lunedì 28 dicembre 2009
Anticipazione
sabato 26 dicembre 2009
Chi dorme poco è un mutante
1. Early risers are mutants. Perché alcuni individui sembrano zombi se hanno dormito meno di otto ore, mentre altri sono in forma anche dopo poche ore di sonno? C’entra la genetica.
2. A little fellatio goes a long way. Le conturbanti rivelazioni sul sesso orale tra i pipistrelli della frutta, il primo registrato tra non primati. Per i voyeur c’è anche un video.
3. Mission Improbable: A Concise and Precise Definition of P-Value. Una discussione tra un biostatistico e un membro dello staff della rivista sul funzionamento della scienza. Il P-Value è il più basso livello di significatività per cui i dati osservati di un test portano a rifiutare l’ipotesi alla quale si è disposti a rinunciare solo in caso di forte evidenza del contrario.
4. Bad Decisions May Be Contagious. Quasi la verifica di una delle leggi di Murphy: chi fa scelte sbagliate può essere contagioso.
5. Neutron Stars: Billions of Times Stronger Than Steel. Le stelle di neutroni, i resti rotanti a velocità incredibili dell’esplosione delle supernovae, contengono la materia più densa e resistente dell’universo, così densa che la gravità delle sole loro imperfezioni (delle dimensioni di montagne) potrebbe alterare lo stesso spazio-tempo.
La notizia giudicata più importante dai lettori di Science è la stessa che avrei scelto io. In effetti molte persone sono così vispe ed efficienti dopo solo poche ore di sonno al punto da risultare antipatiche ai comuni mortali. Secondo gli autori della ricerca non possono farne a meno, perché la causa risiede nei loro geni.
Lo studio, condotto da Paul Shaw, neurobiologo alla Washington University di St. Louis, Missouri, e dalla genetista Ying-Hui Fu della University of California, San Francisco, è iniziato nel 2001 con l’osservazione della mutazione del gene chiamato Per2, che sembrava responsabile della sindrome ereditaria delle fasi del sonno (FASPS). Le persone in questa condizione dormono le normali otto ore, ma vanno a letto prima degli altri, addormentandosi verso le sei o le sette del pomeriggio e svegliandosi alle tre o alle quattro di mattina. L’equipe di ricerca incominciò allora a raccogliere campioni del loro DNA, giungendo a catalogare e studiare l’informazione genetica di più di 60 famiglie. Nel 2005 Fu e i colleghi scoprirono un’altra mutazione associata alla FASPS, che si trova nel DEC2, un gene che codifica per una proteina che contribuisce a spegnere l’espressione di altri geni, tra i quali alcuni che controllano il ritmo circadiano, l’orologio interno che regola il ciclo sonno-veglia degli individui. La mutazione fu riscontrata in due persone, una madre e sua figlia, che dormono in media 6,25 ore invece delle normali otto ore del resto della famiglia. Oggi Fu ritiene che questa mutazione sia la prima osservata che sembra influire sulla durata del sonno piuttosto che sul suo ritmo.
Per confermare che questa mutazione accorcia il sonno, la Fu ha modificato geneticamente un gruppo di topi introducendo il gene mutato nel loro DNA. I topi così trattati dormivano un’ora in meno dei topi normali. L’esperimento fu ripetuto con le drosofile, che dormivano circa due ore meno che quelle normali.
Il DEC2 probabilmente non è il solo gene responsabile della riduzione del sonno. Secondo Shaw, il controllo genetico del sonno è assai complesso e coinvolge diversi tipi di geni, ma ciò non diminuisce l’importanza della ricerca. Le scoperte, sostiene Fu, possono portare a migliori trattamenti dei disturbi del sonno: se la forma mutata di DEC2 fosse disponibile in pillole, lei le assumerebbe, notando di aver sempre desiderato di dormire di meno che le normali otto ore (contenta lei…).
Alcuni importanti uomini politici italiani hanno sempre affermato di dormire solo poche ore per notte. Tra di essi Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi. Lo studio americano sembra condurre, secondo alcuni, a due inquietanti e suggestive ipotesi alternative. O i due sono individui mutanti (e i sospetti in tal senso sono stati espressi da numerose persone), oppure le pillole di DEC2 mutato sono già nella loro disponibilità (e per il secondo non si tratterebbe del solo tipo di pillola che notoriamente assume). In entrambi i casi preoccupano gli osservatori politici alcuni effetti correlati alla mutazione, quali le crisi di sonno che possono cogliere i soggetti portatori nelle occasioni più disparate.
venerdì 25 dicembre 2009
90 classici per chi ha fretta
lunedì 21 dicembre 2009
Circonferenze tangenti con Geogebra
domenica 20 dicembre 2009
Moriarty, scienziato (e) criminale
Il teorema del binomio esprime lo sviluppo della potenza n-esima di un binomio qualsiasi. Così, se i coefficienti per le prime potenze maggiori di 1 sono:
Il problema consiste nel determinare i coefficienti per una qualsiasi potenza n-esima del binomio senza dover eseguire il calcolo tutte le volte. La soluzione per n=2 era già nota a Euclide intorno al 300 a.C., ma per le potenze successive si dovette attendere in occidente Niccolò Fontana detto il Tartaglia (ca. 1500-1557), uno dei grandi algebristi italiani del ‘500, che presentò il suo famoso triangolo nell’opera General trattato dei numeri e misure (1556).
Nel triangolo, come è noto, gli elementi di ciascuna riga si ottengono sommando i due elementi adiacenti della riga superiore. Le interessanti e innumerevoli proprietà di questo triangolo sono illustrate con la consueta chiarezza da Matematicamedie. In realtà questa configurazione era già nota in Oriente. Se ne era occupato il grande poeta e matematico persiano Omar Khayyam (1048-1131) e si ritrova in un testo cinese del 1303, il Prezioso Specchio dei Quattro Elementi di Chu Shih-Chieh, sviluppato fino all’ottava potenza del binomio. Il triangolo fu oggetto dello studio di Blaise Pascal (1623-1662), che gli dedicò nel 1654 il trattato Le Triangle Aritmétique, in cui il filosofo e matematico francese analizzò soprattutto gli aspetti combinatori. Pascal, che numerò le righe partendo da 0, scopri infatti che i numeri del triangolo corrispondono alle diverse combinazioni possibili di un dato gruppo di oggetti. Infatti l'elemento di posizione k sulla riga n del triangolo di Tartaglia è il numero di combinazioni di n-1 elementi di classe k-1:
Pascal scoprì anche la relazione tra i coefficienti binomiali che oggi è nota come Formula di Pascal:
Lo studio di Pascal fu così felice che in tutto il mondo il triangolo dei coefficienti binomiali è noto come Triangolo di Pascal e non è attribuito al nostro povero Tartaglia. Isaac Newton (1642-1727) sviluppò nel 1665 la formula (teorema del binomio) che esprime lo sviluppo della potenza n-esima di un binomio qualsiasi, estendendola al caso di esponenti reali e non semplicemente interi positivi:
Fu sulla formula di Newton che dovette basarsi lo studio di James Moriarty. Ma che cosa può aver scoperto sull’argomento? Conan Doyle è reticente (anche perché di matematica non è che fosse assai esperto…), ma non si può escludere che il giovane genio matematico possa aver esteso il teorema di Newton a esponenti complessi. Nella realtà, altri l’hanno fatto al posto suo, ma piace immaginare che l’abbiano fatto dopo di lui.
