lunedì 27 dicembre 2021

George Price e la matematica della selezione naturale


 

Per Darwin, la selezione naturale è un processo lungo e complesso che coinvolge molteplici cause interconnesse. La selezione naturale richiede variazioni in una popolazione di organismi. Perché il processo funzioni, almeno parte di quella variazione deve essere ereditabile e trasmessa in qualche modo ai discendenti degli organismi. Su tale variazione agisce la lotta per l'esistenza, un processo che in effetti “seleziona” le variazioni favorevoli alla sopravvivenza e alla riproduzione dei loro portatori. Proprio come gli allevatori scelgono quale dei loro animali si riprodurranno e quindi creeranno le varie razze di cani domestici, piccioni e bovini, la natura effettivamente "seleziona" quali animali si riprodurranno e crea un cambiamento evolutivo proprio come fanno gli allevatori. Tale “selezione” per natura, la selezione naturale, avviene come risultato della lotta per l'esistenza e, nel caso delle popolazioni con riproduzione sessuata, della lotta per le opportunità di accoppiamento. Quella lotta è essa stessa il risultato dei controlli sull'aumento geometrico della popolazione che si verificherebbe in assenza dei controlli. Tutte le popolazioni aumentano di numero in assenza dei limiti alla crescita imposti dalla natura. Questi controlli assumono forme diverse in popolazioni diverse. Tali limitazioni possono assumere la forma di scorte di cibo limitate, siti di nidificazione limitati, predazione, malattie, condizioni climatiche avverse e molto altro ancora. In un modo o nell'altro, solo alcuni dei riproduttori nelle popolazioni naturali si riproducono effettivamente, spesso perché altri semplicemente muoiono prima della maturità. A causa delle variazioni tra i riproduttori potenziali, alcuni hanno maggiori possibilità di inserirsi nel gruppo di riproduttori effettivi rispetto ad altri. Se tali variazioni sono ereditabili, è probabile che la progenie di quelli con i tratti "più adatti" produca molti altri discendenti. Per usare uno degli esempi di Darwin, i lupi con zampe particolarmente lunghe che consentono loro di correre più velocemente avranno maggiori probabilità di catturare prede e quindi evitare la fame e quindi produrre prole con zampe più lunghe che gli consente, a sua volta, di riprodursi e generare discendenti con zampe più lunghe e così via. Per mezzo di questo processo iterativo, un tratto favorevole alla riproduzione che si trova inizialmente in uno o pochi membri della popolazione si diffonderà attraverso la popolazione.

 

Le molteplici fasi del processo di Darwin che coinvolgono tratti diversi, agendo in sequenza o in concerto, possono quindi spiegare sia come la speciazione sia l'evoluzione di adattamenti complessi avvengono attraverso l'evoluzione graduale (cambiamento nel tempo) delle popolazioni naturali. Darwin mirava a convincere il suo pubblico che anche strutture complicate come l'occhio dei vertebrati, che a prima vista sembrano spiegabili solo come il prodotto di un progetto, potrebbero invece essere giustificate con una evoluzione incrementale, un processo complesso ma ancora naturale. Quella che inizialmente è una chiazza fotosensibile può trasformarsi in un occhio attraverso moltissimi momenti di selezione che progressivamente ne migliorano e ne accrescono la sensibilità. Mostrare che qualcosa è spiegabile è molto diverso dallo spiegarlo, tuttavia, una teoria deve essere esplicativa per svolgere entrambi i compiti. Dopo Darwin, la comparsa di nuove specie nella documentazione geologica e l'esistenza di adattamenti che sembrano frutto di progetti non possono essere utilizzati come motivi per invocare cause soprannaturali come ultima risorsa esplicativa.

 

I teorici hanno sviluppato approcci formali e quantitativi per modellare i processi descritti da Darwin (con buona pace degli “scienziati di dio” che si ostinano a chiedere una “formula globale dell’evoluzione”, che non può avere carattere predittivo dati gli enormi lassi di tempo coinvolti). Uno dei primi approcci di tipo mirato fu senza dubbio quello che George Price fornì in un articolo di due sole pagine su Nature nel 1970 intitolato Selection and Covariance.

 

George Price (1922-1975) era uno scienziato americano la cui breve ma produttiva carriera come teorico dell'evoluzione tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 è uno degli episodi più affascinanti della storia della disciplina. Price si formò come chimico e aveva lavorato al Progetto Manhattan, poi all’IBM, prima di diventare uno divulgatore di scienze con alcuni articoli su Science. Autofinanziato da un grande rimborso assicurativo dopo un'operazione medica fallita per un tumore alla tiroide, si trasferì a Londra alla fine del 1967 e iniziò a imparare da solo le basi della teoria evoluzionistica, lavorando prima nelle biblioteche e poi al Galton Laboratory presso l'University College di Londra.

 

Portando una nuova prospettiva alla disciplina, Price scoprì un approccio completamente nuovo alla genetica delle popolazioni e la base per una teoria generale della selezione: l'equazione di Price. Essa è utilizzata in diverse aree chiave della teoria dell'evoluzione e sta iniziando a chiarire questioni difficili in altre discipline.

 

L'equazione di Price è una equazione sul cambiamento: è un teorema matematico vero e proprio, di cui egli fornì la dimostrazione (che qui non trattiamo). Nella sua formulazione abituale, descrive come il valore medio di qualsiasi carattere fenotipico - peso corporeo, dimensioni delle corna, propensione all'altruismo - cambia in una popolazione biologica da una generazione all'altra. Essa rappresenta l'estensione dell'evoluzione in un sistema rispetto a un dato carattere attraverso una singola generazione utilizzando funzioni statistiche. Price indicò il valore del carattere dell'individuo come z, il numero dei suoi figli come w e la discrepanza tra i valori dei suoi caratteri e quelli della sua prole come ∆z, e mostrò che il cambiamento nel valore medio della popolazione del carattere tra le generazioni dei genitori e dei figli vale:

 

WΔZ = cov(wi,zi) + E(wiΔzi)        (1)

 

dove:

 

W è il numero medio di figli (offspring) prodotti dai membri della popolazione;

 

∆Z è la variazione del valore medio del carattere nella popolazione;

 

cov è la covarianza, cioè il valore numerico che fornisce una misura di quanto due variabili statistiche varino assieme, ovvero dipendano reciprocamente; 

 

wi indica il numero della prole prodotta dall’ i-esimo membro della popolazione (la sua fitness, il successo riproduttivo);

 

zi indica il valore del carattere nell'i-esimo membro della popolazione;

 

E è il valore atteso, cioè il numero che formalizza l'idea di valore medio di un fenomeno statistico. In generale il valore atteso di una variabile discreta è dato dalla somma dei possibili valori di tale variabile, ciascuno moltiplicato per la probabilità di essere assunto (ossia di verificarsi), quindi è la media ponderata dei possibili risultati. 

