giovedì 17 giugno 2010

Pittura e dispositivi ottici: il Rinascimento

La maggior parte degli storici dell’arte ritiene che molti pittori europei a partire dal Rinascimento fecero uso di elaborati sistemi di prospettiva matematica per realizzare i loro capolavori. Negli ultimi anni il noto artista inglese David Hockney e il fisico ottico dell’Università dell’Arizona Charles Falco hanno tuttavia ipotizzato che molti tra i più capaci artisti abbiano fatto uso, a partire dalle Fiandre nel secondo decennio del Quattrocento, di diversi apparecchi ottici, che vanno dagli specchi concavi, alle lenti, fino alle prime forme di camera oscura e di camera lucida. Essi suggeriscono che pittori da Van Eyck fino a Caravaggio, Lotto, Velazquez, Vermeer, Ingres, ecc., abbiano per secoli utilizzato dei precursori delle macchine fotografiche prima dell’invenzione dei fissanti chimici nel 1839. Fu solo dopo la diffusione di questi fissanti che i pittori, improvvisamente stanchi del realismo ottico, intrapresero quella critica alla fotografia implicita nell’impressionismo, nell’espressionismo e nell’arte astratta. Queste argomentazioni, avanzate in serie pubblicazioni scientifiche, sono oggetto di controversie e, se si rivelassero veritiere, avrebbero importanti conseguenze nella nostra concezione della storia dell’arte. Il grande pubblico ne è venuto a conoscenza nell’autunno del 2001, quando Hockney ha esposto le sue tesi nel libro Secret Knowledge: Rediscovering the Lost Techniques of the Old Masters.


Hockney e Falco considerano la “pietra di Rosetta” della loro teoria il quadro Marito e moglie di Lorenzo Lotto, del 1543. Essi fanno notare come il motivo del tappeto orientale sul tavolo vada fuori fuoco al centro, un effetto impossibile da vedere nella vita reale, ma inevitabile se una lente con una limitata profondità di campo proietta il soggetto su una superficie piana. Inoltre la parte posteriore dell’immagine torna improvvisamente nitida, grazie a una messa a fuoco della lente, che a sua volta porta a una leggera distorsione tra due diversi punti di fuga, non il singolo che ci si aspetterebbe se l’immagine fosse stata realizzata con il semplice uso della prospettiva geometrica.

Da dove proviene questo “aspetto ottico”? Uno sguardo ai ritratti realizzati a partire dal XIII secolo dai pittori europei mostrerebbe come qualcosa di nuovo accade intorno ai primi decenni del Quattrocento a Bruges.

Il cardinale Niccolò Albergati visitò la città fiamminga una sola volta, per tre giorni pieni di impegni nel 1431, durante i quali van Eyck organizzò una rapida sessione di disegno. Il risultato fu un disegno preparatorio in cui si notano le pupille a punta di spillo e le ombre scure, che suggeriscono una brillante luce esterna richiesta dall’uso di una proiezione ottica. Il disegno era circa la metà delle dimensioni reali; il quadro creato l’anno successivo era grande circa il 40% in più del disegno e, se riportato alle stesse dimensioni, vi si sovrappone perfettamente, come può essere ottenuto, secondo Hockney, solo con l’utilizzo di un qualche dispositivo ottico.

A Bruges, intorno al 1430, cent’anni prima di Lotto, è improbabile che esistessero le lenti adatte, ma, sostiene Falco, lo stesso risultato può essere ottenuto da uno specchio concavo, costruito con la stessa tecnologia di quello convesso che compare nel Ritratto di Giovanni Arnolfini e della moglie, che van Eyck realizzò nel 1434, adattato a fungere da epidiascopio (o episcopio), un primitivo “proiettore opaco”. Grazie a questo dispositivo van Eyck poté copiare e allargare il disegno preparatorio e poi realizzare il dipinto, come è mostrato in figura.

L’ottica di uno specchio concavo può essere facilmente spiegata osservando come i raggi di luce paralleli provenienti da un oggetto distante sono riflessi e concentrati nel fuoco F. La distanza tra la superficie dello specchio e il punto F è la distanza focale f.