Qualcuno a questo punto potrebbe obiettare che si è discusso del nulla, di due opere scientifiche inesistenti scritte da un personaggio frutto della fantasia di uno scrittore. Eppure esiste un metodo assai diffuso per valutare l’importanza di una pubblicazione, cioè quello di contare il numero di volte che essa è stata citata nella bibliografia e nelle note di altre pubblicazioni. Se si applica questo metodo alle due opere attribuite a Moriarty dal canone sherlockiano, Il teorema del binomio e La dinamica di un asteroide, e si studia il numero di citazioni in altre opere incentrate sulla figura del detective di Baker Street, si riscontra un successo che solo opere fondamentali possono riscuotere. La cosa ancor più sorprendente è che le due opere di Moriarty sono citate persino nella letteratura scientifica “seria”, nonostante la loro non-esistenza. Le due opere esistono nella traccia profonda che hanno lasciato.
mercoledì 16 dicembre 2009
Lapidis materia
Non so se a voi è capitata quella situazione disperante di sentirsi sveglio con la mente e di non riuscire a comandare il proprio corpo addormentato. A me succedeva spesso, una decina d’anni fa, e ogni tanto mi capita ancora. Dopo una di quelle esperienze, quasi ancora in sogno, scrissi questo pezzo, che si discosta dalla mia consueta prosa illuminista. Lo utilizzai come incipit di un racconto che vinse un piccolo premio letterario, il mio primo.
**** * ****
Il mio urlo disperato si perde nella valle silenziosa e muore tra il fragore dell'acqua che scorre in fondo, nel torrente. Rimbalza sulle pareti rocciose, provocando microscopiche frane di sabbia, striscia contro le arenarie umide, accarezza stentati licheni. Solo un cane in lontananza sembra rispondermi, uggiolando impaurito: nessun orecchio umano potrebbe cogliere le vibrazioni della mia voce. Da secoli grido in questo modo all'universo la mia pena eterna, la maledizione della mia esistenza minerale.
Sorde risonanze d'elettroni riempiono i miei sensi - perché, a mio modo, anch'io posso sentire - e tutto il mio essere quarzo, feldspati, albite, biotite e muscovite è in grado di percepire la fluida freschezza della pioggia, il tepore del sole, la forza del ghiaccio, la dolce levità dell'attrazione lunare, il rassicurante influsso delle stelle. Avrei preferito sparire completamente, annullarmi per sempre nella quieta certezza del non-essere, ma ciò non mi è dato. La terribile consapevolezza del mondo intorno a me, del ciclo delle esistenze, dell'ascesa e caduta di popoli, dèi e civiltà, rende ancora più difficile accettare la condanna della mia immortalità.
Sono stato la sillaba primordiale, l'uovo che galleggiava sull'oceano, il frassino piantato tra la sotterranea terra dei Nani e la celeste dimora degli Asi, ho rivestito la forma del nero corvo della battaglia, del lupo, del cinghiale, del gatto, sono stato più volte uomo.
Sono passato dal caos al cosmo, dall'indifferenziato all'essere individuale; esisto da miliardi d'anni - come tutti, del resto - e ho visto le gelide albe del Tibet, respirato l'odore acre e amico del cavallo sotto di me nelle immense steppe, ho pregato gli dèi in cima agli ziqqurat lungo l'Eufrate, ho assistito alla nascita d'Artemide e Apollo dalla nera Latona, ho navigato con le intrepide navi di Tiro, oltre le Colonne d'Ercole, fino al paese degli Iperborei, anche se non ricordo in quali vite e in quale ordine.
Ho amato molte donne, dai seni candidi di neve appena caduta, dai neri capelli di giaietto, dagli occhi chiari e sereni di cielo di maggio, dalla pelle bruna e lucida come il bronzo. Ho anche amato e educato fanciulli, che sono poi diventati filosofi o soldati, architetti o assassini. Sono stato umano e infelice, troppe volte ho temuto la morte e sono morto, ma quale grandezza in quegli attimi di felicità che la vita regala! Nessun dio potrà mai cogliere la gioia assoluta della risata d'un bimbo, della ninnananna di una mamma, dell'orgasmo degli amanti, di un boccale di birra o di vino corposo la sera dopo la battaglia vittoriosa! Forse è per questo che gli dèi hanno invidia degli uomini, per quanto possa sembrare assurdo.
Tutto questo è ora solo ricordo e rimpianto. Il ciclo delle mie vite è interrotto, cristallizzato nella non-vita e non-morte di questa roccia che è la mia tomba, la mia casa e il mio corpo.
Eppure, talvolta, mi è capitato di non sentirmi solo, di sorridere nel mio intimo, come solo noi pietre sappiamo fare. Qualche tempo fa - o sono secoli? - una ragazzina si allontanò per qualche minuto dal gregge di suo padre, mi prese in mano e batté ritmicamente la mia superficie con una bacchetta di legno, traendo un suono che sembrava darle piacere. Nessuno può immaginare il sollievo di poter liberare parte di quelle vibrazioni che credevo coagulate in me per l'eternità! Molti popoli costruiscono con le pietre degli strumenti musicali, scegliendone opportunamente alcune di diversa tonalità, e accompagnano così le loro danze rituali. E il suono incantato delle pietre è il ringraziamento per la possibilità che è loro offerta di vibrare nuovamente, di partecipare alla danza dell'essere, di sentirsi, in qualche maniera, vive.
In un'altra occasione un pastore approfittò della mia forma vagamente cubica, segno della mia natura saturnina, per utilizzarmi nella costruzione di un muretto a secco. Ora quel fugace manufatto non c'è più e della stirpe di quell'uomo s'è perso il ricordo. Ma conservo ancora la gaia sensazione della gravità delle altre pietre sopra di me e del contatto con le sorelle al mio fianco, con le quali scambiavo sostanze ed impressioni, in un chiacchiericcio elettrochimico che non ho più sperimentato da allora. Non ero la testata d'angolo di cui parla il libro dei cristiani, ma bastava così, perché il costruttore non mi aveva scartato.
