Dividere la torta in sei parti uguali
L’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge
(a+b)2=a2+2ab+b2
Liberté Egalité Fraternité
3 + 2 = 1 + 4
Che cosa significa la parola uguaglianza? E che senso ha il simbolo = che utilizziamo dalla scuola elementare e che i matematici hanno incominciato ad usare nel XVI secolo? O, piuttosto, quali sono i suoi significati? Una prima idea è possibile averla consultando il dizionario. Ad esempio, il piccolo Devoto–Oli afferma:
uguaglianza (o eguaglianza) s. f. 1. Presenza in due o più persone o cose di caratteristiche e proprietà identiche: u. di forma tra due oggetti; u. di forze tra due avversari. / In mat., godimento di proprietà comuni da parte di più enti; membri dell’u.: gli enti che sono tra loro uguali; segno di u., il segno =, che lega i due membri dell'uguaglianza. 2. Ideale etico-giuridico o etico-politico, secondo cui i membri di una collettività devono essere considerati alla stessa stregua relativamente a determinati fatti o valori; la costituzione garantisce l'u. dei cittadini di fronte alla legge; lottare per l'u. sociale. 3. l'uniformità: l'u. di un terreno.
E, per uguale:
uguale (meno com. eguale) agg., s. m. e f. e avv. 1. Che presenta identità di caratteristiche, proprietà, qualità in un raffronto comparativo: la tua automobile è u. alla mia; vorrei una penna u. a quella; due ragazzi u. d'età, di carattere; tutti abbiamo u. diritti e u. doveri // II concetto di identità, applicato al comportamento si risolve in un'idea di indiscriminazione (la legge è u. per tutti) e di coerenza (un uomo sempre u. a se stesso) / Con riferimento a una idea di durata o estensione indica uniformità (andatura u.; parlare con voce u.), materialmente identificabile in una assenza di asperità e di discontinuità (pianura u.; il filo non è venuto tutto u.) // In mat., secondo il sign. più comune, due elementi a e b si dicono uguali (a=b) se sono la stessa cosa, cioè se coincidono. 2. s. m. e f. Appartenenti alla stessa posizione sociale: rispettoso con i superiori, cortese con gli u. / Pari per valore: non ha l’u. per bravura / Con valore neutro, in espressioni denotanti indifferenza: se non vuoi andarci, per me è u. 3. Come avv., allo stesso modo, nella stessa quantità: due ragazzi alti uguale; se tu sei stanco, io sono stanco u.
Le parole più utilizzate da un noto dizionario per indicare il concetto di "uguaglianza" e "uguale" sono identità, uniformità, somiglianza, coerenza, coincidenza, indifferenza. Ciascuno di questi termini è a sua volta definito nel dizionario utilizzando altre parole, a loro volta definite da altre. Siccome i dizionari contengono un numero finito di parole, non ci sono che due risultati:
– seguendo la catena delle definizioni, si ritrova un termine già consultato;
– alcune parole non ci sono.
La prima soluzione è quella adottata dai dizionari, che non se ne fanno un problema. Nella matematica, invece, dove la precisione è una necessità, si preferisce la seconda. Un certo numero di enti e di simboli primitivi non sono definiti: servono da mattoni di base per la costruzione della teoria.
È il caso del nostro =. Bisogna allora fare emergere il suo significato attraverso l’analisi di situazioni in cui interviene.
Ecco ad esempio le prime righe del primo volume degli “Elementi di Matematica” di Bourbaki, un vasto trattato scritto con lo scopo di fondare l'intera matematica sulla teoria degli insiemi attraverso testi che fossero il più possibile rigorosi e generali, cominciando dall’inizio. Ed è un inizio piuttosto indigesto:
“Dai greci, chi dice matematica dice dimostrazione. Alcuni dubitano che al di fuori delle matematiche esistano dimostrazioni nel senso preciso e rigoroso che questo termine ha ricevuto dai greci e che si intende dare in questa opera. Si ha il diritto di dire che il significato del termine dimostrazione non è variato, poiché ciò che è stato una dimostrazione per Euclide, lo è tuttora ai nostri occhi; ed in epoche nelle quali tale nozione ha rischiato di perdersi e la matematica si è trovata in pericolo, è presso i greci che si è ricercato il modello. Ma a questa venerabile eredità si sono aggiunte, da un secolo, importanti scoperte. In effetti l'analisi del meccanismo di dimostrazione nei migliori testi di matematica ha permesso di liberare la struttura dal doppio punto di vista del vocabolario e della sintassi. Si arriva quindi alla conclusione che un testo di matematica sufficientemente esplicito può essere espresso in un linguaggio convenzionale comprendente solamente un piccolo numero di termini invariabili assemblati mediante una sintassi che consisterà in un piccolo numero di regole inviolabili. Un testo così concepito si dice formalizzato. La descrizione di una partita di scacchi secondo la usuale notazione, una tavola di logaritmi sono testi formalizzati; (…). La verifica di un testo formalizzato non richiede che una attenzione meccanica; le sole cause di errore saranno dovute alla lunghezza o alla complessità del testo. (…) Per contro, in un testo non formalizzato si è esposti ad errori di ragionamento che rischiano, ad esempio, di causare un uso improprio dell'intuizione o del ragionamento per analogia.”
