giovedì 26 novembre 2009

De Rerum Natura: atomismo e ragione



Di Tito Lucrezio Caro (98 o 96 – 55 o 53 a.C.) ci è ignoto quasi tutto: negli scritti dei contemporanei non c’è traccia, tranne una lettera di Cicerone, nella quale l’arpinate accenna all'edizione postuma del De Rerum Natura, che egli starebbe curando. Un'altra fonte che cita Lucrezio è di quattro secoli posteriore: San Girolamo nel suo Chronicon, sostiene che egli sarebbe morto suicida a 42 anni a causa della pazzia indotta da un filtro amoroso (poculum). Per accreditare questi tesi, San Girolamo si riferisce all’opera di Svetonio De Viris Illustribus, considerata degna di credito. In realtà Svetonio, conosciuto come il pettegolo della storia, era amante degli aneddoti, e non pare fonte sempre attendibile. Inoltre la notizia non concorda con quanto affermato da Elio Donato (IV d.C.), maestro di San Gerolamo, secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando Virgilio (nato nel 70 a.C.) indossò a 15 anni la toga virile, cioè nel 55 a.C., all'età di quarantaquattro anni. Le uniche notizie biografiche tramandate direttamente dall'antichità si limitano a questi pochi e vaghi cenni. Ignoto risulta anche il luogo di nascita, che tuttavia alcuni credono essere Pompei o Ercolano, sia per la presenza di un cenacolo epicureo in quest'ultima città, retto da Filodemo, sia perché la gens Lucretia, di origine etrusca, era largamente rappresentata a Pompei, come è attestato da numerose iscrizioni marmoree. I Lucretii di Pompei erano proprietari agricoli di modesta agiatezza, dediti agli studi, appassionati di belle arti, devoti specialmente a quelle due divinità, Venere e Marte, che lo stesso Poeta mostra di avere care.

Poiché la biografia non ci dice molto, le idee del poeta devono essere desunte dalla sua opera, il De Rerum Natura, allo stesso tempo illustrazione della dottrina di Epicuro e vero capolavoro poetico di natura cosmogonica.

In Lucrezio lo scopo didascalico è deliberato. La sua grandezza consiste proprio nell’aver saputo comporre una mirabile sintesi di scienza ed arte. Tale fu il giudizio di Cicerone, epicureo anch’egli, affascinato dall’idea di concludere il poema lasciato incompiuto. Lo stesso Virgilio era un grande estimatore dell’opera di Lucrezio, definendo, nel II Libro delle Georgiche, "felice colui che poté indagare la ragione delle cose" e rimpiangendo di non avere potuto egli stesso scrivere un poema cosmogonico. Un altro grande poeta, Ovidio, diceva di Lucrezio che i suoi versi sarebbero finiti solo con la fine dell’universo. Eppure, a dispetto degli elogi dei contemporanei, l’opera di Lucrezio non ebbe molta diffusione: i manoscritti sin qui pervenuti risalgono ad un archetipo del IV o V secolo, ma i più notevoli furono scoperti solo nel ‘400 da Poggio Bracciolini.

Nei primi due dei cinque libri di cui si compone l’opera, Lucrezio espone la teoria atomica di Epicuro, a sua volta derivata da quella di Democrito. Di questi due libri si occupa il mio articolo.

Il poema si apre con l’invocazione a Venere e Marte, cui segue il primo inno ad Epicuro, al cui pensiero filosofico l’opera si ispira. Lucrezio mette in evidenza l’aspetto della dottrina epicurea che egli ritiene più importante, cioè quello di avere distrutto la superstizione e il terrore degli dei, svelando la vera natura dei fenomeni naturali.

