giovedì 11 giugno 2009

Augustus De Morgan collezionista di paradossi



Di Augustus De Morgan (1806-1871) ho già parlato a proposito della parodia che fece dell’originale quartina sulle pulci di Jonathan Swift, utilizzata in seguito come metafora della geometria frattale. Nato in India e laureato a Cambridge, già a ventidue anni diventò professore di matematica all’Università di Londra, dove trascorse la maggior parte della sua vita accademica. Con George Boole fu l’artefice della rinascita della logica che si verificò nel XIX secolo.

A lui dobbiamo un teorema che si applica alla logica booleana, e quindi a tutti i tipi di circuiti logici, che consente di trasformare un prodotto logico di due o più variabili nella loro somma, o viceversa. Lo menziono perché sono affascinato da tutti i modi in cui i matematici sono riusciti a trasformare fattori in addendi o addendi in fattori, dalle formule di prostaferesi ai logaritmi. Il teorema di De Morgan è meglio conosciuto sotto forma di due enunciati:

a) il complemento di un prodotto di variabili equivale alla somma dei complementi delle singole variabili

not (P and Q) = (not P) or (not Q) oppure

b) il complemento di una somma di variabili equivale al prodotto dei complementi delle singole variabili

not (P or Q) = (not P) and (not Q) oppure

Di carattere assai riservato, il logico inglese ebbe più volte a dichiarare di preferire lo studio al divertimento. Aveva infatti molteplici interessi culturali e una erudizione enciclopedica, ben al di là del mero campo logico-matematico: basti dire che fu il compilatore di alcune delle voci della più diffusa enciclopedia mitologica dei suoi tempi. Ci si aspetterebbe allora che fosse una persona seria e noiosa, ma non lo era affatto. De Morgan fu infatti un sostenitore della libertà religiosa e della libertà di espressione, un polemista raffinato, anticonformista e nemico di ogni forma di ipocrisia, un bibliofilo appassionato e una collezionista insaziabile di curiosità, bizzarrie, paradossi, indovinelli. Manifestò il suo humour e i suoi molteplici interessi scrivendo una serie di articoli tra il 1863 e il 1866 per la rivista londinese Athenæum, poi riuniti in A Budget of Paradoxes, pubblicato postumo dalla moglie nel 1872, una raccolta divertente di considerazioni, aneddoti, recensioni, citazioni sulla matematica, la scienza, la religione, compresa un’analisi dei rapporti tra scrittori ed editori, una pagina con centinaia di anagrammi del suo cognome (come “Great gun! Do us a sum!”), una serie di vivaci descrizioni del mondo scientifico inglese a lui contemporaneo. Un’edizione completa del Budget, con aggiunte e commenti, oggi considerata quella definitiva, fu poi curata dal matematico David Eugene Smith nel 1915.

Secondo De Morgan, un paradosso “è qualcosa che si distacca dall’opinione comune, o per l’oggetto o per il metodo, o per la conclusione”. Questa definizione a maglie larghe gli consente di considerare dei paradossi per la loro epoca anche le idee di William Gilbert, il precursore della teoria magnetica, o la scoperta del pianeta Nettuno da parte di Le Verrier. De Morgan però distingue due tipi di paradosso: “Il criterio con il quale si giudica una persona come autore di un paradosso, sensato o non sensato, non dipende da ciò che sostiene, ma dal fatto se egli abbia o non abbia acquisito una conoscenza sufficiente di quanto è stato fatto dagli altri, specialmente del modo in cui è stato fatto”. Sono così paradossi sensati le nuove idee in ogni campo del sapere, perché, per quanto rivoluzionarie siano, si basano sullo studio delle idee dei predecessori e sulla conoscenza del metodo con il quale sono state raggiunte; sono viceversa insensati i paradossi di coloro che hanno idee che si distaccano dall’opinione comune e che non tengono in alcun conto le evidenze storiche o un metodo condiviso.

Ovviamente l’interesse di De Morgan è attirato soprattutto da questo secondo tipo di paradossi, per cui egli si diverte a presentarci quella varia umanità di folli letterari costituita da pseudo-matematici impegnati a quadrare cerchi, duplicare cubi, trisecare angoli, di sedicenti sapienti che giocano con il numero 666, di neofiti che sperano in un colpo di geniale fortuna per entrare nel novero dei grandi matematici, ignorando del tutto il loro lavoro e immaginandosi chissà quali guadagni. Non mancano poi coloro che pensano di essere profeti in patria, di essere vittime di chissà quali complotti o di non essere divenuti professori universitari perché per diventarlo occorrono rendite e appoggi considerevoli (idea che non sempre è campata per aria nel nostro povero paese, ma questa è un’altra storia).

