, trasmettendo nel testo la sua precedente esperienza del testo, intensifica questa caotica complessità. La crescita esponenziale di Ulisse dal suo primo stato come racconto destinato a essere incluso nei Racconti di Dublino ai metodi di composizione incrementali ben documentati di Joyce sia per Ulysses che per Finnegans Wake, è parallela al comportamento dei sistemi dinamici non lineari che si avvicinano alla turbolenza caotica. Le condizioni iniziali apparentemente semplici del testo di Joyce si avvicinano e mantengono un precario equilibrio sul cosiddetto "limite del caos", quella regione dove risiede la più grande diversità e creatività in natura. 

Come ha scritto Umberto Eco, “è superfluo qui richiamare alla mente del lettore, come esemplare massimo di opera " aperta " - intesa proprio a dare una immagine di una precisa condizione esistenziale e ontologica dcl mondo contemporaneo - l'opera di James Joyce. In Ulysses un capitolo come quello delle Wandering Rocks costituisce un piccolo universo riguar­dabile da vari angoli prospettici, dove l'ultimo ricordo di una poetica di stampo aristotelico, e con essa di un decorso univoco del tempo in uno spazio omogeneo, è del tutto scomparso. Come si è espresso Edmund Wil­son : “La sua forza (di Ulysses), invece di seguire una linea, espande se stessa in ogni dimensione (inclusa quel­la del Tempo) intorno a un singolo punto. Il mondo di Ulysses è animato da una vita complessa e inesauri­bile: noi lo rivisitiamo come faremmo per una città, dove torniamo più volte per riconoscere i volti, comprendere le personalità, porre relazioni e correnti di interessi. Joyce ha esercitato una considerevole ingegnosità tecnica per in­trodurci agli elementi della sua storia in un ordine tale che ci rende capaci di trovare da noi le nostre vie (...) E quando lo rileggiamo, noi possiamo incominciare da qualsiasi punto, come se fossimo di fronte a qualcosa di solido come una città che esista veramente nello spazio e nella quale si possa entrare da qualsiasi direzione - così come Joyce ha detto, componendo il suo libro, di aver lavorato contemporaneamente alle varie parti". 


La nuova enfasi sulla descrizione piuttosto che sulla previsione come obiettivo della scienza, il recente allontanamento dal sogno di Laplace di risolvere i misteri della macchina universale, significa, tra l'altro, che le arti e le scienze stanno nuovamente camminando su un terreno parallelo. Da un lato, la descrizione è sempre stata l'attività delle arti letterarie e visive. D'altra parte, i ritratti del caos generati al computer, ad esempio l’insieme di Mandelbrot, una rappresentazione grafica del comportamento di un'equazione non lineare reiterata molto semplice, sono diventati una nuova forma d'arte, che adorna copertine di libri, t-shirt e manifesti; il successo dei volumi con tali "ritratti del caos" suggerisce che il confine tra arte generata dal computer e arte non rappresentativa è davvero sottile. I fisici teorici, come Stephen Hawking nella sua Breve storia del tempo, hanno previsto la riunificazione di fisica e metafisica nel prossimo futuro; i ricercatori del Santa Fe Institute for the Study of Complexity affrontano la loro materia nello stesso modo in cui alcuni critici praticano l'analisi della letteratura. Questo non è del tutto casuale, dal momento che uno dei fondatori del Santa Fe Institute era Murray Gell-Mann, che si era rivolto al Finnegans Wake per trovare un nome per una particella elementare nella fisica quantistica, il "quark". 


Se la teoria del caos ci mostra che un sistema dinamico non lineare apparentemente semplice può generare fenomeni di straordinaria complessità, vale anche il contrario: che le semplici radici di fenomeni estremamente complessi possono essere scoperte da un'analisi minuziosamente dettagliata, che il caos ha un disegno profondamente radicato. I ritratti del caos, resi possibili dai progressi tecnologici, dai computer in grado di reiterare equazioni non lineari centinaia di migliaia di volte in poche ore, hanno dato agli scienziati le prime intuizioni che il caos potrebbe rivelare qualche forma di ordine. Così anche le statistiche erratiche come le distribuzioni della popolazione, che fino a poco tempo fa potevano essere studiate solo per pochi cicli alla volta, sembrano ordinate in modo intricato quando abbiamo a disposizione molte migliaia di dati e computer molto potenti. L'implicazione più notevole della teoria del caos, infatti, è la reintroduzione del concetto di struttura nei fenomeni naturali, una dinamica di natura antientropica e auto-organizzativa (Prigogine), ma che comunque è al di là dell'influenza o del controllo del singolo osservatore.

L’Ulysses, un romanzo che molti lettori hanno percepito come caotico e incomprensibile, illustra bene la distinzione tra struttura immanente ed emergente in un sistema non lineare. Come tutti sappiamo, Joyce stesso ha inserito nel suo romanzo una serie di strutture organizzative: il mito omerico, le allusioni all'Amleto, alla storia irlandese, e così via. Questi rappresentano il disegno immanente del romanzo, le strutture deterministiche del creatore, del legislatore. La struttura emergente di Ulysses, tuttavia, comprende quelle caratteristiche casuali del romanzo, come i messaggeri o gli accenditori di fiammiferi, ognuno di loro apparentemente privo di intenzioni. Tuttavia, questi dettagli apparentemente casuali e gradualmente emergenti si combinano progressivamente in una comunità di comportamenti mentre il romanzo assume una mente e una vita propria. Solo in rari momenti Stephen intuisce vagamente di abitare nel sistema ordinato di un romanzo. Bloom non ha idea di ricapitolare le peregrinazioni di Ulisse. Allo stesso modo, nessun neurone cerebrale ha alcuna "idea" di agire collettivamente con altri neuroni, fornendo a un'altra entità l'esperienza molto più ampia e complessa di un'idea. Vivendo all'interno di un sistema, come un romanzo, Stephen e Bloom e tutti gli altri personaggi del libro non riescono a cogliere il disegno che li contiene. 

Anche l'opera letteraria contemporanea nasce da una concezione semplice, un "fiammifero acceso", ma si sviluppa in un sistema complesso, come l'incendio boschivo, o come il tempo, o meglio ancora come quei sistemi adattativi complessi come il mercato azionario, o la comunità internazionale, dove la mente dell'uomo, una specie di ali di farfalla, può generare fluttuazioni di comportamento ancora più imprevedibili. Un romanzo dinamico non lineare come Ulysses si autoalimenta, adattandosi e influenzando i suoi molteplici contesti, e assimila il lettore nella sua complessità. Ulysses si allontana dal mondo ordinato e statico del sistema stabile, non nel caos, ma verso il limite della complessità, l'orlo del caos, dove le piccole cause hanno grandi effetti e dove si trovano sia la vita stessa sia le grandi opere letterarie. 

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Fonti principali:
 
Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, 1962
Thomas Jackson Rice, Ulysses, Chaos, and Complexity, University of Illinois Press, 1997 

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