Nel primo volume dell’opera, dedicato alla Teoria degli Insiemi (1954, preceduto da un Fascicolo dei risultati nel 1939), il primo paragrafo è dedicato ai termini e alle relazioni. Esso dice che i simboli di una teoria matematica T sono
1) i simboli per gli operatori logici relazionali: ∧, ∨, ⇒, ⇔
2) le lettere minuscole e maiuscole latine, cui eventualmente sono assegnati degli apici: a, A, A’, A”, ecc.
3) i simboli specifici che dipendono dalla teoria considerata. “Nella teoria degli insiemi si utilizzano solo i due segni specifici = e ∈”
Così, in questo celebre trattato, l’autore (in realtà gli autori che si celano dietro questo pseudonimo) ha deciso di non tentare di definire il simbolo =. Esso è solamente un segno specifico della teoria degli insiemi! Viene la tentazione di tornare alla definizione del dizionario.
Restiamo in campo matematico e esaminiamo qualche altro esempio. Una volta si diceva che due triangoli sono uguali se riproducendo il primo su carta e spostando il calco ottenuto sopra l’altro, esso si poteva far coincidere con il secondo. In un testo di geometria elementare del 1898 scritto dal matematico francese Jacques Hadamard (che due anni prima aveva dimostrato il teorema dei numeri primi) si diceva già nell’introduzione che:
“2. Figure uguali.— Una figura qualsiasi può essere trasformata in una infinità di modi nello spazio senza deformazione, come avviene per i corpi solidi usuali.
Si definiscono FIGURE UGUALI due figure che possono essere trasportate una sull’altra, in modo da fare coincidere esattamente tutte le loro parti: in una parola due figure uguali sono la stessa identica figura in due posti differenti”.
Il significato della definizione è comprensibile, ma pone, a pensarci bene, seri problemi. Su questa base, esisterebbe un unico quadrato di un metro di lato, e questo unico quadrato ideale e astratto “si incarnerebbe” ora in posto ora nell’altro, spostandosi senza deformarsi. Henri Poincaré ha criticato con forza questo genere di definizioni. Ne La Scienza e l’Ipotesi (1902) diceva ad esempio:
“In effetti questa definizione non definisce nulla; non avrebbe alcun senso per un essere che abitasse un mondo nel quale non esistessero che fluidi. Se ci sembra chiara, è solo perché noi siamo abituarti alle proprietà dei solidi naturali che non differiscono di molto da quelle dei solidi ideali nei quali tutte le dimensioni sono invariabili.”
Se si spinge la definizione di Hadamard un po’ oltre, si può dire che tutti i punti sono uguali perché si può evidentemente farli coincidere spostando uno sull’altro. Tutti i punti sono uguali? Un’affermazione da insufficienza grave a scuola! E allora, quando due triangoli sono uguali? Sono difficoltà come queste che hanno portato a molta cautela nell’uso del termine uguaglianza, che pure era così comodo. È stato necessario introdurre nuove parole, meno immediate e facili per gli studenti di geometria. Si dice talvolta che due triangoli sono
isometrici oppure
congruenti, riservando la parola
uguali alla situazione caricaturale nella quale i due triangoli sono in realtà lo stesso triangolo. Così ad esempio trovo su
Ripmat, l’utile sito di Dino Betti di matematica per le superiori:
“Bisogna distinguere fra uguaglianza e congruenza: due cose sono uguali se sono la stessa cosa, cioè se occupano lo stesso spazio nello stesso tempo. Diremo invece che due cose sono congruenti se sono uguali ma occupano spazi diversi nello stesso tempo”.
Si guadagna in precisione, ma si perde in comprensione. Fuori dalle ore di matematica la parola uguale riprende il suo posto, perché è facile da capire, il che tutto quanto si richiede a una parola. D’altra parte chi chiederebbe di dividere una torta in sei fette congruenti?
