Nelle opere degli artisti, dei matematici e degli sperimentatori del Quattrocento, nei trattati degli ingegneri e dei tecnici del Cinquecento, si fece strada una nuova considerazione del lavoro, della funzione del sapere tecnico, del significato che hanno i processi di trasformazione della natura. Anche sul piano della filosofia emerge una valutazione delle arti ben diversa da quella tradizionale: alcuni dei procedimenti utilizzati dai tecnici e dagli artigiani per modificare e alterare la natura giovano alla conoscenza effettiva della realtà naturale.
La difesa delle arti meccaniche dalla accusa di indegnità, il rifiuto di far coincidere la cultura con l'orizzonte delle arti liberali e le operazioni pratiche con il lavoro servile, implicavano in realtà l'abbandono della concezione aristotelica della scienza come disinteressata contemplazione della verità: l’utile e il pratico erano ancora al di fuori del regno del buono, del vero e del bello. E alla polemica antiaristotelica si collega anche quella rivolta contro ogni forma di sapienza occulta e segreta, contro l'antichissima concezione sacerdotale del sapere. Gli scrittori di cose tecniche e i filosofi naturali insistono concordemente su un punto: il sapere ha carattere pubblico e collaborativo si presenta come una serie di contributi individuali, organizzati nella forma di un discorso sistematico, offerti in vista di un successo generale che deve essere patrimonio di tutti gli uomini.
Questo modo di considerare il sapere e la scienza gioca un ruolo decisivo e determinante nella formazione e negli sviluppi dell'idea di progresso scientifico. Gli uomini che operavano nelle officine, nelle miniere, nelle botteghe e nei laboratori artigianali, abbandonato il disprezzo per la pratica, consideravano le operazioni che vi si svolgevano come una forma di conoscenza ed elaboravano concetti che poi sarebbero diventati un metodo e una consapevolezza universale: il senso della ulteriore perfettibilità della propria opera, l'affermazione della necessità della cooperazione intellettuale e della progressività di un sapere che cresce nel tempo arricchendosi mediante l'opera congiunta di molti, il riconoscimento dei risultati sempre nuovi cui danno luogo le arti.
Questo processo di mutamento dei paradigmi è anticipato dagli scritti dei “tecnici” e di alcuni filosofi del tardo Cinquecento, di cui si possono fornire alcuni esempi, provenienti da luoghi e realtà operative diverse, e tuttavia accomunati da idee che rivoluzioneranno il pregiudizio verso le arti meccaniche e, a lungo andare, la scienza e la stessa società.
Bernard Palissy – Bernard Palissy (1510–1589), celebre ceramista francese, di religione protestante, aveva iniziato come apprendista vetraio presso la bottega del padre. Al termine dell'apprendistato aveva viaggiato a lungo l'Europa. Al suo ritorno in patria si manteneva dipingendo ritratti, decorando il vetro e svolgendo mansioni di geometra, maturando anche la passione per l'arte della laminatura e della cesellatura. I suoi affari subirono una serie di alti e bassi, che in più di un’occasione portarono la sua famiglia alla fame. Le sue sorti subirono un brusco cambiamento quando le porcellane e le sue altre opere furono notate dal Conestabile Anne de Montmorency che lo volle assolutamente a decorare le sale del castello di Écouen. La protezione di un personaggio tanto stimato e tanto potente condusse il Palissy alla corte di Francia e al favore di vari altri nobili: fu riconosciuto ideatore del particolare tipo di ceramica che porta il suo nome e gli fu concesso di aprire un laboratorio nei pressi del palazzo del Louvre. Nel 1572 riuscì a fuggire alla strage degli Ugonotti nella Notte di San Bartolomeo, rifugiandosi sotto la protezione di Caterina de' Medici, della quale era uno dei favoriti. Divenne anche esperto nella progettazione di giardini, ai quali dedicò gran parte del suo trattato, Discours admirables de la nature des eaux et des fontaines, pubblicato a Parigi nel 1580. I fantasmi del secolo tornarono tuttavia a visitarlo nel 1588, quando fu incarcerato come eretico nella Bastiglia e condannato a morte. Il re Enrico III gli propose la grazia in cambio della conversione, ma Palissy rifiutò, morendo di stenti a 80 anni nel 1589, poco prima dell'esecuzione della condanna.