Non solo il mio suono e la mia forza posso donare. Chi provasse a colpirmi con un corpo metallico ne trarrebbe scintille per accendere il fuoco. Il calore che raggelato conservo si libererà, scricchiolando e sfavillando fotoni: dal massimo della materialità terrestre si otterrebbe l'eterea leggerezza e l'infinita velocità della luce. Se solo qualcuno mi consentisse d'essere di nuovo fiamma! Tornerei ad assaporare il gusto perduto del calore primigenio che creò questo mondo, oppure m'illuderei, per un atomo di tempo, di essere una di quelle pietre infuocate cadute dal cielo che gli uomini venerano traendone oracoli o facendone l'unico oggetto degno della cerca d'un cavaliere puro.
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Per non tradire la vocazione lateralmente scientifica del blog Popinga chiedo ai lettori: in quale tipo di roccia si è trasformato il protagonista?
lunedì 14 dicembre 2009
Logorrea
di Roberto Bracco
(Monologo da dirsi in gran fretta, senza interruzioni, senza pause, senza perder lena)
Il mio nome è Nora, anzi Noruccia. È un bel nome, lo so. Non l'ho scelto io, ma mi piace di chiamarmi Noruccia. Quando mi si dice "Noruccia vieni qua", "Noruccia mia", "Noruccia cara", "Noruccia buona", io sono tanto contenta, sono tanto felice e mi pare che tutte le bambine, che non si chiamano Noruccia mi debbano invidiare. Ma, disgraziatamente, non sempre mi si chiama così. E sapete come mi si chiama spesso spesso? Voi non lo potete immaginare. Mi si chiama chiacchierina! Io ne ho una rabbia, peggio che se mi si desse della ragazza cattiva! Chiacchierina a me? Avete mai udita la mia voce, voi? Mi avete mai udita chiacchierare? La mia abitudine è di starmene zitta zitta, senza fiatare, con la bocca tappata. E alle volte - che credete? - non sono capace di aprirla nemmeno alla scuola quando la maestra mi ordina di recitare la lezione. Tanto è vero che essa suole sgridarmi dicendo: "Che cos'è? Siete diventata muta?" E allora è lei, è lei che si mette a parlare. E che diluvio di parole! Io non so come faccia a dirne tante, l'una dopo l'altra, come se le leggesse un libro. "Visto che venite a scuola soltanto per scaldare le panche e per guardare il soffitto e per insudiciarvi le dita d'inchiostro e per tormentare le cocche del vostro grembiule e per torcere il collo a destra e a sinistra e per fare merenda nell'ora di ricreazione, io vi consiglio di non venirci più. Così non va bene, mia cara. Non va bene, non va bene. Che figura farete agli esami? Che figura farete dinanzi alla vostra Direttrice, dinanzi alle vostre compagne, dinanzi alle vostre amiche, dinanzi ai vostri genitori? E questo non è ancora niente. C'è dell'altro, c'è dell'altro! Non resterete mica sempre bambina. Oggi siete bambina, ma un bel giorno sarete una signorina. Lo capite sì o no che una signorina ignorante non è una signorina a modo? Lo capite sì o no che una signorina ignorante è la sventura della sua famiglia? Lo capite sì o no che una signorina ignorante è più brutta d'una signorina gobba?" E continua per un pezzo, lei, su questo tono, mentre io resto lì come al solito, zitta zitta, senza fiatare, con la bocca tappata. Io non dico che la maestra abbia torto. Una maestra non ha mai torto. E questa è verità. Ma, con tutto il rispetto dovuto a una maestra, io vi domando: fra me e lei chi e che parla di più? Perché sono io la chiacchierina? Perché? Perché? Se fossi proprio una chiacchierina, non amerei tanto di stare con le mie compagne che hanno una carrucola nella gola e con quel loro cicaleccio insistente non mi lasciano dire neppure una paroletta. Una mi racconta che la mamma le ha comperato una bambola che fa sì e no con la testa ed ha i capelli veri e cammina coi piedi suoi; un'altra mi racconta che la nonna porta gli occhiali, la cuffia e il bastone e piglia tabacco ed ha una bella tabaccheria d'oro e i denti finti; un'altra mi racconta che la sua pecorella è fuggita perché le galline se la volevano mangiare; un'altra mi racconta che il suo gatto si è ammalato perché un topolino gli ha dato un morso sul muso; un'altra mi racconta la storiella della Regina che, scacciata dal Re, si nasconde in un uovo e si fa portare a tavola nel piatto d'argento quando il Re ordina il pranzo; un'altra mi regala tutti i discorsi che balbetta il pappagallo della zia, e sono discorsi così bisbetici che a sentirli non se ne capisce niente. Se li facessi io quei discorsi senza capo né coda, poveretta me, poveretta me! Chi fuggirebbe di qua, chi fuggirebbe di là, chi si metterebbe la bambagia negli orecchi e chi mi darebbe sulla voce o addirittura mi prenderebbe a scappellotti. Ma li fa un pappagallo, ed ecco che la gente va in sollucchero e non manca qualche ragazza che si da la pena d'impararseli a memoria e di ripeterli a me. Io lo sopporto perché voglio bene alle mie compagne come se fossero le mie figliuole. Sì, sì: né più, né meno: come fossero le mie figliuole. E non c'è da ridere. Che conta che sono una bambina anch'io? Tutte le bambine si pigliano per figliuole le bambole. E dunque che c'è di straordinario se io mi piglio per figliuole le mie compagne? Sono più buone, sono più belline, sono più carine, sono più affezionate, e quando cascano non si rompono. E bisogna vedere come mi rispettano! Bisogna vedere come mi obbediscono! "Ninetta, fammi una riverenza." E Ninetta, subito, si piega nella vita sino a toccare la terra col naso. "Ida, cantami una canzoncina napoletana." E Ida, senza pensarci su due volte, mi canta la canzone del sole che sta sulla fronte o quella degli occhi che ragionano. "Mimi, ballami un poco la tarantella." E Mimi mi gira intorno battendo le mani e girando la testolina. Queste, s'intende, sono le più piccole. Ma le più grandi mi obbediscono ugualmente, ed, essendo più istruite, è una gioia ad averle per figlie. Figuratevi che ce n'è di quelle che mi obbediscono in francese e in tedesco come se niente fosse. Oh io non lo nego di essere la più fortunata delle mamme! Il solo difetto che hanno tutte le mie figliuole, dalla prima all'ultima, ve l'ho già detto. Cinguettano troppo. E il guaio è che non mi danno mai il tempo di fare un predicozzo, un ammonimento, un'osservazione. Cerco di dar loro il buon esempio standomene sempre zitta zitta, senza fiatare, con la bocca tappata. Ma questo non basta. Esse parlano, parlano, parlano, parlano, e, con