La vita dell’uomo, dinanzi agli occhi di tutti, vergognosamente stava
abbattuta in terra, schiacciata sotto Religione opprimente,
che il capo delle regioni del cielo mostrava,
con sguardo terrificante incombendo sopra i mortali:
e allora per primo un uomo di Grecia gli occhi mortali contro
di lei osò alzare, primo ergersi contro;
lui, né reputazione degli dèi, né fulmini, né, con minaccioso
borbottio, il Cielo, lo trattennero, ma ancora di piú l’aggressiva
forza dell’animo eccitarono, sì ch’egli bramasse svellere,
per primo, le sbarre chiuse delle porte di Natura.
Dunque la forza vigorosa dell’animo ebbe vittoria, e lontano
avanzò, al di là delle mura del mondo che gettano fiamme,
e l’Infinito tutto percorse con la ragione e con l’animo:
da li a noi riferisce, vittorioso, ciò che possa aver nascita,
ciò che non possa, per quale legge infine abbia, ogni cosa,
campo d’azione determinato, e confini infissi nel profondo:
perché Religione, gettata sotto i piedi, a sua volta
è schiacciata, la vittoria noi rende uguali al Cielo.

Lucrezio sostiene che la dottrina di Epicuro non è empia anche se annulla il ruolo degli dèi negli eventi naturali. Al contrario, è la falsa religione a essere dannosa, come dimostra la vicenda di Ifigenia, la vergine sacrificata alle divinità per ottenere che la flotta greca trattenuta dalla bonaccia potesse salpare dal porto di Aulide. Per Epicuro gli dèi possono esistere, ma non devono curarsi delle cose mortali. Riprendendo questo concetto, Lucrezio afferma che il premio o il castigo non vengono dagli dèi ma dalla serenità della propria coscienza o dal rimorso, ed è la saggezza l’unica sorgente di felicità nella vita. Sbagliano dunque gli uomini che vedono in molte manifestazioni naturali l’espressione di una volontà divina che non esiste. Nulla può essere prodotto dal nulla:

Il cui principio prenderà per noi l'avvio da questo:
che nessuna cosa mai si genera dal nulla per volere divino.
Certo per ciò la paura domina tutti i mortali:
perché vedono prodursi in terra e in cielo molti fenomeni
di cui in nessun modo possono scorgere le cause,
e credono che si producano per volere divino.
Pertanto, quando avremo veduto che nulla si può creare
dal nulla, allora di qui penetreremo più sicuramente
ciò che cerchiamo, e donde si possa creare ogni cosa
e in qual modo tutte le cose avvengano senza interventi di dèi.

Le cose non possono svanire nel nulla, come non possono nascere dal nulla. Il poeta crede quindi nella conservazione perenne della materia nell’universo, dicendo che le cose sono costituite da aggregazioni che possono separarsi nei costituenti elementari che poi si aggregano di nuovo per dar luogo a forme diverse della natura. Cambia la manifestazione, in un perenne rinnovarsi del mondo, ma la materia è eterna.

Lucrezio mette in evidenza come alcuni fenomeni si manifestano senza che il nostro senso visivo percepisca la presenza di materia, dando l’impressione errata che si siano prodotti dal nulla. Egli espone alcuni esempi come il vento che, pur essendo invisibile, produce effetti tangibili a volte anche disastrosi, oppure gli odori, o il caldo, o il freddo, o le voci che producono sensazioni rivelabili dai nostri sensi e che quindi devono essere costituiti da elementi materiali.

Inoltre noi sentiamo i vari odori delle cose e tuttavia
non li discerniamo mai mentre vengono alle narici,
né scorgiamo le emanazioni di calore, né possiamo cogliere
con gli occhi il freddo, né ci avviene di vedere i suoni;
e tuttavia tutte queste cose è necessario che constino
di natura corporea, perché possono colpire i sensi.
Nessuna cosa infatti può toccare ed essere toccata, se non è un corpo.

Dopo avere parlato della materia, il poeta illustra il concetto di vuoto, che permette il movimento delle cose e spiega le diverse densità della materia.

Che poi tutto l'insieme delle cose possa porsi da sé stesso
un limite, lo vieta la natura; la quale costringe la materia
a essere limitata dal vuoto, e quanto è vuoto a essere limitato
dalla materia, sì che con la loro alternanza rende infinito
il tutto, o altrimenti l'uno o l'altro dei due, se non lo delimita
l'altro, con la semplice sua natura si stende tuttavia illimitato.

