martedì 4 settembre 2018

De Morgan, tra erudizione e umorismo


Nel 1920 il fisico e matematico inglese Lewis F. Richardson (1881-1953), che si occupò di fisica applicata alla meteorologia e di matematica computazionale, mise come epigrafe e sintesi al suo articolo The supply of energy from and to Atmospheric Eddies (“L’apporto di energia da e verso i vortici atmosferici”) la seguente quartina, il cui ritmo ricorda le filastrocche per i bambini (nursery rhymes): 

Big whorls have little whorls 
That feed on their velocity, 
And little whorls have lesser whorls 
And so on to viscosity. 

Le grandi spire hanno piccole spire 
che si cibano della loro velocità, 
e le piccole spire hanno più piccole spire 
e così di seguito, fino alla viscosità. 

Questa poesiola, che si riferisce simpaticamente alla natura frattale della turbolenza, ha illustri precedenti. Si tratta infatti di una parodia dell’originale quartina sulle pulci di Jonathan Swift (1667-1745), che così recitava (da Poetry, a Rhapsody): 

So, naturalists observe, a flea 
Has smaller fleas that on him prey; 
And these have smaller still to bite 'em; 
And so proceed ad infinitum. 

Così una pulce, i naturalisti concordano, 
di pulci più piccole che la predano è il sito; 
e queste ne hanno di più piccole che le mordono; 
e così si va avanti all'infinito. 

La poesia delle pulci aveva ispirato anche il grande matematico e logico Augustus De Morgan (1806-1871) che aveva scritto mezzo secolo prima di Richardson una parafrasi più fedele (da A Budget of Paradoxes): 

Great fleas have little fleas upon their backs to bite 'em, 
And little fleas have lesser fleas, and so ad infinitum. 
And the great fleas themselves, in turn, have greater fleas to go on; 
While these again have greater still, and greater still, and so on. 

Le grandi pulci hanno piccole pulci sulla schiena che le mordono con appetito, 
e le pulci piccole hanno pulci più piccole, e così all'infinito. 
E le stesse grandi pulci, a loro volta, hanno pulci più grandi per campare; 
e queste ne hanno di ancor più grandi, e ancor più grandi, e via andare.


De Morgan era nato a Madura, in India. Fu educato in scuole private fino al suo ingresso al Trinity College di Cambridge, all'età di sedici anni. Fu uno studente eccellente, vicino al massimo del suo corso, ma scelse di non ottenere il titolo di Master of Arts, o di concorrere per una borsa di studio universitaria, a causa della sua obiezione di coscienza alle prove religiose richieste ai candidati per il dottorato a Cambridge. Nel 1828, per i suoi risultati accademici, ricevette un incarico come professore di matematica presso la neonata Università di Londra (che divenne l’University College). Ci insegnò per oltre trent'anni, ispirando generazioni di studenti. La sua reputazione crebbe grazie al suo eccezionale, incoraggiante e premuroso insegnamento e ai suoi articoli su argomenti d'avanguardia, enigmi matematici, giochi, stranezze e paradossi. De Morgan era il Martin Gardner del diciannovesimo secolo. 

Egli fu uno degli insegnanti di matematica più influenti e di successo della sua epoca. Possedeva una rara combinazione di intuizione, umorismo e creatività e le sue lezioni erano concise e lucide. A differenza dei suoi colleghi, era convinto che gli studenti dovessero essere stimolati, sfidati, ispirati e attentamente istruiti con buona pianificazione e pedagogia. Detestava i concorsi e la mancanza di condivisione delle conoscenze che ne deriva: era a favore dell'apprendimento cooperativo. Gli studenti riferivano che le sue lezioni erano ricche di umorismo, applicazioni ad altre discipline, riferimenti per ulteriori studi e amore per la sua materia. Anche il più astratto dei concetti era reso chiaro attraverso il suo brillante uso dell'analogia, della metafora e della similitudine. 

