Grazie al regalo ricevuto di una copia della ristampa anastatica del manoscritto del De Divina Proportione di Luca Pacioli conservato all’Ambrosiana di Milano, pubblicata in edizione fuori commercio dalla Cariplo nel 1982 con il commento del grande esperto vinciano e pacioliano Augusto Marinoni, ho la possibilità di riferire i contenuti dell’opera originale, arricchita, come si sa, dalle rappresentazioni dei solidi platonici realizzate da Leonardo da Vinci.
Luca Pacioli era nato intorno all'anno 1445 a Borgo San Sepolcro, la stessa cittadina toscana in cui era nato e aveva avuto la sua bottega di artista Piero della Francesca. Si trasferì giovanissimo a Venezia, per fare l’istitutore dei figli del ricco mercante ebreo Rompiaci, per i quali scrisse un trattatello di matematica. Le sue conoscenze dovevano molto alle lezioni di Domenico Bragadino, pubblico lettore di matematica della Repubblica, ma l'ambiente della “giuderia” in cui viveva al servizio del padrone, che accompagnava in numerosi e rischiosi viaggi d'affari, lo immerse nel mondo degli uomini pratici tra commercianti, ragionieri e lavoratori di ogni genere. Così, accanto alla matematica del Bragadino, accumulò preziose conoscenze nella computisteria e nella tenuta dei libri contabili, cioé nei problemi del mondo del lavoro. Questa esperienza sarà determinante per tutta la sua attività scientifica e pratica.
Numerosi furono i suoi spostamenti di città in città, durante i quali trovò anche il tempo di prendere gli ordini minori francescani. A Venezia nel 1494 pubblicò la sua opera più importante, la Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et Proportionalità, opera vasta e originale come poche all’epoca, alla quale il Pacioli avrebbe sempre fatto riferimento, perché contiene le dimostrazioni delle leggi che altrove sono soltanto enunciate.
Nel 1496 venne chiamato a Milano da Ludovico il Moro, che gli conferì l'incarico dell'insegnamento pubblico della matematica. In segno di gratitudine il Pacioli compose il trattato De Divina Proportione e incautamente glielo dedicò con lodi eccessive nel 1498, al termine dell'opera. Le fortune dei principi italiani allora erano molto mutevoli, così l'anno successivo il Duca fu sconfitto dai Francesi e il Pacioli, assieme al conterraneo Leonardo da Vinci, si allontanò da Milano per tornare a Firenze per qualche anno, spostandosi ogni tanto per tenere lezioni nelle università di Bologna e di Pisa. A Milano, assieme al De Divina Proportione, aveva cominciato a comporre il De Viribus Quantitatis, grande raccolta di giochi matematici e non matematici, indovinelli, proverbi e divertimenti vari. L’opera fu continuata a Firenze, accanto alla traduzione in volgare degli Elementi di Euclide e la cura del testo latino della stessa opera, stampato nel 1509. Nello stesso anno a Venezia uscì a stampa anche il De Divina Proportione. Pacioli continuò la sua attività didattica con nuovi spostamenti, finché nel 1514 Leone X lo chiamò a Roma a insegnare matematica. Morì nel 1517.
Caratteristica dell'attività scientifica del Pacioli è la divulgazione della matematica considerata non solo come pura speculazione intellettuale, ma più che altro come strumento risolutivo di problemi pratici e come fonte di diletto. Al gioco egli dedicò intere opere, come il perduto De Ludis e il De Viribus Quantitatis. Il suo carattere aperto e cordiale si riflette nel tono discorsivo della sua prosa, con non rari riferimenti autobiografici e con la ricerca della chiarezza a costo di cadere nella prolissità. La scelta del volgare, pur infarcito di latinismi lessicali e sintattici, per la stesura dei suoi trattati conferma che, dopo aver assorbito il sapere dei grandi maestri delle scienze matematiche, egli cerca di trasferirlo nel campo delle applicazioni pratiche a servizio degli artisti e dei commercianti.
