Luglio 1884. Nella villa al mare del “ricchissimo banchiere” Guglielmo Aresti succedono molte cose. Sua moglie Letizia è agli ultimi giorni di gravidanza (partorisce dopo cinque giorni una femminuccia), mentre i due figli Marco, di 14 anni, e Filippo, di 13, attendono con impazienza l’arrivo dall’Australia dello zio Ludovico, fratello del padre, appassionato di scienze ed esplorazioni. Lo zio, amatissimo dai nipoti, è cinquantenne, celibe e un vero pozzo di scienza: a casa sua ha allestito un gabinetto di fisica e un laboratorio di chimica e possiede collezioni di minerali, piante e animali che porta dai viaggi che intraprende in tutto il mondo. Finalmente la famiglia si reca alla stazione ferroviaria più vicina e Ludovico scende dal treno…
Questo è l’antefatto del curioso libro di 255 pagine intitolato L’Abbiccì della Fisica, ossia primi rudimenti di questa scienza pei giovinetti studiosi, scritto dal fiorentino Gustavo Milani e pubblicato da Paravia, Torino, nel 1885. Milani è stato un prolifico divulgatore della seconda metà dell’Ottocento, che ha pubblicato opere come il Corso elementare di fisica e Meteorologia in otto volumi (Editori della Biblioteca Utile, Milano, 1867–1872), Il primo passo alla scienza : principj di scienze fisiche e naturali: opera destinata agli istituti elementari d'istruzione e d'educazione d'Italia, e scritta appositamente per il R. Conservatorio di S. Anna in Pisa (1878), Armonie poetiche della natura e della scienza (Treves, Milano, 1884), La chimica in famiglia (Le Monnier, Firenze, 1886), Meteorologia popolare (1887), e il ponderoso Manuale di scienze naturali e delle loro principali applicazioni ad uso delle scuole normali maschili e femminili, delle scuole tecniche, ecc. (Paravia, Torino, 1887).
La scelta di presentare ai giovani le principali conoscenze fisiche in modo discorsivo, attraverso l’espediente di uno zio sapiente che si prende carico dei due nipoti per due settimane e illustra loro numerosi fenomeni prendendo spunto dalle esperienze di quelle giornate d’estate viene così giustificata dall’autore nella prefazione:
Il volume che offriamo ai giovanetti italiani cerca appunto di rispondere allo scopo sopra accennato, che è quello di esporre i principii elementarissimi e fondamentali della fisica in modo proficuo sî, ma al tempo stesso dilettevole, con linguaggio rigorosamente scientifico sì, ma insieme non scolastico ed assai brioso, unendo, in una parola, secondo il precetto del poeta, utile dulci.
La forma prescelta per la esposïzione è il racconto, la cui tessitura però si offre con una grandissima semplicità. Si sono evitati con cura gli episodi che potessero distrarre l’attenzione dei lettori dal fine che il libro si propone. Anzi ogni fatto ivi narrato è sempre preordinato a somministrare una occasione a spiegare un qualche principio scientifico; quindi tutte quante le parti dell’operetta tendono ad un solo e medesimo scopo, d'istruire dilettando. (…)
Il Milani non dimentica di concludere la prefazione con la positivistica esortazione a costruire un futuro radioso per i destini della scienza e della nazione:
Giovanetti italiani! La fisica ha fatto nel nostro secolo tanti e cosï meravigliosi progressi; la sua estensione se ne è tanto accresciuta, le sue applicazioni sono divenute così numerose e così straordinariamente importanti, che si può dire, senza troppa esagerazione, essere appena sufficiente la vita di m uomo per abbracciare in modo completo tutte le parti di questa scienza tanto vasta e grandiosa.
Fa dunque mestieri che voi ne incominciate di buonora lo studio, imparandone sino dagli anni vostri più giovanili, i primi rudimenti. Quando poi, divenuti adolescenti, seguirete i corsi di fisica dei licei o degli istituti tecnici, vi gioverà singolarmente il non essere affatto digiuni di queste cognizioni, ed i vostri progressi in esse saranno tanto più rapidi e soddisfacenti. (…)
Ricordatevi che siete nati nella patria di Galileo, e che per noi Italiani è un sacro dovere di tenere alla nel mondo la bandiera delle fisiche discipline, non mostrandoci degeneri da quei grandi uomini, il cui nome suona e suonerà sempre famoso.