Facciamo un altro esempio: quando scrivo 3 + 2 = 1 + 1 + 3, voglio dire che 3 + 2 è la stessa cosa che 1 + 1 + 3? Beh, per scrivere 3 + 2 ho battuto tre tasti della tastiera, mentre per 1 + 1 + 3 l’ho dovuto fare cinque volte. Ciò che si vuol dire con questa uguaglianza è altro, e cioè che due “cose” sono uguali allo stesso numero 5. Un po’ come il nostro unico quadrato ideale che si incarnava ora in posto ora nell’altro, il numero 5 apparirebbe sotto diversi travestimenti: 3+2, 2+2+1, Cinque, Five, Fünf, ecc., ma non credo nell’opportunità di inventare nuovi concetti in questo caso. Voglio vedere chi oserà proibire di dire che 7 + 5 = 12!
Insomma lo stesso termine, uguale, può essere utilizzato in un gran numero di contesti diversi, anche a costo di qualche confusione. Bisogna allora seguire il consiglio di Poincaré:
“Fare matematica vuol dire dare lo stesso nome a delle cose diverse.”
Che indica la capacità della matematica di riconoscere in cose apparentemente diverse gli stessi meccanismi di funzionamento. Scoprire un funzionamento comune e dargli un nome.
Torniamo all’uguale in matematica. Matematici, logici e filosofi hanno riflettuto sulle sue proprietà e hanno individuato queste tre:
– Ogni “cosa” è uguale a se stessa (proprietà riflessiva)
– Se una “cosa” è uguale a un’altra, questa seconda è uguale alla prima (proprietà simmetrica)
– Due “cose” uguali ad una stessa terza cosa sono uguali tra di loro (proprietà transitiva).
Quando sono soddisfatte tutte queste proprietà si parla di relazione d’equivalenza e si è autorizzati a utilizzare la parola uguale. Come si vede, la relazione d’equivalenza autorizza l’uso della parola uguale solo se si verificano determinate condizioni. Ciò succede perché è possibile in molti casi applicare diverse relazioni d’equivalenza sullo stesso insieme. Ad esempio:
– all’interno di un gruppo di colleghi ci possono essere persone che hanno lo stesso peso, altre che hanno gli occhi o i capelli dello stesso colore, ecc.;
– i numeri da 1 a 9 sono tutti formati da una sola cifra, ma alcuni sono pari e altri dispari, alcuni sono primi e altri non lo sono, ecc.;
– due triangoli sovrapponibili per un’operazione di movimento nel piano non sono necessariamente gli stessi.
Per evitare confusioni, ci si concentra su una relazione di uguaglianza “dimenticando” le altre, effettuando cioè quella che in algebra relazionale si chiama una proiezione. Così si assiste alla fioritura di una pletora di parole difficili: congruente, isomorfo, omeomorfo, conforme, equipotente, ecc. Quest’abbondanza terminologica è utile agli addetti ai lavori, ma nella vita di tutti i giorni è meglio tagliare una torta in fette uguali.
Eppure un’uguaglianza, anche al di fuori della matematica, non può essere concepita senza avere ben chiara l’esistenza di questa proiezione. Talvolta è implicita, altre volte è meglio esplicitarla. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 incomincia affermando:
Articolo primo –Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti (…)
I rivoluzionari francesi avevano le idee chiare: non hanno mai preteso sostenere che tutti gli uomini sono identici, ma hanno affermato che essi sono uguali nei diritti: il diritto è lo stesso per tutti. In precedenza c’era un diritto per ogni classe sociale (la nobiltà, il clero, il terzo stato): ciascuno “stato” aveva le proprie leggi. La dichiarazione afferma che da allora in poi di legge ne esisteva una sola per tutti. Ma l’esistenza di una stessa legge per tutti significa che gli uomini sono uguali in quanto sono sottoposti alla stessa legge. Non si tratta certo di un’uguaglianza stretta!
La nostra Costituzione stabilisce che:
Art. 3 – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (…)
Anche in questo caso, il principio di uguaglianza, che nasce dalla dignità umana, non è dichiarato in termini astratti e generali: tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. Ne discende che non possono essere emanate leggi che creino disparità di trattamento per alcuni. La legge si applica a tutti, governanti e governati, quindi nessuno può porsi al di sopra o al di fuori di essa e i pubblici poteri non possono fare discriminazioni fra i cittadini. In questo senso il principio di eguaglianza formale è strettamente legato al principio di legalità.
Oggi sembra che questa precisazione, “di fronte alla legge”, questa proiezione esplicitata, a qualcuno non basti più. Che avesse ragione Orwell e torto i rivoluzionari francesi e i nostri padri costituenti? Bisognerà aggiornare il Devoto–Oli?
Tutti gli animali sono uguali (ma alcuni sono più uguali degli altri).
***
Nota: Sono in gran parte debitore per queste mie considerazioni dell’articolo
Egalité (CNRS, 2009) di Étienne Ghys, Directeur de recherche CNRS, École Normale Supérieure de Lyon, che ho tradotto liberamente, saccheggiato, tagliato, rimaneggiato, adattato per i miei loschi fini. A lui vadano un ringraziamento e 10
3 scuse.