 

Nell'equazione di Price, la selezione è associata alla prima quantità di destra, mentre la seconda rappresenta la distorsione di trasmissione. La prima parte è il cambiamento ascrivibile all'azione della selezione, e ciò assume la forma di una covarianza statistica tra i valori dei caratteri degli individui (zi) e il loro successo riproduttivo relativo (wi). Ad esempio, se gli individui con valori più grandi del carattere di interesse tendono ad avere più figli, allora la covarianza è positiva e la selezione agisce per aumentare il valore medio del carattere della popolazione. Il secondo termine a destra assume la forma di un'aspettativa E, che descrive come la prole differisce dai suoi genitori, che è il cambiamento dovuto alla trasmissione. Se i figli sono copie identiche dei loro genitori, allora l'effetto di trasmissione è zero e la selezione è l'unico fattore coinvolto nell'evoluzione del carattere. Tuttavia, la prole sarà spesso diversa dai genitori, forse a causa di una mutazione, o perché i loro geni sono combinati in un modo nuovo, o a causa di un cambiamento nel loro ambiente fisico, biologico o culturale, e in questo caso l'effetto di trasmissione non è nullo.

 

Sebbene l'equazione di Price sia stata introdotta utilizzando la terminologia biologica, essa si applica a qualsiasi gruppo di entità che subisce una trasformazione. Ma, nonostante la sua vasta generalità, ha qualcosa di interessante da dire. Separa e impacchetta ordinatamente il cambiamento dovuto alla selezione rispetto alla trasmissione, dando una definizione esplicita per ogni effetto e, così facendo, fornisce le basi per una teoria generale della selezione naturale. In una lettera a un amico, Price spiegò che la sua equazione descrive la selezione delle stazioni radio con la rotazione di una manopola con la stessa facilità con cui descrive l'evoluzione biologica.

 

L'equazione di Price è un risultato molto generale, a causa del modo in cui segue direttamente dalle definizioni e quindi è relativamente priva di ipotesi limitanti la generalità. L'equazione emerge dalla riorganizzazione della notazione piuttosto che, diciamo, dalle leggi fisiche; quindi, non è una previsione del cambiamento che avviene tra i due aggregati, ma piuttosto un'identità matematica che mostra un modo in cui tale cambiamento può essere espresso. Per la sua generalità e semplicità, l'equazione di Price è stata utilizzata per rappresentare processi fondamentali nell'evoluzione e, come meta-modello, consente di tracciare confronti e contrasti tra diversi modelli e metodologie. In quanto tale, è un importante aiuto concettuale che ha portato alla scoperta di connessioni inaspettate tra diversi corpi teorici, ha risolto controversie di lunga data e ha contribuito a risolvere alcune confusioni semantiche.

 

L'equazione di Price è stata applicata più frequentemente all'evoluzione biologica e l'equazione (1) sembra catturare l'idea darwiniana della "sopravvivenza del più adatto". Effetti di trasmissione a parte, la selezione opera per favorire quei caratteri che sono positivamente correlati con il successo riproduttivo individuale. Tuttavia, la moderna teoria della selezione naturale è inquadrata in termini di cambiamenti nelle frequenze geniche, e Price ha formulato ciò concentrandosi sulla componente genetica additiva (g) del carattere, piuttosto che sull'effettivo valore fenotipico (z). Scartando il cambiamento genetico dovuto alla trasmissione, l'equazione di Price può essere utilizzata per fornire un enunciato formale della selezione naturale:

 

WΔg = cov(wi,gi) = βwi,gi var(g)     (2)

 

dove:

 

∆g è la variazione del valore medio della componente genetica additiva nella popolazione;

 

gi denota il valore della componente genetica additiva dell'i-esimo membro della popolazione;

 

β è il coefficiente angolare della retta di regressione delle variabili wi,gi

 

var indica la varianza, cioè la funzione che fornisce una misura della variabilità dei valori assunti dalla variabile stessa; nello specifico, la misura di quanto essi si discostano quadraticamente dalla media aritmetica o dal valore atteso E. 

 

Price trovava illuminante esprimere la selezione naturale come un prodotto dei suoi fattori componenti: la regressione (pendenza) del successo riproduttivo relativo rispetto al valore genetico dell'individuo (βwi,gi); e la variazione genetica nella popolazione (var(g)). Ciò mette in evidenza il fatto che la selezione naturale opera quando vi sono differenze ereditarie tra gli individui rispetto a qualche carattere correlato al successo riproduttivo. Inoltre, poiché le varianze non sono mai negative, qualsiasi risposta alla selezione naturale deve essere nella direzione di un aumento del successo riproduttivo (avente lo stesso segno di βwi,gi). L'equazione di Price coglie quindi l'effetto migliorativo (nel senso di adattamento) che la selezione naturale ha sulle popolazioni biologiche.

 

Darwin sosteneva che poiché la selezione naturale fa sì che quei caratteri che migliorano l'idoneità individuale si accumulino nelle popolazioni biologiche, gli organismi appariranno di conseguenza come se fossero progettati per massimizzare la loro idoneità. Questa ambiguità apparente tra disegno e azione rende la biologia unica tra le scienze naturali, ed è la ragione per cui la letteratura evoluzionista abbonda di linguaggio intenzionale: egoismo, strategie, conflitti di interesse. Ma la questione di questa apparenza quasi magica di capacità di intervento sul reale è stata a lungo trascurata dai genetisti della popolazione, che hanno avuto la tendenza a oscurare il ruolo del singolo organismo concentrandosi invece su geni e genotipi. L'equazione di Price, al contrario, mette in evidenza l'individuo e la sua fitness e collega questo ai cambiamenti nella frequenza genica. Per questo motivo, il teorico evoluzionista Alan Grafen ha utilizzato l'equazione di Price per stabilire collegamenti matematici tra la genetica delle popolazioni e la teoria dell'ottimizzazione, che giustificano formalmente la visione dei singoli organismi come agenti economici che massimizzano la fitness. Catturando sia il processo che lo scopo dell'adattamento, l'equazione di Price è un buon approccio alle basi matematiche del darwinismo.

 

Darwin sosteneva che gli individui sono incoraggiati a comportarsi in modo da migliorare il loro successo riproduttivo personale. Tuttavia, il comportamento altruistico è comune nel mondo naturale, e questo è difficile da conciliare con "la sopravvivenza del più adatto". Riconoscendo questo problema, Darwin spiegò come alcuni caratteri potrebbero essere favoriti perché migliorano il successo riproduttivo dei propri consanguinei (selezione parentale), oppure perché forniscono un beneficio complessivo al gruppo sociale (selezione di gruppo). 

 

Come ha scritto Oren Harman nella biografia di Price intitolata The Price of Altruism (2010), “perché le amebe costruiscono steli dai loro stessi corpi, sacrificandosi nel processo, in modo che alcune possano arrampicarsi ed essere portate via dalla carestia all'abbondanza sulle gambe di un insetto innocente o sulle ali di un vento propizio? Perché i pipistrelli vampiri condividono il sangue, bocca a bocca, alla fine di una notte di preda con i membri della colonia che hanno avuto meno successo nella caccia? Perché le gazzelle sentinella saltano su e giù quando un leone viene avvistato, mettendosi in modo precario tra il branco e il cacciatore affamato? E cosa ha a che fare tutto questo con la moralità negli esseri umani: c'è, infatti, un'origine naturale per i nostri atti di gentilezza? Le virtù delle amebe, dei pipistrelli, delle gazzelle e degli umani provengono dallo stesso luogo?