Lo scopo è nobile, i concetti sono esposti in modo chiaro, anche attraverso l’illustrazione di moltissimi semplici esperimenti, le immagini a china sono ben fatte dall’esperto e stimato Enrico Mazzanti, ma al Milani manca proprio la vena del romanziere. Lo zio Ludovico è paziente, estasiato dai nipoti, impeccabile nelle sue spiegazioni, al punto da risultare assai poco credibile. Il materiale per gli esperimenti (bombolette di idrogeno, elettroscopi, barometri a mercurio, termometri all’alcol, picnometri, ecc.) esce come per miracolo da una cassetta che ha portato con sé e che ricorda la tasca senza fondo di Eta Beta. I due ragazzini, obbedienti, ben educati, cresciuti nei valori tradizionali di Dio, Patria e Famiglia, sono così perfettini da risultare antipatici al lettore moderno, che sente salire dal subconscio lo spirito ribelle di un Franti. Ecco come Filippo, il più affettato, accoglie lo zio:
“Mio caro zio, potete ben supporre con quanta attenzione, con quanto piacere, io ascolterò le vostre spiegazioni. Anzi vi dirò che io voleva pregare la mamma di comprarmi un libro che contenesse queste spiegazioni. Ora che abbiamo la fortuna di possedervi in mezzo a noi, e giacché siete tanto buono di volerci istruire, rinunzio al libro e sono certo di profittare assai più, ascoltando la scienza dalla vostra bocca”.
Narratore mediocre, Gustavo Milani era tuttavia un buon divulgatore. Le occasioni per le spiegazioni dei concetti fondamentali della fisica elementare sono numerosissime nelle sedici giornate (una per capitolo) che lo zio trascorre con i nipoti nella villa con il suo grande giardino e nei dintorni. Ci sono persino un’ascensione con il mulo ai mille metri di una montagna e una visita nell’osservatorio astronomico della città più vicina. Per cogliere il valore didattico del testo, meglio di ogni commento è riportarne un estratto. Ho scelto la mattina della settima giornata, dedicata alle proprietà dell’aria e agli stati della materia.
GIORNATA VII
(…)
«Voi vi servite continuamente, pei vostri giuochi, di palle di caoutchouc, e sapete benissimo che si possono far cambiare facilmente di forma stringendole fra le mani. Quelle palle sono piene d'aria; questa non esce fuori per effetto della pressione, perché non vi sono fori. Anche nel percuotere contro il pavimento o contro il muro la palla di caoutchouc si schiaccia, ma siccome è elastica tanto nell'inviluppo quanto nel suo contenuto, subito riprende la sua bella forma sferica e in questa guisa rimbalza con tanta energia».
«Avete osservato senza dubbio che la palla di cui vi parlo, stretta che sia fra le mani, diminuisce moltissimo, cioè occupa assai minore posto di prima. Perché ciò avvenga, bisogna che l'aria in essa rinchiusa possa ravvicinare le sue parti per dato e fatto della pressione; bisogna, in una parola, che sia, come dicono i fisici compressibile. Anzi a questo proposito vi voglio mostrare un apparecchio che vi interesserà molto. Osservate».
Così dicendo, lo zio Lodovico cavò fuori dalla cassetta che conosciamo un tubo di grosso cristallo. lungo meno di un mezzo metro, aperto da una parte e chiuso dall'altra. La luce interna del tubo poteva avere poco più di un centimetro di diametro.