tutta l'obbedienza che hanno per me, su questo punto sono cocciute e non si accorgono che mi fanno venire il capogiro. Il più strano poi è che nessuno le chiama chiacchierine. E se nessuno le chiama chiacchierine, dobbiamo convenire che il vecchio servo di casa mia ha ragione da vendere quando dice che questo mondo è pieno di ingiustizie. Già, secondo lui, tutte le cose vanno a rovescio: e perciò passa la giornata a brontolare. Anche egli, quel bravuomo, - per dirvela come la sento - il difettuccio di parlare troppo, lo ha. Si lamenta del caldo, si lamenta del freddo, si lamenta del sole, si lamenta della pioggia, critica le persone che portano l'ombrello, critica quelle che vanno in carrozza, critica quelle che vanno a piedi, critica un signore che abita al piano superiore e che suona il violino dalla mattina alla sera, critica un altro signore che abita accanto e che gli dà l'ipocondria perché non se ne ode il più piccolo rumore, critica i colombi che si posano sulle ringhiere dei balconi perché essi tubano ed egli deve pulire, critica i pipistrelli perché non stanno mai fermi e non lasciano vedere la faccia che hanno, critica il calendario quando ci sono molte feste in una settimana perché la gente se ne sta con le mani alla cintola ed egli invece è costretto a spolverare ogni giorno, critica il calendario quando nella settimana non c'è nessuna festa perché allora i negozi sono aperti il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì, il venerdì e il sabato ed egli è obbligato ad andare e venire mille volte per comperare mille cose, critica il cuoco perché è pagato più di lui, critica la cameriera perché è pagata meno di lui e abitua male i suoi padroni, critica il portinaio perché fa la vita comoda, critica il facchino perché lavora sempre e non si stanca mai, critica la governante perché si pettina come una signora e si mette la cipria sulle guance e critica perfino me perché gli dico sul viso che quella sua parlantina non la posso soffrire! Ma è inutile. Tutti mi raccomandano di essere schietta, e io sono schietta. Vado matta per coloro che parlano poco, e il solo spettacolo che davvero mi diverte è il cinematografo, dove si vedono a centinaia uomini, donne e animali che non parlano affatto. Lì, cavalli che corrono, soldati che sparano, pagliacci che saltano, viaggiatori che arrivano, briganti che scappano, contadini che si azzuffano, mariuoli che rubano, buoi che dormono, scimmie che graffiano, monache che pregano, vecchie che mangiano, parrucche che volano, pompieri che smorzano il fuoco, e mai un grido, mai una parola, mai una sillaba! Io sono tale e quale. Mi danno della chiacchierina, forse per burlarsi di me, forse per ischerzare. forse per stuzzicarmi, forse per indispettirmi, forse per addolorarmi, ma il certo è che la mia voce non l'avete sentita ancora, e, mentre avevo tante cose da dirvi, non ve ne ho detta proprio nessuna. Pazienza! Sono io diventata muta, come crede la maestra? Meglio muta che chiacchierina!
(Il Giornalino della Domenica, n.1, 24 giugno 1906, pp. 6-7), tratto da Aa. Vv., Il Giornalino della Domenica, Antologia di fiabe, novelle, poesie, racconti e storie disegnate. A cura di Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi, Edizioni BD, Milano, 2007.
Il Giornalino della Domenica fu in Italia uno dei primi prodotti editoriali pensati esplicitamente per bambini e ragazzi. Il periodico nacque nel 1906 a Firenze, su iniziativa di Luigi Bertelli (Vamba) e dell’editore Enrico Bemporad, con un programma che si proponeva di “dare tutte le domeniche al suo giovine pubblico una lettura che sia istruttiva senza stancarne l’attenzione; che sia educatrice senza essere noiosa; interessante senza troppo sforzare l’immaginazione; divertente senza sguaiataggini e senza volgarità”. Essa inoltre voleva suscitare l’amor patrio e per l’umanità ed educare alla “Religione del dovere”.
Si dall’inizio e per tutta la sua breve vita, il settimanale, di 16 e poi 24 pagine illustrate, con una tiratura di qualche migliaio di copie vendute soprattutto per abbonamento, si avvalse della collaborazione di scrittori importanti e prestigiosi. Oltre allo stesso Vamba, che vi pubblicò a puntate il suo Giornalino di Gian Burrasca, Ugo Ojetti, Salvatore di Giacomo, Emilio Salgari, Grazia Deledda, Scipio Slataper, Luigi Capuana, Giorgio Tremisot, Ada Negri, Emma Perodi, Marino Moretti e molti altri. In un’epoca in cui l’immagine, il disegno, la caricatura erano diventate importanti quanto il testo scritto, particolare cura fu affidata all’illustrazione, che vide i contributi, tra gli altri, di Filiberto Scarpelli, Ugo Finozzi, Ottorino Andreini e Antonio Rubino (sua la copertina che apre l’articolo).
Il periodico chiuse la sua prima gloriosa serie nel 1910, vinto dai debiti e dalla concorrenza del Corriere dei Piccoli, voluto da Luigi Albertini, storico direttore del Corriere della Sera. L’indirizzo più “popolare” di questa seconda rivista, che si accaparrò anche alcuni dei migliori autori del Giornalino e ebbe l’intuizione di pubblicare i primi fumetti provenienti d’Oltreoceano, la vinse sulla qualità un po’ aristocratica e autarchica voluta da Vamba. Sempre per l’iniziativa infaticabile dello stesso Vamba, il Giornalino sarebbe rinato nel 1918, senza mai raggiungere tuttavia i vertici di classe e di successo del suo primo periodo.
Questo articolo è dedicato all’amico Enrico Bo, che teme a torto di essere un chiacchierone.
sabato 12 dicembre 2009
Letteratura definizionale e LSD poetica
L’esempio che segue è tratto da Ou.Li.Po., La letteratura potenziale (Creazioni Ri-creazioni Ricreazioni), Clueb, Bologna, 1985, edizione italiana curata da Ruggero Campagnoli e Yves Hersant di un’opera collettiva degli oulipiani pubblicata in Francia da Gallimard nel 1973:
Frase di partenza
Il gatto HA BEVUTO il latte.
Prima manipolazione
Il mammifero carnivoro digitigrado domestico HA INGHIOTTITO un liquido bianco, di sapore dolce, fornito dalle femmine dei mammiferi.
Seconda manipolazione
Colui che è dotato di mammelle, mangia carne, cammina sull'estremità delle dita e concerne la casa HA FATTO SCENDERE DALLA GOLA NELLO STOMACO uno stato della materia senza forma propria, che ha il colore del latte, che provoca un'impressione gradevole sull'organo del gusto ed è procurato dagli animali di sesso femminile che hanno mammelle.