Secondo il poeta latino, nell’universo esistono solo materia e vuoto: la materia è tutto ciò che è rivelabile per mezzo dei sensi, mentre all’esistenza del vuoto si giunge con il ragionamento. Come conseguenza di questo principio è quindi assurdo ricorrere all’esistenza di nature diverse da queste, come acqua, fuoco aria e terra. Lucrezio introduce l’idea delle partes minimae, come esigenza di porre un termine alla suddivisione dei corpi e quindi per impedirne la distruzione completa. Questi enti primordiali sono gli atomi (“non divisibili”). . La materia è costituita da atomi, e le differenti aggregazioni di questi danno origine ai differenti tipi di sostanze. Per Lucrezio gli atomi sono indivisibili ed eterni, caratteristiche che egli ritiene strettamente connesse tra loro.

Esservi inoltre deve nei corpi minuti, che l’occhio
già più non vede, un punto estremo, che certo di parti
non risulta, natura ha minima, e in sé distaccato
né mai visse né mai esister potrà nel futuro,
ché d’altro corpo è solo la prima inscindibile parte,
nata a segnar l’inizio dei punti, che, simili ad esso,
l’uno l’altro seguendo, in serie ordinata, col loro
fitto adunarsi crein l’intera natura del corpo;
mai non potendo questi esister da sé, son costretti
ivi a stiparsi, donde divellerli più non è dato.
Atomi esistono dunque di solido e semplice corpo,
che minutissime parti contengono in sé combacianti
strettamente serrate, non già nella stessa maniera
che s’aggregano poi nei corpi quegli atomi stessi,
ma piuttosto dotati d’essenza indivisa ed eterna,
onde non soffre natura che parte più lieve si stacchi,
per conservare interi al nascere degli esseri i germi.


È interessante notare che Lucrezio accenna alla possibilità che gli atomi siano a loro volta composti di parti più piccole, ma afferma anche che queste parti sono inscindibili e formano nel loro insieme l’entità atomo, in modo differente da come gli atomi formano le cose, che possono mutare.

Lucrezio rigetta anche le teorie, propugnate da Eraclito, Talete e Anassimene, basate sui principi unici del fuoco, dell’acqua, dell’aria e della terra come sostanze primordiali di tutte delle cose. Egli critica anche Empedocle, che ipotizza l’esistenza di quattro elementi primordiali (acqua, fuoco, aria, terra). Lucrezio condanna in particolare la possibilità che questi elementi si trasformino l’uno nell’altro. Inoltre confuta anche la teoria atomistica di Anassagora, che ha una concezione diversa da Epicuro sugli atomi, cioè che i corpi, anche se divisi all’infinito, restano identici a se stessi. La base della confutazione è essenzialmente costituita dalla sua concezione dell’atomo come particella indistruttibile.

Prima di passare dalla teoria atomica alla concezione dell’universo, il poeta rievoca un insegnamento della dottrina epicurea, per cui la poesia ha il suo valore solo in quanto rende graditi ed accessibili alla mente gli importanti misteri della scienza. È un concetto che condivido pienamente. Lucrezio lo presenta attraverso l’immagine di un fanciullo ammalato al quale si fa bere una medicina amara inumidendo con miele il bordo del bicchiere.

…ma, come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli
il ripugnante assenzio, prima gli orli, tutt'attorno al bicchiere,
cospargono col dolce e biondo liquore del miele,
perché nell'imprevidenza della loro età i fanciulli siano ingannati,
non oltre le labbra, e intanto bevano interamente l'amara
bevanda dell'assenzio e dall'inganno non ricevano danno,
ma al contrario in tal modo risanati riacquistino vigore;…


L’idea di Lucrezio sull’universo era basata su due punti fondamentali: l’infinità dello spazio e l’infinità della materia. La sua convinzione deriva dalla considerazione che se lo spazio non fosse infinito, dopo tanti secoli, la vita sarebbe scomparsa, e che l’infinità della materia deriva dalla necessità che il numero degli atomi primordiali, che sono eterni, non sia limitato.

