lunedì 13 dicembre 2021

Ars honeste petandi in societate: se l’azione non può essere soggetta al giudizio

 


Sant'Agostino afferma di aver visto qualcuno,
che comandava al suo didietro tutte
le scoregge che voleva: e [...] Vives offre
un altro esempio del suo tempo, di scoregge
organizzate, secondo il tono di voce
che loro si rivolgeva.

Montaigne, Essais, 1.20

La Ars honeste petandi in societate (“L’arte di scoreggiare onorevolmente in società”) è un trattato attribuito a un tal M. Ortuinum. Il libro è menzionato da François Rabelais nel VII capitolo del secondo libro di Gargantua e Pantagruel, dove si legge che Pantagruel arriva a Parigi e, “dopo aver assiduamente studiato le sette arti liberali”, visita la biblioteca di San Vittore e “giudicò che la biblioteca era magnifica, specialmente per certi libri che vi trovò”. L’autore fornisce un elenco di 135 volumi in essa custoditi, tra i quali figura anche il trattato. L’elenco dell’umanista Rabelais è evidentemente parodistico e molti dei titoli presentano numerosi riferimenti scatologici, come il De modo cacandi (“Sul modo di cacare”) di un tal Tartaretus o l’anonimo Cacatorium medicorum (“Cesso dei medici”); altre opere sono invece parodie culinarie, come il De modo faciendi boudinos (“Sul modo di fare i budini”) di un certo Major o il De optimitate triparum (“Sull’eccellenza delle trippe”), attribuito addirittura al venerabile Beda. Simili titoli hanno da sempre indirizzato la critica a giudicare l’intero elenco come frutto della fantasia di Rabelais.

Se la biblioteca di San Vittore esisteva davvero nel XVI secolo, i titoli elencati da Rabelais, al contrario, si riferiscono più spesso a libri immaginari e servono a denunciare lo spirito antiumanista dei monaci parigini, che avevano preso di mira, tra gli altri, Erasmo da Rotterdam. L'interpretazione più comune di questa Ars petandi, formulata da Paul Lacroix in Le catalogue de la bibliothèque de l'abbaye de Saint-Victor au seizième siècle (1862), vuole che Rabelais qui si prenda gioco di Arduino di Graës (Ortuinum Gratus), teologo di Colonia e feroce oppositore dell'umanesimo. L'idea di attribuirgli il trattato sarebbe venuta dal fatto che era “Maestro di arti liberali” (bonarum artium professor), e il tema del peto sarebbe stato suggerito dall'equivoco, per le orecchie francesi, del titolo di un opuscolo pubblicato nel 1525: Fasciculus rerum expetendarum ac fugiendarum (Piccolo trattato delle cose da cercare e da evitare).

Questo non è tuttavia il caso dell’opera di Ortuinum. Sebbene dell’autore non si sappia nulla, e le attribuzioni a un umanista tedesco in vena di scherzi, contemporaneo di Rabelais, non hanno retto alle verifiche stilistiche e lessicali degli esperti, il trattato è noto da secoli, a partire dal ritrovamento nel 1923 di una manoscritto nell’abbazia benedettina di Reichenau, sul lago di Costanza, e, successivamente, con variazioni minime, a Cracovia, Erfurt, Lione e Codogno. 

La copia di Lione è persino un esemplare a stampa, Ars petandi in societate, cum scholiis, F. R. M., Lyon, apud Seb. Gryphium, 1532, scoperta in un fondo bibliografico dallo storico letterario e scrittore canadese Claude La Charité nel 2008. Secondo La Charité, l'identità dell'autore non è rivelata sul frontespizio o nel corpo dell'opera, ma l'edizione è corredata da scolii di un certo "F.R.M.". Questa firma, indicante il medico François Rabelais (Franciscus Rabelaesus Medicus) comparirebbe proprio nelle lettere di dedica inserite in capo alle edizioni che Rabelais curò in latino per lo stesso editore lionese, Sébastien Gryphe. Il trattato, scritto in latino, è composto da sei parti (De flatibus et crepitis, De crepitis et de regimine sanitatis, De natura crepitandi et de arte petandi, De peditis ac eorum generibus, De decoro et de apte petandi arte e Encomium pediti) per un totale di 64 pagine, ma, alla fine, si rivela per quello che è: uno scherzo erudito del letterato del Québec, che rivela in modo criptato la propria identità in una citazione finale tratta dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi: αγάπη ου ζητεί τα εαυτής (la carità non cerca il proprio interesse).


L’esemplare di Cracovia fu oggetto negli anni sessanta di un piccolo studio del filosofo e critico letterario sovietico Michail Michailovič Bachtin, tra le altre cose esperto di Rabelais, che mise in evidenza come l’opera sia anteriore alla fine del XIII secolo, sia nata in ambiente monastico, e rifletta e tradizioni del Carnevale (come del resto tutte le opere da lui prese in considerazione, dalle frammentarie cronache ecclesiastiche dell’alto medioevo ai romanzi di Thomas Mann, al Tractatus di Wittgenstein, ai testi di Domenico Modugno).

Più approfondita è stata la trattazione della filosofa e filologa inglese Eleanor Morris, che ritroviamo come prefazione alla prima edizione a stampa, curata dall’Oxford University Press nel 1976 con il titolo The Choice of Appropriately Farting in Society, che ha riconosciuto le profonde influenze tomiste sull’autore, sia esso Ortuinum o chi per lui. Morris è stata la prima commentatrice ad aver scelto di tradurre il latino Ars non come Arte, ma come Scelta (choice), volendo sottolineare l’azione come libera volontà del soggetto.

