mercoledì 13 luglio 2011

In difesa di Hubble

ResearchBlogging.orgLe recenti accuse a Edwin Hubble di aver censurato il fondamentale lavoro di Lemaître sull’espansione dell’universo, di cui ho dato conto in un recente articolo di questo blog, erano troppo clamorose per non sollevare obiezioni e articoli di opposto parere. Così, l’astrofisico israeliano Giori Shaviv, del Dipartimento di Fisica del Technion Israel Institute of Technology di Haifa, in occasione della prossima uscita presso Springer del testo The Quest for Chemical Element Genesis and What the Chemical Elements Tell about the Universe, prevista tra due mesi, ne anticipa alcuni contenuti in un paper pubblicato su ArXiv il 5 luglio scorso, presentandoli con queste chiare parole: “Our summary: We exonerate Hubble from the charge that he censored or ignored or plagiarized Lemaitre's earlier theoretical discovery” (La nostra sintesi: Esoneriamo Hubble dall’accusa di aver censurato, ignorato o copiato la precedente scoperta teorica di Lemaitre). Come ho cercato di fare a proposito delle accuse mosse da David L. Block e Kenneth C. Freeman, illustro le argomentazioni di Shaviv e del suo gruppo, in modo che il lettore possa farsi un’opinione il più possibile informata, ma non rinuncio in coda a esprimere un piccolo dubbio.

Si alzi allora il sipario ed entri il primo personaggio di questa nuova rappresentazione: sbuca dalle quinte la barbetta bianca del matematico, fisico e astronomo olandese Willem de Sitter (1872-1934). Non appena Einstein pubblicò nel 1915 la Teoria Generale della Relatività, anch’egli cercò di applicare le idee del tedesco all’intero universo. Entrambi, che erano in contatto epistolare, intrapresero le loro speculazioni ipotizzando un universo senza massa o, per essere più precisi, ignorando la pressione al suo interno. Per il comportamento dell’universo Einstein investigò una soluzione statica, mentre de Sitter, in tre articoli pubblicati tra il 1916 e il 1917 sugli Atti dell’Accademia Reale Olandese di Arti e Scienze, ne cercò una dinamica, in quello che da lui avrebbe in seguito preso il nome di universo di de Sitter. Nella sua assunzione, la materia non influenza i risultati, e la dinamica è influenzata solo da una costante cosmologica positiva. In poche parole, l’ipotesi di de Sitter comporta, come avrebbe dimostrato nel 1922 l’ungherese Cornelius Lanczos (o Löwy) con un semplice cambio di coordinate, che l’universo si espande. Furono in gran parte le pubblicazioni dell’astronomo olandese a convincere Arthur Eddington a organizzare la famosa spedizione in occasione dell’eclisse del 1919 di cui si è parlato nel precedente mio articolo. Inoltre, de Sitter seppe prevedere che le righe spettrali degli oggetti lontanissimi si sarebbero spostate verso il rosso, proprio come fu in seguito osservato da Hubble. La soluzione di de Sitter precedette il grande dibattito sulla natura delle galassie, così egli ancora non sapeva dell’esistenza di altre galassie oltre la Via Lattea. Egli stimò per le stelle di luce più debole, e quindi più lontane, uno spostamento di meno di 1/3 km/s. Einstein, allora pervicacemente convinto di un universo stazionario, criticò questa soluzione, al punto da scoraggiare l’olandese dall’occuparsi di cosmologia per almeno una decina d’anni, fino a quando Hubble tornò a parlare di espansione. I rapporti tra de Sitter e Einstein si improntarono a una freddezza che fu abbandonata solo all’inizio degli anni Trenta, quando i due ripresero a collaborare.

Un altro personaggio che è giusto far comparire sulla scena è il grande matematico e cosmologo russo Alexander Friedmann (1888-1925), occhialini rotondi e aspetto da trotskino intellettuale ed emaciato. Egli nel 1922 diede una soluzione diretta per le equazioni di campo della relatività generale, senza ricorrere a cambi di coordinate, dimostrando la possibilità sia di uno stato stazionario, sia di un universo in espansione. Furono questi raffinati studi teorici che avrebbero consentito le ipotesi di Hubble. I suoi articoli del 1924 inaugurarono poi lo studio delle curvature dello spazio (positiva, zero e negativa), dieci anni prima delle analisi di Robertson e Walker. L’ipotesi stazionaria sarebbe stata abbandonata alla fine del decennio, non appena risultò chiaro che non si accordava con le osservazioni.