Nell'Avvertimento ai lettori, premesso ai suoi Discours admirables Palissy si pone una domanda particolare: è possibile che un uomo possa sapere qualcosa ed essere a conoscenza degli effetti naturali senza aver letto i libri scritti in latino dai filosofi? Nei Discours, che sono in gran parte un'invettiva contro la cultura dei professori della Sorbona, risponde che l’arte di osservare la natura non è in alcun modo patrimonio dei dotti e dei filosofi. Essa deve essere diffusa presso tutti gli abitanti della terra e può nascere solo da un "culto per le cose" che respinge con violenza la cultura libresca e la tradizione filosofica:
"Mediante la pratica io provo esser false in più punti le teorie di molti filosofi, anche i più antichi e rinomati. In meno di due ore ciascuno potrà rendersene conto purché si prenda la pena di venire nel mio laboratorio. In esso si possono vedere cose mirabili (messe a prova e testimonianza dei miei scritti), collocate in ordine e con delle scritture al di sotto affinché ciascuno possa istruirsi da solo. Ti posso assicurare, o lettore, che, sui fatti contenuti in questo libro, imparerai più filosofia naturale di quanta non ne impareresti in cinquant'anni leggendo le teorie e le opinioni dei filosofi antichi".
Nella sua opera, presentata come un dialogo tra la Teoria e la Pratica, Palissy rifiuta con forza l’idea che la prima prevalga sulla seconda. I sostenitori di questa concezione, sostiene, pensano che prima di mettersi all’opera bisogna aver bene presente il suo scopo, che discende solo dalla teoria. Palissy, attraverso le parole di Pratica, fornisce allora dei contro-esempi: se così fosse, gli alchimisti dovrebbero essere capaci di creare rapidamente cose bellissime, invece di spendere cinquant’anni in una ricerca senza risultati; i generali, in base alla loro scienza bellica, non dovrebbero perdere neanche una battaglia; i teorici della navigazione, infine, dovrebbero sapere condurre le loro navi in ogni parte del mondo, mentre affidano questo compito ai marinai. È la pratica che genera la teoria, e non viceversa.
Palissy non era certo un uomo colto, era solo un artigiano autodidatta. In lui troviamo, portata alle estreme conseguenze, la tesi che il libro della natura sia straordinariamente più ricco e complesso di qualunque altro libro. Questa tesi giunge alla posizione oltranzista di rifiutare i libri in nome della natura e le teorie in nome della prassi artigianale. La sua invettiva assume poi le caratteristiche di una presa di posizione politica e di una violenta protesta contro l'ingiustizia sociale: "Molti mangiano le loro rendite in bravate e spese superflue al seguito della Corte, in acconciature fastose od altro. A costoro sarebbe molto più utile mangiar cipolle con i loro contadini, insegnando loro a ben vivere, dando loro il buon esempio, impedendo loro di rovinarsi con processi, lavorando la terra, edificando, scavando fossati e tenendosi pronti, a tempo debito, per il servizio al Sovrano in difesa della patria. Certi giovincelli ritengono però che, maneggiando un arnese agricolo, sarebbero disonorati. Un gentiluomo, povero e indebitato fino alle orecchie, crede di trasformarsi in villano se maneggia un arnese agricolo". Ai dotti altezzosi e ai giovani ricchi finalmente qualcuno rivolge l’invito, oggi sempre valido, di andare a lavorare.