Ma, poiché ho insegnato che gli atomi sono solidissimi
e in perpetuo volteggiano, invitti attraverso ogni tempo,
ora investighiamo se la loro somma abbia o non abbia
alcun limite; e parimenti, il vuoto di cui abbiamo scoperto
l'esistenza, o luogo o spazio, in cui tutte le cose si svolgono,
scrutiamo se sia tutto assolutamente finito
oppure si apra immenso e smisuratamente profondo.
Tutto quanto esiste, dunque, non è limitato in alcuna
direzione; altrimenti dovrebbe avere un'estremità.
È evidente, d'altra parte, che niente può avere un'estremità,
se al di là non esiste qualche cosa che lo delimiti, sì che appaia
un punto oltre il quale questa natura di senso non possa più seguirlo.

Per rendere chiara l’idea di infinità, Lucrezio, riferendosi al noto paradosso di Zenone, fa l’esempio della freccia che, anche se lanciata dagli estremi confini dell’universo, deve sempre andare più in là, non potendosi concepire che venga fermata o rimbalzi indietro per la presenza di nuovi corpi. Zenone aveva sottolineato l’infinitamente piccolo, mentre Lucrezio lo fa con l’infinitamente grande. Egli esprime anche il concetto che non vi sono punti preferenziali nell’universo che, per la sua infinità, non può avere un centro (1).

Lucrezio, seguendo Epicuro, concepisce il movimento degli atomi come un stato naturale necessario a spiegare la formazione dei corpi. Lucrezio attribuisce il moto al peso degli atomi, ma deve postulare l’esistenza del clinamen per spiegare gli urti degli atomi e quindi la loro aggregazione. Gli atomi cadono a causa del loro peso, ma, in un certo istante non determinato, né determinabile, l’atomo si sposta lievemente dalla verticale percorrendo una leggera curva detta clinamen. L’introduzione del clinamen, logicamente un po’ zoppicante, deriva dal fatto che gli atomi, cadendo perpendicolarmente sotto l’azione del proprio peso non si sarebbero mai incontrati (2).

Questo principio di “libera scelta” degli atomi ha un significato fisico ma anche filosofico: il libero arbitrio è facoltà di ogni ente naturale.

A tale proposito desideriamo che tu conosca anche questo:
che i corpi primi, quando in linea retta per il vuoto son tratti
in basso dal proprio peso, in un momento affatto indeterminato
e in un luogo indeterminato, deviano un po' dal loro cammino:
giusto quel tanto che puoi chiamare modifica del movimento.
Ma, se non solessero declinare, tutti cadrebbero verso il basso,
come gocce di pioggia, per il vuoto profondo,
né sarebbe nata collisione, né urto si sarebbe prodotto
tra i primi principi: così la natura non avrebbe creato mai nulla.

La visione che Lucrezio ha della natura delle cose è riconducibile al concetto per cui ogni fenomeno naturale trova la sua spiegazione specifica. E le uniche leggi che regolano il moto degli atomi sono di tipo meccanico. Ai cantori del sentimento come unica matrice della poesia l’opera dello scrittore latino ricorda come un razionalista possa scrivere il più bel poema di argomento naturalistico della letteratura mondiale.


Note

(1) L’associazione mentale mi porta a ricordare Giordano Bruno in De la causa, principio et uno (1584), quando afferma che tutta la vita è materia infinita.

“È dunque l'universo uno, infinito, immobile; una è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e perciò infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato e per conseguenza immobile; questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto; non si genera perché non è altro essere che lui possa derivare o aspettare, atteso che abbia tutto l'essere; non si corrompe perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa; non può sminuire o crescere, atteso che è infinito, a cui non si può aggiungere, così è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili”.

Fu probabilmente da queste idee che Blaise Pascal trasse il noto aforisma secondo il quale l’universo è una sfera infinita il cui centro è dovunque e la circonferenza in nessun luogo.


(2) Questa idea di deviazione eccezionale connessa al concetto di clinamen è stata ripresa in senso surreale da Alfred Jarry, il creatore della patafisica. Nel romanzo Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico (1911), Jarry parla de “la bête imprévue Clinamen” (l’imprevista bestia clinamen). Secondo questa interpretazione, Epicuro ha compreso per primo che c’è una aberrazione infinitesimale, “un'indeterminazione”, al centro di ogni possibile spiegazione del mondo. L’oulipiano Georges Perec ha chiamato clinamen la possibilità di «une légère dérive» in grado di distruggere il sistema delle costrizioni.