Terza manipolazione
Colui che ha organi glandolari atti alla secrezione del latte, che mastica e inghiotte carne di animali terrestri, uccelli e pesce, che si muove spostando i piedi uno dopo l'altro sulla punta delle parti mobili che terminano le mani e i piedi e che riguarda la costruzione destinata all'abitazione umana, HA FATTO ANDARE DALL'ALTO IN BASSO ATTRAVERSO LA PARTE INFERIORE DEL COLLO NEL VISCERE MEMBRANOSO IN CUI INIZIA LA DIGESTIONE DEGLI ALIMENTI un modo di essere della sostanza estesa senza configurazione esteriore che gli appartenga esclusivamente, che provoca l'impressione che fa sull'occhio la luce del liquido bianco, che ha sapore dolce fornito dalle femmine dei mammiferi, che produce un effetto piacevole sulla parte dell'essere organizzato destinata ad adempiere alla funzione di distinguere i sapori ed è ottenuto dagli esseri organizzati e dotati di movimento e di sensibilità e la cui differenza fisica e costitutiva appartiene alle donne che hanno organi glandolari atti alla secrezione del latte.
Come si vede, un testo iniziale di sei parole ne dà uno di 156 già al terzo trattamento. Opere così costruite sono state presentate contemporaneamente da Georges Perec e Raymond Queneau, ma entrambi sono stati preceduti di parecchi anni, come riconosce lo stesso Queneau, dall’anglo-polacco Stefan Themerson (1910-1988), regista, filosofo e poeta. Themerson tradusse la poesia Sotto la luna, un festino solitario del poeta cinese Li Po (VIII secolo), dandone una versione che definì semantica:
Testo originale (traduzione italiana di Leonardo Arena)
Seduto lì tra i fiori, con la brocca di vino -,
festino solitario, privo di amici intimi -,
elevo il mio boccale e invito il chiar di luna.
Insieme all'ombra, poi, saremo in tre,
giacché la luna non si negherà al bere.
E mentre l'ombra seguirà il mio corpo,
intanto, al fianco suo, io scorterò la luna.
La via della gaiezza termina a primavera;
mentre la luna ondeggia, al mio canto, qua e là.
Ed ha un sussulto l'ombra, fremendo, alla mia danza.
Da sobri, noi viviamo di una gioia comune;
quando poi, nell'ebbrezza, ciascuno si disperde.
Noi tre, per sempre uniti, vagando senza affetti,
infine, in lontananza, saremo alla Via Lattea.
Versione semantica di Stefan Themerson
Qui il testo inglese, con l’impaginazione originale. Fornisco l'adattamento in italiano (mio) dei primi versi della versione di Themerson, infedele soprattutto per l'impossibilità di mantenere l'impostazione grafica usando l'html.
Il succo d’uva
fermentato
tra le parti riproduttive
delle spermatofite.
O! Sono consapevole
del
mio
essere
isolato dagli altri!
Ah! Corpo
indugiante
sulla Terra,
che orbita
tenendosi
a 238.840
miglia (in media)
di distanza
&
brilla
riflettendo
la
luce irradiata
dal
Sole.
Nella
mia
bocca
prendo - esprimendo l’augurio per il tuo successo -
e mando giù
il liquido.
Ottengo
l’impressione
visiva di una
scura
macchia formata al mio fianco
dal
mio corpo
che
ferma una parte dei raggi della tua luce!
Che in tre
ci si influenzi a vicenda
per
la retroazione
dell’oggetto
che esiste
per stimolare
il centro del piacere
del nostro cervello!
Corpo
indugiante
sulla Terra,
perché sei separato da me da 221.614
miglia minimo –
Perché la distanza che ci separa sta crescendo fino a
252.972 miglia?
(…)
Con LSD poetica si intende poi una delle più stravaganti tecniche oulipiane di manipolazione di un testo in versi. Lo scopo è costruire una poesia con il procedimento della letteratura definizionale a partire da un verso esistente (o più di uno), in maniera più rigorosa rispetto alle tecniche di Themerson. Niente a che fare dunque con l’uso di sostanze psicoattive, tanto caro a molti poeti moderni, da Coleridge e De Quincey, attraverso Baudelaire e i poètes maudits, fino a Huxley, Keouac e la beat generation.
Marcel Benabou e Georges Perec forniscono, nel testo che ho già citato, questo esempio, che per ragioni di spazio riporto solo parzialmente (una manipolazione invece di tre):
Verso di partenza
Non è il giorno più puro del fondo del mio cuore.
(Non è il) GIORNO (più) PURO (del) FONDO (del) MIO CUORE.
Prima manipolazione
GIORNO: il chiarore donato alla Terra dal Sole
PURO: che nulla vizia, altera o corrompe
FONDO: ciò che vi è di più basso in un luogo profondo. La parte che si oppone ai vetri sul davanti. La stoffa sulla quale si fanno dei ricami. In pittura, il campo sopra il quale risaltano le figure. Ecc.
CUORE: organo confidale racchiuso nel petto e agente principale della circolazione. Memoria dei sentimenti (la vostra generosità è impressa nel mio cuore). E dei risentimenti (avere una piaga nel cuore)
Il chiarore dal Sole alla Terra donato
Nulla ha che lo vizi, l’alteri o lo corrompa
E nemmeno dell’organo nel cavo del mio petto,
memoria ai sentimenti e ai risentimenti,
la parte che si oppone ai vetri sul davanti
o i campi sopra i quali le figure s’esaltano.
Come cimento personale ho provato a trasformare con una LSD poetica una frase del Presidente del Consiglio. Ho utilizzato per praticità le definizioni di un dizionario italiano online :
Frase di partenza
Quando LEGGO le PAROLE del CAPO dell'OPPOSIZIONE mi CADONO le BRACCIA
Prima manipolazione
LEGGO : 1. Riconosco dal segno della scrittura le parole, ne intendo il significato. 2. [in senso figurato] interpreto il pensiero, il sentimento di qualcuno. 3. [in senso figurato] capisco il significato di segni particolari.
PAROLE: 1. Suono o gruppo di suoni con cui si indica una cosa o si esprime un'idea; la loro rappresentazione grafica. 2. il modo in cui ci si esprime. 3. impegni, promesse. 4. chiacchiere, discorsi vani. 5. in una composizione per canto, i versi rispetto alla musica che li accompagna.
CAPO: 1. La parte più elevata del corpo umano unita al torace dal collo; la parte analoga del corpo degli animali; anche la zona del cranio rivestita di capelli. 2. chi comanda su altri uomini; chi dirige imprese, attività, ecc. 3. la parte superiore o l'estremità di qualcosa. 4. l'estremità più grossa e tondeggiante di un oggetto. 5. ciascuna unità di un gruppo, di una massa, di un numero collettivo. 6. ciascuna delle parti in cui è diviso un libro; capitolo. 7. {geografia} promontorio sporgente sul mare. 8. {araldica} pezza onorevole che occupa il terzo superiore dello scudo.
OPPOSIZIONE: 1. Atto, effetto dell'opporre o dell'opporsi; mezzo con cui ci si oppone. 2. le forze politiche contrarie al governo. 3. {diritto} ricorso contro un provvedimento dell'autorità ritenuto lesivo del proprio interesse. 4. {astronomia} posizione di due corpi celesti che si trovino diametralmente opposti rispetto a un terzo, e specialmente alla Terra.
