martedì 17 novembre 2009

Hardy e l’eclisse


At a Lunar Eclipse

Thy shadow, Earth, from Pole to Central Sea,
Now steals along upon the Moon's meek shine
In even monochrome and curving line
Of imperturbable serenity.

How shall I link such sun-cast symmetry
With the torn troubled form I know as thine,
That profile, placid as a brow divine,
With continents of moil and misery?

And can immense Mortality but throw
So small a shade, and Heaven's high human scheme
Be hemmed within the coasts yon arc implies?

Is such the stellar gauge of earthly show,
Nation at war with nation, brains that teem,
Heroes, and women fairer than the skies?

Da Poems of the past and the present


A un’eclisse di luna

La tua ombra, Terra, dal Polo al Mare Centrale,
ora si distende sul mite splendore della Luna
in una linea regolarmente monocroma e arcuata
di imperturbabile serenità.

Come collegherò tale simmetria disegnata dal Sole
con la forma turbata e irregolare che so tua,
quel profilo, placido come un orlo divino,
con continenti di fatica e sofferenza?

E come può l’immensa Mortalità proiettare
un’ombra così piccola, e l’alto schema umano del Cielo
essere bordato dalle coste che il tuo arco comporta?

È questo che il calibro stellare mostra del pianeta,
nazione contro nazione, cervelli che formicolano,
eroi, e donne più belle che i cieli?

Torno a fare la persona seria proponendo ancora una volta un poeta inglese. Non lo faccio apposta, ma è che la poesia inglese è molto affascinante e si occupa della natura in un modo che trovo vicino alla mia sensibilità. Quando ho letto questa poesia per la prima volta credevo che fosse più datata, poi in calce ho letto che è di Thomas Hardy ed è stata scritta nel 1902.

L’opera di Thomas Hardy (1840-1928) collega l’epoca vittoriana con quella moderna. Essa rivela i cambiamenti che trasformarono l’Ottocento e segnarono l’irrompere del moderno: il declino della religione, la crisi del perbenismo moraleggiante, la fine delle speranze positiviste, soprattutto la crescente consapevolezza che il progresso morale non è conseguenza inevitabile di quello scientifico e tecnologico.

Hardy si considerava esclusivamente un poeta, perché la sua prosa fu quasi sempre un mezzo per guadagnare denaro. I suoi racconti erano concepiti per uscire a puntate sui periodici e risentono delle esigenze degli editori e dei lettori: un colpo di scena in ogni puntata e nessuna situazione o parola che potesse offendere il pubblico femminile. Ciò nonostante, scrisse opere che, almeno nella versione per la pubblicazione come romanzo, incontrarono e incontrano ancor oggi un certo apprezzamento, soprattutto Via dalla pazza folla (1874) e Tess dei D'Urbervilles (1891), entrambi rilanciati dalle versioni cinematografiche che ne hanno tratto rispettivamente John Schlesinger nel 1967 e Roman Polanski nel 1979 (con una meravigliosa Nastassia Kinski).

Sebbene i romanzi di Hardy raramente abbiano un happy end, egli affermava di non essere un pessimista, definendosi piuttosto un “meliorist”, termine che mi rifiuto di tradurre per le implicazioni politiche che possiede in Italia. Diciamo che lo scrittore riteneva che un po’ di felicità è concessa all’uomo solo se si rende conto del suo posto periferico nell’universo e lo accetta. Hardy, che da giovane voleva diventare pastore anglicano, con la maturità abbandonò il cristianesimo, lesse Darwin e accettò l’evoluzionismo; più tardi fu colpito dal pensiero di Schopenhauer e sviluppò il concetto di Volontà Immanente, la forza cieca che guida l’universo e che nel futuro potrà raggiungere l’autoconsapevolezza. Un’idea non troppo ottimista per la vita del singolo, ma che lascia spazio alla speranza.

Raccogliendo poesie scritte fin dalla giovinezza, Hardy pubblicò la sua prima raccolta, Wessex Poems, nel 1898, quasi cinquantenne. Come si nota nell’esempio che ho riportato, il suo stile utilizza la dizione vittoriana con generi e metrica regolari, distanti da quello che ci si può aspettare per i primi anni del ‘900. Sono il lessico, spesso derivato dal linguaggio quotidiano, e la cupa visione della condizione umana a farne uno dei primi inglesi contemporanei.

Le altre raccolte poetiche furono pubblicate a intervalli più o meno regolari, da Poems of the Past and Present (1902), fino a Winter Words (1928), uscito postumo nell’anno della sua morte. La raccolta più famosa di Hardy è Satires of Circumstance (1914), ma molti ritengono che il suo capolavoro sia il dramma in versi The Dynasts (1903-1908), saga dell’era napoleonica in 19 atti e 130 scene, che dipinge tutti i personaggi, imperatore compreso, come marionette nelle mani della Volontà Immanente, versione moderna del fato degli antichi.