10 commenti:

  1. Molto bello, complimenti. Devi cominciare a pubblicare: un blog, malgrado le libertà
    che consente, non è spazio sufficiente per il tuo lavoro.
    Ciao, peppe.

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  2. Concordo con Peppe. Comunque è sorprendente, e noi spesso ce ne dimentichiamo, come, concetti che ci appaiano decisamente moderni, con pochi decenni alla spalle, frutto possibile solo in una società culturalmente e scientificamentre progredita come la nostra, in realtà apparivano più di duemila anni fa con intuizioni così difficili da ipotizzare, da immaginare da genti che potevano contare solo sulla forza del pensiero e della speculazione filosofica. Io credo che qui stia la grandezza dell'uomo e non c'è fondamentalismo, religione, assolutismo, buio mentale che tenga. Queste idee sono dentro la testa degli uomini e continueranno sempre a saltare fuori.

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  3. "[P]erché Religione, gettata sotto i piedi, a sua volta
    è schiacciata, la vittoria noi rende uguali al Cielo"
    Per fortuna noi viviamo tempi migliori: Padreppio, Ruini, naziRatzi, papiSilvio, la Binetti...
    Alla fine vinceranno i talebani e Lucrezio sarà bannato, come pure (nel mio piccolo) rischio io. Ma c'è una speranza: se i maya e Giacobbo hanno visto giusto si chiude a fine 2012.
    Se ci sono ancora concordo pienamente con Peppe e mi permetto di chiedere a Enrico chi o che cosa ha bloccato per un millennio e mezzo (~) la speculazione scientifica; dei filosofi meglio stare alla larga, hai presente Buttiglione? (OK, anche di qualche "scienziato", à la Zichichi).

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  4. laperfidanera27/11/09, 16:43

    Stupendo. Pensa che quando studiavo Latino (ora, ahimé, dimenticato) il mio preferito era proprio Lucrezio! (seguito da Orazio e Ovidio, mentre detestavo francamente il "De bello gallico" e mi lasciava fredda Catullo).
    Grazie.

    LPN

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  5. Grazie a tutti. Mi vengono articoli troppo lunghi per un blog, vi ringrazio per la pazienza.

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  6. Magnifico!
    Ho amato anch'io Lucrezio... ahimé passati tanti anni.
    Pop, a proposito di lunghezza post: lo sto stampando :-)
    da leggere con calma, poltrona o letto, stanca per lettura on line.
    grazie!
    g

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  7. No, per carità, lunghi vanno benissimo. Ogni blog ha una sua anima e chi li legge (almeno io) aspetta sempre di scoprirne un frammento in più.

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  8. Sul cercare una causa agli eventi. Secondo me è un retaggio del 'modo di pensare' dei linguaggi motorio e corporeo, i quali, in maniera un po' semplicistica, potremo dire che riconoscono sempre una causa immediata nel loro agire essendo, per definizione, guidati dal bersaglio dello stimolo. Ora, in qualche modo, questa logica motoria di fondo noi la trasferiamo anche al nostro linguaggio simbolico col risultato di dover dare la responsabilità di certi eventi a entità causali fuori dalla nostra portata. Per alcuni sono gli dei, per altri non meglio precisate coincidenze, influenze astrali, e così via. Mal ci adattiamo a veder irrompere nel nostro quotidiano la casualità e la mancanza di scopo.
    So lunghi sti post: ah, già detto? però son belli! pure questo già detto?, ma allora...!!!
    ;)

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  9. Spesso penso: (hell!) se solo Popinga scrivesse post un po' più brevi! Poi ci ripenso e dico: non deve essere lui ad adattarsi a me, ma il viceversa. Capisco Popinga, un po' mi ricorda Angus Young [chitarrista, da sempre, degli AC/DC]. Specialmente quando, orgoglioso, ci ricorda: "noi non facciamo singoli, facciamo album".

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  10. Vorrei complimentarmi con l'autore di questo sito, non sono riuscito a trovare altre fonti che potessero spiegare così bene la teoria tomistica di Lucrezio.
    Utilizzerò questo scritto nella mia tesina di maturità, grazie davvero!

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