sabato 1 settembre 2018

Scienza e poesia nell’Ottocento


La storia del rapporto tra scienza e poesia, di tradizione antichissima (si pensi ad esempio a Lucrezio), è anche la storia del loro disincanto, dei loro conflitti e dell'opposizione tra correnti di pensiero divergenti. La poesia scientifica, esplosa nell'epoca dei Lumi e delle Enciclopedie e popolare fino alla fine del XIX secolo, il cui successo sociale fu ampio in Europa e in America, si trova oggi ridotta a genere periferico, coltivata da pochi appassionati, in genere provenienti dal mondo delle scienze. Gli umanisti, soprattutto i più tradizionalisti e lontani dagli esperimenti delle avanguardie, le rimproverano sia la banalità (trattamento di soggetti vili, lessico inappropriato alla nobiltà del linguaggio poetico), sia l’accademismo (nella sua mania descrittiva e nella sua lunghezza). Esistono dall'altro lato, tra chi si occupa di scienza, posizioni di rifiuto radicale, che, pur senza entrare nell'annoso dibattito sulla separazione tra le “due culture”, trovano improponibile un connubio tra due mondi giudicati inconciliabili: se la prosa può far proprie tematiche scientifiche, può addirittura ispirarsi a stili e strutture propri delle scienze (ad esempio i metodi dell’Oulipo, o il nostro Calvino), la poesia viene considerata troppo soggettiva, imprecisa, emotiva, come se dovesse essere giudicata con i criteri di una peer-review. Tra gli scettici, da entrambe le parti, si insiste sulla divergenza dei modi di espressione della scienza (la sua terminologia indigesta e poco incline al lirismo) e la poesia (il suo linguaggio è figurativo e quindi non preciso, giocando sull'indeterminatezza e la polisemia). Che cosa fare poi delle metafore e delle strutture di pensiero che la scienza fa proliferare? Servono per rinnovare il linguaggio poetico o per mitigarlo nelle perifrasi, con il rischio di sostituire un'oscurità con un'altra?

La poesia scientifica tuttavia rifletteva un tempo un ideale di modernità, fatto di un'attenzione acuta al presente, ai cambiamenti tecnologici e alle nuove conoscenze, di un'avidità di rinnovamento tematico e di revisione degli standard estetici. È perciò necessario abbandonare gli attuali criteri di valutazione, per portarci nel XIX secolo, quando la poesia scientifica esprimeva un’esigenza che era un appello per la libertà e per la fantasia: la libertà di trattare qualsiasi argomento, fosse esso oscuro o volgare, di essere aperti a tutta la conoscenza, fuori dai pregiudizi, con tutti i lessici, e di far dialogare la letteratura, la scienza e le arti (meccaniche e liberali). Samuel Taylor Coleridge, che pure da giovane aveva espresso un atteggiamento di diffidenza verso la capacità immaginativa della scienza, mutò parere in età matura: richiesto sul perché frequentasse dei corsi di chimica, rispose che voleva arricchire il suo bagaglio di metafore.

Ci fu chi colse le opportunità offerte al poeta su posizioni equilibrate, come Emily Dickinson, attratta dalle grandi prospettive della scienza, che non vedeva come nemica, ma complementare allo spirito lirico. Dalle lezioni di Edward Hitchcock, suo professore di scienze naturali, la poetessa era a conoscenza dei metodi grazie ai quali il paleontologo era in grado di ricostruire dalle poche ossa rinvenute lo scheletro di un animale preistorico. Secondo la Dickinson (A science - so the Savants say, 1860), le indagini della scienza possono rivelare i segreti della natura, ma basta un occhio capace di guardare in prospettiva futura per vedere in un semplice fiore, spuntato timidamente quando è ancora inverno, il preludio della rinascita primaverile. Alla scienza è necessaria anche la meraviglia:

A science—so the Savants say, 
"Comparative Anatomy"— 
By which a single bone — 
Is made a secret to unfold 
Of some rare tenant of the mold, 
Else perished in the stone — 

So to the eye prospective led, 
This meekest flower of the mead 
Upon a winter's day, 
Stands representative in gold 
Of Rose and Lily, manifold, 
And countless Butterfly! 

Una scienza – così dicono i Sapienti, 
"Anatomia Comparata" – 
per la quale un singolo osso – 
è costretto a svelare un segreto 
di qualche raro inquilino dello scavo
Altrimenti scomparso nella pietra – 

Così all'occhio la prospettiva condusse 
questo timidissimo fiore del prato 
in un giorno d'inverno, 
dorata rappresentazione 
di Rose e Gigli, molteplici, 
e di innumerevoli Farfalle! 