«Questo tubo di cristallo» prese allora a dire lo zio Lodovico «è pieno d'aria, come sono pieni tutti i vasi e recipienti che nel linguaggio volgare si dicono vuoti. L'espressione, come vedete, è erronea; perché, a tutto rigore di termine, è vuoto soltanto quel vaso che non contiene nulla di materiale; invece qualunque recipiente creduto vuoto è ripieno d'aria. Dunque questo tubo, o cilindro come si voglia chiamarlo, contiene dell'aria nel suo interno. Ora io v'introduco questo stantuffo massiccio, fatto con un'anima di metallo e vari pezzi di cuoio sovrapposti e arrotondati con diligenza. Lo stantuffo combacia esattissimamente colle pareti del tubo e per conseguenza lo chiude in modo perfetto. Supponete per un momento che l’aria non fosse suscettibile di occupare uno spazio minore quando è compressa: io avrei un bel pigiare lo stantuffo, non mi riescirebbe di farlo penetrare dentro al cilindro, neppure di un capello. Invece guardate».
Lo zio Lodovico appoggiò allora il fondo del tubo di cristallo sulla tavola, e mantenendo colla sinistra mano diritto l'apparecchio, colla destra spinse in giù lo stantuffo, il quale discese assai più giù dei due terzi della lunghezza del cilindro. Tolta la mano, lo stantuffo ritornò in su prontamente con un moto spontaneo.
«Vedete bene, miei cari» riprese lo zio Lodovico «che io ho potuto costringere l'aria contenuta nel tubo a farsi, per così dire, piccina piccina, e a ridursi ad occupare un piccolissimo spazio in confronto di quello che occupava prima della pressione; ciò prova che essa è immensamente compressibile. Avete veduto inoltre come lo stantuffo, al togliere io la mano, sia subito ritornato in su. Era l'aria compressa che lo spingeva a guisa di una molla d'acciaio che ad un tratto si svolge, libera che sia dalla forza adoperata a piegarla; v'insegnai che questa proprietà dei corpi chiamasi elasticità: dunque l'aria è perfettamente elastica.
«Ora empirò d'acqua il nostro tubo e vi rimetterò lo stantuffo. Così vedremo se l'acqua è compressibile come l'aria».
Lo zio fece quanto aveva detto, ma introdotto lo stantuffo nel cilindro, e per quanti sforzi facesse per costringerlo a penetrare più innanzi, sia tenendo l'apparecchio sul tavolo, come precedentemente, sia appoggiandolo contro il muro e spingendo lo stantuffo con grandissima energia, non gli venne fatto di smuoverlo dalla sua posizione: l'acqua sottoposta opponeva al suo movimento in avanti una resistenza insuperabile.
«Vi persuadete facilmente, miei buoni amici» continuò lo zio Lodovico «che l'aria e l'acqua si comportano molto diversamente riguardo alla pressione; la prima è grandemente compressibile, la seconda niente affatto, o per lo meno così poco che per fare discendere questo stantuffo quanto ha di grossezza un foglio di carta velina, ci vorrebbe uno sforzo enorme che io non sono davvero capace di produrre. Questa piccolissima compressibilità dell'acqua, che è causa di altre sue proprietà molto rimarchevoli, è comune ancora all'alcoole, all'etere, al mercurio, insomma a tutti i liquidi».
Marco allora domandò che differenza c'era tra i liquidi ed i gas; al che lo zio rispose:
«In natura vi sono tre aspetti sotto i quali 'i corpi si presentano ai nostri sguardi; o piuttosto, diciamo meglio due sono gli aspetti che appaiono alla nostra vista, mentre il terzo non si rivela che con qualche studio. Le pietre, le piante, gli animali, la terra, i metalli, ecc. sono corpi solidi; l'acqua è un corpo liquido abbondantemente sparso dappertutto. In quanto ai gas vi ho spiegato, per quanto ho potuto, che l'aria ne è il principale rappresentante».
«Ora riflettete che per rompere un bastone di legno, specialmente se è grosso; vi è necessario un grandissimo sforzo, e anche spesso non vi riesce. Ciò vuoi dire che le particelle del legno stanno unite insieme con una grandissima energia, tanto che ci vuole molta forza per separarle. E questo lo sentite anche meglio provandovi a stirare il bastone nel senso della sua lunghezza; in questo caso poi non riesce a separarle né a voi né a me, e neppure a qualche macchina molto potente. Questa forza che lega insieme così energicamente le particelle dei corpi solidi, si dice coesione, ed è anche essa una specie di attrazione, la quale però non si fa sentire che a piccolissime distanze».