Si occupò di algebra, trigonometria, calcolo differenziale e integrale, calcolo delle variazioni, probabilità e logica simbolica. Tra le sue pubblicazioni più note ci sono An Essay On Probabilities (1838), Calculus (1842), Formal Logic (1847) e Double Algebra (1849), che prefigurava l'algebra astratta. Con George Boole, suo amico e corrispondente, fu l’artefice della rinascita della logica che si verificò nel XIX secolo. A lui dobbiamo un famoso teorema che si applica alla logica booleana, e quindi a tutti i tipi di circuiti logici, che consente di trasformare un prodotto logico di due o più variabili nella loro somma, o viceversa. Il teorema di De Morgan è meglio conosciuto sotto forma di due enunciati:

a) il complemento di un prodotto di variabili equivale alla somma dei complementi delle singole variabili:


b) il complemento di una somma di variabili equivale al prodotto dei complementi delle singole variabili:


Di carattere assai riservato, il matematico e logico inglese ebbe più volte a dichiarare di preferire lo studio al divertimento. Aveva infatti molteplici interessi culturali e una erudizione enciclopedica, ben al di là del mero campo logico-matematico: basti dire che fu il compilatore di alcune delle voci della più diffusa enciclopedia mitologica dei suoi tempi. Ci si aspetterebbe allora che fosse una persona seria e noiosa, ma non lo era affatto. De Morgan fu infatti un sostenitore della libertà religiosa e della libertà di espressione, un polemista raffinato, anticonformista e nemico di ogni forma di ipocrisia, un bibliofilo appassionato e una collezionista insaziabile di curiosità, bizzarrie, paradossi, indovinelli. Manifestò il suo humour e i suoi molteplici interessi scrivendo una serie di articoli tra il 1863 e il 1866 per la rivista londinese Athenæum, poi riuniti in A Budget of Paradoxes, pubblicato postumo dalla moglie nel 1872, una raccolta divertente di considerazioni, aneddoti, recensioni, citazioni sulla matematica, la scienza, la religione, compresa un’analisi dei rapporti tra scrittori ed editori, una pagina con centinaia di anagrammi del suo cognome (come “Great gun! Do us a sum!”), una serie di vivaci descrizioni del mondo scientifico inglese a lui contemporaneo. Un’edizione completa del Budget, con aggiunte e commenti, oggi considerata quella definitiva, fu poi curata dal matematico David Eugene Smith nel 1915.

Secondo De Morgan, un paradosso “è qualcosa che si distacca dall’opinione comune, o per l’oggetto o per il metodo, o per la conclusione”. Questa definizione a maglie larghe gli consente di considerare dei paradossi per la loro epoca anche le idee di William Gilbert, il precursore della teoria magnetica, o la scoperta del pianeta Nettuno da parte di Le Verrier. De Morgan però distingue due tipi di paradosso: “Il criterio con il quale si giudica una persona come autore di un paradosso, sensato o non sensato, non dipende da ciò che sostiene, ma dal fatto se egli abbia o non abbia acquisito una conoscenza sufficiente di quanto è stato fatto dagli altri, specialmente del modo in cui è stato fatto”. Sono così paradossi sensati le nuove idee in ogni campo del sapere, perché, per quanto rivoluzionarie siano, si basano sullo studio delle idee dei predecessori e sulla conoscenza del metodo con il quale sono state raggiunte; sono viceversa insensati i paradossi di coloro che hanno idee che si distaccano dall'opinione comune e che non tengono in alcun conto le evidenze storiche o scientifiche, o un metodo condiviso.