Tra gli scrittori stravaganti della raccolta troviamo anche il matematico scozzese John Napier (1550-1617). Ecco come commenta De Morgan il libro A plain discoverie of the whole Revelation of St. John ... whereunto are annexed certain oracles of Sibylla... Set Foorth by John Napeir L. of Marchiston, London, 1611:

“Napier sempre pensò che la sua grande missione fosse di rovesciare il papa, e che i logaritmi non erano altro che episodi e passatempi. (…) Egli fu uno dei primi a riportare la profezia dei seimila anni. “C’è una frase della casa di Elia che sempre perdura, che contiene queste parole: Il mondo ci sarà per 6000 anni, e poi sarà consumato dal fuoco: 2000 anni sarà vuoto o privo di leggi, per 2000 anni sotto la legge, e 2000 anni saranno i giorni del Messia…” La conclusione del libello dell’inventore dei logaritmi suona profetica e minacciosa: “Se tu Roma consenti a riformarti e a credere al vero Cristianesimo, allora credi a San Giovanni il discepolo, colui che Cristo amava, che in questa Rivelazione proclama la tua rovina (…) Pentiti dunque, in questo tuo ultimo respiro, se desideri la tua salvezza eterna, amen”.

Sconcertante è il fatto che la stessa persona abbia pubblicato dopo soli tre anni (1614) il Mirifici logarithmorum canonis descriptio, contenente la teoria dei logaritmi.

De Morgan si dimostra scrittore colto e di talento, esponendo le sue conoscenze con la vivacità di un moderno divulgatore e, nel solco della buona tradizione anglosassone, con uno humour che non esita a far ricorso all’aneddoto curioso, al gioco di parole, alla poesia umoristica o nonsensical. Così ci informa che gli astronomi inglesi non erano affatto dei seriosi asceti, riportando una lunga drinking song cantata in coro durante una delle loro riunioni. De Morgan afferma di aver trovato tra le carte di un amico deceduto un foglietto riportante la canzone, preceduta dall’intestazione "Song sung by the Mathematical Society in London, at a dinner given Mr. Fletcher, a solicitor, who had defended the Society gratis." Sembra che tale cena sia avvenuta agli inizi dell’800.

Whoe’er would search the starry sky,
Its secrets to divine, sir,
Should take his glass – I mean, should try
A glass or two of wine, sir!
True virtue lies in golden mean,
And man must wet his clay, sir,
Join these two maxims, and ’tis seen
He should drink his bottle a day, sir!

Old Archimedes, reverend sage!
By trump of fame renowned, sir,
Deep problems solved in every page,
And the sphere’s curved surface found, sir:
Himself he would have far outshone,
And borne a wider sway, sir,
Had he our modern secret known,
And drank a bottle a day, sir!

When Ptolemy, now long ago,
Believed the earth stood still, sir,
He never would have blundered so,
Had he but drunk his fill, sir:
He’d then have felt it circulate,
And would have learnt to say, sir,
The true way to investigate
Is to drink your bottle a day, sir!

Copernicus, that learned wight,
The glory of his nation,
With draughts of wine refreshed his sight,
And saw the earth’s rotation;
Each planet then its orb described,
The moon got under way, sir;
These truths from nature he imbibed
For he drank his bottle a day, sir!

The noble Tycho placed the stars,
Each in its due location;
He lost his nose by spite of Mars,
But that was no privation:
Had he but lost his mouth, I grant
He would have felt dismay, sir,
Bless you! he knew what he should want
To drink his bottle a day, sir!

Cold water makes no lucky hits;
On mysteries the head runs:
Small drink let Kepler time his wits
On the regular polyhedrons:
He took to wine, and it changed the chime,
His genius swept away, sir,
Through area varying as the time
At the rate of a bottle a day, sir!

Poor Galileo, forced to rat
Before the Inquisition,
E pur si muove was the pat
He gave them in addition:
He meant, whate’er you think you prove,
The earth must go its way, sirs;
Spite of your teeth I’ll make it move,
For I’ll drink my bottle a day, sirs!

Great Newton, who was never beat
Whatever fools may think, sir;
Though sometimes he forgot to eat,
He never forgot to drink, sir:
Descartes took nought but lemonade,
To conquer him was play, sir;
The first advance that Newton made
Was to drink his bottle a day, sir!

(...)

Astronomers! what can avail
Those who calumniate us;
Experiment can never fail
With such an apparatus:
Let him who’d have his merits known
Remember what I say, sir;
Fair science shines on him alone
Who drinks his bottle a day, sir!

(...)


Chiunque esplori il cielo stellato,
per carpirne i segreti, signore,
che prenda il suo bicchiere, dico,
provi un bicchiere o due di vino, signore!
Un’autentica virtù risiede nella sezione aurea,
e l’uomo deve bagnare la sua carcassa, signore,
unite queste due massime, e si vedrà
che dovrebbe bere la sua bottiglia al giorno, signore!

Il vecchio Archimede, venerabile saggio!
Dalle trombe della fama rinomato, signore,
difficili problemi risolse in ogni pagina,
e trovò la superficie curva della sfera, signore!
Egli stesso avrebbe ancor più brillato,
e avuto una maggiore influenza, signore,
se avesse conosciuto il nostro moderno segreto,
e bevuto una bottiglia al giorno, signore!

Quando Tolomeo, ora molto tempo fa,
credeva che le Terra stesse ferma, signore,
non avrebbe mai così sbagliato,
avesse almeno vuotato il suo bicchiere, signore:
così l’avrebbe sentita ruotare,
e avrebbe imparato a dire, signore,
che la vera maniera di fare ricerca
è di bere la vostra bottiglia al giorno, signore!