Gli specchi concavi più semplici possono essere considerati come sezioni di una sfera, con centro C. Dall’ottica elementare sappiamo che il raggio della sfera, r, è due volte la lunghezza focale dello specchio, vale a dire r = 2f. Le leggi che regolano la riflessione valgono ovviamente anche nel caso degli specchi concavi. Tuttavia le perpendicolari ai diversi punti degli specchi sono disposte radialmente e non parallelamente come negli specchi piani. Questo significa che raggi paralleli che colpiscono lo specchio in due punti diversi avranno un angolo di riflessione diverso. Ciò ha come conseguenza una deformazione delle immagini riflesse dallo specchio. Tale deformazione dipenderà dalla posizione relativa dell'oggetto rispetto allo specchio. Basandosi sulle dimensioni dei soggetti rappresentati e sulle loro distanze dall’artista, Hockney e Falco hanno valutato che la distanza focale dello specchio concavo usato nella creazione del ritratto degli Arnolfini potrebbe essere stata f = 54 cm. Essi sostengono che altri dipinti furono realizzati con specchi con distanza focali simili e indicano il valore f = 59 cm come un valore ragionevole e rappresentativo.

Hockney avanza anche la suggestiva ipotesi che gli artisti del primo Rinascimento potrebbero aver tenuta per sé la “conoscenza segreta” riguardo agli specchi perché si sarebbe trattato di un sapere circoscritto a un gruppo limitato, oppure perchè avrebbe potuto suscitare la diffidenza o l’aperta ostilità della chiesa.

Alcune obiezioni sono state subito avanzate dagli storici dell’arte, che hanno persino insinuato spiegazioni perfide sul successo editoriale del libro. James Elkins, professore all’Art Institute di Chicago, piccato per le accuse di ignoranza scientifica che Hockney ha rivolto alla categoria, è giunto a dire che “c’è un grande desiderio da parte dei lettori, dei giornalisti, della gente che visita i musei, di capire i Vecchi Maestri una volta per tutte. I trucchetti ottici elencati nel libro di Hockney promettono di renderlo realizzabile”.

Secondo David Stork, Chief Scientist alla Ricoh e professore consulente associato sia di Ingegneria Elettrica che di Computer Science alla Stanford University, è possibile spiegare la tecnica di ingrandimento utilizzata da van Eyck per il suo ritratto del cardinale Albergati senza invocare l’uso di un episcopio. Il pittore potrebbe aver semplicemente fatto uso di una griglia a maglie quadrate, come si usa nei corsi di disegno, correggendo poi le eventuali imperfezioni, ecco perché il disegno e il dipinto “si sovrappongono perfettamente”. In alternativa, van Eyck potrebbe aver usato un pantografo, che usava anche Leonardo. I pantografi si basano sul principio del parallelogramma nella geometria euclidea, conosciuto da più di ventitre secoli. L’artista muove una punta secca posta su una parte dello strumento lungo i contorni dell’originale e una matita posta sull’altra parte riproduce l’immagine su un foglio di carta o sulla tela, ad una scala che può essere scelta opportunamente.


Quanto ai difetti nel Marito e moglie di Lorenzo Lotto, Christopher Tyler, Direttore Associato dello Smith-Kettlewell Eye Research Institute in San Francisco, gli ha attribuiti scherzosamente allo “sguardo fisso” del pittore, cioè a una sua costruzione intuitiva. In realtà, egli sostiene, l’uso di due o più punti di fuga differenti è comune in moltissime opere di pittori tra il XV e il XVIII secolo, tra i quali Raffaello, Bellini, Holbein, Canaletto, delle quali fornisce le immagini.