 

L'altruismo era un enigma. Si opponeva apertamente ai fondamenti della teoria, un'anomala spina nel fianco di Darwin. Se la Natura era sanguinante nei denti e negli artigli [come aveva scritto Tennyson], una battaglia spietata combattuta ferocemente sotto le onde e attraverso i cieli e nei deserti e nelle giungle, come potrebbe essere selezionato un comportamento che riducesse la fitness? Sopravvivenza del più adatto o sopravvivenza del più generoso: era un enigma che i darwiniani avrebbero dovuto risolvere. E così, partendo da Darwin, è iniziata la ricerca per risolvere il mistero dell'altruismo”.

 


Oggi, l'equazione di Price fornisce il fondamento formale sia della selezione parentale che delle teorie della selezione di gruppo, e ha chiarito che queste non sono ipotesi in competizione, ma piuttosto due modi diversi di guardare allo stesso processo evolutivo.

 

L'approccio della selezione parentale, sviluppato da Bill Hamilton negli anni '60, ritiene che un gene possa essere favorito dalla selezione naturale aumentando il successo riproduttivo del suo portatore e anche aumentando il successo riproduttivo di altri individui portatori dello stesso gene. Tutto ciò che conta è che il gene porti avanti copie di sé stesso nelle generazioni future: da dove provengono queste copie è irrilevante. La condizione per cui un comportamento altruistico è favorito dalla selezione, chiamata regola di Hamilton, è 

 

rb > c

 

dove c è il costo di fitness per l'attore, b è il beneficio di fitness per il destinatario, r è la relazione genetica tra attore e destinatario. Pertanto, l'altruismo è favorito a condizione che l'attore e il destinatario siano parenti sufficientemente stretti. La quantità rb – c è stata definita l'effetto di "idoneità inclusiva" del comportamento e descrive l'impatto dell'attore sul successo riproduttivo di tutti i suoi parenti (incluso sé stesso), ponderato dalla parentela genetica di ciascuno. È l'idoneità inclusiva, piuttosto che il successo riproduttivo personale dell'attore, a essere massimizzata dalla selezione naturale. 

 

Hamilton dimostrò matematicamente che era possibile che l'altruismo si evolvesse come tratto finché i benefici degli atti altruistici cadevano su individui che erano geneticamente imparentati con il donatore. In altre parole, sarebbe vantaggioso per un animale lanciare un grido d'allarme, e quindi mettersi in pericolo, per avvertire un gruppo di parenti, poiché anche i suoi parenti portano copie dei suoi geni. La regola di Hamilton è stata originariamente sviluppata utilizzando un modello genetico di popolazione semplificato che faceva ipotesi piuttosto restrittive ed è stata a lungo criticata dai genetisti della popolazione come inesatta ed euristica. Tuttavia, Hamilton in seguito ha fornito una prova molto più precisa della regola utilizzando l'equazione di Price, chiarendo la definizione dei termini e dimostrando la generalità della regola. Molti sviluppi successivi della teoria della selezione parentale hanno anche utilizzato l'equazione di Price come base.

 

Una visione alternativa dell'evoluzione sociale suggerisce che la selezione che opera per favorire un gruppo sociale rispetto a un altro può contrastare la selezione che opera all'interno dei gruppi sociali, così che i comportamenti che danno agli individui uno svantaggio rispetto alle loro parti sociali possono evolvere attraverso la selezione di gruppo. Tali idee erano piuttosto confuse fino a quando Price, e più tardi Hamilton, mostrarono che l'equazione di Price può essere espansa per comprendere più livelli di selezione che agiscono simultaneamente. Ciò consente di definire e separare esplicitamente la selezione ai vari livelli e fornisce la base formale della teoria della selezione di gruppo. È importante sottolineare che consente la quantificazione di queste forze separate e fornisce previsioni precise su quando sarà favorito il comportamento vantaggioso per il gruppo. Si scopre che queste previsioni sono sempre coerenti con la regola di Hamilton. Inoltre, poiché la selezione parentale e la teoria della selezione di gruppo sono entrambe basate sulla stessa equazione di Price, è facile dimostrare che i due approcci sono matematicamente equivalenti, e sono semplicemente modi alternativi di suddividere la selezione totale operando sul carattere sociale. Indipendentemente dall'approccio adottato, ci si aspetta che i singoli organismi massimizzino la loro idoneità inclusiva, sebbene questo risultato segua più facilmente da un'analisi di selezione parentale, poiché rende più esplicito l'elemento chiave della relazione.

 

È un fatto storico che ha portato l'equazione di Price ad essere associata alla teoria evoluzionistica, e negli ultimi anni l'equazione ha iniziato a fare la sua comparsa all'interno di altre discipline. I biologi Troy Day e Sylvain Gandon hanno recentemente applicato l'equazione di Price all'epidemiologia, nel contesto dell'evoluzione della virulenza dei parassiti, compreso il virus SARS-CoV-2 (The Price equation and evolutionary epidemiology, 2020). In questo campo è stata utile per concettualizzare e approfondire la comprensione dei risultati teorici esistenti. Essa fornisce anche una via per una migliore comprensione delle corse co-evolutive “agli armamenti” dei parassiti e dei loro ospiti, in cui la selezione naturale porta al miglioramento di una specie, che viene controbilanciato da qualsiasi miglioramento (naturale o indotto dall’esterno, ad esempio dai vaccini) nel suo nemico. Il risultato netto di queste forze può essere difficile da capire quando vengono prese insieme, ma l'equazione di Price fornisce un mezzo per separarle in modo che possano essere considerate e comprese isolatamente.

 

Nella letteratura ecologica, l'equazione di Price ha fornito approfondimenti sull'impatto delle estinzioni locali sulla produttività della comunità. C'è qualche controversia sul fatto che la ricchezza di specie di per sé sia importante, in particolare quando la ridondanza nella funzione significa che nicchie vuote possono essere occupate da altre specie che sono già presenti nella comunità. Il biologo evolutivo ed ecologo dell’Università di Calgary Jeremy Fox, fondatore della “ecologia dinamica”, ha utilizzato l'equazione di Price per separare i vari fattori causali che possono dare origine a effetti sulla produttività della comunità e per fornire un meta-modello che generalizza e consente facili confronti tra i modelli piuttosto complicati e restrittivi che sono stati ideati per affrontare questo problema. Fox ritiene infatti che l’ecologia sia una scienza soprattutto quantitativa.

 

Dopo lo sviluppo della sua equazione, Price continuò a dare altri importanti contributi alla teoria dell'evoluzione. Il primo di questi era quello di dimostrare formalmente e fornire un'interpretazione per il cosiddetto teorema fondamentale della selezione naturale che il genetista e statistico britannico Ronald Fisher aveva presentato in The Genetical Theory of Natural Selection (1930), un risultato che aveva lasciato perplessi i genetisti delle popolazioni per decenni. Il teorema afferma che, in presenza di selezione naturale, la fitness media di una popolazione tende ad aumentare. Fisher affermò che essa coglieva l'azione direzionale e migliorativa della selezione naturale come costruttore di adattamenti dell'organismo. Price dimostrò che il teorema di Fisher era un risultato parziale, una descrizione dell'azione dell'effetto della selezione naturale con l’eliminazione di tutti gli altri effetti evolutivi, e dimostrò il teorema utilizzando la sua equazione. 