Copernico, quel dotto valente,
la gloria della sua nazione,
con bevute di vino rinfrescò la sua vista
e vide la Terra in rotazione;
ogni pianeta allora descriveva la sua orbita,
la Luna seguiva il suo moto, signore;
queste verità dalla natura assorbì,
bevendo la sua bottiglia al giorno, signore!

Il nobile Tycho pose le stelle
ciascuna nella sua giusta posizione;
perse il suo naso per dispetto di Marte (*),
ma non fu una tragedia:
avesse perso la sua gola, sono sicuro,
avrebbe provato sgomento, signore,
benedetto!, sapeva ciò che doveva volere
per bere la sua bottiglia al giorno, signore!

L’acqua fresca non dona fortunati successi
sui misteri che elabora la mente:
bere poco fece misurare a Keplero le sue idee
sui poliedri regolari:
cominciò con il vino e cambiò la musica,
il suo genio percorreva, signore,
aree uguali in tempi uguali,
alla velocità di una bottiglia al giorno, signore!

Il povero Galileo, costretto a spergiurare
davanti all’Inquisizione,
Eppur si muove fu il buffetto
che diede loro in addizione:
voleva dire, qualunque cosa vogliate provare,
la Terra segue il suo moto, signori;
alla faccia dei vostri denti la farò muovere,
perché berrò la mia bottiglia al giorno, signori!

Il grande Newton, che non fui mai stanco
Per quanto gli sciocchi possono pensare, signore;
anche se qualche volta dimenticò di mangiare,
mai dimenticò di bere, signore:
Cartesio non beveva altro che limonata,
batterlo fu un gioco, signore;
la prima conquista che Newton fece
fu di bere la sua bottiglia al giorno, signore!

(…)

Astronomi! niente può favorire
coloro che ci calunniano;
l’esperimento non può mai fallire
con un tale apparato:
chi vorrebbe i suoi meriti conosciuti
ricordi quanto dico, signore;
la bella scienza brilla solo su colui
che beve la sua bottiglia al giorno, signore!

(…)

(*) Tycho Brahe aveva perso il naso in un duello e copriva la ferita con una maschera d’argento.

Concludo questo articolo con uno dei folli letterari più divertenti citati nel Budget of Paradoxes. Nel 1839 un certo E. B. Revilo (sicuramente uno pseudonimo) pubblicò a Londra un testo intitolato “Il Credo di Sant’Attanasio dimostrato da un parallelismo matematico: Prima di censurarlo, condannarlo o approvarlo, leggi, esamina e capisci”. De Morgan commenta:

“Questo autore davvero credeva a se stesso in tutta onestà. Non è la sola persona ad aver scritto insensatezze confondendo l’infinito matematico (di quantità) con ciò che gli studiosi più correttamente esprimono con l’illimitato, l’incondizionato, l’assoluto. (…) Ecco un esempio: essendo l’infinito rappresentato da ∞, come al solito, ed essendo P, F e S numeri naturali finiti, le tre persone sono identificate come ∞P, (u ∞)F, ∞S, in cui la frazione u rappresenta la natura umana, opposta a ∞. Le frasi del Credo sono così associate alla loro "spiegazione" matematica. Ne estraggo una, con il suo corrispondente matematico:

CREDO
Ma la natura divina del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è unica: la Gloria identica, la Maestà co-eterna”

CORRISPONDENZA MATEMATICA
È stato dimostrato che ∞P, (u ∞)F, ∞S insieme corrispondono a ∞, e che ciascuno vale ∞, e che ogni grandezza dell’essere rappresentata da ∞ sempre è esistita, esiste ed esisterà per sempre. Perciò non può essere creata, o distrutta, e tuttavia esiste”.

La vena umoristica di De Morgan è fuori discussione, ma è doveroso dire che buona parte dell’interesse del suo Budget è dovuto alla divina imbecillità dei folli di cui parla.

5 commenti:

  1. pur che la bottiglia al girono non fosse di vino al metanolo....
    bentornato dai seggi, che bella soddisfazione eh!
    enrico

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  2. Passeggiando per piazza Tien-An-Men guardo alle contingenze politiche con disincanto e considerando tempi lunghi ("e l'Asia par che dorma, ma sta sospesa in aria, l'immensa millenaria sua cultura"). Ciao. :-)

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  3. Ommiodio, posso intrufolarmi per fare solo una domanda?
    Ma di tipi come De Morgan - e senza dubbio anche altri di cui parli sul tuo blog - quanti ne possono venire massimo al mondo e con quale intervallo di tempo l'uno dall'altro?
    Raffaello

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  4. Tanti, solo che spesso si scopre molto tempo dopo. Intelligenza e cultura sono virtù pazienti.
    Se invece ti riferisci ai "folli letterari" penso che la loro percentuale sia costante sin da quando Gutemberg ebbe l'idea dei caratteri mobili.

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  5. Di De Morgan ho sempre amato questa breve pillola di saggezza: "La forza trainante della matematica non è il ragionamento ma l'immaginazione".

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