lunedì 3 settembre 2018

Robert Hunt e la poesia della scienza


Al rimprovero di utilitarismo rivolto alla scienza nell'Ottocento, gli appassionati replicavano sostenendo l'apertura immaginaria e il potenziale creativo delle scoperte scientifiche, che potevano fondare nuove immagini e mitologie per incantare nuovamente il mondo. È là che dimorava uno dei principali argomenti dei difensori della poesia scientifica, ripetuto più e più volte nel corso del secolo: gli scrittori devono sfruttare le risorse poetiche della scienza. Questa idea fu sostenuta, quasi programmaticamente, in The Poetry of Science di Robert Hunt (1807 – 1887), pubblicato nel 1848.

Tipico rappresentante di una progenie in via di estinzione che coltivava con la stessa passione tradizioni e modernità, poesia e scienza, Hunt aveva iniziato a lavorare come apprendista chirurgo prima di guadagnarsi da vivere, in momenti diversi, come chimico e farmacista, come statistico per il servizio geologico e come professore di meccanica e fisica sperimentale alla School of Mines di Londra. Curò per un trentennio la collezione mineralogica della stessa istituzione. Nel 1829 aveva pubblicato The Mount’s Bay, una raccolta di versi che celebrava "la selvaggia poesia della natura", la cui "musica non risvegliata" poteva essere sentita in "vagabondaggi disperati" tra le brughiere e le scogliere dell’estrema propaggine occidentale della Cornovaglia. Fortemente in debito con i poeti romantici, le sue poesie non possono essere annoverate tra le opere immortali, ma costituivano un tributo sincero all'armonia naturale ispiratrice dello spirito. Fu uno dei primi fotografi e pubblicò manuali, album fotografici e ricerche sulla fotografia nelle Philosophical Transactions della Royal Society. Fu il primo a descrivere il principio di funzionamento e la costruzione di un attinografo, lo strumento per misurare o stimare la quantità di luce disponibile per esporre le pellicole fotografiche.



Raccolse e curò anche Popular Romances of the West of England (1865), che conteneva una serie di miti e leggende dell’antica Cornovaglia: il libro, prezioso documento etnologico, fu così popolare che ebbe diverse edizioni.

The Poetry of Science, che aveva l’intento di esporre tutte le conoscenze scientifiche più aggiornate, era articolato in sedici di capitoli, ciascuno dei quali, a parte l’introduzione e le conclusioni, era dedicato a un argomento (la materia, il moto, la gravità, le forze molecolari, la cristallogenesi, il calore, la luce, le radiazioni, l’elettricità, il magnetismo, le forze chimiche, i fenomeni chimici, i fenomeni geologici, la vita vegetale, la vita animale). Lo stile, era ampolloso e prolisso: Hunt, nei suoi sforzi per dimostrare che la scienza non è né meccanicistica né utilitaria, a volte esagerava. Nell'introduzione al libro, ad esempio, annunciava che:
“Accontentarsi della nuda enunciazione di una verità, è eseguire solo una metà di un compito. Come ogni atomo della materia è coinvolto in un'atmosfera di proprietà e poteri, che lo unisce a ogni massa dell'universo, così ogni verità, per quanto ordinaria possa essere, è circondata da impulsi che, essendo risvegliati, passano da un'anima all'altra come onde musicali, e che saranno ripetute attraverso gli echi dello spazio e prolungate per l'eternità”. 
Hunt sosteneva che i processi naturali sono allo stesso tempo materiali e immateriali, diretti sia dai moti degli atomi sia dall'azione di poteri e forze (luce, gravità, magnetismo, elettricità) che non possono essere ridotti alla materia. Allo stesso modo, l'interpretazione di quei processi deve trovare spazio sia per la scienza, l'indagine empirica e sperimentale della "verità" fattuale, sia per la poesia, l'espressione degli "impulsi" estetici, morali e spirituali che circondano quella verità”. Questa analogia, che oggi può sembrare forzata e non convincente, si rivelò popolare tra i lettori vittoriani: il suo libro ebbe subito una seconda edizione dopo pochi mesi.