 

Il contributo finale di Price è stata la prima esplicita applicazione della teoria dei giochi alla biologia evolutiva, in un fondamentale articolo scritto insieme al biologo inglese John Maynard Smith intitolato The Logic of Animal Conflict (1973), che è considerato come uno degli sviluppi più importanti della teoria dell'evoluzione e ha lanciato un programma di ricerca di grande successo. È Maynard Smith a cui di solito viene attribuita questa svolta, e in effetti ha svolto il ruolo principale nel suo sviluppo. Ma l'idea era nata con Price, in un manoscritto inedito che Maynard Smith aveva recensito per Nature.

 

Quando due maschi si affrontano, in competizione per una compagna o per un territorio, possono comportarsi come "falchi" - combattendo fino a quando uno viene ferito, mutilato, ucciso o fugge - o come "colombe" - posando un po' ma andandosene prima che avvenga un danno grave. Nessuno dei due tipi di comportamento, a quanto pare, è ideale per la sopravvivenza: una specie contenente solo falchi avrebbe un alto tasso di mortalità; una specie contenente solo colombe sarebbe vulnerabile a un'invasione di falchi o a una mutazione che produce falchi, perché il tasso di crescita della popolazione dei falchi competitivi sarebbe inizialmente molto più alto di quello delle colombe.

 

Pertanto, una specie con maschi costituiti esclusivamente da falchi o da colombe è vulnerabile. Maynard Smith mostrò che un terzo tipo di comportamento maschile, che chiamò "borghese", sarebbe più stabile di quello dei falchi o delle colombe. Un maschio “borghese” può agire sia come un falco che come una colomba, a seconda di alcuni segnali esterni; per esempio, può combattere tenacemente quando incontra un rivale nel proprio territorio, ma cedere quando incontra lo stesso rivale altrove. In effetti, gli animali “borghesi” sottopongono il loro conflitto all'arbitrato esterno per evitare una lotta prolungata e reciprocamente distruttiva. Naturalmente in questa applicazione della teoria dei giochi la domanda non è quale strategia sceglie un giocatore razionale (non si presume che gli animali facciano scelte consapevoli, sebbene i loro tipi possano cambiare attraverso la mutazione), ma quali combinazioni di tipi siano stabili e quindi suscettibili di evolversi.

 


L'incapacità di Price di concentrarsi sulla pubblicazione delle sue intuizioni teoriche era dovuta a un'improvvisa esperienza religiosa il 6 giugno del 1970 e a un cambiamento di priorità nella sua vita. Non si sa cosa in particolare abbia portato Price, un ex ateo intransigente, a percorrere questa strada, sebbene abbia menzionato ad Hamilton che una serie di coincidenze lo aveva convinto dell’esistenza di Dio. Arrivò a considerare la sua equazione come un dono divino e, adottando un'interpretazione molto letterale del Nuovo Testamento, rinunciò alla scienza per dedicare la sua vita ad aiutare gli altri (Telmo Pievani ha detto che il suo fu quasi un esperimento su sé stesso per provare la propensione evolutiva all’altruismo). Ospitò i senzatetto nel suo appartamento e donò tutti i suoi soldi e beni ai poveri e ai bisognosi di North London, e la sua vita andò fuori controllo. Sfrattato dalla sua casa, divenne profondamente depresso poco dopo il Natale del 1974, e la mattina del 6 gennaio 1975 fu trovato morto in un appartamento occupato vicino a Soho Square. Si era tagliato la gola con delle forbici. È sepolto in una tomba anonima nel cimitero di St. Pancras, dove un cippo lo ricorda.




venerdì 24 dicembre 2021

James Hutton, fondatore della geologia moderna

 


Il naturalista, chimico e geologo James Hutton (1726–1797) è considerato il fondatore della geologia moderna. Grande osservatore del mondo che lo circondava, arrivò a pensare che la Terra fosse in perenne formazione. Riconobbe che la storia della Terra può essere determinata dalla comprensione di come processi come l'erosione e la sedimentazione avvengono ai giorni nostri. Le sue idee e il suo approccio allo studio della Terra hanno stabilito la geologia come una vera e propria scienza.

Alla fine del XVIII secolo si credeva generalmente che la Terra fosse stata creata solo circa seimila anni prima (il 22 ottobre 4004 a.C., per la precisione, secondo l'analisi accademica del XVII secolo dell'arcivescovo irlandese James Ussher) e che i fossili erano i resti di animali morti durante il diluvio biblico. Per quanto riguarda la struttura della Terra, i "filosofi naturali" concordavano sul fatto che gran parte della roccia fosse costituita da lunghi strati paralleli che si trovavano a varie angolazioni e che i sedimenti depositati dall'acqua venivano compressi per formare la pietra. Hutton capì che questa sedimentazione avviene così lentamente che anche le rocce più antiche sono costituite, nelle sue parole, da "materiali forniti dalle rovine di ex continenti". Il processo inverso si verifica quando la roccia esposta all'atmosfera si erode e si decompone. Chiamò questo accoppiamento di distruzione e rinnovamento il "grande ciclo geologico" e si rese conto che era stato completato innumerevoli volte.

Hutton arrivò alla sua disciplina d’elezione per una strada piuttosto tortuosa. Era nato a Edimburgo il 3 giugno 1726, figlio di un ricco mercante che era tesoriere della città, che morì quando lui aveva tre anni. Studiò alla High School di Edimburgo, dove si dimostrò particolarmente interessato alla matematica e alla chimica, poi a 14 anni frequentò l'Università di Edimburgo nel settore umanistico, studiando i classici. A 17 anni fu apprendista in uno studio legale, ma si interessava di più agli esperimenti chimici. All'età di 18 anni divenne assistente medico e frequentò lezioni di medicina all'Università. Dopo tre anni, si recò all'Università di Parigi per continuare gli studi, laureandosi in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Leida in Olanda nel 1749 con una tesi sulla circolazione del sangue.

Dopo la laurea, Hutton andò a Londra, poi tornò a Edimburgo e riprese gli esperimenti chimici con un caro amico, James Davie. Il loro progetto di produzione di sale ammoniacale dalla fuliggine portò alla loro collaborazione in un redditizio stabilimento chimico, producendo il sale cristallino, fino ad allora disponibile solo da fonti naturali importate dall'Egitto, che veniva utilizzato per la tintura, la lavorazione dei metalli e per preparare sali profumati. 

Hutton ereditò dal padre due fattorie, una in pianura a Slighhouses, e una in collina a Nether Monynut. All'inizio degli anni ‘50 del secolo si trasferì a Slighhouses e iniziò ad apportare miglioramenti, introducendo pratiche agricole da altre parti della Gran Bretagna e sperimentando l'allevamento di piante e animali. Registrò le sue idee e innovazioni in un trattato inedito sugli Elementi di agricoltura.

Fu l'agricoltura che diede origine all'ossessione di Hutton su come la terra potesse reggere il confronto con le forze distruttive del tempo che vedeva all'opera intorno a lui. Hutton iniziò a dedicare le sue conoscenze scientifiche, la sua mentalità filosofica e le sue straordinarie capacità di osservazione a una materia che solo di recente aveva acquisito un nome: la geologia.

In una lettera del 1753 scrisse che si era “appassionato molto allo studio della superficie della Terra, e guardavo con ansiosa curiosità ogni pozzo o fossato o letto di fiume che cadeva sulla mia strada". Il matematico John Playfair, suo amico, raccontò che Hutton aveva notato che "una vasta proporzione delle rocce attuali è composta da materiali ottenuti dalla distruzione di corpi, animali, vegetali e minerali, di formazione più antica". Le sue idee teoriche iniziarono a coagulare nel 1760. Mentre le sue attività agricole continuavano, nel 1764 intraprese un tour geologico del nord della Scozia con George Maxwell-Clerk, antenato del grande fisico James Clerk Maxwell.