Il verso finale è per me da incorniciare, con quelle women fairer than the skies che è un atto d’amore al genere femminile al quale volentieri mi associo.

10 commenti:

  1. Ma bella poesia!
    Non vado pazza per l'astronomia, la magia delle Eclissi raccontata dal Poeta ... è un'altra cosa!:-)
    E...
    "Diciamo che lo scrittore riteneva che un po’ di felicità è concessa all’uomo solo se si rende conto del suo posto periferico nell’universo e lo accetta."
    verità verità!!
    grazie Pop
    g

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  2. Popinga, io a volte vado troppo di associazioni, ma questa poesia, specialmente nella seconda strofa, mi ha ricordato lo spirito dei versi di Blake:

    Tyger! Tyger! Burning bright,
    In the forests of the night,
    What immortal hand or eye
    Could frame thy fearful symmetry?
    ...
    http://www.cs.rice.edu/~ssiyer/minstrels/poems/66.html

    Bella...

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  3. Sì, Roberta. Non conoscevo quella poesia di William Blake, ma l'associazione suggeritati da "symmetry" è da condividere totalmente. Su questo blog, di William Blake parlerò assai poco, perché quel grande poeta era un convinto nemico della scienza. Peccato per noi.

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  4. Ah, non lo sapevo, certo che ognuno ha le proprie, anche tra i grandi! :)

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  5. Popinga, Julie Christie in Far from the Madding Crowd ero io, lo ero e basta. Lo sono stata per tutta la mia infanzia e il pastore barbuto e fascinosissimo che lei alla fine sposerà è stato il mio Principe Azzurro per un tempo memorabile. Poi mi ricordo del cane pazzo che ha lasciato che tutte le sue pecore, le pecore del pastore, si gettassero nel burrone, non so se te lo ricordi. E che dire di Terence Stamp, attore magnifico, magnifico Collezionista, ambiguo e fascinoso?! E Peter Finch, spasimante schivo e disonorato (che fu poi un Oscar Wilde cinematografico perfetto). Mi piaceva tutto di quel film, dal cast fantastico. Ma qui voglio ricordarti la canzone che canta Betsabea. Te la ricordi? La musica era bellissima, era una ballata.
    http://www.youtube.com/watch?v=JuHlMn1scAI&feature=related
    Tess poi la mia prof d'inglese ce l'ha fatta studiare da cima a fondo. Ho letto tutto Hardy Popinga anche perchè era un inglese comprensibile per una liceale. Ah, sono stata anche Nastassia Kinsky, ovviamente! Anche a me piace molto la lingua inglese per la poesia, per via dei suoni e per la possibilità delle alliterazioni e delle assonanze e dei suoni tipo - sh oppure per la loro -h. Suoni profondi oppure sussurrati, dentro parole brevi. La nostra lingua è completamente diversa e le traduzioni spesso non riescono a rendere. Si perde la musica perchè Aprile è la stagione più crudele, è diverso da April is the cruellest season, vero?
    Vado fuori tema come al solito, Maestro. Scusa Popinga, ma è proprio un bel post. Ecco.
    B

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  6. "women fairer than the skies"

    Oh, grazie Pop! Sei troppo carino!

    Adoro l'Astronomia, come puoi immaginare.

    Grande Hardy. A me piace molto anche Robert Frost. Conosci "Canis Major"?

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  7. a proposito della metrica, è da notare che si tratta di un sonetto "all'italiana" (per distinguerlo da quello di shakespeare).
    abbiamo infatti due quartine (con rime abba-abba)e due terzine (con rime cde-cde), invece che le tre quartine più distico finale del tipico sonetto inglese.

    nick the old

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  8. Grazie dell'interessante osservazione, Old Nick! Anche il tuo nickname è in tema con i rapporti Italia-Inghilterra.

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  9. Come credo molti sappiano, Guglielmo è anche quello da cui i Doors hanno tratto l'ispirazione per il loro nome; il passo "incriminato" è «If the doors of perception were cleansed, every thing would appear to man as it is, infinite», tratto dal celebre The Marriage of Heaven and Hell (quest'ultimo utilizzato come titolo dai Virgin Steele, validissimo gruppo heavy metal statunitense, per ben due album).
    Non sapevo dell'avversione di Guglielmo per la scienza, invece la poesia The Tyger è una delle mie preferite, soprattutto per quei versi inquietanti in cui nessuno sa dire perché "symmetry" non rima con "eye". O forse sì?

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