L'obiettivo di Hunt in The Poetry of Science è di conciliare gli aspetti sperimentali con quelli poetici, che denotano non solo due diversi punti di vista sulla conoscenza naturale, ma anche due tipi di autorità culturale in competizione tra loro. Anche se nel corso del diciannovesimo secolo la poesia perse costantemente lettori, che si rivolsero al romanzo e alla stampa periodica, essa mantenne il suo elevato status, almeno in teoria, come la più alta forma di espressione immaginativa. Contemporaneamente, nel 1848, la capacità delle scienze di spiegare i processi naturali e di sfruttare questi processi attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie, stava iniziando a garantire loro un posto più importante nella cultura britannica. Era facile considerare l'immaginazione poetica e la conoscenza scientifica come mutuamente antagoniste, ma, come dimostra la vita stessa di Robert Hunt, era anche possibile tentare di congiungerle.

In una recensione pubblicata sull’Examiner nel dicembre 1848, Charles Dickens colmava di lodi lo scopo di Hunt:
“Per dimostrare che la scienza, presentando veramente la natura, può, come la natura stessa, restaurare in qualche nuova forma ciò che distrugge; che, invece di legarci, come qualcuno vorrebbe, in severe catene utilitaristiche, quando ci ha liberati da un’innocente superstizione, offre alla nostra contemplazione qualcosa di migliore e di più bello, qualcosa che, giustamente considerato, è più elevato per l’anima, più nobile e più stimolante per la crescente immaginazione; è un oggetto sano, saggio, salubre”. 
Il commento di Dickens rivela le tensioni che permeavano l’atteggiamento verso la conoscenza scientifica nell'Inghilterra nei decenni centrali dell’Ottocento. L'ammirazione per la lucida chiarezza e precisione analitica della scienza era mescolata a una paura che la scienza sperimentale sia distruttiva, riduttiva e degradante, che riduca la natura a un meccanismo quantificabile e senz'anima. Ma questa visione della scienza come "severo utilitarista" oppressore della bellezza naturale e dell'immaginazione è, Dickens assicura, senza fondamento, e l’obiettivo di confutarla era stato raggiunto con successo nel libro che egli stava recensendo.

Ancora immerso nel mondo romantico eppure avvezzo alle scienze sperimentali, Hunt descriveva la "curiosa connessione" tra tradizioni popolari e nuove conoscenze scientifiche confrontando, per esempio, "l'ittiosauro, il plesiosauro e lo pterodattilo", con le immagini mitologiche di arpie, draghi, e i grifoni. In diversi punti, il libro affrontava in modo esplicito la relazione tra le spiegazioni folcloristiche o fantastiche dei processi naturali e i loro equivalenti scientifici, tracciando un ampio passaggio "dalla favola al fatto". Egli metteva in guardia contro una "filosofia senza gioia", che riduce la mente a una "condizione meccanica", ignorando le "belle spiritualizzazioni", come gli esseri aerei e gli spiriti, che "i primi poeti della terra" credevano dimorassero negli alberi e ruscelli e caverne. In effetti, le nuove spiegazioni della scienza erano, egli sosteneva, superiori per la precisione e per lo stupore che inducevano: "la verità è più strana della finzione". Tuttavia, quelle "spiritualizzazioni" erano ancora lì; attraverso un'indagine faticosa, esperta e pratica nei recessi del mondo circostante, potevano essere indagate più rigorosamente: "le montagne non sono senza voce; parlano con un tono più convincente (...) la nota piena e chiara della natura”.