Nel 1768, Hutton tornò a Edimburgo, lasciando le sue fattorie ai mezzadri, ma continuando a interessarsi ai miglioramenti delle fattorie e alla ricerca, che includeva esperimenti effettuati a Slighhouses, come quello che gli permise di produrre un colorante rosso ricavato dalle radici della robbia. Un visitatore qualche anno dopo descrisse il suo studio come "così pieno di fossili e apparati chimici che non c'è quasi spazio per sedersi"

Tra il 1767 e il 1774 Hutton fu coinvolto in prima persona nella costruzione del canale Forth e Clyde, sia come azionista sia come membro del comitato di gestione, e partecipò a riunioni che comprendevano numerose ispezioni di tutti i lavori, sfruttando appieno le sue conoscenze geologiche. Nel 1777 pubblicò un opuscolo di “Considerazioni sulla natura, la qualità e le distinzioni del carbone e della polvere di scarto”, che lo aiutò con successo a ottenere l'esenzione dalle accise sul trasporto di piccole quantità di carbone. Nel 1783 fu uno dei fondatori della Royal Society di Edimburgo.

Hutton fu uno dei più influenti esponenti dell'Illuminismo scozzese e conobbe numerose menti di prim'ordine, tra cui il matematico John Playfair, il filosofo David Hume, il fisico e inventore James Watt e l'economista Adam Smith. Hutton non ricoprì mai alcuna carica all'Università e comunicò le sue scoperte scientifiche attraverso la Royal Society. 

Hutton sviluppò diverse ipotesi per spiegare le formazioni rocciose che vedeva intorno a sé, ma secondo Playfair "non aveva fretta di pubblicare la sua teoria, perché era uno di quelli che sono molto più felici per la contemplazione della verità, che per le lodi di averla scoperta”. Dopo circa 25 anni di lavoro, la sua Theory of the Earth; or an Investigation of the Laws observable in the Composition, Dissolution, and Restoration of Land upon the Globe (Teoria della Terra o un'indagine sulle leggi osservabili nella composizione, dissoluzione e ripristino della terraferma sul globo) fu presentata alle riunioni della Royal Society di Edimburgo in due parti nella primavera del 1785. Hutton successivamente lesse il 4 luglio un estratto della sua dissertazione Concerning the System of the Earth, its Duration and Stability (Sul sistema della Terra, la sua durata e stabilità), che aveva stampato e fatto circolare privatamente. In esso, così delineò la sua teoria:

“Le parti solide dell'attuale terraferma sembrano in genere composte da prodotti del mare e da altri materiali simili a quelli che ora si trovano sulle coste. Quindi troviamo motivo per concludere:

1°, Che la terra su cui ci posiamo i piedi non è semplice e originaria, ma che è una composizione, ed è stata formata dall'azione di cause secondarie.

2°, Che prima che fosse creata la terra attuale, era esistito un mondo composto di mare e terra, in cui c'erano maree e correnti, con tali azioni in fondo al mare come avvengono ora. 

E, infine, che mentre la terra attuale si stava formando sul fondo dell'oceano, la terra precedente accoglieva piante e animali; almeno il mare era allora abitato da animali, in modo simile a come lo è attualmente.

Quindi siamo portati a concludere che la maggior parte della nostra terra, se non tutta, è stata prodotta da operazioni naturali su questo globo; ma che per fare di questa terra un corpo permanente, resistente alle azioni delle acque, due cose furono necessarie:

1°, Il consolidamento di masse formate da accumuli di materiali sciolti o incoerenti;

2°, L'elevazione di quelle masse consolidate dal fondo del mare, luogo in cui sono state raccolte, ai luoghi in cui ora si trovano al di sopra del livello dell'oceano”.

 



Nell'estate del 1785 a Glen Tilt e in altri siti nelle Highlands scozzesi, Hutton trovò del granito rosa che penetrava negli scisti metamorfici grigi, in un modo che indicava che il granito era fuso al momento dell’intrusione. Gli affioramenti al ponte crollato di Dail-an-eas gli dimostrarono che il granito si era formato dal raffreddamento della roccia fusa piuttosto che dalla precipitazione dall'acqua come altri credevano all'epoca, e quindi il granito doveva essere più giovane degli scisti. Trovò ancora simili intrusioni della roccia vulcanica nella roccia sedimentaria in altre località della Scozia.

 


L'esistenza di discordanze angolari era stata notata da Niccolò Stenone in Italia e da alcuni geologi francesi in Alvernia, come Jean Étienne Guettard e Nicolas Demarest, che le avevano interpretate come "formazioni primarie". Demarest aveva anche stabilito che le rocce vulcaniche provengono dalla cristallizzazione del magma fuso e che l’erosione non è opera dell’oceano, ma dei fiumi. Hutton volle esaminare formazioni simili per vedere "segni particolari" del rapporto tra gli strati rocciosi. Durante il viaggio del 1787 all'isola di Arran trovò il suo primo esempio di discordanza, ma le condizioni degli strati sottostanti non erano abbastanza chiare, e pensò erroneamente che gli strati fossero conformi in profondità al di sotto dell'affioramento in superficie.

Più tardi, sempre nel 1787, Hutton notò ciò che oggi è nota come "Grande discordanza di Hutton” a Jedburgh, in strati di roccia sedimentaria. In questa località, gli strati di grovacca negli strati inferiori della parete rocciosa sono inclinati quasi verticalmente e, sopra uno strato intermedio di conglomerato, si trovano strati orizzontali di arenaria rossa. In seguito, scrisse che si rallegrava “della fortuna di imbattermi in un oggetto così interessante nella storia naturale della Terra e che da tempo cercavo invano"


Nella primavera del 1788 partì con John Playfair verso la costa sul Mare del Nord a sud di Edimburgo e trovò altri esempi di questa sequenza. Fecero un'escursione in barca lungo le falesie con il geologo Sir James Hall. Trovarono nella scogliera a Siccar Point la sequenza che Hutton chiamò "una bellissima immagine di questa giunzione lavata dal mare". A Siccar Point la giustapposizione di strati verticali di scisto grigio e strati orizzontali sovrastanti di arenaria rossa poteva essere spiegata solo dall'azione di forze formidabili su vasti periodi di tempo. In quel luogo Hutton si rese conto che i sedimenti ora rappresentati dallo scisto grigio, dopo la deposizione, erano stati sollevati, inclinati, erosi e quindi ricoperti da un oceano, dal quale si era poi depositata l'arenaria rossa. Il limite tra i due tipi di roccia a Siccar Point è ora chiamato discordanza di Hutton.


Proseguendo lungo la costa, fecero ulteriori scoperte comprendenti sezioni degli strati verticali che mostravano evidenti increspature (ripple marks), che diedero a Hutton "grande soddisfazione" a conferma della sua supposizione che questi strati fossero stati posti orizzontalmente nell'acqua.