In Italia, per cultura e tradizione, la poesia scientifica non ebbe quasi cultori, a meno che si vogliano considerare come tali certe opere di Leopardi. Unica vera eccezione fu l’opera di Giacomo Zanella (1820-1888), che fu sacerdote, patriota e professore di lettere e filosofia. La sua produzione poetica fu originale rispetto al panorama letterario del suo tempo per la capacità di presentare in versi argomenti di carattere scientifico e il tentativo di conciliare religiosità cattolica, cultura positivista e problemi sociali (come il lavoro operaio e la povertà). Le scelte poetiche dello Zanella contribuirono a collocarlo, nell'ambiente culturale del suo tempo, in una posizione anomala. Egli, infatti, fu mal visto sia dal mondo culturale laico, per il suo rifiuto delle tesi materialistiche, sia da una parte delle autorità ecclesiastiche per il patriottismo, la scienza e l’interesse per la questione sociale. La sua poesia più famosa è Sopra la conchiglia fossile - nel mio studio (1864), ode ispirata da una conchiglia fossile adoperata come fermacarte. Il poeta, contemplando la conchiglia, medita sulle età più antiche della terra e sul destino dell’umanità, il cui futuro nasce dalle ceneri del passato attraverso un percorso che coinvolge l’intero universo. Forse qualcuno dei miei lettori ne ricorderà l’incipit:

Sul chiuso quaderno 
di vati famosi, 
dal musco materno 
lontana riposi, 
riposi marmorea 
dell’onde già figlia, 
ritorta conchiglia. 

Occulta nel fondo 
d'un antro marino, 
del giovane mondo 
vedesti il mattino; 
vagavi co’ nautili, 
co’ murici a schiera, 
e l’uomo non era. 

Per quanta vicenda 
di lente stagioni, 
arcana leggenda 
d’immani tenzoni 
impresse volubile
nel niveo tuo dorso 
de’ secoli il corso! 


La democratizzazione del soggetto poetico e il rinnovamento (tematico o formale) della poesia per la scienza hanno incontrato, anche allora, delle critiche. La banalità dei soggetti della poesia scientifica e la mostruosità stilistica di certa poesia didattica attivavano due tipi di antagonismi: disaccordo tra registri nobili e volgari e conflitto dello spirituale contro il materiale. Il sospetto di materialismo che pesava sulle scienze applicate (e che spinse tutta l'ondata di protesta contro la società industriale e borghese) suscitava la resistenza. Come testimonia agli inizi del secolo il francese Louis de Bonald ("Sulla guerra delle scienze e delle lettere", 1807): 
“Da qualche tempo si notano sintomi di incomprensione tra la Repubblica della Scienza e la Repubblica delle Lettere. [...] Da entrambe nascono reclami e recriminazioni. Le scienze accusano le lettere di essere gelose dei loro progressi. Le lettere rimproverano alle scienze la presunzione e un'ambizione sproporzionata; e come sempre accade tra persone amareggiate, l'osservatore imparziale percepisce da entrambe le parti il desiderio di fare la guerra piuttosto che i soli motivi della guerra”
Il connubio di ragione tra poesia e scienza non era infatti indenne da critiche, anche aspre, e contraddizioni. Il XIX secolo è attraversato da una polemica, una vera e propria "guerra culturale", tra i sostenitori dell’arte pura e i seguaci di una benefica collaborazione tra i domini, tra coloro che considerano la poesia un accessorio estetico e un’integrazione emotiva e coloro che vivono questa combinazione come una degradazione e una concessione. L'incanto per la scienza sarebbe quindi solo un disincanto poetico del mondo, come è evidente nel sonetto To Science scritto nel 1827 da un giovanissimo Edgar Allan Poe (che pure, vent'anni più tardi, avrebbe pubblicato il profetico “poema in prosa” Eureka!, un vero proprio testo astronomico scritto da un poeta con profonde conoscenze scientifiche): 

Science! true daughter of Old Time thou art! 
Who alterest all things with thy peering eyes. 
Why preyest thou thus upon the poet’s heart, 
Vulture, whose wings are dull realities? 

How should he love thee? or how deem thee wise, 
Who wouldst not leave him in his wandering 
To seek for treasure in the jewelled skies, 
Albeit he soared with an undaunted wing? 

Hast thou not dragged Diana from her car, 
And driven the Hamadryad from the wood 
To seek a shelter in some happier star? 
Hast thou not torn the Naiad from her flood, 

The Elfin from the green grass, and from me 
The summer dream beneath the tamarind tree? 

Scienza, tu sei la vera figlia del Tempo antico, 
tu che muti ogni cosa con gli occhi penetranti! 
Perché devasti, dunque, il cuore del poeta, 
avvoltoio dalle ali tristemente monotone? 

Come potrebbe amarti, come crederti saggia, 
tu che mai lo lasciasti libero di vagare 
in cerca di tesori per i cieli gemmati, 
benché si alzasse in volo con ali temerarie? 