Secondo Ortuinum, l'attività centrale della ragione pratica è la deliberazione su cosa fare, soprattutto al sabato sera. Non si avrebbe bisogno di deliberare a meno che non ci si trovasse di fronte a possibili alternative per l'azione (tipi di opportunità) tra le quali si deve scegliere (nel senso che non si possono fare entrambe le cose contemporaneamente) e si può scegliere. I criteri che sono le guide appropriate per le proprie deliberazioni, scelte e azioni forniscono tale indirizzo, non prevedendo ciò che si farà, ma dirigendo ciò che si dovrebbe fare. Non ci potrebbe essere alcuna normatività, nessuna direttività pratica che guidi la scelta, a meno che le scelte libere non siano realmente possibili. 

La posizione di Ortuinum è, secondo la Morris, che non tutte le nostre attività sembrano scelte liberamente: vi sono infatti “atti della persona umana”, forse abbastanza frequenti, che non sono “atti umani” in senso proprio (liberamente scelti) ma piuttosto spontanei e non deliberati, come quando si starnutisce o si defeca. Né gli atti scelti devono essere immediatamente preceduti dalla scelta: molti dei propri atti sono il frutto di scelte che sono state fatte in passato e non hanno bisogno di essere rinnovate o ripetute ora, poiché nessuna opzione appare attraente (l’uomo può rimpiangere un eccesso di lenticchie o cipolle la sera precedente, ma non può tornare indietro). È che si può essere, e spesso ci si trova, in una posizione tale che, di fronte a due o più possibilità (compresa forse l'opzione del “non fare”), non c'è niente, né dentro né fuori la propria costituzione personale, che determina la propria scelta, oltre alla scelta stessa. 

Ortuinum intende la libertà delle nostre scelte come una realtà tanto primaria quanto metafisicamente e concettualmente irriducibile, come la realtà delle leggi fisiche, e pone tutte le sue riflessioni sulla morale e sulla ragion pratica sotto il titolo di “dominio dei propri atti”. Pertanto, emettere un peto in mezzo agli altri è un atto di libera scelta, anche quando sembra una coercizione del nostro corpo, cioè della Natura stessa. Trattenerlo, con il conseguente ribollio dell’intestino e la sofferenza che nasce da questo fatto, sarebbe un peccato di hybris. Se non ci fosse tale libertà e autodeterminazione, non potrebbe esserci alcuna responsabilità (colpa, merito, ecc.), e nessun senso o contenuto a qualsiasi dovere (normatività) di cui si occupa l'etica. L’espulsione di venti corporali è una scelta che, se viene attuata, non può comportare un giudizio morale o di opportunità sociale, purché venga intrapresa consapevolmente e onorevolmente.

A parere di Morris, Ortuinum riunisce in una sintesi potente (anche se esposta in modo confuso) una lunga tradizione di analisi degli elementi di comprensione (ragione) e risposta intelligente (volontà) che costituiscono la deliberazione, la scelta e l'esecuzione della scelta. L'analisi mostra la centralità dell'intenzione nella valutazione delle opzioni e delle azioni. In senso stretto, l'intenzione è sempre dei fini, e la scelta è dei mezzi; ma poiché ogni mezzo è anche un fine relativo a un mezzo più prossimo, ciò che si sceglie quando si adotta una delle due o più proposte per la propria azione, è giustamente detta essere ciò che si intende, ciò che si fa con l'intenzione. Un’azione è paradigmaticamente ciò che si intende essere; vale a dire, la sua descrizione moralmente primaria - prima di qualsiasi valutazione o predicato morale - è la descrizione che ha avuto nella deliberazione con cui si plasmava la proposta di agire in tal modo. Il modo di pensare di Ortuinum è questo: gli atti sono specificati dai loro oggetti, dove “oggetti” ha il significato focale di fine prossimo come previsto dalla persona deliberante e agente. Naturalmente, al comportamento implicato in quell'atto possono essere date altre descrizioni alla luce di convenzioni di descrizione, o aspettative e responsabilità, e così via, e all'una o all'altra di queste descrizioni può essere data priorità per legge, consuetudine o qualche altro speciale interesse o prospettiva. Tuttavia, il peto volontario trascende, o precede, ogni considerazione di ordine morale, legale o sociale.

La coscienza, secondo Ortuinum, non è un potere o una presenza speciale dentro di noi, ma è la nostra intelligenza pratica all'opera, principalmente sotto forma di una serie di giudizi sulla ragionevolezza (giusto) o irragionevolezza (sbagliato) dei tipi di azione (tipi di opzione). Infatti, poiché è logicamente impossibile che si possa essere consapevoli che il proprio presente giudizio di coscienza è errato, contrapporsi al proprio fermo giudizio di coscienza è contrapporsi ai beni di verità e di ragionevolezza, e ciò non può non essere errato. La scoreggia in società è pertanto un atto onesto, deliberato e cosciente, che, se può provocare qualche disagio (la puzza, ma la sensibilità medievale per gli odori era assai diversa da quella dei nostri nasini raffinati) va comunque inteso come libera adesione alla volontà divina.


Tra le fonti: 

La Charité, C. (2008). Rabelais et l’art de péter honnêtement en société. Contre-jour, (16), 111–124, 

Finnis, John, Aquinas’ Moral, Political, and Legal Philosophy, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2021 Edition), Edward N. Zalta (ed.), 

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