La forza fondamentale, teorizzava Hutton, era il calore sotterraneo, come testimonia l'esistenza di sorgenti termali e vulcani. Dalle sue dettagliate osservazioni, dedusse abilmente che alte pressioni e temperature nelle profondità della Terra avrebbero causato le reazioni chimiche che hanno creato formazioni di basalto, granito e vene minerali. Propose anche che il calore interno provoca il riscaldamento e l'espansione della crosta, provocando gli sconvolgimenti che formano le montagne. Lo stesso processo fa inclinare, piegare e deformare gli strati rocciosi, come esemplificato dall'affioramento di Siccar Point. Questa teoria è stata soprannominata "plutonismo" in contrasto con la teoria allora prevalente del “nettunismo”, ispirata dal diluvio universale.

Sebbene Hutton avesse fatto circolare privatamente una versione stampata dell'abstract della sua Teoria (Concerning the System of the Earth, its Duration, and Stability, “Sul Sistema della Terra, alla sua Durata e Stabilità”), il resoconto completo della sua teoria non apparve in stampa fino al 1788. L’opera contiene la frase "da ciò che è stato effettivamente, abbiamo dati per concludere riguardo a ciò che deve avvenire in futuro”, che ribadiva il concetto espresso da David Hume nel 1777 come "tutte le deduzioni dall'esperienza suppongono (...) che il futuro assomiglierà al passato", e che Charles Lyell avrebbe riformulato in modo memorabile negli anni '30 dell'Ottocento come "il presente è la chiave del passato". Hutton descrisse un universo molto diverso dal cosmo biblico: quello formato da un ciclo continuo in cui rocce e suolo vengono dilavati nel mare, compattati in substrato roccioso, spinto in superficie dai processi vulcanici, e alla fine consumato nuovamente in sedimenti.

Hutton sostenne che dovevano esserci innumerevoli cicli, ciascuno dei quali comportava la deposizione sul fondo del mare, il sollevamento con l'inclinazione e l'erosione, quindi una nuova fase sottomarina con il deposito di ulteriori strati. Credendo che le stesse forze geologiche operanti nel passato sono come le lentissime forze geologiche viste oggigiorno, gli spessori degli strati rocciosi esposti implicavano enormi periodi di tempo. L'articolo così si concludeva "Il risultato, quindi, della nostra presente indagine è che non troviamo traccia di un inizio, nessuna prospettiva di una fine" (No vestige of beginning, no prospect for an end). Questa memorabile dichiarazione di chiusura è stata a lungo celebrata.

A seguito delle critiche, in particolare di quelle del chimico e biologo irlandese Richard Kirwan, che pensava che le idee di Hutton fossero atee e non logiche (il povero Kirwan non ne azzeccava una: vide dei fossili in un basalto, che era in realtà uno scisto metamorfosato, e, da chimico, era un fiero avversario delle idee di Lavoisier). Hutton pubblicò una versione della sua teoria nel 1795, consistente nella versione del 1788 (con lievi aggiunte) insieme a molto materiale tratto da appunti più brevi che aveva già scritto su vari argomenti come l'origine del granito. Comprendeva anche una confutazione di teorie alternative, come quella di Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, che pure non accettava la cronologia biblica, ma era un convinto nettunista, almeno per la fase più recente della storia della Terra, e pensava che il vulcanismo fosse prodotto dalla combustione sotterranea di zolfo e carbone.

Il nuovo libro era intitolato An Investigation of the Principles of Knowledge and of the Progress of Reason, from Sense to Science and Philosophy. Le sue 2.138 pagine in tre volumi spinsero Playfair a notare che "La grande dimensione del libro, e l'oscurità che si può giustamente obiettare in molte parti di essa, hanno probabilmente impedito che fosse accolta come merita”.

Oltre alle considerazioni scientifiche, il libro conteneva una lunga premessa filosofica, un'ampia discussione sulla conoscenza umana scritta in risposta alle opere di Hume, Locke e Berkeley, Hutton esponeva un sistema metafisico in cui l'analisi della causalità è centrale. Partendo dalla base della conoscenza in sensazione, percezione, passione e azione, passava a una discussione sulla natura delle idee e della ragione, i diversi tipi di prova, potere e materia. La sua conclusione era teista ma non cristiana, e sottolineava che l'uomo non deve permettere che la religione venga corrotta da coloro che ignorano la scienza e la filosofia.

Uno dei concetti chiave di Hutton era la Teoria dell’uniformismo, o attualismo, cioè la convinzione che le forze geologiche in azione ai giorni nostri, appena percettibili all'occhio umano, ma immense nei loro effetti nel tempo, siano le stesse di quelle che operavano in passato. Ciò significa che le velocità con cui si verificano oggi processi come l'erosione o la sedimentazione sono simili a quelle del passato, rendendo possibile stimare i tempi necessari per depositare un'arenaria, ad esempio, di un determinato spessore. Divenne evidente da tale analisi che erano necessari enormi intervalli di tempo per spiegare gli spessori degli strati rocciosi esposti. L'uniformismo è uno dei principi fondamentali delle scienze della terra. Le teorie di Hutton costituivano, al di là delle sue stesse intenzioni, un attacco frontale a una scuola di pensiero a lui contemporanea chiamata catastrofismo: la convinzione che solo le catastrofi naturali, come il Diluvio Universale, potessero spiegare la forma e la natura di una Terra di 6.000 anni. La grande età della Terra è stato il primo concetto rivoluzionario emerso dalla nuova scienza della geologia. Le sue nuove teorie lo posero in opposizione con le allora popolari teorie del tedesco Abraham Gottlob Werner, secondo cui tutte le rocce erano precipitate da un unico enorme diluvio.

Oltre a combattere i nettunisti, Hutton inaugurò anche il concetto di tempo profondo. Invece di accettare che la Terra non ha più di qualche migliaio di anni, sostenne che essa doveva essere molto più antica, con una storia che si estendeva indefinitamente nel lontano passato. La sua principale argomentazione era che gli enormi spostamenti e cambiamenti che stava vedendo non erano avvenuti in un breve periodo di tempo per mezzo di una catastrofe, ma che i processi che ancora avvenivano sulla Terra ai giorni nostri li avevano causati. Poiché questi processi erano molto graduali, la Terra doveva essere antica, per consentire il tempo per i cambiamenti. In poco tempo, le indagini scientifiche provocate dalle sue affermazioni avevano spinto indietro l'età della terra di milioni di anni, ancora troppo breve se confrontata con l'età oggi accettata di 4,6 miliardi di anni, ma un netto miglioramento.

Dal 1791 soffrì di forti dolori a causa di calcoli alla vescica e rinunciò al lavoro sul campo per dedicarsi al completamento dei suoi libri. Un'operazione pericolosa e dolorosa non riuscì a risolvere la sua malattia. Morì a Edimburgo nel 1797.


Si è detto che la prosa dei “Principi di conoscenza” era così oscura da impedire anche l'accettazione delle teorie geologiche di Hutton. Le riformulazioni delle sue idee geologiche (sebbene non i suoi pensieri sull'evoluzione) da parte di John Playfair nel 1802 e poi di Charles Lyell nel 1830 resero popolare il concetto di un ciclo che si ripete all'infinito.