CADONO: 1. Vanno giù, portati dal proprio peso, quando manca un sostegno e perdono l'equilibrio; cascano [anche in senso figurato]. 2. [in senso figurato] muoiono . 3. tramontano [anche in senso figurato]. 4. scendono. 5. ricorrono. 6. capitano. 7. {grammatica} finiscono, escono.
BRACCIA: 1. Segmenti dell'arto superiore compresi tra la spalla e il gomito. 2. braccianti, forza di lavoro.
Quando interpreto il sentimento di qualcuno,
gli impegni, le promesse, i discorsi vani,
di chi comanda su altri uomini,
la posizione di due corpi celesti
diametralmente opposti rispetto a un terzo,
mi vanno giù, portati dal proprio peso
quando manca un sostegno, i braccianti.
Seconda manipolazione
INTERPRETO: 1. Fornisco una spiegazione a cosa che sia o sembri oscura. 2. attribuisco un significato a qualcosa. 3. sostengo una parte o eseguo un pezzo di musica vocale o strumentale.
SENTIMENTO: 1. Ogni stato affettivo della coscienza; ogni moto soggettivo dell'animo che dia una particolare tonalità affettiva, di gioia o di dolore, alle nostre sensazioni, rappresentazioni, idee. 2. l'affettività in generale; la sensibilità, la finezza di sentire. 3. modo di sentire, di valutare soggettivamente qualcosa. 4. la consapevolezza dei propri atti.
IMPEGNI: 1. Obblighi, promesse. 2. quantità di denaro investite in un'impresa. 3. cure attente. 4. affari; incombenze.
PROMESSE: 1. il promettere; le parole con cui si promette; le cose promesse. 2. [in senso figurato] coloro che dimostrano notevoli attitudini a una data attività.
DISCORSI: 1. Il discorrere; quindi anche conversazioni, colloqui. 2. trattazioni di un argomento, fatte specialmente in pubblico
VANI: 1. Che non servono a nulla, inefficaci; privi di fondamento, di consistenza. 2. leggeri, sciocchi. 3. [letterario] vuoti, che non contengono nulla
COMANDA: 1. Impone con autorità. 2. esercita un comando; governa. 3. {meccanica} regola il movimento di un meccanismo. 4. nel linguaggio burocratico, destina a un servizio.
UOMINI: 1. Individui adulti, di sesso maschile, appartenenti alla specie umana. 2. {zoologia} mammiferi superiori caratterizzati dalla posizione eretta, dal linguaggio articolato, dallo sviluppo relativamente grande del cervello e dalle elevate attività psichiche (famiglia: Ominidi). 3. la specie umana. 4. mariti, compagni delle donne. 5. gli incaricati, le persone addette a un servizio.
POSIZIONE: 1. il luogo in cui è posta una cosa; sito, situazione (anche morale). 2. {militare} luogo, terreno fortificato o difeso
CORPI: 1. Tutte le porzioni di materia che occupino uno spazio; oggetti, cose. 2. tutte le sostanze chimicamente definite aventi caratteristiche peculiari e distintive. 3. i complessi organizzati di materia che costituiscono l'uomo e gli animali. 4. cadaveri, salme. 5. ventri. 6. insiemi di persone che costituiscono un organismo a sé. 7. specialità militari. 8. unità militari. 9. raccolte complete e organiche di più opere.
CELESTI: 1. Del cielo, propri del cielo. 2. che hanno il colore del cielo puro. 3. divini.
DIAMETRALMENTE: 1. Al modo degli estremi di un diametro. 2. del tutto, totalmente, radicalmente.
OPPOSTI: 1. Che sono posti di fronte. 2. [in senso figurato] contrari. 3. le cose contrarie.
TERZO: 1. [aggettivo numerale ordinale] che in una serie occupa il posto numero tre. 2. la terza parte, la terza persona diversa da chi parla e da chi ascolta. 3. gli altri.
VANNO: 1. che si muovono da un luogo verso un altro; camminano. 2. che si recano, si dirigono, viaggiano; sono. 3. procedono. 4. si dileguano, si consumano, spariscono. 5. vanno a fare. 6. muoiono. 7. piacciono. 8. sono di moda. 9. che calzano, sono adatti. 10. che ha corso legale.
PORTATI: 1. Trasportati, mossi da un luogo a un altro; recati con se; [in senso figurato] riferiti. 2. retti, [in senso figurato] sopportati. 3. recati su di sé o indosso. 4. accompagnati, scortati. 5. condotti; indotti. 6. apportati, prodotti. 7. addotti. 8. apportati; prodotti.
PROPRIO: 1. particolare, speciale, peculiare. 2. {grammatica} si dice di nome con cui si indica un singolo individuo o una singola cosa. 3. si dice di parola o frase che esprime esattamente ciò che si desidera significare con essa. 4. che appartiene solamente a una persona e non ad altri; di lui, di lei, di loro.
PESO: 1. La forza che un corpo esercita su ciò che lo sostiene, per effetto della gravità terrestre; la misura di tale forza. 2. la cosa stessa che esercita il peso; specialmente l'oggetto di metallo che serve a pesare. 3. sensazione di pesantezza fisica; [in senso figurato] affanno, preoccupazione. 4. importanza. 5. {sport} ciascuna delle categorie in cui si dividono pugili e lottatori. 6. {sport} attrezzo metallico sferico che l'atleta scaglia alla massima distanza possibile; attrezzo in forma di manubrio che si solleva a forza di braccia.
MANCA: 1. Non basta, non è sufficiente; non c’è. 2. che viene meno. 3. [detto di persona] che non è presente, è lontano. 4. [letterario] che viene meno, muore. 5. che è privo di qualcosa. 6. che viene meno a qualcosa. 7. che commette una mancanza, un fallo. 8. che fallisce.
SOSTEGNO: Tutto ciò che sostiene.
BRACCIANTI: Coloro che fanno lavori manuali e pesanti.
Quando fornisco una spiegazione
di cosa che sia o sembri oscura,
la consapevolezza dei miei atti,
le cure attente, le promesse,
le trattazioni vuote di chi regola
il movimento di un meccanismo
su altri mammiferi superiori
con posizione eretta, linguaggio articolato,
sviluppo cerebrale e psichico,
il luogo di porzioni di materia
che occupano uno spazio, oggetti
divini totalmente posti di fronte
alla Terza Persona, diversa
da chi parla e da chi ascolta,
a me si dileguano, si consumano,
retti da speciale pesantezza:
allorché viene meno tutto ciò
che sostiene chi fa lavori,
manuali e pesanti, giornalieri.
venerdì 11 dicembre 2009
La scienza dilettevole (4): somma degli angoli interni di un triangolo
Nonostante la suggestiva quanto delirante gratuità di taluni esperimenti, dei quali è evidente la parentela con la prestidigitazione, è chiaro l’intento pedagogico delle nozioni scientifiche impartite nel testo. Alcuni degli esperimenti sono dedicati alla geometria elementare, come questo che vado a riprodurre:
La somma degli angoli di un triangolo
La geometria ci insegna che la somma degli angoli di un triangolo è eguale a due angoli retti.