Robert Norman – Robert Norman era un marinaio inglese che, dopo circa venti anni trascorsi in mare, si era dedicato alla costruzione e al commercio delle bussole. Nel 1581, un anno dopo la pubblicazione dei Discours di Palissy, egli pubblicava a Londra The Newe Attractive, un volumetto sul magnetismo e sull’inclinazione dell’ago magnetico rispetto al piano orizzontale. Norman qualificava se stesso un unlearned mathematician che, nell'esercizio della professione, aveva raccolto una quantità di osservazioni sul magnete e “sulla strana e nuova proprietà dell'inclinazione”. Pur riconoscendo la sua mancanza di cultura (si definiva un semplice marinaio, incapace di "sostenere una disputa con i logici"), diceva di aver deciso di sfidare le calunnie degli avversari e le critiche delle malelingue per proporre alla considerazione del mondo i risultati delle sue riflessioni e dei suoi esperimenti. La sua modestia non impediva a Norman di giungere, in più punti, a risultati di rilievo. William Gilbert avrebbe fatto più volte riferimento alla Newe Attractive utilizzando largamente i risultati di Norman per la stesura del De Magnete (1600).
Nonostante il suo atteggiamento di rispetto verso la cultura dei learned men, Norman aveva però chiaro il senso di una differenza e di una opposizione di fondo tra le sue ricerche volte alle cose e non alle parole (not regarding the words, but the matter) e il sapere degli uomini libreschi incapaci di apprezzare il lavoro dei meccanici:
"In verità io penso che gli uomini istruiti nelle scienze, stando nel loro studio e in mezzo ai loro libri, possono immaginare grandi cose e dar luogo a concetti raffinatissimi e con parole adatte, desiderando che tutti i meccanici siano tali da essere costretti, per mancanza di ogni capacità di espressione, a consegnar loro le loro conoscenze e i loro concetti, così essi potranno farli fiorire ed applicarli ai loro scopi. Ma in questo paese esistono molti meccanici i quali, nelle loro varie capacità e professioni, conoscono alla perfezione l'uso delle loro arti e sono in grado di applicarle ai loro diversi scopi altrettanto efficacemente e più facilmente di coloro che vorrebbero condannarli".
Gli indocti hanno da rivolgere agli uomini di cultura un invito preciso: "Vorrei consigliare agli uomini istruiti di usar modestia nel pubblicare i loro concetti e di non condannare sdegnosamente coloro che ricercano i segreti delle loro arti e mestieri e li pubblicano per il profitto e l'utilità degli altri. Li consiglio di non condannarli più di quanto essi vorrebbero che altri li condannassero per aver promesso molto e aver portato a compimento poco, o niente del tutto".
Joan Lluís Vives – In un filosofo e pedagogo come lo spagnolo Ludovico Vives (1492–1540), amico di Erasmo e di Tommaso Moro, precettore alla corte inglese, uomo di vastissima e raffinata cultura che scriveva per il pubblico degli ambienti umanistici, troviamo espressi con minore spontaneità, ma con altrettanta energia, questi stessi concetti.
In quanto pedagogo, Vives era convinto che l’uomo diviene tale solo se è capace di fare qualcosa, attraverso l’apprendimento di una tecnica. Questo apprendimento dura tutta la vita, perché non si finisce mai di imparare. L’umanista deve essere in permanente ricerca, e “non deve mai pensare di essere giunto al vertice dell’erudizione”. Alla base di ogni apprendimento c’è l’esperienza. Chi apprende deve osservare la realtà, individuare i problemi da essa posti, stabilire dei modelli d’azione, confrontare i modelli con la realtà. I modelli e le regole nascono solo da un gran numero di esperienze.
Nel De tradendis disciplinis (1531), opera che lo stesso autore considerava il suo capolavoro, Vives invitava gli studiosi a porgere seria attenzione ai problemi tecnici relativi alla costruzione delle macchine, all'agricoltura, alla tessitura, alla navigazione. Li esortava a contemplare il lavoro degli artigiani per cercar di sapere "dove e come quelle arti sono state inventate, perseguite, sviluppate, conservate, e come esse possano essere applicate al nostro uso e profitto". Vincendo il tradizionale disdegno per la conoscenza volgare, l'uomo colto "non deve vergognarsi di entrare nelle officine e nelle fattorie ponendo delle domande agli artigiani e cercando di rendersi conto dei dettagli della loro opera". Un incredibile aumento della sapienza umana è derivato dall'opera di coloro che hanno affidato alla scrittura, e quindi trasmesso ai loro successori, ciò che hanno osservato sui procedimenti e le tecniche impiegati nelle singole arti.
La conoscenza della natura - scriveva Vives nella prima parte dell’opera, il De causis corruptarum artium - non è affatto nelle mani dei filosofi e dei dialettici; molto meglio la conoscono in realtà i contadini e gli artigiani (melius agricola et fabri norunt quam ipsi tanti philosophi). In piena polemica contro gli aristotelici e con i metodi di insegnamento scolastici del tempo, sostiene che contadini e artigiani operano nella natura e sulla natura e, a differenza dei filosofi, non si sono costruiti una serie di entità immaginarie cui attribuire un nome oltremodo dignitoso: "Arrabbiati contro la natura, che essi ignoravano, i dialettici se ne sono costruita un'altra (…) cui attribuiscono un nome pieno di dignità e le chiamano metafisica. Se qualcuno ha un'intelligenza del tutto ignara della natura, o che ha orrore di essa, una mente che è invece propensa a cose astruse e a sogni pazzeschi, dicono che costui possiede un'intelligenza metafìsica".
Andrea Vesalio – Palissy, Norman e Vives, a diversi livelli e con differenti intenzioni, avevano dato espressione all'esigenza di un sapere nel quale l'osservazione dei fenomeni, la ricerca empirica, fossero preminenti rispetto alle fughe retoriche, alle sottigliezze logiche, alle costruzioni a priori. Questa stessa esigenza, accompagnata da una cruda diagnosi dei pericoli impliciti in ogni cultura aristocratica e soltanto libresca, compare nell’opera di una dei più grandi medici dell’epoca moderna, Andrea Vesalio (1514–1564).
Il fiammingo André Wytinck, latinizzato in Andrea Vesalio (1514–1564), medico, anatomista e umanista, aveva studiato a Lovanio, a Parigi e infine a Padova. Le sue grandi conoscenze, teoriche ed operative, dell’anatomia colpirono gli insegnanti dell’ateneo patavino, che subito gli offrirono una cattedra. Fu poi docente a Bologna e Pisa, dove introdusse la dissezione come metodo di insegnamento e dove pubblicò le sue prime tavole anatomiche (1538–39).
Nel 1543 Vesalio pubblicò il suo libro più importante, il De corporìs Immani fabrica, riccamente illustrato con le tavole, assai dettagliate e complesse, realizzate da vari artisti che avevano assistito alle autopsie curate dallo stesso autore. Oggetto dell’indagine di Vesalio è la medicina, dove egli osserva la degenerazione della teoria e l'abbassamento di livello della dottrina, che gli appaiono collegati alla separazione, che si è progressivamente rafforzata, fra la tecnica e la scienza, fra il lavoro delle mani e l'elaborazione delle teorie scientifiche: "Dopo le invasioni barbariche tutte le scienze, che prima erano gloriosamente fiorite e praticate a dovere, andarono in rovina. (…) Il sistema per cucinare e preparare gli alimenti ai malati fu lasciato agli infermieri, il dosaggio dei farmachi ai farmacisti, le operazioni manuali ai barbieri. Così, con l'andare del tempo (...) certi dottori, proclamandosi medici, si sono arrogati personalmente la prescrizione dei farmachi e delle diete per oscure malattie e hanno abbandonato il resto della medicina a coloro che essi chiamano chirurghi e considerano appena come schiavi. Hanno purtroppo in tal modo allontanato da sé la più importante e più antica branca dell'arte medica, quella che (ammesso che veramente se ne dia un'altra) si basa soprattutto sulla investigazione della natura. (...) Quando tutto il procedimento dell'operazione manuale fu affidato ai barbieri, i dottori non soltanto persero ben presto la vera conoscenza delle viscere, ma ben presto finì anche la pratica anatomica. (…) È così accaduto che questa deplorevole divisione dell'arte medica ha introdotto nelle nostre scuole l'odioso sistema ora in voga, per cui uno esegue il sezionamento del corpo umano e l'altro ne descrive le parti. Quest'ultimo è appollaiato su un alto pulpito come una cornacchia e, con fare molto sdegnoso, ripete fino alla monotonia notizie su fatti che egli non ha osservato direttamente, ma che ha appreso a memoria da libri di altri o dei quali tiene una descrizione davanti agli occhi. Il sezionatore, ignorando l'arte del parlare, non è in grado di spiegare il sezionamento agli allievi e arrangia malamente la dimostrazione che dovrebbe seguire alle spiegazioni del medico, mentre il medico non mette mai mano al lavoro, ma guida sdegnosamente il vascello con l'aiuto del manuale e parla”. Vesalio lottava per la convergenza della teoria e dell'osservazione diretta e polemizzava, contemporaneamente, contro la figura del professore la cui sapienza si risolve tutta in parole, e contro quella di un sezionatore abbassato al rango di macellaio.
Negli scritti di un artigiano parigino, di un marinaio inglese, di un filosofo spagnolo, di un medico fiammingo legato alla tradizione culturale italiana, si riscontra la presenza di una serie di temi comuni: i procedimenti dei tecnici hanno valore ai fini del progresso del sapere; a tali procedimenti viene riconosciuta la dignità di fatti culturali e gli uomini colti devono quindi abbandonare ogni concezione contemplativa del sapere, volgersi allo studio e all'osservazione delle tecniche e delle arti.
La polemica contro il sapere libresco, già presente nel secolo precedente, si sviluppava qui nell'affermazione di un tipo nuovo di conoscenza, dalla carica culturalmente rivoluzionaria. Questa valutazione delle arti meccaniche, il riconoscimento di un "debito" del sapere scientifico verso i procedimenti della tecnica - che sarà presente nelle pagine di Bacone, di Harvey, di Galileo, di Boyle - comportava in ultima analisi il rifiuto di quel concetto di scienza che era rimasto vivo e operante per secoli: una scienza che nasce solo quando sono state apprestate le cose necessarie alla vita umana e che si volge quindi a una disinteressata ricerca e contemplazione della verità.
Polemizzando contro il concetto aristotelico di scienza, difendendo la dignità delle arti meccaniche, Palissy e Norman. Vives e Vesalio (e altri che lo spazio a disposizione costringe a non trattare) contribuirono, indipendentemente dalle loro particolari intenzioni e opinioni, alla distruzione di una antica visione del mondo e alla nascita di una nuova.
La letteratura non fu estranea a queste tendenze: nel 1533, nella Vie treès horrificque du grand Gargantua, Rabelais poneva lo studio dell'opera degli artigiani tra gli elementi indispensabili di un'educazione completa. Guidato da Ponocrates, il giovane Gargantua studiava scienze naturali, aritmetica, geometria e musica. Nei giorni di freddo e pioggia, dopo gli esercizi di scultura e pittura, maestro e allievo si recavano a visitare le officine e le botteghe degli artigiani:
Anche andavano a vedere come si lavoravano i metalli o come si fondeva l'artiglieria, o i lavori dei lapidari, orefici e incisori di gemme, degli alchimisti, dei coniatori di monete, dei fabbricanti di tappezzerie, tessuti e velluti; degli orologiai e degli specchiai, dei tipografi, dei fabbricanti d'organi, dei tintori e d'altrettali artigiani e offrendo vino, dappertutto, potevano conoscere a considerare l'industria e le invenzioni dei mestieri.