L'effetto che questo ritratto di un pianeta antico e dinamico ebbe sui pensatori che lo seguirono nel secolo successivo fu profondo. Charles Darwin, ad esempio, conosceva bene le idee di Hutton, che fornivano una base per gli enormi intervalli di tempo richiesti dall'evoluzione biologica che osservava nei reperti fossili. Il geologo inglese Charles Lyell, nato l'anno in cui Hutton morì e il cui influente libro Principles of Geology favorì un’ampia accettazione per la teoria dell'uniformismo, scrisse che “L'immaginazione fu dapprima affaticata e sopraffatta dal tentativo di concepire l'immensità di tempo richiesta per l'annientamento di interi continenti da un processo così impercettibile”. Le "idee di sublimità" risvegliate da questo "piano di tale estensione infinita", come lo chiamava Lyell, ispirarono le generazioni di geologi successive.


martedì 21 dicembre 2021

Niccolò Stenone e il Prodromo a una dissertazione sui solidi naturalmente contenuti in altri solidi


Nonostante una carriera scientifica relativamente breve, il lavoro di Niccolò Stenone (1638-1686) sulla formazione degli strati rocciosi e dei fossili che vi sono contenuti è stato cruciale per lo sviluppo della geologia moderna. I principi che ha affermato continuano ad essere utilizzati oggi da geologi, paleontologi e archeologi.

Stenone nacque come Niels Steensen, ma è meglio conosciuto con le forme latinizzate del suo nome, Nicolas Stenonis o Nicolas Steno. Nato a Copenaghen, in Danimarca, lasciò la patria nel 1660 per studiare medicina presso il principale centro di educazione medica del suo tempo nell’Europa settentrionale, l'Università di Leida nei Paesi Bassi. Dopo brevi soggiorni a Parigi e Montpellier, si trasferì a Firenze, in Italia, nel 1666. I suoi studi di anatomia attirarono l'attenzione del Granduca di Toscana, Ferdinando II de' Medici, che fu un grande mecenate delle scienze. La corte del Granduca, e in particolare l’Accademia del Cimento fondata nel 1657 assieme al fratello Leopoldo, erudito e collezionista, poi cardinale, era allora punto di incontro di alcuni dei più importanti scienziati del tempo, tra cui il matematico Vincenzo Viviani, allievo di Galileo, il medico e naturalista Francesco Redi, l’erudito e diplomatico Lorenzo Magalotti e il medico, fisiologo e anatomista Marcello Malpighi. Fu soprattutto con Viviani e Redi che Stenone strinse rapporti di amicizia. Il duca Ferdinando lo nominò a un incarico che gli lasciò molto tempo per i suoi studi. I suoi studi anatomici si concentrarono inizialmente sul sistema muscolare e sulla natura della contrazione muscolare: ad esempio, utilizzò la geometria per dimostrare che un muscolo in contrazione cambia la sua forma ma non il suo volume. 

Tuttavia, nell'ottobre 1666, due pescatori catturarono un enorme squalo vicino a Livorno e il duca Ferdinando ordinò che la sua testa fosse inviata a Stenone. Egli la sezionò e pubblicò le sue scoperte nel 1667. Mentre esaminava i denti dello squalo, Steno fu colpito dalla loro somiglianza con alcuni oggetti di pietra, chiamati glossopetrae o "lingue di pietra", che si trovavano in alcune rocce. Gli Antichi, come Plinio il Vecchio, avevano ipotizzato che queste pietre cadessero dal cielo o dalla luna. Altri erano dell'opinione che i fossili crescessero naturalmente nelle rocce. Il contemporaneo di Stenone, Athanasius Kircher, ad esempio, attribuiva i fossili a una "virtù lapidante diffusa attraverso l'intero corpo del geocosmo". Stenone, tuttavia, sostenne che le glossopetrae, comprese quelle che “potevano esser raccolte a barili, soprattutto a Malta”, sembravano denti di squalo perché erano denti di squalo, che provenivano dalla bocca di squali un tempo viventi e venivano sepolti nel fango o nella sabbia che ora erano terraferma. C'erano differenze nella composizione tra le glossopetrae e i denti di squali viventi, ma Stenone sostenne che i fossili potevano essere alterati nella composizione chimica senza cambiare la loro forma.


La conclusione di Stenone può sembrare così palesemente ovvia da essere insignificante. Inoltre, egli non fu il primo a collegare le "lingue di pietra" con i denti di squalo. Anche i suoi contemporanei inglesi Robert Hooke e John Ray sostenevano che i fossili erano i resti di organismi un tempo viventi. Il naturalista italiano Fabio Colonna aveva affermato che le "lingue di pietra" erano denti di squalo in un libro pubblicato nel 1616, e altri avevano notato la somiglianza anche prima. Tuttavia, è importante ricordare che i denti di squalo e alcuni altri fossili come bivalvi e gasteropodi relativamente giovani sono "fossili facili" - assomigliano molto agli organismi viventi. Moltissimi fossili non sembrano affatto organismi viventi comuni. Possono essere conservati in un modo insolito; possono rappresentare solo una parte o un frammento di un organismo; possono appartenere a taxa estinti, oppure le loro parti molli, andate distrutte, possono essere sconosciute. Ai tempi di Stenone, infatti, la parola "fossile" poteva significare praticamente qualsiasi cosa scavata dalla Terra. I naturalisti non sempre distinguevano tra "fossili" che assomigliavano a organismi viventi e "fossili" come cristalli e minerali che si erano formati all'interno della Terra. Per tutte queste ragioni, la distinzione tra quali oggetti trovati nelle rocce erano o non erano organismi viventi un tempo non era per niente ovvia nel diciassettesimo secolo.

Il lavoro di Stenone sui denti di squalo lo portò alla questione più generale di come un oggetto solido potesse trovarsi all'interno di un altro oggetto solido, come una roccia o uno strato di roccia. I "corpi solidi nei solidi" che attirarono l'interesse di Stenone erano non solo i fossili come li definiremmo oggi, ma minerali, cristalli, incrostazioni, vene e persino interi strati di roccia. Le idee di Stenone su come questi avrebbero potuto formarsi furono pubblicate nel 1669 a Firenze, con il titolo De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus, ovvero “Discorso preliminare a una dissertazione su un corpo solido naturalmente contenuto in un solido”. 


In quest'opera Stenone pone in modo sostanzialmente nuovo il problema della classificazione dei fossili, e della ricostruzione della storia geologica in base al modo in cui questi, e altre rocce, sono contenuti all'interno di rocce più grandi. Stenone interpretò correttamente la natura dei fossili come resti di animali vissuti precedentemente. Il caso rimasto più famoso è quello da cui egli era partito, quello delle glossopetrae, identificate come denti di squali. Un altro principio introdotto fu quello della formazione a stampo. Essa stabilisce che, quando un solido naturale è racchiuso in un altro, è possibile dedurre quale dei due si sia indurito per primo osservando l'impronta dell'uno sull'altro. Un terzo principio, che stabilisce un criterio di somiglianza tra cause a partire dalla somiglianza tra effetti, è formulato con grande chiarezza all’inizio della seconda parte del Prodromus:

“Se una sostanza solida è in ogni aspetto simile ad un’altra tale sostanza, non soltanto per le condizioni della sua superficie, ma anche per l’organizzazione interna delle sue parti e componenti, essa sarà simile all’altra anche riguardo al modo e al luogo della sua produzione”.

Il Prodromus è spesso considerato come una delle pietre miliari della letteratura geologica. I chimici e gli esperti in scienze dei materiali conoscono quest’opera come il luogo in cui è stata formulata la prima legge della cristallografia, la cosiddetta Legge di Stenone, ovvero il fatto che gli angoli diedri di cristalli dello stesso tipo sono indipendenti dalle dimensioni assolute dei cristalli stessi. 