La dimostrazione di questo teorema è semplicissima quando si abbiano a propria disposizione carta e matita. Ma si tratta qui di fare questa dimostrazione in un modo tutto materiale e in maniera da renderla comprensibile anche alle persone poco iniziate alla geometria.
Tagliamo fuori, nella carta, un triangolo qualunque, ossia il triangolo AEF. Vogliamo ora provare che la somma degli angoli EAF, AEF e EFA, segnati coi numeri 1, 2 e 3 sul nostro disegno, è eguale a due angoli retti. Pieghiamo a tal uopo, innanzi tutto, il nostro triangolo secondo la linea AB, avendo cura che la linea BE sia perfettamente sotto la direzione di BF. Rimettiamo il nostro triangolo in piatto e facciamo rilevare che abbiamo al punto B due angoli retti, EBA e FBA, come vedemmo più sopra a proposito della costruzione della squadra. Abbassiamo ora verso il punto B le tre punte del nostro triangolo di carta, piegandolo secondo le linee CD, CG e DH. Vediamo sulla figura che i tre angoli 1, 2 e 3 si trovano così justaposti e che, per di più, ricoprono essi esattamente i due angoli retti di poco fa, senza che le punte si accavallino l'una sull'altra, e senza che vi siano vuoti fra di esse (1).
La somma dei tre angoli del nostro triangolo è dunque eguale perfettamente a due angoli retti.
(1) È facile il vedere che la piega CD è parallela alla base EF, come perpendicolare alla linea AB. Questa parallela alla base tagliando l'altezza AB in due parti eguali, ne viene che la linea AE è anch'essa tagliata da CD in due parti eguali, e che AC = CE. Nel ripiegamento di A in B, queste due linee coincideranno dunque esattamente. La stessa cosa può dirsi per le linee AD e DF, e cosi AD = DF.
domenica 6 dicembre 2009
Abbecedari: l’alfabeto in versi (e musica)
(Elio e le Storie Tese, Abbecedario)
Anche la letteratura cristiana in età tardo-antica e medievale ha fatto uso di acrostici alfabetici con lo scopo di aiutare la memorizzazione del verso, mentre di età rinascimentale è noto un capitolo della Zanitonella di Teofilo Folengo (1491-1544) in latino maccheronico, in cui si narra l’amore non corrisposto di un certo Tonino per Zanella. In questo caso, nel quale l’uso dell’ordine alfabetico è un divertito esercizio ludolinguistico, le lettere sono 19: A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M, N, O, P, Q, R, S e T. Manca la Z perché Zanella è fuggita!
Più che nella letteratura colta, tuttavia, l’abbecedario ha trovato il suo posto naturale nella letteratura popolare (soprattutto orale) per l’infanzia, particolarmente nel mondo anglosassone, dove nelle lullabies (ninnananne) e nelle nursery rhymes (letteralmente “poesie della stanza dei bambini”) compaiono spesso testi acrostici alfabetici, talora accompagnati da musiche per dare canzoncine (alphabet songs) che hanno lo scopo principale di far imparare ai bambini le lettere dell’alfabeto oppure nuove parole, attraverso il procedimento mnemotecnico al quale ho già fatto cenno. In campo pedagogico, infatti, l'acrostico viene utilizzato per favorire l'apprendimento di concetti, con le lettere dell’alfabeto che servono da aggancio per il recupero di altre informazioni.
La tradizione inglese delle nursery rhymes è alla base delle numerose composizioni in versi che Edward Lear, grande scrittore nonsensical, maestro del limerick, ha dedicato all’alfabeto. Riporto un esempio, a mio giudizio intraducibile:
A
A was once an apple pie,
Pidy
Widy
Tidy
Pidy
Nice insidy
Apple Pie!
B
B was once a little bear,
Beary!
Wary!
Hairy!
Beary!
Taky cary!
Little Bear!
C
C was once a little cake,
Caky
Baky
Maky
Caky
Taky Caky,
Little Cake!
D
D was once a little doll,
Dolly
Molly
Polly
Nolly
Nursy Dolly
Little Doll!
E
E was once a little eel,
Eely,
Weely
Peely
Eely
Twirly, Tweedy
Little Eel!
F
F was once a little fish,
Fishy
Wishy
Squishy
Fishy
In a Dishy
Little Fish!
G
G was once a little goose,
Goosy
Moosy
Boosy
Goosey
Waddly-woosy
Little Goose!
H
H was once a little hen,
Henny
Chenny
Tenny
Henny
Eggsy-any
Little Hen?
I
I was once a bottle of ink,
Inky
Dinky
Thinky
Inky
Black Minky
Bottle of Ink!
J
J was once a jar of jam,
Jammy
Mammy
Clammy
Jammy
Sweety-Swammy
Jar of Jam!
K
K was once a little kite,
Kity
Whity
Flighty
Kity
Out of sighty-
Little Kite!
L
L was once a little lark,
Larky!
Marky!
Harky!
Larky!
In the Parky,
Little Lark!
M
M was once a little mouse,
Mousey
Bousey
Sousy
Mousy
In the Housy
Little Mouse!
N
N was once a little needle,
Needly
Tweedly
Threedly
Needly
Wisky-wheedly
Little Needle!
O
O was once a little owl,
Owly
Prowly
Howly
Owly
Browny fowly
Little Owl!
P
P was once a little pump,
Pumpy
Slumpy
Flumpy
Pumpy
Dumpy, Thumpy
Little Pump!
Q
Q was once a little quail,
Quaily
Faily
Daily
Quaily
Stumpy-taily
Little Quail!
R
R was once a little rose,
Rosy
Posy
Nosy
Rosy
Bows-y - grows-y
Little Rose!
S
S was once a little shrimp,
Shrimpy
Nimpy
Flimpy
Shrimpy
Jumpy-jimpy
Little Shrimp!
T
T was once a little thrush,
Thrushy!
Hushy!
Bushy!
Thrushy!
Flitty-Flushy
Little Thrush!
U
U was once a little urn,
Urny
Burny
Turny
Urny
Bubbly-burny
Little Urn!
V
V was once a little vine,
Viny
Winy
Twiny
Viny
Twisty-twiny
Little Vine!
W
W was once a whale,
Whaly
Scaly
Shaly
Whaly
Tumbly-taily
Mighty Whale!
X
X was once a great king Xerxes,
Xerxy
Perxy
Turxy
Xerxy
Linxy Lurxy
Great King Xerxes!
Y
Y was once a little yew,
Yewdy
Fewdy
Crudy
Yewdy
Growdy, grewdy,
Little Yew!