Stork obietta poi che è possibile calcolare la distanza focale di un ipotetico dispositivo ottico per ogni quadro che presenta un numero sufficiente di oggetti posti a varie distanze, ma ciò non implica che tale dispositivo sia stato effettivamente utilizzato. Inoltre si chiede se esiste documentazione storica dell’esistenza di specchi e lenti appropriati durante il primo Rinascimento. Ora, tali specchi potevano essere costruiti da una sfera di vetro caldo nella quale, attraverso un tubo, sarebbe stata soffiata una mistura di stagno, antimonio e resina o catrame. Una volta raffreddato, il vetro sarebbe poi stato tagliato nelle dimensioni adatte per dare immagini sufficientemente ben definite. Egli ha calcolato la distanza focale dello specchio convesso rappresentato nel ritratto dei coniugi Arnolfini, ottenendo un risultato di f = 12 cm, assai diverso dal valore f = 54 cm per lo specchio concavo ipoteticamente utilizzato da van Eyck secondo Hockney. Ciò significa che se lo specchio convesso rappresentato può essere stato ottenuto da una sfera di vetro soffiato del diametro 4f = 48 cm, più o meno grande come un pallone da spiaggia, lo specchio concavo ipotizzato da Hockney e Falco dovrebbe essere stato tagliato da una sfera di vetro di diametro 4f = 220 cm, maggiore della più grande realizzata ai nostri tempi, e chiaramente impossibile nel XV secolo. Lo studio di specchi sferici o di sfere di vetro rappresentati nei quadri dei pittori dell’epoca considerata non ha poi fornito valori paragonabili a quelli dell’ipotesi di Hockney e Falco. C’è poi una considerazione riguardo alla luce necessaria affinché questi dispositivi potessero essere di qualche utilità pratica, che non poteva essere ottenuta se non riempiendo i locali di migliaia di candele.

L’ipotesi di specchi concavi ottenuti da bronzo o altro metallo lucidato (del tipo degli specchi ustori di Archimede), prosegue Stork, è improponibile per il semplice fatto che la loro qualità non avrebbe mai potuto consentire la proiezione sulla tela di immagini sufficientemente nitide. In ogni caso, conclude, lucidare uno specchio metallico delle dimensioni di quello rappresentato nel ritratto degli Arnolfini sarebbe stata un’impresa incredibile, circa duecentocinquanta anni prima dell’invenzione dei telescopi a riflessione di James Gregory nel 1663.

Le conclusioni di Stork sono quindi rivolte a una stroncatura radicale delle tesi di Hockney e Falco. Le fonti storiche del XV secolo, egli sostiene, sono insolitamente silenziose sull’uso di specchi concavi nella pittura, mentre abbondano i trattati sulla prospettiva. I quadri dell’epoca considerata riproducono una grande messe di strumenti ottici di ogni tipo (astrolabi, bussole, occhiali, ecc.), ma ben pochi specchi sferici o parabolici. Quanto alla teoria della cospirazione per mantenere segreto l’uso di questi strumenti, perché nessuna fonte dell’epoca ne parla, anche in termini vaghi? In un’epoca in cui ogni sapere professionale poteva essere sospettato di eresia, in cui abbondavano pubblicazioni su ogni tipo di sette esoteriche, perché questa “congiura degli specchi” ha dovuto aspettare il ventunesimo secolo per essere scoperta?

Una critica così articolata non poteva essere ignorata da Hockney e Falco. Essi hanno sintetizzato le principali obiezioni mosse al loro lavoro rispondendo che :
1) possediamo ampia documentazione che già nel XIV secolo esistevano dispositivi ottici, sia a riflessione che a rifrazione, adatti allo scopo, a prezzi assolutamente accessibili. I 40 ritratti di domenicani realizzati nel 1352 da Tommaso da Modena nella Sala capitolare del Convento di San Nicolò a Treviso, in particolare Ugo di Provenza e Il Cardinale di Rouen mostrano, rispettivamente, occhiali e una lente d’ingrandimento, mentre Isnardo da Vicenza e il San Gerolamo affrescato successivamente su un pilastro dell'attigua chiesa rappresentano entrambi specchi concavi.
2) la questione del talento è una fallacia logica, inadatta a smentire il fatto che, indipendentemente dalla loro capacità, i pittori avessero a disposizioni lenti o specchi e ne facessero uso;
3) gli artisti non facevano uso di candele, ma della luce solare.

Quanto alle critiche “tecnologiche” di Stork, essi ribattono che, secondo lo storico Martin Kemp, il pantografo fu inventato da Christopher Scheiner nel 1603, più di centocinquanta anni dopo che van Eyck dipinse il ritratto del cardinale Albergati, e 84 anni dopo la morte di Leonardo.