Ovviamente l’interesse di De Morgan è attirato soprattutto da questo secondo tipo di paradossi, per cui egli si diverte a presentarci quella varia umanità di folli letterari costituita da pseudo-matematici impegnati a quadrare cerchi, duplicare cubi, trisecare angoli con riga e compasso, di sedicenti sapienti che giocano con il numero 666, di neofiti che sperano in un colpo di geniale fortuna per entrare nel novero dei grandi matematici, ignorando del tutto quello che fanno e immaginandosi chissà quali guadagni. Non mancano poi coloro che pensano di essere profeti in patria, di essere vittime di chissà quali complotti o di non essere divenuti professori universitari perché per diventarlo occorrono rendite e appoggi considerevoli (idea che non sempre è campata per aria nel nostro povero paese, ma questa è un’altra storia). 

Tra gli scrittori stravaganti della raccolta troviamo anche il matematico scozzese John Napier (1550-1617). Ecco come commenta De Morgan il libro A plain discoverie of the whole Revelation of St. John ... whereunto are annexed certain oracles of Sibylla... Set Foorth by John Napeir, London, 1611:
“Napier sempre pensò che la sua grande missione fosse di rovesciare il papa, e che i logaritmi non erano altro che episodi e passatempi. (…) Egli fu uno dei primi a riportare la profezia dei seimila anni. “C’è una frase della casa di Elia che sempre perdura, che contiene queste parole: Il mondo ci sarà per 6000 anni, e poi sarà consumato dal fuoco: 2000 anni sarà vuoto o privo di leggi, per 2000 anni sotto la legge, e 2000 anni saranno i giorni del Messia…” La conclusione del libello dell’inventore dei logaritmi suona profetica e minacciosa: “Se tu Roma consenti a riformarti e a credere al vero Cristianesimo, allora credi a San Giovanni il discepolo, colui che Cristo amava, che in questa Rivelazione proclama la tua rovina (…) Pentiti dunque, in questo tuo ultimo respiro, se desideri la tua salvezza eterna, amen”.” 
Sembra sconcertante che la stessa persona abbia pubblicato dopo soli tre anni (1614) il Mirifici logarithmorum canonis descriptio, contenente la teoria dei logaritmi. La realtà è che siamo così abituati a considerare così assodate certe conoscenze da ignorare o dimenticare quanto queste nascano da un lungo processo di tentativi ed errori, da uomini per loro natura incoerenti e viventi in società e tempi contraddittori, e ci stupiamo di come uomini di grande valore potessero elaborare le loro straordinarie scoperte e contemporaneamente credere in idee sbagliate, coltivare passioni bizzarre, auspicare la realizzazione di sogni messianici.

Una delle follie letterarie più divertenti citate nel Budget of Paradoxes. meravigliosamente imbecille per l’uso bizzarro della matematica, è l’opera pubblicata a Londra nel 1839 da un certo E. B. Revilo, dal titolo The creed of St. Athanasius proved by a mathematical parallel. Before you censure, condemn, or approve; read, examine, and understand (“Il Credo di Sant’Atanasio dimostrato da un parallelismo matematico: Prima di censurarlo, condannarlo o approvarlo, leggi, esamina e capisci”). L'opuscolo (6 pagine) esamina tutti i passi del cosiddetto Credo di Sant’Atanasio, simbolo liturgico una volta utilizzato nelle chiese dell’Occidente, dalla forte impronta trinitaria. Ad ogni proposizione l’autore accompagna una sorta di “spiegazione matematica”, che della disciplina utilizza tuttavia solo i simboli. L’infinito è rappresentato da ∞, come al solito, mentre P, F, S, sono interi finiti; le tre persone della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, sono indicate rispettivamente con P, (u ∞)F e, S, dove la frazione finita u rappresenta la natura umana. Ecco un paio di esempi:

CREDO Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio ed altra quella dello Spirito Santo. Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divinità, uguale gloria, coeterna maestà.
CORRISPONDENZA MATEMATICA È stato dimostrato che ∞P, (u ∞)F e, ∞S insieme corrispondono a ∞, e che ciascuno vale ∞, e che ogni grandezza dell’essere rappresentata da ∞ sempre è esistita, esiste ed esisterà per sempre. Perciò non può essere creata, o distrutta, e tuttavia esiste”. 
CREDO Uguale al Padre nella divinità, inferiore al Padre nell'umanità. 
CORRISPONDENZA MATEMATICA (u ∞)F è uguale a ∞P in quanto ne condivide ∞, ma è inferiore a ∞P in quanto tocca u, perché u non è infinita.
Secondo De Morgan, l’autore sembra proprio credere in ciò che dice. Il fatto sconcertante è che dietro lo pseudonimo di E. B. Revilo si nasconde, scritto al contrario, Oliver Byrne (1810? –1890?), un eccentrico scrittore matematico che si definiva anche ingegnere civile, militare e meccanico, nonché ispettore dell’insediamento della regina Vittoria nelle isole Falkland. 

Byrne è stato autore anche di The first six Books of the Elements of Euclid; in which coloured diagrams and symbols are used instead of letters (1847), libro che gode ora di un rinnovato interesse perché la sua concezione grafica innovativa anticipa gli esperimenti delle avanguardie artistiche del primo Novecento, soprattutto l’arte di Piet Mondrian. Nel 2010 la casa editrice d’arte Taschen ha ripubblicato l’opera in un’edizione facsimile. Byrne è oggi rivalutato per tutta la sua opera, al punto che il Credo di Sant’Atanasio pare non tanto l’opera di un folle letterario, ma un’intelligente, singolare, estrema presa in giro di un anticipatore del dottor Faustroll. 


De Morgan si dimostra scrittore colto e di talento, esponendo le sue conoscenze con la vivacità di un moderno divulgatore e, nel solco della buona tradizione anglosassone, con uno humour che non esita a far ricorso all'aneddoto curioso, al gioco di parole, alla poesia umoristica o nonsensical. Così ci informa che gli astronomi inglesi non erano affatto dei seriosi asceti, riportando una lunga drinking song cantata in coro durante una delle loro riunioni. De Morgan afferma di aver trovato tra le carte di un amico deceduto un foglietto riportante la canzone. Qui riporto la strofa su Galileo:

Poor Galileo, forced to rat 
Before the Inquisition, 
E pur si muove was the pat 
He gave them in addition: 
He meant, whate’er you think you prove, 
The earth must go its way, sirs; 
Spite of your teeth I’ll make it move, 
For I’ll drink my bottle a day, sirs! 

Il povero Galileo, costretto a spergiurare 
davanti all'Inquisizione, 
Eppur si muove fu la pacca 
che diede loro in addizione: 
voleva dire, qualunque cosa vogliate provare, 
la Terra segue il suo moto, signori; 
malgrado la vostra autorità la farò muovere, 
perché berrò la mia bottiglia al giorno, signori! 

De Morgan mantenne riservate le sue opinioni religiose, ma fu generalmente considerato un agnostico, se non un ateo. In una lettera che scrisse a Rowan Hamilton il 1° settembre 1852, così rispose a un sonetto che l’amico gli aveva inviato: 
“Mi piace la vostra determinazione a non discutere di teologia. Mi avete inviato un paragrafo o sonetto, e io invio una risposta. Voilà la discussion commencée. Come dice il proverbio, “La zuffa incomincia al secondo colpo”. (…) Ora, la vostra teologia mi ha fatto venire in mente le righe scritte su una Bibbia, al tempo in cui iniziò a svilupparsi il libero giudizio.
Hic liber est in quo quaerit sua dogmata quisque,
Invenit et pariter dogmata quisque sua.  
È questo il libro in cui ognuno i suoi dogmi cerca,
E allo stesso tempo ognuno i propri trova.  
E poi mi è venuta in mente questa parafrasi:
One day at least in every week
The sects of every kind
Their doctrines here are sure to seek
And just as sure to find.

Almeno un giorno alla settimana
Le sette di ogni sorta
Le dottrine qui vengono a cercare
Che son certi di trovare.

Nessun commento:

Posta un commento