Supponendo che tutte le rocce e i minerali fossero stati un tempo fluidi, Stenone pensò che gli strati rocciosi e depositi simili si fossero formati quando le particelle sospese in un fluido come l'acqua cadevano sul fondo. Questo processo avrebbe generato strati orizzontali. Così il principio di orizzontalità originaria di Stenone afferma che gli strati rocciosi si depositano in posizione orizzontale, ed eventuali deviazioni da questa posizione sono dovute al successivo movimento delle rocce. Steno ha affermato un altro principio più generale in questo modo:

Se un corpo solido è racchiuso da tutte le parti da un altro corpo solido, dei due corpi quello prima si è indurito il quale, nel reciproco contatto, esprime sulla propria superficie le proprietà dell'altra superficie.

In altre parole: un oggetto solido farà sì che tutti i solidi che si formeranno intorno ad esso si conformino alla propria forma. Steno riuscì a dimostrare con questo ragionamento che fossili e cristalli dovevano essersi solidificati prima che si formasse la roccia ospite che li contiene. Se una "lingua di pietra" fosse cresciuta all'interno di una roccia, sarebbe stata distorta dalla roccia circostante, più o meno allo stesso modo in cui una radice di un albero viene distorta crescendo in una fessura nella terra. La "lingua di pietra" doveva invece essere sepolta in sedimenti molli che si sono successivamente induriti. Vene (fessure riempite di minerali) e molti cristalli, d'altra parte, devono essersi formati dopo che la roccia circostante era già solida, perché spesso mostravano irregolarità di forma causate dal doversi conformare alla roccia solida circostante. Questi, sosteneva Stenone, dovevano essere cresciuti dai fluidi che percolavano all'interno della Terra, nello stesso modo in cui si potevano far crescere i cristalli negli esperimenti di chimica. Infine, nel caso degli strati, quelli superiori si conformano alla forma degli strati inferiori. e quindi, in un insieme di strati, gli strati più giovani devono essere quelli della sommità, e i più vecchi devono giacere sul fondo. Questa conclusione segue anche dal ragionamento di Stenone che gli strati rocciosi si formano quando le particelle cadono dalla sospensione in un fluido, ma si applica anche alle rocce che non si formano in questo modo, come molte rocce ignee. Questo è ora denominato principio di sovrapposizione di Stenone: gli strati di roccia sono disposti in una sequenza temporale, con il più vecchio in basso e il più giovane in alto, a meno che processi successivi non disturbino questa disposizione. Stenone accennò anche al principio di continuità laterale, per il quale gli strati di sedimenti inizialmente si estendono lateralmente in tutte le direzioni; in altre parole, essi sono lateralmente continui se non incontrano altri corpi solidi che bloccano la loro deposizione. Di conseguenza, rocce che sono simili sotto altri aspetti, e che oggi sono separate da una valle o da altra caratteristica erosiva, possono essere considerate originariamente continue.


Stenone si rese conto che altri processi geologici potevano creare apparenti eccezioni alle sue leggi di sovrapposizione e orizzontalità. Pensava che la formazione di grotte potrebbe rimuovere parte di uno strato inferiore e che il crollo di una grotta potrebbe trasportare grandi pezzi di uno strato superiore verso il basso. Riconobbe che le rocce potevano essere sollevate da forze sotterranee. I geologi ora riconoscono che inclinazioni, pieghe e faglie possono anche complicare l'analisi di una sequenza stratigrafica. La roccia fusa può farsi strada attraverso le rocce circostanti e talvolta può infilarsi tra gli strati rocciosi più vecchi, formando un'eccezione alla legge di Stenone. Tuttavia, tali anomalie lasciano prove fisiche nelle rocce disturbate; ad esempio, gli strati rocciosi fagliati possono essere fessurati, rotti o trasformati lungo la linea di faglia o metamorfosati dal contatto con un’intrusione di magma caldo in risalita. 

Va inoltre ricordato che la legge di Stenone considera un tempo relativo, non assoluto: due strati rocciosi, in linea di principio, potrebbero essersi formati a distanza di milioni di anni o di poche ore o giorni l'uno dall'altro. Stenone stesso non vide difficoltà nell'attribuire la formazione della maggior parte delle rocce al diluvio menzionato nella Bibbia. Tuttavia, notò che, dei due principali tipi di roccia dell'Appennino vicino a Firenze, gli strati inferiori non avevano fossili, mentre quelli superiori erano ricchi di fossili. Suggerì che gli strati superiori si fossero formati nel Diluvio, dopo la creazione della vita, mentre quelli inferiori si fossero formati prima che la vita esistesse. Questo è stato il primo uso della geologia per cercare di distinguere diversi periodi di tempo nella storia della Terra, un approccio che si sarebbe sviluppato in modo spettacolare nel lavoro degli scienziati successivi. 

Stabilendo tali criteri, di fatto, Stenone gettò le basi per la stratigrafia e della geologia come una scienza storica, vale a dire, una disciplina che riguarda sequenze di eventi nel tempo, le quali possono essere ricostruite grazie alle tracce (“vestigia”) che quegli eventi hanno lasciato. Stenone accomuna esplicitamente la geologia come scienza storica alla storia come studio del passato dell’umanità, affermando che entrambe le discipline trovano la loro guida nella deduzione logica della migliore spiegazione possibile in base ai dati in nostro possesso, grazie alla quale è possibile proporre cause passate per tracce rinvenute nel presente. Stenone aggiunge poi che il tipo di tracce su cui si può costruire la geologia (vale a dire, “solidi dentro solidi”) sono di gran lunga più affidabili delle tracce (cioè, documenti o artefatti di umana produzione) da cui si può ricostruire la storia. Queste ultime, infatti, sono solo “segni”, che possono anche essere prodotti con inesattezze intrinseche, volute ambiguità, o anche per ingannare; le prime, al contrario, sono “vestigia”, tracce delle cose stesse esenti, per così dire, da mediazioni o convenzioni umane.

Stenone abbandonò essenzialmente la scienza dopo la sua conversione al cattolicesimo romano nel 1667, con grande sgomento di alcuni dei suoi colleghi filosofi naturali. Fu ordinato sacerdote nel 1675. Nel 1677 divenne vescovo titolare in partibus infidelium e trascorse il resto della sua vita assistendo le minoranze cattoliche della Germania settentrionale, della Danimarca e della Norvegia. Nel 1680 si spostò ad Amburgo e nel 1685 a Schwerin, dove rinunciò alla dignità episcopale e visse come semplice sacerdote fino alla morte, avvenuta l’anno successivo. Per volere di Cosimo III la salma fu trasportata a Firenze; gli furono tributate solenni esequie e fu sepolto nella cripta della Basilica di San Lorenzo.

Non scrisse mai l'opera più grande per la quale il suo Prodromus doveva servire solo come introduzione. Eppure, il suo breve testo è stato riconosciuto come un importante contributo a sé stante, che fu ampiamente diffuso, tradotto, al punto che Stenone viene oggi definito il "padre della stratigrafia". Fu proclamato beato da papa Wojtyła nel 1988 ed è dal 15 ottobre 1921 il patrono dei geologi italiani. Ma questa non è colpa sua.