Z
Z was once a piece of zinc,
Tinky
Winky
Blinky
Tinky
Tinkly Minky
Piece of Zinc!
Un altro abbecedario di Lear è il Nonsense Alphabet, che, accompagnato dai suoi disegni, si trova qui.
La struttura alfabetica caratterizza The Sailor’s Alphabet, una canzone inglese di argomento marinaro raccolta dallo studioso di musiche popolari e cantante A. L. Loyd, che fu portata al successo da una splendida versione dei Fairport Convention nel loro album Babbacombe Lee del 1971:
A's for the anchor that lies at our bow
B's for the bowsprit and the jibs all lie low
C's for the capstan we all run around
D's for the davits to lower the boat down
(Chorus)
Merrily, merrily
So merry sail we, no mortal on earth like a sailor at sea
Heave away, haul away, the ship rolls along
Give a sailor his grog and there's nothing goes wrong
E's for the ensign that at our mast flew
F's for the forecastle where lives our crew
G's for the galley where the salt junk smells strong
And H is the halyards we hoist with a song
(Chorus)
I's for the eyebolts, good for the feet
J's for the jibs that stand by the lee sheet
K's for the knighthead where the petty officer stands
L's for the leeside, hard found by new hands
(Chorus)
M's for the mainmast, it's stout and it's strong
N's for the needle that never points wrong
O's for the oars of our old jolly boats
And P's for the pinnace that lively do float
(Chorus)
Q's for the quarterdeck where our officers stand
And R's for the rudder that keeps the ship in command
S is for the stunsells that drive her along
T's for the topsail, to get there takes long
(Chorus)
U's for the uniform, mostly worn aft
V's for the vangs running from the main gap
W's for water, we're on a pint and a pound
And X marks the spot where old Stormy was drowned
(Chorus)
Y's for yardarm, needs a good sailor man
Z is for Zoe, I'm her fancy man
Z's also for zero in the cold winter time
And now we have brought all the letters in rhyme
(Chorus)
Le canzoncine alfabetiche non potevano sfuggire al talento umoristico dello scrittore e cantautore folk per bambini Barry Louis Polisar. Oltreoceano è una vera e propria celebrità, fa tournee di successo nelle scuole e nei teatri, ha vinto un Grammy Award e ha suonato alla Casa Bianca. Ecco la sua Alphabet song (qui l’audio con Quick Time Player).
A is for armpit, acne and alchemy,
Au naturel and alcohol, albatross and atrophy,
Athlete's foot and anchovy, asthma and autopsy
B is for bombshell, bacteria and me.
B is for bombshell, bacteria and me.
C is for cantankerous, canker sore and candy,
D is for dumbbell, doody balls and dandy,
E is for egghead, enema and ear wax,
F is for follicle, fatty cell and fax.
F is for follicle, fatty cell and fax.
G is for grotesque, gross and glockenspiel
H is for hernia, hemmorhoids (I hope they heal).
I is for imbecile, interface and Illinois
J is for jugular vein, jaundice and joy
J is for jugular vein, jaundice and joy
K is for kickback, karma and killer bee
L is for lint ball, lymph node, and larceny.
M is for mayonnaise, mayhem and misogynist,
N is for nonsense, nudity and nit.
N is for nonsense, nudity and nit.
O is for oatmeal, oreos and oleo,
P is for politics, Pat and Edgar Allan Poe,
Q is for quadruple and R is for rude,
S is for S-hook and T is for two.
S is for S-hook and T is for two.
U is for undulate and V is for villany,
W is too hard and so is X, Y and Z
In netto contrasto con questi simpatici esercizi, Edward Gorey, lo scrittore e illustratore americano dall’inconfondibile stile macabro e vittoriano, pubblicò nel 1963 un abbecedario illustrato dal titolo The Gashlycrumb Tinies: or, After the Outing. Gorey racconta in tredici distici a rima baciata le tristi morti di 26 bambini, uno per ogni lettera dell’alfabeto inglese, accompagnati dai suoi disegni. Ne ho parlato in un precedente articolo, ispirando la brava ludolinguista che si cela dietro il simpaticissimo nickname di Gavagai de’Bianconigli, che ha inviato nei commenti la bozza di una sua versione italiana autorizzando preventivamente eventuali modifiche. Di seguito presento il risultato della mia elaborazione del suo lavoro. Questo adattamento è quindi ascrivibile agli autori Gavagai-Popinga, a meno che lei non accetti le mie varianti.
The Gashlycrumb Tinies: or, After the Outing - I bambini di Gashlycrumb
A is for Amy who fell down the stairs - A sta per Amy, scivolata giù dalle scale
B is for Basil assaulted by bears - B per Basil, squartato da un animale
C is for Clara who wasted away - C sta per Clara, consunta e dal male sconfitta
D is for Desmond thrown out of a sleigh - D per Desmond, scagliato fuori da una slitta
E is for Ernest who choked on a peach - E sta per Ernest, da una pesca ingozzato
F is for Fanny sucked dry by a leech - F per Fanny, ch’ebbe il sangue prosciugato
G is for George smothered under a rug - G sta per George, in un tappeto soffocato
H is for Hector done in by a thug - H per Hector, da un Thug strangolato
I is for Ida who drowned in a lake - I sta per Ida, che in un lago affondò
J is for James who took lye by mistake - J per James, che liscivia sbagliando ingoiò
K is for Kate who was struck by an axe - K sta per Kate, colpita con una scure
L is for Leo who swallowed some tacks - L per Leo, che ingerì puntine dure
M is for Maud who was swept out to sea - M sta per Maud, che in barca si perse al largo
N is for Neville who died of ennui - N Neville, che, annoiato, cadde in letargo
O is for Olive run through with an awl - O sta per Olive, da un punteruolo tormentata
P is for Prue trampled flat in a brawl - P per Prue, che in una rissa fu ammazzata
Q is for Quentin who sank in a mire - Q sta per Quentin, affondato in un pantano
R is for Rhoda consumed by fire - R Rhoda, incendiata con il propano
S is for Susan who perished of fits - S sta per Susan, che morì di convulsione
T is for Titus who flew into bits - T per Titus, fatto a pezzi da un’esplosione
U is for Una who slipped down a drain - U sta per Una, che scivolò in un tombino
V is for Victor squashed under a train - V per Victor, schiacciato da un pendolino
W is for Winnie embedded in ice - W sta per Winnie, nel ghiaccio incassata
X is for Xerxes devoured by mice - X per Xerxes, per i topi cena prelibata
Y is for Yorick whose head was knocked in - Y sta per Yorick la cui testa fu maciullata
Z is for Zillah who drank too much gin - Z per Zillah che bevve gin in dose smodata.
Gorey era stato in precedenza autore di un altro libro alfabetico, The Gorey Alphabet (1961), di cui questa è la lettera J: