sabato 5 marzo 2022

I primi darwinisti italiani e i loro oppositori

 


Francesco De Sanctis (1817–83), professore di letterature comparate all'Università di Napoli e uno dei più grandi storici e critici letterari del nostro paese, pochi mesi prima di morire tenne la conferenza Il darwinismo nell'arte, prima a Roma l'11 marzo 1883 e poi il 30 dello stesso mese a Napoli. De Sanctis riconosceva che Darwin aveva cambiato il nostro pensiero, le nostre opinioni, il nostro essere e l'ambiente: "Ci sono uomini che possono ignorare i libri, ed anche il nome di Darwin, ma, loro malgrado, vivono in quell’ambiente sentono i suoi influssi”. Infatti, secondo De Sanctis, “Se Darwin fosse stato solo un naturalista, la sua influenza sarebbe rimasta in quella cerchia speciale di studi. Ma Darwin non fu solo lo storico, fu il filosofo della natura, e dai fatti e dalle leggi naturali cavò tutta una teoria intorno ai problemi più importanti della nostra esistenza, ai quali l’umanità non può rimanere indifferente”

Quasi cento anni più tardi, il filosofo Paolo Rossi scriveva (in Letteratura e scienza nella storia della cultura italiana, 1978) che il darwinismo “fu non solo una grande rivoluzione scientifica, ma anche decisivo capovolgimento di quadri intellettuali. Con esso fu introdotto nella storia un modo nuovo di guardare la realtà, di considerare la natura, di concepire il tempo, di percepire il rapporto fra uomo e natura, di considerare le connessioni fra storia animale e storia umana, di avvertire la presenza, accanto all’uomo, delle altre forme in cui si esprime la vita”

L’evoluzionismo ha davvero rappresentato, per dirla alla Kuhn, un cambio di paradigma, non solo all’interno delle scienze biologiche, ma nella cultura moderna in generale: nessuna teoria scientifica ha modificato così radicalmente la percezione del rapporto fra uomo e natura come quella formulata da Darwin. 

Le idee di Darwin, pubblicate per la prima volta in Inghilterra nel 1857, furono accolte anche nel nostro paese con grande interesse dagli addetti ai lavori: i naturalisti italiani colsero subito, ancor prima dell'uscita di L'origine dell'uomo nel 1871, le implicazioni della teoria dell'evoluzione per la comprensione dei rapporti di parentela fra la specie umana e il resto del vivente. Non solo, furono fra i primi a capire l'importanza di un'educazione scientifica diffusa e organizzarono numerose conferenze e lezioni divulgative molto seguite, anche se non bisogna dimenticare che stiamo parlando di un paese dove il 75% della popolazione era analfabeta. 

La prima fu l’11 gennaio 1864, quando il milanese Filippo De Filippi (1814-1867), medico, anatomista, viaggiatore, professore di zoologia dell'Università di Torino, tenne una lettura popolare dal titolo L'uomo e le scimie, in cui per la prima volta venivano sostenute pubblicamente le idee “rivoluzionarie” di Darwin, applicate anche alle origini naturali dell'uomo. Così esordiva: 
"La infinitamente bella e grande varietà di forme di piante e di animali che popolano ora la superficie della terra, non è apparsa tutta insieme d’un sol getto, ma è stata preceduta da una successione di altre forme diverse, di altri mondi di viventi, che hanno lasciate, a documento della loro passata esistenza, spoglie più o meno complete negli strati della corteccia terrestre." 
De Filippi, tuttavia, volle distinguere nettamente il "regno animale" dal "regno umano" delle qualità psicologiche, morali e spirituali, prodotto sì dell'evoluzione ma del tutto sui generis
“Un’ultima considerazione, signori. Ripensate un istante alle immediate ed alle remote conseguenze di quel semplice atto che è l’accendimento d’un ramo secco, al qual non arriva la capacità della scimia. Di là si venne subito alla pentola, primo fondamento della famiglia, all’altare ardente ed alla fucina, primi fondamenti delle società umane. Ma non è ancora quello ch’io voglio dire. 

Un pensiero che ho preso al volo in una conversazione famigliare con un mio dottissimo amico, mi pare conduca a riconoscere un’alta ragione teleologica nel regno umano. Per verità il naturalista deve stare bene in guardia contro il principio delle cause finali, per evitare il pericolo di fare della scienza sentimentale a capriccio; ma quando una manifestazione di questo principio scaturisce da sé, senza tormentare i fatti, io non vedo il perché si debba respingere come una tentazione funesta. (...) Lo stemma del regno umano abbia adunque la doppia corona dell’ordine morale e dell’ordine teleologico”. 
De Filippi viaggiò per ricerche in Persia, poi in Sudamerica e Asia, e morì a Hong Kong per un’infezione, o, più probabilmente, di colera. 


La lezione riscosse consensi entusiastici e reazioni indignate, secondo uno schema che si sarebbe ripetuto spesso. Da Bologna il naturalista e geologo cattolico Giovanni Giuseppe Bianconi (1809-1878) rispondeva indignato che l'uomo non sarebbe potuto derivare da scimmie antropomorfe, ed avrebbe invece dovuto essere il risultato di una creazione indipendente, essendo distinto da tutti gli altri animali dall'intelligenza e dalla morale. 

Nel 1865 Bianconi pubblicò un'opera sulla presunta origine dell'uomo dalle scimmie (Les singes et l'homme,considérations naturelles sur leurs pretendues affinités, Versailles 1865), nella quale contestava tale derivazione, che considerava umiliante e offensiva. Sosteneva che il cervello umano si sarebbe evoluto attraverso lo sviluppo delle facoltà "cerebrali" e quello dei quadrumani per estensione delle facoltà "violente e brutali". Nella difesa della teoria delle "creazioni indipendenti" affermava che l'uomo è l'opera diretta dell'Autore della natura e non ha alcuna affinità genealogica o consanguineità con le scimmie. 

Nel 1874 Bianconi pubblicò a Bologna, in forma di lettera a Darwin, La théorie darwinienne et la création dite indépendante. Questa opera costituì uno dei pochi tentativi seri fatti in Italia per opporre alle tesi evoluzionistiche di Darwin argomenti scientificamente plausibili. L'autore infatti contestava che le strutture omologhe (la mano dell'uomo, le zampe del quadrupede, l'ala del pipistrello) potessero essere interpretate come conseguenza di un nesso filogenetico e cercava di dimostrare che questa somiglianza è in determinata dalla analogia di condizioni meccaniche in cui vivono i vari organismi (in questo aveva ragione, e anticipò senza volerlo in concetto di convergenza evolutiva). 

I primi germi della contestazione dello stato delle cose presenti e del predominio culturale ecclesiastico allarmarono anche il grande astronomo padre Angelo Secchi (1818-1878) che, nel 1864, in L’unità delle forze fisiche, dedicò poche ma significative righe alla confutazione delle idee darwiniane, proponendo un Disegno Intelligente ante litteram
“Esiste è vero in natura una mirabile serie di esseri e uno sviluppo meraviglioso di forme dalle più semplici alle più complesse, organismi dai più rudimentali ai più sublimi, ma la causa che le determinò non può trovarsi nelle pure leggi della materia, ed è necessario ricorrere ad un principio libero che nella scelta e nella coordinazione delle forme, tra le infinite possibili, fissò quelle che erano in armonia colle leggi primordiali delle forze fisiche liberamente da lui stabilite e di cui ab origine vide e conobbe tutte le conseguenze e mise gli organi in correlazione coll’uso e colla necessità della creatura. E se anche si dica che queste forme si svilupparono per circostanze speciali come le curve di una stessa equazione col variare dei parametri, noi diremo che lo stabilire quella prima formula da cui derivano le altre esige intelligenza e azione fuori della materia in cui si compiono; e ciò basti per tranquillizzare quelli che temono cattive conseguenze dalle idee darwiniane, ove si venissero a dimostrare, il che non crediamo”. 
Intanto Torino divenne uno dei più importanti centri di irradiazione della nuova teoria. Nel 1865 il medico, naturalista, divulgatore scientifico e poi senatore Michele Lessona (1823-1894) prese il posto di De Filippi, diventando negli anni successivi uno dei principali divulgatori delle idee darwiniane in Italia, oltre che rettore dell'ateneo torinese. Lessona tradusse alcune delle opere di Darwin, con il suo consenso (L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso, 1859, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, 1872, La formazione della terra vegetale per l'azione dei lombrici, 1882). La sua intensa attività editoriale, inclusa la stesura di articoli e libri divulgativi, era frutto della sua collaborazione con la seconda moglie Adele Masi, oltre che con le figlie e altri collaboratori. Lessona fu uno dei più noti divulgatori scientifici di età liberale, scrisse una biografia scientifica di Darwin e diresse una delle prime riviste di divulgazione scientifica dell'Italia unita, La Scienza a dieci centesimi, che tuttavia ebbe una vita molto breve. 

Nel 1880, in occasione dell’assegnazione a Darwin di un'onorificenza dell’Accademia delle Scienze di Torino, diceva: 
“Quelle grandi scoperte scientifiche che fanno meravigliare il mondo e accrescono le forze dell'uomo allargando i confini del suo sapere, passano, - l'ha detto, se non m'inganno, primo il Goethe e parecchi poi l'hanno ripetuto, - per tre distinti periodi. 

Il primo periodo è quello della incredulità; si dice senz'altro: "È falso!" Gli affaccendati scrollano le spalle e tirano avanti, gli altri scherzano, motteggiano, ridono. 

Il secondo periodo è quello della imprecazione. Si grida: "È un'empietà!". Si proclamano minacciati il trono e l'altare, l'edifizio sociale vicino a rovina, scrollati i cardini del mondo. Non si ride più; si rabbrividisce, si freme, si inorridisce. Questo furore, ben inteso, ottiene l'effetto opposto: la scoperta che si vuol soffocare acquista il pregio del frutto proibito, se ne occupano anche quelli che non se n'erano dato pensiero prima. La verità tranquillamente segue ad aprirsi la via e gli oppositori si dividono in due schiere. Una prosegue incrollabile fino alla morte: l'altra, vista la mala parata, comincia ad accettare qualche cosa, il meno che può, poi sempre qualche cosa di più, a mano a mano che cresce la marea. Allora comincia il terzo periodo. 

Sulla bandiera di questo terzo periodo sta scritto: "Si sapeva!". Il grido che riunisce le turbe prima furiosamente contrastanti è questo, che la cosa è tutt'altro che nuova, che molti sommi uomini fin dall'antichità ne hanno fatto cenno od anche l'hanno palesemente dichiarata, e ogni nazione ha il suo grand'uomo all'uopo. La cosa è conciliabilissima colla fede; il trono e l'altare, ben lungi dallo averne da temere, ci trovano appoggio e sostegno. (...) 

“Se Carlo Darwin fosse vissuto ai tempi di Galileo avrebbe avuto la tortura dalla inquisizione: buon per lui che nacque al tempo nostro e non ha dovuto sopportare altra tortura tranne quella di sentirsi maltrattare da gente che non lo legge: ma egli lascia dire. Anzi, se vogliamo dire il vero, quando si tratti di oppositori onesti e ragionevoli, egli lascia loro pochissimo, a un dipresso nulla, da dire, perché dice tutto lui. In vero, ogni qualsiasi argomento contrario, ogni qualsiasi obbiezione che si possa fare ai suoi concetti, egli cerca, esamina, espone con tutto il valore che possano avere. Singolarità nobilissima e caratteristica del Darwin è il cercare ch'egli fa con somma cura gli argomenti contrari alle sue opinioni, e lo esporre queste con infinita riserva, con infinito riguardo. Chi legge Darwin rimane rapito da questo suo modo che rivela un amore purissimo del vero, che nell'animo suo sta sopra ogni cosa”. 

Il 22 marzo 1866 ebbe luogo a Modena un'altra celebre lezione popolare, dal titolo L'antichità dell'uomo, questa volta tenuta dal trentino Giovanni Canestrini (1835-1900), che con infaticabile opera di diffusione promosse in Italia il nome di Darwin. Canestrini, che si era laureato a Vienna, fu dal 1862 professore di zoologia a Modena e dal 1869 titolare di zoologia, anatomia e fisiologia a Padova; fu anche pioniere dell’antropologia in Italia.  


Con l'aiuto del nobile ingegnere modenese Leonardo Salimbeni (1829-1889), aveva tradotto nel 1864 per la prima volta in Italiano, con il consenso di Darwin, la terza edizione (del 1861) di L'origine delle specie, pubblicata da Zanichelli. Nella stringata prefazione, i due curatori, dopo aver rilevato i cambiamenti “più o meno profondi” che essa portava in quasi tutte le scienze naturali e l’impegno presente nell’opera a spiegare termini fino allora “incompresi e tuttavia continuamente applicati”, osservavano che “essa tende a ridurre ai limiti i più ristretti l’ingerenza immediata di una forza soprannaturale”: anche se prudente, era una stoccata al creazionismo. 

Pur indirizzando l’opera a chiunque, spinto da semplice curiosità, volesse occuparsi dell’origine delle specie animali e vegetali e non solo allo “scienziato positivo” e al “filosofo razionale”, Canestrini e Salimbeni alludevano a un dibattito già da tempo innescato non solo sulla “teoria” di Darwin, quanto su un “darwinismo” allargato e coinvolto nel contesto più ampio dello scontro filosofico e ideologico tra positivismo e materialismo da una parte, e filosofie spiritualiste e idealiste dall’altra, e che a sua volta interagiva con i problematici rapporti con la Chiesa. 

Nell’ateneo padovano, Canestrini trovò un inaspettato alleato nel filosofo e sacerdote mantovano Roberto Ardigó (1828-1920), il quale, in La psicologia come scienza positiva (1870) collegava la posizione di Lyell con quella di Darwin per attribuire validità universale alla teoria dell’evoluzione: 
“Lo stato presente della terra è l’aspetto momentaneo di una evoluzione prodigiosamente lunga, insensibilmente lenta, ma incessante, come ha mostrato Lyell; la vegetazione e l’animalità viventi, una fase sfuggevolissima di uno svolgimento progressivo ed indefinito degli organismi, come ritiene Darwin”. 
Scomunicato (ovviamente) e divenuto ateo, Ardigò elaborò una sua versione della “legge darwiniana”, che chiamava “realismo positivo”, in base alla quale si osserva all’inizio il dissolversi degli organismi allo scopo di ridare “all’ambiente indistinto la forza alimentatrice della attività della natura nelle formazioni singole”, in secondo luogo, si manifesta che tale dissoluzione non può essere totale, altrimenti scomparirebbe qualsiasi “virtualità delle formazioni successive”; infine si postula che “i residui riproducenti o siano mai identici ai passati” per garantire un’effettiva evoluzione, un reale e continuo passaggio dall’indistinto al distinto a livello spaziale e temporale”. (1877) 


Il contributo di Canestrini non fu solo di divulgatore, ma anche di ricercatore in diverse aree della “industria darwiniana”, in particolare nell'evoluzione umana, meritandosi una citazione in L'origine dell'uomo. L'adesione alla teoria fu però riflessiva e critica: non lo convinceva, per esempio, un'applicazione troppo estesa della selezione sessuale come spiegazione dei caratteri umani. 

Il 21 marzo 1869 il conflitto con i critici esplose clamorosamente. Il fisiologo russo Aleksandr Aleksandrovič Herzen (1839-1906, traslitterato anche come Gercen), figlio del grande scrittore e filosofo popoulista Aleksandr Ivanovič, tenne a Firenze, dove insegnava, un'altra conferenza, dal titolo Sulla parentela fra l'uomo e la scimia. In essa venivano discusse le prove anatomiche a favore della discendenza comune fra l'uomo e le grandi scimmie, pur con le dovute differenze. Herzen accennò anche alla possibilità di una concezione naturalistica dell'etica: non vi è degradazione morale nell'ammettere le proprie origini animali, ma, al contrario, l'orgoglio di essere arrivati a queste vette intellettuali. Molto interessanti sono le conclusioni di Herzen: 
“Signori, io non ho punto la pretenzione di avervi persuasi; e se mi fosse riuscito, ciò non parlerebbe molto in vostro favore; in tali cose non si tratta di credere, ma di sapere. Io ho cercato di darvi un’idea della natura degli studi che bisogna fare, per formarsi un’opinione sopra una così grandiosa teoria. Ora giudicate da voi le impotenti proteste di coloro che si immaginano di impor silenzio alla scienza mediante qualche bella frase indirizzata all’orgoglio umano, o rivolta al Divino Creatore! Qualunque teoria scientifica può essere scossa e distrutta da nuovi fatti, da nuove prove, o almeno da nuovi argomenti basta però che siano scientifici; ma discorsi tanto più sonori quanto più vuoti, non possono neppure inzaccherarla.”
La reazione contro lo «sconcio» scenario evoluzionistico da parte dell’agronomo, senatore e abate Raffaello Lambruschini non si fece attendere: la scienza non può andare contro la religione: 
“Se il signor Herzen si proponeva di recare al soggetto da lui preso a trattare, qualche nuova illustrazione egli doveva rivolgersi agli scienziati; se intendeva divulgare quelli che ei credeva fatti accertati dalla scienza, doveva considerare quanto potesse conferire all’educazione morale e civile del popolo, l’annunzio della nostra parentela, anzi filiazione, da una bestia. Considerando questo, egli avrebbe forse riconosciuto che lungi dal giovare, poteva la non lusinghiera notizia essere male interpretata e tirata a conseguenze pericolose (...), scemando così nell’animo dei popolani la riverenza pei libri sacri. Intorno ai quali può certamente esercitarsi la critica, ma con rispettosa cautela e fra persone competenti”. 
Come dire: guarda che così fai perdere clienti alla nostra plurisecolare azienda. Herzen allora abbandonò il fioretto e impugnò la sciabola: questi vogliono «l'ignoranza obbligatoria pel popolo». Ne nacque una polemica accesa, cui partecipò anche il filologo Niccolò Tommaseo, il quale nel libello L'uomo e la scimmia, con feroce retorica antidarwiniana definiva Herzen «Mosè delle scimmie» e bollava come «bestie» i praticanti della «scienza fetente» dell'evoluzionismo. 


Difficile, tuttavia, mettere le briglie a una comunità scientifica sempre più aperta alle scuole biologiche europee. Pochi mesi dopo i dibattiti del 1869, proprio a Firenze viene fondato il primo museo e istituita la prima cattedra di antropologia, tenuta da Paolo Mantegazza (1831-1910) già medico patologo a Pavia, viaggiatore e politico, il quale si definiva nonostante tutto un darwiniano con «benefizio di inventario», poiché non condivideva alcuni aspetti della teoria, in particolare la selezione sessuale, e sospettava delle applicazioni del darwinismo al di fuori delle scienze naturali. Giustamente, avvertiva i pericoli del nascente darwinismo sociale, che poteva portare alla giustificazione delle differenze tra uomini ed etnie in nome di una malintesa interpretazione del concetto di “sopravvivenza del più adatto”, che poteva diventare “sopravvivenza del più forte”. 

Fra il 1864 e il 1890 tutte le opere di Darwin furono tradotte in italiano, grazie soprattutto a Canestrini e a Lessona. In diversi casi, studiosi che operavano in Italia, come fra gli altri il botanico genovese Federico Delpino (1833-1905), lo zoologo tedesco Anton Dohrn (1840-1909), fondatore della Stazione geologica di Napolie Canestrini stesso, ebbero con Darwin fitte corrispondenze durante le quali seppero offrire suggerimenti, e anche critiche, ritenuti molto utili dal naturalista inglese. 

Canestrini curò nel 1875 la seconda edizione italiana, definitiva, di L'origine delle specie. Quello stesso anno Darwin veniva eletto socio straniero della Reale Accademia dei Lincei. Due anni dopo, la teoria dell'evoluzione era entrata in molte università della penisola, con i primi libri di testo. In un volume divulgativo, La teoria di Darwin criticamente esposta, Canestrini riassunse nel 1880 i principi essenziali del pensiero darwiniano, cercando di esporlo in una forma piana, accettabile per il grosso pubblico, e insistendo molto sull'origine animale dell'uomo. 


Nel 1894 pubblicò Per l'evoluzione. Recensioni e nuovi studi, antologia di saggi con cenni storici sul darwinismo italiano. Questo libro è interessante soprattutto per il valore di cronaca che assume, costituendo un vivace documento sull'accoglienza che l'Italia fece al darwinismo. Nelle dissertazioni scientifiche c'è però una certa confusione, al punto che a più riprese si cerca di dimostrare l'ereditarietà dei caratteri acquisiti (lamarckiana), chiamandola poi in causa a sostegno dell'evoluzione per selezione naturale. 

La campagna in favore dell'evoluzione sembrava aver avuto successo. Rimanevano tuttavia ancora buchi nell’impianto della nuova teoria, buchi nei quali gli oppositori, anche strumentalmente, si infilarono per far cercare di far crollare l’intero edificio. Nello specifico, Darwin non era stato in grado di spiegare l'origine della variazione dei tratti all'interno di una specie e non riusciva a identificare un meccanismo che potesse trasmettere fedelmente i tratti da una generazione all'altra. 

Se l’evoluzione incominciava ad essere accettata, i suoi meccanismi erano oggetto di discussioni e polemiche, e il concetto di selezione naturale era occasione di posizioni contrapposte e interpretazioni estremiste, soprattutto quando riguardava la specie umana. Non mancarono certo le reazioni decisamente antidarwiniane, sempre sotto forma di libelli, satire e opuscoli filosofici e religiosi. Nella terra che ospita il Vaticano non poteva essere altrimenti, e su queste argomentazioni, anche papali, non mi dilungo. Il pericolo maggiore per il darwinismo non fu tutto sommato il creazionismo clericale, ma le interpretazioni sbagliate, spesso in buona fede, di alcuni suoi capisaldi (tra le quali spicca un curioso studio dell’astronomo Giovanni Schiaparelli che nel 1898, propose una curiosa interpretazione matematico-cristallografica dell’evoluzione, che piacque al matematico Vito Volterra e sulla quale avrò occasione di ritornare). Solo con la riscoperta degli studi di Gregor Mendel sulla genetica e l’applicazione della statistica ai fenomeni biologici, che spiegavano molti dei punti oscuri della teoria evoluzionistica, il darwinismo, anche in Italia, si sarebbe affermato.

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