Nel 1927, nell’articolo Un Univers homogène de masse constante et de rayon croissant rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extragalactiques, pubblicato su una rivista scientifica belga non molto conosciuta e tradotto in inglese, come si è visto, infedelmente e con insolito ritardo, Lemaître scoprì indipendentemente da Friedmann le soluzioni all’equazione di Einstein che giustificavano l’ipotesi di un universo in espansione. Solo un anno più tardi anche il matematico e cosmologo americano Howard Percy Robertson arrivò alle stesse conclusioni, ignorando l’articolo del prete belga.

In queste prime fasi dello sviluppo delle idee non era chiaro che cosa era veramente successo all’”inizio dell’universo”. C’era una singolarità, cioè, la densità e la temperatura tendevano all’infinito, oppure l’universo iniziò ad espandersi da uno stato stazionario? E, in questa seconda ipotesi, qual era questo stato stazionario? La questione della nascita degli elementi chimici non era considerata. Per dirla alla Lemaître, l’universo iniziò “da una qualche materia primordiale”, le cui proprietà non erano ben definite.

La scena si affolla (ma chi ancora pensa che il cammino della scienza sia una passeggiata solitaria e non uno sforzo collettivo?). Devo infatti introdurre un altro importante personaggio per illustrare il dibattito cosmologico di quegli anni cruciali: l’astronomo americano Harlow Shapley (1885–1972), uno dei protagonisti del Grande Dibattito con Heber Curtis del 1920 sulle dimensioni dell’universo.

Assieme alla moglie Martha Betz, anch'essa un'astronoma, Shapley nel 1918 analizzò le differenze tra le proprietà degli ammassi globulari e delle galassie spiraliformi, quest’ultime ancora considerate nebulose interne alla nostra galassia. La coppia scoprì che le velocità radiali degli ammassi globulari sono in gran parte negative, fatto che portò i due astronomi all’ipotesi che essi siano oggetti extra-galattici attratti dal nostro sistema galattico. Le nebulae a spirale, invece, apparentemente indifferenti all’attrazione gravitazionale del sistema galattico, si stanno allontanando dal sole e dal piano di rotazione della nostra galassia, fatto notevole fino ad oggi poco evidenziato: sebbene il numero delle velocità delle nebulose a spirale fosse limitato, 25 di esse tranne 3 avevano velocità positive (cioè si stanno allontanando da noi) con valori di 150 Km/s e maggiori. Queste velocità erano molto più alte che le velocità (negative) degli ammassi globulari. Gli Shapley sottolinearono più volte nell’articolo che la categoria degli ammassi globulari sembra avvicinarsi rapidamente al sistema galattico, mentre quella delle nebulose a spirale si sta allontanando ad alta velocità. Essi spiegarono le velocità di allontanamento delle spirali come la conseguenza di forze di repulsione che agiscono tra di loro e la Via Lattea.

Un’altra conclusione dei coniugi astronomi fu che la velocità delle nebulose a spirale è in relazione in qualche modo con la loro luminosità apparente, indicando un legame della velocità con la distanza o, eventualmente, la massa. Ciò naturalmente portò i due autori all’idea che tra le spirali agisce una forza repulsiva, in quanto essi scrissero che “L’ipotesi richiede che la gravitazione sia la forza dominante sulle stelle e sugli ammassi stellari e che una forza repulsiva (…) predomini nel comportamento osservato delle nebulose a spirale.” È interessante notare che l’articolo di de Sitter del 1917 fu pubblicato proprio un anno prima che gli Shapley completassero il loro lavoro, ma, come nel caso di Lemaître dieci anni più tardi, ciò avvenne su una rivista poco diffusa e difficilmente accessibile agli astronomi, per cui essi non erano a conoscenza.

Quando si incominciò a conoscere l’articolo di de Sitter, si fecero diversi tentativi di verificare il suo modello. Uno dei primi tentativi di scoprire la relazione tra lo spostamento spettrale (cioè la velocità) e la distanza fu intrapreso dal fisico americano di origine polacca Ludwik Silberstein (1872-1948). Silberstein, che fece una ventennale carriera universitaria anche in Italia tra Bologna e Roma, calcolò le velocità relative (negative e positive) di molti ammassi stellari e nebulose spirali, per derivare una formula che fosse in grado di spiegare lo spostamento delle linee spettrali della luce emessa dalle stelle. I risultati confermarono che molti degli oggetti studiati, in particolare le Nubi di Magellano, si trovano a distanze incompatibili con le dimensioni calcolate allora per la nostra galassia. Silberstein inviò il suo articolo per la pubblicazione il 18 gennaio 1924. Fu prima della scoperta da parte di Hubble che le nebulae sono extragalattiche. Ciò nonostante, sembra che egli inconsapevole del dibattito cosmologico in corso, perché le sue conclusioni, per quanto imprecise riguardo ai valori calcolati, avrebbero sicuramente portato agli stessi risultati che Hubble ottenne poco dopo, particolarmente che le galassie a spirale sono oggetti extra-galattici. Silberstein, personaggio particolare e un po’ troppo convinto delle proprie opinioni, è noto anche per aver cercato inutilmente di accreditarsi presso Eddington come “uno dei tre esperti mondiali di relatività” e per aver iniziato nel 1936 una polemica sulla stampa contro Einstein che non aveva tenuto conto di presunte “falle” nella teoria della relatività che egli sosteneva di aver scoperto. Diciamo che nella nostra rappresentazione Silberstein interpreterebbe il vecchio brontolone e un po’ trombone.

I risultati di Silberstein furono criticati sempre nel 1924 dallo svedese Knut Lundmark (1889-1958). Lundmark è invece senz’altro una bellissima figura che, negli anni in cui si svolse il dibattito di cui sto dando relazione, poteva senz’altro essere l’attor giovane della compagnia. Si era laureato a Uppsala nel 1920 con una tesi dal titolo “Le relazioni degli ammassi globulari e delle nebulose spirali con il sistema stellare” e fu uno dei pionieri della moderna cosmologia. Fu uno dei primi a ipotizzare che le galassie non appartengono alla Via Lattea, ma sono remoti oggetti esterni ad essa. Nel 1919 aveva misurato la distanza di M31, la Galassia di Andromeda, basandosi sulla magnitudine delle novae là presenti e paragonandola a quella di altre novae più vicine, di cui era nota la distanza. Ottenne un valore di 650 mila anni luce, circa un quarto della distanza reale accertata in seguito, sufficiente tuttavia a fargli sospettare che l’oggetto fosse ampiamente esterno ai confini della Via Lattea. A partire dagli ’30, Lundmark fu un appassionato divulgatore di astronomia e di scienza popolare, sia attraverso numerosi libri, sia attraverso la partecipazione ai programmi della radio svedese: generazioni di connazionali sarebbero rimasti affascinati dalla sua competenza, dalla sua passione e dalla sua abilità comunicativa.

Nel 1924 Lundmark era però ancora troppo attaccato ai dogmi e criticò Silberstein perché riteneva i suoi valori per la velocità di allontanamento troppo elevati. Egli si chiese anche se gli spostamenti delle righe spettrali non potessero essere dovuti a cause diverse dalla velocità. Infine, i risultati di Silberstein contemplavano valori negativi per la velocità, in contrasto secondo lo svedese con la teoria di Weyl e Eddington. Ciò che né lui né il connazionale Strömberg, che si aggiunse nel 1925 ai critici di Silberstein, riuscivano ancora a capire è che valori negativi della velocità sono compatibili con le equazioni di Einstein e de Sitter, ma non a classi diverse di oggetti nello stesso universo. In effetti, o l’universo si espande, e la velocità è positiva per tutti gli oggetti distanti, oppure l’universo si contrae, e il segno della velocità diventa allora dovunque negativo.


Gran finale, con ingresso del protagonista e voce fuori campo.

L’espansione dell’intero universo, accennata, ipotizzata, intuita da gran parte degli studiosi fin qui entrati in scena, divenne un fatto di pubblico dominio e interesse solo quando Hubble costruì il diagramma in cui lo spostamento delle righe spettrali delle galassie (che egli interpretò come una velocità) era funzione della loro distanza misurata attraverso l’assunzione delle cosiddette candele standard, oggetti celesti di cui si pensa di conoscere con certezza la luminosità. Confrontando la luminosità propria dell'oggetto con quella apparente, se ne ricava la distanza. La novità introdotta nella misura delle distanze da Hubble è fondamentale: egli utilizzò tale metodo per stelle particolari (Cefeidi, novae e stelle blu) osservate all’interno delle nebulose, mentre i suoi predecessori consideravano la luminosità dell’intera nebulosa. Se avesse utilizzato lo stesso metodo, il suo diagramma avrebbe mostrato solo una serie di punti sparsi, che non avrebbero consentito di cogliere la relazione tra velocità e distanza. Questo fatto dimostra, sostiene il gruppo di Giori Shaviv, perché egli riuscì dove gli altri fallirono.

Il fatto che le nebulose mostravano uno spostamento verso il rosso era già noto agli astronomi e matematici americani William Wallace Campbell già nel 1911 e Vesto Slipher nel 1915, prima che fosse nota lo localizzazione extragalattica delle nebulose. Entrambi avevano messo in relazione la velocità di allontanamento dei corpi celesti con il loro grado di evoluzione. Hubble scoprì invece che esso è da mettere in relazione con la loro distanza relativa, per questo, secondo Shaviv, non li citò nella biografia del suo articolo.

Mi avvicino alla tesi principale di Shaviv e pertanto farò largo uso delle citazioni virgolettate. “L’articolo di Lemaître del 1927 fu pubblicato su una rivista scientifica oscura e in gran parte inaccessibile. Di conseguenza non suscitò molto interesse, se anche l’attento Hubble non lo citò e risalì a quello di de Sitter, vecchio di dieci anni, mentre l’articolo di Lemaître era assai più importante e recente. Solo quando Eddington se ne accorse, la sua importanza fu riconosciuta. L’articolo di Eddington è in effetti una recensione di quello di Lemaître”. Persone diverse hanno scelto ricercatori differenti come profeti dell’espansione dell’universo. Gran parte degli scienziati fin qui citati possono essere considerati come gli anticipatori della teoria, e altri potrebbero essere menzionati. Il merito di Hubble fu che i suoi risultati furono più accurati e tenevano in maggior considerazione i dati derivati dall’osservazione.

“Lemaître pubblicò il suo lavoro sugli Annales de la Société Scientifique de Bruxelles. Quante biblioteche astrofisiche e astronomiche conservano oggi questa pubblicazione? Dimenticata. Quanti astronomi cercano articoli importanti in questa e in pubblicazioni simili? Che cosa volete da Hubble, che era in California, quando Eddington, che si trovava sull’altra sponda della Manica, affermò che l’articolo di Lemaître gli era sfuggito?”

Nel 1930 de Sitter pubblicò negli Stati Uniti un dibattito sull’espansione dell’universo. Egli era in Olanda, paese che notoriamente confina con il Belgio, eppure sostenne che l’articolo dell’astrofisico belga gli era stato segnalato da Eddington solo qualche settimana prima. Sostiene Shaviv: “Se de Sitter, che si trovava a Leida, non sapeva dell’articolo di Lemaître, che cosa volete da Hubble che si trovava in California?” La verità è che “Pochi scienziati americani leggevano e oggi leggono pubblicazioni europee” (…) “Eddington pubblicò la sua famosa teoria sulla struttura delle stelle su una rivista europea, tuttavia trovò appropriato ripetere la pubblicazione su una americana”. E Lemaître non lamentò mai di aver subito un torto da Hubble.


Fin qui l’articolo di Giori Shaviv e qui dovrebbe terminare l’opera del vostro umile cronista. Ma, pur fedele all’assunto di tener separati i fatti dalle opinioni, anch’io mi permetto di sollevare qualche piccola obiezione, chiedendo allo studioso israeliano e al paziente pubblico che ci ha seguito fin qui: lasciamo pur stare Hubble, che tuttavia non si ricordò di Lemaître anche quando pubblicò nel 1936 The Realm of Nebulae, il suo testo definitivo sull’argomento, ma Eddington, che era stato insegnante di Lemaître, perché si accorse in ritardo dell’importanza del suo articolo? E perché un’opera che egli riconobbe come fondamentale e che, come sostiene una nota all’articolo dello stesso Shaviv, avvenne “under Eddington's recommendation” fu tradotta con inspiegabili tagli redazionali?

Fonte principale:
Giora Shaviv (2011). Did Edwin Hubble plagiarize? ArXiv DOI: arXiv:1107.0442v1 [physics.hist-ph] 3 Jul 2011

1 commento:

  1. Bel tipo sto Hubble, tra l'altro ne ha presa un'altra di cantonata anche se per interposto strumento. Leggo che il telescopio Hubble, ha visto su Vesta un cratere di 420 km che non esiste. Proprio vero che se ce l'hai nel sangue...

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