«Vi sono poi certi corpi, come la gelatina, il burro, e simili, i quali non oppongono una resistenza così grande alla separazione delle loro particelle questi sono detti corpi molli, e così divengono anche gli altri quando siano riscaldati: per esempio il ferro, quando esce dalla fucina, è pastoso come la cera».
«Ora ponete mente all'acqua, al vino, all'alcoole o ad altri liquidi, e vi accorgerete subito che essi si lasciano versare, dividere in goccie, sparpagliare in un modo straordinario e con una grandissima facilità: la qual cosa dimostra che le loro particelle non stanno congiunte così intimamente come quelle dei corpi solidi; la loro coesione insomma è di gran lunga minore. Di più avrete riflettuto qualche volta, io credo, che i liquidi non possono prendere una forma loro propria, ma si adattano invece su quella dei recipienti che li contengono. Non è stato mai possibile di fare coll'acqua una palla, una statua, un oggetto qualunque».
«O col ghiaccio» interruppe Marco «non si fanno anche delle case? Lessi in un libro, che mi regalò mio cugino, che gli abitanti della Lapponia si fanno delle capanne col ghiaccio, e che a Pietroburgo una volta fabbricarono un palazzo intiero con dei pezzi di ghiaccio. Il ghiaccio non è acqua?»
«È verissimo quanto tu dici» riprese a dire lo zio Lodovico «il ghiaccio è acqua, ma è acqua divenuta solida per cagione del freddo ; dunque gode delle proprietà dei solidi e può quindi prendere una forma e conservarla anche per molto tempo, specialmente in un clima freddissimo come quello della Russia settentrionale, o meglio ancora della Lapponia.
«Ci resta a parlare dei gas. Avete veduto che l'aria, che è il gas più sparso in natura, è qualche cosa di tenuissimo, e rispetto ai solidi ed ai liquidi, molto leggiero; di più è invisibile, trasparentissima, senza odore, né colore, a meno che non sia in grandissima quantità. Vi ho mostrato che ha un peso, vi ho fatto conoscere gli effetti di questo peso o pressione sopra i corpi posti alla superficie della terra. Poco fa coll'acciarino pneumatico vi dimostrai che l'aria è grandemente compressibile ed elastica».
«Scusate, zio» domandò allora Filippo «avete detto che quel tubo di cristallo che ci faceste vedere poco fa, si chiama acciarino pneumatico.Ci fareste grazia di dirci perché porta questo nome?»
«Hai ragione» rispose lo zio «l'ho detto senza accorgermene; ma giacché la parola mi è sfuggita dalla bocca, è bene che ve la spieghi. Prima di tutto non sapete che cosa sia un acciarino. Se foste nati quaranta o cinquanta anni or sono, lo sapreste certamente. In quei tempi per accendere il fuoco o una fiamma qualunque, si ricorreva ad una pietra chiamata selce o pietra focaia, la quale si confricava rapidamente mediante un pezzo di acciaio che tenevasi in mano; era quello l'acciarino. Vi ricorderete che in altra occasione vi spiegai che la confricazione è causa dì sviluppo di calore; in questo caso il calore prodotto è tanto grande che le piccole particelle del solido staccate s'infiammano e divengono faville che volano per l'aria. Avrete certamente vedute di queste faville in gran numero prodursi dalla pietra dell'arrotino quando essa gira e vi è una lama di un coltello che vi si sfrega; oppure ancora dal selciato delle vie quando è percosso e confricato dai ferri dei cavalli che scalpitano».
«Ora, quelle faville, quando vengano a cadere sopra qualche sostanza che facilmente si accende come l'esca, la polvere da sparo, eccetera, vi mettono il fuoco e l'infiammano. Per questo sopra alla pietra focaia si poneva un pezzo d'esca ben asciutta, poi si svegliavano coll'acciarino le scintille dalla selce, le quali cadendo sull'esca, vi appiccavano il fuoco. Si aveva poi uno stoppino tutto ricoperto di solfo, il quale messo in contatto coll'esca accesa, produceva finalmente una fiamma azzurrognola e di un odore forte e soffocante. Oggi anche il modo di procurarsi la fiamma si è perfezionato, ed il fiammifero a fosforo segna un immenso progresso sull'acciarino». (…)
«Lasciamo ora l'acciarino pneumatico, che ci ha un poco distratti dalla nostra via e ritorniamo ai gas, e specialmente all'aria. Mi premerebbe di farvi capire una certa proprietà dell'aria, che ha veramente una grande importanza e che è carattere essenziale di tutti quanti i gas».