Hunt suggeriva che la poesia può attivamente soccorrere e eventualmente integrare le conoscenze acquisite attraverso la scienza sperimentale. Egli espose questa idea affiancando direttamente due diversi tipi di linguaggio: da un lato, la sua stessa poesia, che talvolta inseriva nella prosa di The Poetry of Science, come se fosse opera di un poeta canonico; e, dall'altro lato, la descrizione dettagliata degli esperimenti, che era una caratteristica diffusa della scrittura scientifica del diciannovesimo secolo. In un capitolo sulla gravità, Hunt raccontava un esperimento in cui gocce di olio d'oliva sono sospese in una miscela di acqua e alcool che ha lo stesso peso specifico dell'olio: invece di essere "appiattite" dall'influenza gravitazionale della terra, le gocce mantengono la loro "forma orbicolare". "Per quanto semplice sia questa illustrazione", scriveva Hunt, "essa dice molto del meraviglioso segreto di quelle forze di coesione e di gravitazione meravigliosamente bilanciate; e dal fatto prosaico ci eleviamo ad una grande verità filosofica". Poi descriveva un metodo per estendere l'esperimento:
“Se passiamo un filo di acciaio attraverso una di quelle sfere galleggianti d’olio, e lo facciamo ruotare rapidamente, imitando così il moto di un pianeta sul suo asse, l'olio si espande e noi abbiamo la forma sferoidale della nostra terra. Aumentiamo la rapidità di questa rotazione, e quando si raggiunge una certa velocità, l'olio si allarga in un disco, un anello si separa da un globo centrale, e ad una certa distanza gira ancora attorno ad esso. Qui abbiamo una rappresentazione in miniatura dell'anello di Saturno”. 
In questi esperimenti, concludeva, "produciamo risultati che somigliano in modo sorprendente alle condizioni che prevalgono negli spazi planetari". Per Hunt, il rapporto tra esperimento e natura è, diremmo oggi, frattale: i processi sperimentali rappresentano processi naturali in miniatura. In questo caso, dal punto di partenza del "fatto prosaico" del moto dell'olio d'oliva, "saliamo" di scala a una comprensione di sublimi fenomeni astronomici, e anche noi ci innalziamo, attraverso il ragionamento induttivo, "ad una grande verità filosofica”, una comprensione teorica delle forze che modellano la materia nell'universo.

Nel capitolo dedicato alla gravità, Hunt si riferisce ad essa come a uno "spirito dominante" in natura, e la sua importanza è nuovamente enfatizzata, ma in termini marcatamente diversi, nei versi che seguono subito dopo e che costituiscono l’orazione conclusiva del capitolo:

The smallest dust which floats upon the wind 
Bears this strong impress of the Eternal Mind. 
In mystery round it, subtle forces roll; 
And gravitation binds and guides the whole. 

In every sand, before the tempest hurl’d, 
Lie locked the powers which regulate a world, 
And from each atom human thought may rise 
With might, to pierce the mystery of the skies,⎯ 

To try each force which rules the mighty plan, 
Of moving planets, or of breathing man; 
And from the secret wonders of each sod
Evoke the truths, and learn the power of God. 

Il più piccolo granello di polvere che fluttua nel vento 
porta questa forte impronta della Mente Eterna. 
Intorno al mistero, le forze sottili si muovono; 
e la gravitazione lega e guida il tutto.

In ogni [granello di] sabbia  prima che la tempesta scoppi, 
giacciono rinchiusi i poteri che regolano un mondo, 
e da ogni atomo può sorgere il pensiero umano 
con il potere di penetrare il mistero dei cieli, 

di cercare ogni forza che governa il potente piano, 
dei pianeti in movimento, o dell’uomo che respira; 
e, dalle meraviglie segrete di ogni zolla, 
evoca le verità e conosce il potere di Dio. 

Come scriveva nella prefazione:
“La poesia che scaturisce dalla contemplazione delle forze agenti che sono attivamente impiegate nel produrre le trasformazioni della materia, e che è fondata sulle verità sviluppate dalle scoperte della scienza, non dovrebbe in alcun caso essere inferiore a quella che è stata ispirata dalla bellezza delle singole forme di materia e dal carattere piacevole delle loro combinazioni”. 
Questa connessione tra scienza e poesia stabilita da Hunt era rassicurante per i lettori vittoriani, turbati dalle verità potenzialmente inquietanti della scienza: entrambe, suggerisce il suo scritto, possono dare un senso all'universo. Tuttavia, The Poetry of Science fa ancora di più: di fronte alla sempre più influente visione scientifica del mondo, suggerisce che il verso ha il potere di riconciliare il naturale con il divino. La poesia comunica una comprensione spirituale e trascendente dell'universo, che può essere sostenuta, ma che non può essere rovesciata o usurpata, dalle prove della scienza sperimentale. Egli sosteneva che lo studio della materia, e delle forze che agiscono su di essa, elevano la mente verso verità che non sono solo teoriche ma teologiche.

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