Secondo Hockney e Falco, che hanno pubblicato le loro considerazioni in un libro ottimamente corredato di illustrazioni, i dispositivi ottici e i loro effetti sulla tela influenzarono l’arte europea dal 1430 a circa il 1850, fino all’arrivo della fotografia, che sembrò togliere alla pittura lo scopo di ritrarre il reale così come appare ai nostri occhi (a quelli del pittore). Di come la storia dell’uso di dispositivi ottici nella pittura continui dopo il Rinascimento mi occuperò in un prossimo articolo, nel quale affronterò l’affascinante enigma della camera oscura del Caravaggio.

10 commenti:

  1. Questo è per me vero?!

    Aggiunto ai link per il Carnevale della fisica 8 :)

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  2. Mastro Pop, vorrei andare un attimino OT, as usual.
    Io all'inizio degli anni '80 del secolo scorso ero addetto a un plotter A0, vale a dire una stampante per riprodurre disegni tecnici fino alle dimensioni massime di 1189x841 mm ( http://it.wikipedia.org/wiki/Formato_carta ). Usava penne a inchiostro e ho ancora i diti neri.
    No, non mi sento un'artista, è solo per se qualcuno vuole controllare, a futura memoria per la Storia della Tecnologia.

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  3. Vorrei dire solo un paio di cose, entrambe da accettare con beneficio d'inventario.
    1) Ho un amico pittore che mi ha detto che molti suoi colleghi dipingono ricalcando un'immagine proiettata sulla tela da un proiettore di diapositive.
    2) Su un vecchio libro di fotografia (che disgraziatamente non trovo più) lessi che alcuni pittori rinascimentali solevano frapporre tra se e i soggetti una griglia, in modo da scomporre questi ultimi in tanti piccoli quadri e, conseguentemente, in modo da rispettare meglio le proporzioni.
    Spero di ritrovare quel maledetto libro, per verificare che non ho scritto una fesseria.
    Saluti!

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  4. Colapesce: un mio compagno di liceo era figlio di un fotografo e svolgeva regolarmente i compiti a casa di copia di particolari architettonici proiettando sul foglio l'immagine del libro catturata con una lavagna luminosa. Quanto all'ausilio della griglia da parte dei pittori (non solo rinascimentali), si tratta di una tecnica attestata e conosciuta, quindi non hai affatto detto fesserie.

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  5. Segnalo una serie di interviste a Hockney su You tube. In particolare una che è quqsi un documentario per la BBC, ahimè divisa in otto parti ma sottotitolata, di seguito il link del primo, gli altri si presenteranno da sè. Seguo con piacere e gusto il blog, grazie. peppe (altro)

    http://www.youtube.com/watch?v=MBNrgCaoyW8&feature=related

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  6. Grazie a te, altro Peppe, sia per i complimenti, sia soprattutto per il link, che rendo diretto: intervista a Hockney.

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  7. L'argomento è interessante (come al solito!), ma qualche dubbio mi rimane, probabilmente a causa della mia ignoranza in pittura. Esattamente cosa si intende come "rinascimento"? Chi sono gli artisti che avrebbero adottato queste tecniche, e chi avrebbe introdotto queste tecniche?

    Nell'articolo si fa riferimento anche a Leonardo: ma mi sembra strano che un Leonardo, così appassionato di macchine e meccanismi, non ne faccia riferimento nel suo "Trattato della pittura" (o anche l'Alberti nel suo "De pictura"). O sono io che sbaglio?

    Che poi, comunque, qualche lente venisse usata mi sembra ovvio; altrimenti come facevano per le anamorfosi (vedi quella del dipinto di Holbein il Giovane)?
    http://it.wikipedia.org/wiki/Gli_ambasciatori_%28Holbein_il_Giovane%29

    Comunque grazie, mi hai fatto conoscere una cosa nuova. Mi ascolterò l'intervista, e cercherò di capirne di più... Ciao, Pop! :)

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  8. Gavagai, non ti intendi di pittura? Allora non sei tu questa Gavagai?
    Comunque, con il tempo, ti risponderò punto per punto. Comincio col dirti che il concetto di Rinascimento è per Hockney molto elastico, sia in senso temporale che spaziale.

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  9. No. Di Gavagai ce n'è più di una/uno nel mondo della rete. Cose che capitano. :)
    Gavagai

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