« Se fossimo nel mio gabinetto di fisica, vi potrei fare vedere degli esperimenti in proposito. Qui bisogna che ci adattiamo alle circostanze. Suppliremo con questo semplice apparecchio, che ho immaginato per voi».
Lo zio Lodovico ricorse ancora una volta alla famosa cassetta, che sembra fosse davvero inesauribile, e ne trasse un vaso di vetro non troppo grande, chiuso da un buon turacciolo di sughero, attraverso al quale passava un tubetto pure di vetro che penetrava per un poco nel vaso e sporgeva al di fuori per alcuni centimetri. Dentro al vaso fece vedere una specie di borsetta formata di una sottile pellicola e legata con un filo. Trasse fuori la borsetta per mostrarla meglio ai nipoti, poi disse:
« Questa è una piccola borsa di caoutchouc nella quale ho lasciato un poco d'aria, prima di legarne l'apertura con un forte filo. Rimetto la borsetta così chiusa dentro a questo vaso di vetro, vi applico con forza il turacciolo, perché sigilli bene; poi prendo in bocca l'estremità del tubo ed aspiro quanto più posso. State attenti alla borsetta».
«Ah!» esclamò Marcò «la borsetta si gonfia quando aspirate, poi si rifà grinzosa quando cessate di aspirare».
L'esperimento fu ripetuto più e più volte, tanto dallo zio quanto dai nipoti; dopo di che il primo riprese a dire :
«Come può la borsetta gonfiarsi? Forse qualcuno vi soffia dentro dell'aria? No certamente. Dunque il gonfiamento avviene per dato e fatto della piccola quantità d'aria rimasta rinchiusa nel suo interno. Nell'aspirare colla bocca, io ho tolto dell'aria dal vaso e per conseguenza ho diminuita la pressione che tutto all'intorno si faceva sentire sulla borsetta. L'aria rinchiusa in quest'ultima si accorge subito, per così dire, di questa diminuzione di pressione, e come liberata da un peso che l'opprimeva, occupa tosto uno spazio maggiore, o per usare il linguaggio della scienza, si espande: ecco perché la borsetta si gonfia coll'aspirazione».
«Al momento poi che io cesso di aspirare, l'aria esterna rientra nel vaso, la pressione per conseguenza ritorna ad essere quella che era per lo innanzi, e l'aria contenuta nella borsetta e obbligata a riprendere il posto che prima occupava; il che fa ridivenire grinzosa la borsetta stessa».
«Così in piccolo ma in modo abbastanza evidente, spero di avervi dato una idea della espansibilità dell'aria e di tutti i gas, cioè di quella proprietà che essi hanno di tendere ad occupare uno spazio sempre maggiore, quando sono liberi di farlo, cioè quando la pressione che si esercita sopra di essi glielo permette. Ciò prova che le particelle dei gas, invece di essere tenute strette insieme da una forza attrattiva, risentono piuttosto gli effetti di altra forza che le spinge ad allontanarsi le une dalle altre ed a fuggirsi, forza che suoi chiamarsi ripulsiva, e della quale esistono altri esempi in natura, come avremo luogo di vedere, almeno così voglio sperare».
«Vedete ora che cosa deve accadere dell'aria che sta al di sopra delle nostre teste e che circonda tutto il globo. formando l'atmosfera. Imparammo che in essa la pressione va di continuo diminuendo a misura che si sale; dunque l'aria più si va in su, più si espande, allontana le sue particelle, si fa rara e tenue. Che sarà mai di quest'aria a cento o duecento mila metri di altezza? La sua tenuità o rarefazione, come si dice con parola scientifica, sarà tale da non potersi neppure concepire. Ed in questa guisa si passerà certamente dall'atmosfera al vuoto che esiste fra un astro e l'altro». (…)