Non hai sbalzato forse Diana dal suo carro? 
Non hai cacciato via dal bosco l’Amadriade, 
che andò a cercar riparo su una stella più lieta? 
Non hai strappato tu la Naiade ai suoi flutti, 

e l’Elfo all'erba verde, e a me il sogno estivo, 
a me disteso all'ombra del fresco tamarindo?



Lo scetticismo del reticente è talvolta espresso in testi amaramente beffardi o parodistici. Tuttavia, come distinguere la parodia dal modello, a volte essendo esso a lei così vicino? L'effetto parodico può essere voluto e controllato o involontario, quando si tratta di imitazioni fallite o di ampollosità didattica, talmente incompetente al punto da passare per ironia. Che dire ad esempio di Nouvelle arithmétique, appliquée à la marine et au commerce, mise en vers di Pierre Léon Chavignaud (1841), un libretto di un centinaio di pagine che ebbe più di dieci edizioni nell'arco di tre lustri (l’ultima, di Hachette è del 2018)? 

Quatre opérations, distinctes et faciles, 
Fixent le jugement des commerçants utiles. 
L’Addition d’abord se grave en leur esprit : 
Ils sont heureux de voir augmenter leur crédit. 
De la Soustraction la douce et sure chance, 
Des mains de la justice en fixe la balance. 
Multiplication, d’un pas noble et certain, 
Tu viens les enrichir d’un précieux butin. 
Division, tu fais que le sociétaire, 
Obtient, grâce à ton art, son avoir salutaire. 

L’intento didattico è chiaro, e forse fu raggiunto (tra l’altro le rime facilitano l’apprendimento a memoria), ma scambiare questa operazione per poesia scientifica è un oltraggio per entrambe le culture. L’autore, che fece carriera anche come scrittore di romanzi popolari, forte del successo ottenuto, mise poi in versi una grammatica francese, che fu però meno fortunata. 

Se la parodia è definita dall'opposizione tra il soggetto e lo stile, traendo dal divario tra il registro nobile e quello volgare la sua essenza comica, la poesia scientifica nella sua vena meno profonda è un genere che talvolta dà una forma alta ad argomenti forse inappropriati, ciò che accentua frequenti incidenti di percorso. Critica o comica, la parodia non è l'unica deviazione dal trattamento della scienza da parte della poesia. L'effetto di scarto appare anche nella produzione di "conoscenza eterodossa" da parte di studiosi e poeti incapaci o insani, di contestatori, mistici o visionari con una predilezione per le scienze che toccano l'ignoto e nutrono il mistero (tutti etichettabili come i “folli letterari” di Queneau). Sono queste produzioni eterodosse che ispireranno verso la fine del secolo la perfida e geniale satira ‘patafisica di Jarry.



La nazione in cui la poesia scientifica raggiunse i livelli più alti fu senza dubbio la Gran Bretagna vittoriana, dove molti famosi uomini di scienza praticavano le ricerche specialistiche e la scrittura di poesie e di esposizioni popolari delle loro teorie scientifiche. Le loro carriere eclettiche furono rese possibili dai confini aperti tra le discipline: non c'erano rigide barriere educative o linguistiche, come sarebbe avvenuto nel XX secolo, tra la ricerca scientifica e la comunicazione scientifica, o tra scienza e letteratura. 

La maggior parte degli scrittori britannici di scienza dell’epoca citava regolarmente versi e brani di poesie, proprie o di autori famosi, nel corso delle loro spiegazioni di esperimenti scientifici e teorie. Gli usi della citazione poetica nella scienza vittoriana sono numerosi, vari e spesso difficili da definire: gli autori usano la lingua della poesia a volte come prova a sostegno di particolari teorie scientifiche, e talvolta come una sorta di ornamentazione retorica della loro prosa. Alcune citazioni sono utilizzate per riassumere il ragionamento induttivo caratteristico della scienza, che passa dall'osservazione di un particolare fenomeno naturale a una più ampia conclusione sul significato di quel fenomeno; e alcuni sono impiegati per andare oltre il metodo scientifico, per suggerire gli effetti emotivi o spirituali di un fatto scientifico. Molti matematici e fisici erano loro stessi poeti dilettanti, ma il loro diletto si fondava su solide basi culturali (e persino su una vera e propria erudizione) e si manifestò con opere di buon livello, sia su temi scientifici, sia su temi meno direttamente legati o non collegabili con il campo della loro ricerca. Era tra loro condiviso il pensiero che la ricerca richiede un alto grado di immaginazione, affine all'istinto del poeta: è questo spirito creativo che accomuna scienza e poesia nella figura dello scienziato-poeta vittoriano, di cui ci occuperemo prossimamente.

1 commento:

  1. Segnalo, con particolare riferimento a Pascoli, questa conferenza di Giancarlo Pontiggia. http://nuovaprovincia.blogspot.com/2019/11/giancarlo-pontiggia-quanto-pesa-il.html?m=1

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