II testo del De Divina Proportione contenuto nei 130 fogli del Manoscritto 170 sup. della Biblioteca Ambrosiana, una delle due o tre copie che il Pacioli fece scrivere da amanuensi diversi, corrisponde solo alla prima parte dell'opera stampata con lo stesso titolo a Venezia nel 1509. Questa comprende infatti anche una seconda parte, dedicata, seguendo Vitruvio, alle proporzioni impiegate nell'architettura e ritrovabili nel corpo umano e anche le bellissime lettere alfabetiche eseguite dallo stesso Pacioli con riga e compasso (sfruttando le sole figure del cerchio e del quadrato). Una terza parte contiene poi la traduzione in lingua volgare del De corporibus regularibus del concittadino Piero della Francesca, tanto celebrato come grande pittore quanto non abbastanza conosciuto come trattatista geometrico. L'opera stampata riunisce dunque tre distinti lavori composti in tempi diversi, riuniti sotto un titolo che non corrisponde esattamente all'intero contenuto dell'opera, che spesso ignora la sezione aurea.
Preceduto da una tavola che contiene il sommario dei 71 capitoli, il manoscritto dell’Ambrosiana si apre con la lettera dedicatoria a Ludovico il Moro e con il ricordo del “laudabile e scientifico duello”, il dibattito svoltosi il 9 febbraio 1498 davanti al Duca, al quale parteciparono i più importanti intellettuali laici e religiosi allora a Milano, tra i quali Nicolò Cusano e Leonardo da Vinci. Fu in quell’occasione che una frase pronunciata da Ludovico sulla necessità che chi sa lo comunichi indusse il Pacioli a scrivere “questo breve compendio e utilissimo tractato” di scienze matematiche, che sono il fondamento di tutte le altre.
Il frate matematico si rifà ad Aristotele che le ritenne al primo grado della certezza e al libro della Sapienza, per il quale “omnia consistunt in numero, pondere et mensura”. L'arte militare “non è possibile senza la notitia de Geometria, Arithmetica e Proporzione”. Anche gli studi teologici e filosofici richiedono una buona conoscenza della matematica, senza la quale non possono neanche esistere buoni astronomi. La matematica è necessaria per dettare buone “leggi municipali”, specialmente “nel giudicare de l'aluvioni e circumluvioni de l'aque per la excessiva loro inundatione”. Per non parlare poi “de la dolci e suave armonia musicale, né de la summa vaghezza e intellectual conforto” della Prospettiva e dell'Architettura.
L'universo dei numeri abbraccia gerarchie di forze non egualmente distribuite ma diversamente concentrate. La “divina” proporzione è tra le più importanti, perché estende il suo dominio in più campi. L'aggettivo si giustifica perché essa ha diversi caratteri che sono propri della Divinità, infatti è:
- unica e l'unità è “el supremo epiteto de epso idio [Dio stesso]”,
- trina perché comprende tre termini,
- indefinibile in quanto irrazionale: “si commo idio propriamente non si pò diffinire ne per parolle a noi intendere” così “questa nostra proportione non se pò mai per numero intendibile asegnare né per quantità alcuna rationale exprimere ma sempre fia oculta e segreta e dali Mathematici chiamata irrazionale”,
- invariabile, perchè l'autosimilitudine del rapporto aureo, cioè il fatto che il suo valore sia sempre uguale e non dipenda dalla lunghezza della linea da dividere, rinvia all'onnipresenza e invariabilità di Dio.
- conforme alla Quintessenza, attraverso la quale Dio conferisce la Virtù Celeste a tutti gli elementi naturali, fuoco, aria, acqua, terra. A questi cinque elementi, secondo Platone nel Timeo, corrispondono le figure dei cinque solidi regolari: il duodecedron (dodeacaedro) alla quintessenza, il tetracedron (piramide o tetraedro) al fuoco, l'octocedron (ottaedro) all'aria, l'icocedron (icosaedro), all'acqua, l'exacedron (cubo) alla terra. Questi cinque solidi, che corrispondono ai cinque elementi della Natura, sono legati, rapportati tra loro e circoscritti da una sfera solo ricorrendo alla Divina Proporzione.
Queste idee collocano l’autore all’incrocio di due mondi, che nella sua epoca erano ancora concepiti come in contatto: quello razionale della matematica e quello metafisico della religione. Così la matematica era espressione della perfezione, quindi del divino.
Divina è quella proporzione, che oggi si chiama sezione aurea, secondo la quale una quantità qualsiasi può essere divisa in due parti diseguali così che la minore stia alla maggiore come questa sta alla quantità intera. Euclide la considera in un segmento diviso “in media ed estrema ragione”, tale cioè che il quadrato costruito sulla parte maggiore equivalga al rettangolo costruito con le misure della parte minore e dell'intero segmento. Tale divisione produce, secondo il Pacioli, infiniti “effetti”, ma per brevità il trattato ne considera solo tredici, infatti “per la salute dell'anima, l'elenco va terminato”, in quanto tredici furono i commensali dell'Ultima Cena. Questi tredici effetti sono in realtà le prime proposizioni del XIII libro del testo di Euclide, del quale il Pacioli non ripete le dimostrazioni, ma che correda con esemplificazioni aritmetiche illustrate da semplici schemi geometrici a margine, che per il lettore risultano più evidenti delle complesse dimostrazioni geometriche del matematico greco.
Utilizzando per chiarezza i simboli algebrici moderni, se si indica con a il segmento intero, che poi nella costruzione dei corpi regolari il Pacioli identificherà col diametro della sfera circoscritta e al quale l'autore assegna la misura 10, con x la parte maggiore in cui il segmento è diviso, e con a–x la parte minore, la divina proporzione stabilisce che:
per cui
Sostituendo ad a il valore 10 assegnato dal Pacioli, si ha che x2 = 100–10 x, da cui si ricava x = 6,18034 e a-x = 3,81966. Ma il Pacioli non usa i numeri decimali e, applicando le regole da lui date nella parte algebrica della Summa, stabilisce, partendo dal segmento di lunghezza 10, la parte minore “esser 15 meno Radice (quadrata di) 125 e l'altra maggiore fia Radice (quadrata di) 125 meno 5”, valori che corrispondono perfettamente a quelli di a–x e x . Si tratta, come si vede, di numeri irrazionali approssimati, che Pacioli e i contemporanei chiamavano “radici sorde”.
Il primo effetto della divina proporzione dice che, diviso il segmento nel modo esposto, se alla parte maggiore si aggiunge la metà dell'intero segmento, il quadrato di tale somma sarà cinque volte quello della suddetta metà. Detto con i simboli moderni:
e sostituendo ai simboli a, x i valori già calcolati si verifica che in effetti (11,18034)2 = 125.
Il secondo effetto è il “converso del precedente”, in cui si sono trovati due quadrati, di cui il primo è cinque volte il secondo. Procedendo in senso inverso, si osserva che la radice quadrata del secondo è appunto quella metà dell'intero segmento che per formare il primo quadrato si era sommata con la parte maggiore.
Il terzo corrisponde al terza proposizione del XIII libro di Euclide: se alla parte minore del segmento si aggiunge metà della maggiore, il quadrato della somma è cinque volte rispetto a quello di tale metà aggiunta. Cioè:
Sostituendo i noti valori abbiamo (3,81966 + 3.09017)2 = 47,74575 e 3,090172 = 9,54915, un quinto di 47,74475.
Il quarto effetto considera la somma dell'intero segmento con la sua parte maggiore. Il nuovo segmento ottenuto risulta già diviso secondo la divina proporzione, essendo il segmento primitivo la parte aurea del segmento ampliato:
come dire che 6,18034 : 10 = 10 : 16,18034. Infatti il prodotto dei medi viene a risultare 100 come il prodotto degli estremi (6,18034∙16,18034 = 100).
Il quinto dichiara che sommando il quadrato della parte minore con quello del segmento intero si ottiene un totale «triplo al quadrato della maggior parte», vale a dire:
Infatti 3,819662 + 102 = 114,5898 e 6,180342 = 38,1966 che è un terzo di 114,5898.
Il sesto mette in evidenza che le due parti in cui un segmento è diviso secondo la divina proporzione non possono che essere irrazionali e si chiamano «residui» (apotomi).
Il settimo dichiara che, se si congiungono il lato dell'esagono con quello del decagono iscritti in uno stesso cerchio, si forma un segmento già diviso secondo la divina proporzione, ed il lato dell'esagono ne forma ovviamente la parte maggiore. Con riferimento alla figura, il lato dell’esagono inscritto AC e quello del decagono inscritto AB stanno tra loro come 6,18034 sta a 3,81966.
L'effetto ottavo è l’inverso del settimo e dice che se un segmento è diviso secondo la divina proporzione, la sua parte maggiore equivale al lato dell'esagono e la minore al lato del decagono iscritti in un medesimo cerchio.
Il nono si riferisce alla figura del pentagono. Tracciando in essa due “corde de l'angolo pentagonico” (cioè le rette che sottendono due angoli consecutivi), queste si dividono tra loro secondo la divina proporzione e la parte maggiore di ciascuna è uguale al lato del pentagono. E così possibile “per la notitia del lato pervenire a la notitia de tutte le sue corde e de tutte le lor parti” e viceversa.
Per il decimo effetto, qualunque sia la dimensione del segmento diviso secondo la divina proporzione, tutti gli effetti che ne derivano sono sempre costantemente presenti. Posto che, ad esempio, la lunghezza del segmento sia 12 invece di 10, il rapporto che vi era tra 10 e “Radice 125 meno 5”, non è diverso da quello che esiste tra 12 e “Radice 180 meno 6” per la parte maggiore del segmento diviso.
L'undicesimo effetto dice che il lato del decagono iscritto in un cerchio è uguale alla parte maggiore del lato dell'esagono iscritto nello stesso cerchio e diviso secondo la divina proporzione. È così possibile, conoscendo la misura del diametro oppure della circonferenza o dell'area di un cerchio, dedurre le misure del raggio, del lato dell'esagono, del decagono e del triangolo iscritti nello stesso cerchio.
Il dodicesimo effetto dice che la radice quadrata della somma del quadrato dell'intero segmento con il quadrato della parte maggiore, sta alla radice quadrata della somma del quadrato dell'intero segmento col quadrato della parte minore, come lo spigolo del cubo sta allo spigolo dell'icosaedro iscritti nella stessa sfera. In simboli moderni:
Nel tredicesimo effetto si afferma che la divina proporzione è indispensabile per la costruzione del pentagono nel modo insegnato da Euclide. Di conseguenza, senza di essa non si potrebbe costruire “el corpo nobilissimo sopra tutti gli altri regulari detto duodecedron, cioè corpo di 12 pentagoni equilateri et equiangoli... la cui forma commo se dirà, el divin Platone atribuì a la Quinta Essentia cioè al Cielo”.
Dopo aver dimostrato che i solidi regolari “essenziali” non possono essere più di cinque, sia per ragioni matematiche sia per ragioni filosofiche, dato che cinque sono gli elementi naturali ritenuti dal Creatore necessari e sufficienti alla costruzione del cosmo, il Pacioli passa a trattare il modo di costruire questi corpi, cioè il tetraedro e la piramide, il cubo, l’ottaedro, l’icoesaedro e il dodecaedro. L'esposizione segue fedelmente le proposizioni 13-17 del libro XIII di Euclide limitatamente alla parte pratica della costruzione e tralasciando la dimostrazione geometrica. Viene presentata anche la proposizione 18 del XIII libro, che spiega come trovare gli spigoli delle cinque figure e a paragonarli fra loro. Euclide dimostra ancora il rapporto tra il quadrato del diametro della sfera in cui ciascun corpo si iscrive, e il quadrato dello spigolo della piramide (3:2), del cubo (3:1), dell'ottaedro (2:1). Fin qui i rapporti sono razionali perché sono comunicanti fra loro almeno in potenza, mentre nel caso dell'icosaedro e del dodecaedro si tratta di quantità “incomunicabili” poste nel campo degli irrazionali.
I capitoli successivi studiano i rapporti fra i corpi regolari, specialmente tra le loro superfici totali. Poi il trattato passa ad esaminare le possibilità di collocare o iscrivere questi corpi uno dentro l'altro e la sfera entro ciascuno di essi. La piramide può ricevere in sé soltanto l'ottaedro; il cubo riceve la piramide e l'ottaedro; l'ottaedro riceve la piramide e il cubo; l'icosaedro riceve la piramide, il cubo e il dodecaedro; il dodecaedro riceve la piramide, il cubo, l'ottaedro e l'icosaedro. In totale “non sono se non 12 inscriptioni”. La sfera invece è iscrivibile in ciascuno di essi.
I capitoli XLVIII-LV del trattato costituiscono forse la sua parte più caratteristica e sono strettamente legati alle sessanta tavole vinciane che chiudono il volume. In essi si studiano le possibilità e i modi per ricavare da ciascuno dei cinque corpi regolari semplici le forme derivate, siano esse solide o piene oppure vacue o ridotte ai soli spigoli. Dalla forma semplice si ricava il poliedro absciso o tagliato o scapezzo (solido o vacuo), tagliando e asportando uniformemente i vertici e così crescendo il numero dei vertici, degli spigoli e delle facce che non saranno più tutte di una stessa figura. Al contrario, si ricava la forma del poliedro elevato "o vogliam dire pontuto” (solido e vacuo) collocando una piramide su ogni faccia. Così il cubo elevato presenta sei piramidi a base quadrata collocate ognuna su una faccia del cubo primitivo, che in questo caso il Pacioli chiama “intrinseco” o invisibile perché coperto dalle sei piramidi “estrinseche”.
Alla descrizione dei cinque corpi e delle loro forme derivate tagliate o elevate, si aggiunge quella di altre due forme dissimili ma “leggiadre e utilissime” per la loro applicabilità in architettura. Una è il corpo di ventisei basi (diciotto quadrate e otto triangolari) con quarantotto spigoli e ventiquattro vertici, l'altra è il corpo di settantadue basi, sui cui il Pacioli insiste nel sottolinearne l’uso anche in forme approssimate, portando come esempi, tra gli altri, il Pantheon di Roma e la chiesa di San Satiro a Milano. Da qui l’autore si getta in un'aspra critica verso “li moderni edificii” costruiti da sedicenti architetti che mai hanno sfogliato il trattato di Vitruvio.
Segue poi la trattazione dei corpi oblonghi, cioè dei solidi non iscrivibili nella sfera e quindi indipendenti dal rapporto con il suo diametro. Si distinguono in due categorie: colonne e piramidi. Ogni categoria si distingue a sua volta in rotonde o laterate, secondo che la base sia circolare (cilindri e parallelepipedi) o poligonale (coni e piramidi). Di questi solidi Pacioli insegna a calcolare aritmeticamente le misure delle superfici e dei volumi.
L'intera serie delle figure considerate nel testo è rappresentata nelle tavole numerate che formano un'ampia e preziosa parte del codice. Esse derivano dalle figure originali tracciate da Leonardo e conservate presso di sé da Luca Pacioli. Ogni tavola è contrassegnata da un numero in cifre romane e lo stesso numero è segnato nei margini del codice a fianco delle righe del testo che si riferiscono a quella figura, anche se sono presenti alcune palesi anomalie, come è evidente già con la figura della sfera che occupa il primo posto e che invece è contraddistinta dal numero XLI. Si tratta di errori di impaginazione non imputabili al Pacioli, che aveva correttamente assegnato alle tavole l’ordine in cui i solidi compaiono nel testo. Inoltre non si sa se Leonardo numerò i suoi disegni originali.
Segue poi, a conclusione del trattato, un’altra pagina smodatamente adulatoria verso Ludovico il Moro, cui è attribuito un ingegno “peregrino e speculativo” capace di seguire e di comprendere pienamente ogni discorso matematico. Possiamo perdonare il Pacioli se consideriamo l’epoca in cui visse, in cui il mecenatismo dei principi era ricambiato in questo modo da tutti gli intellettuali. Oggi ciò è giustamente considerato riprovevole, anche se alcuni, non di alto livello, trovano modo di innalzare i loro discorsi adulatori verso i principi moderni, consci che senza di essi i fondi per la loro attività sarebbero giustamente finiti a persone più meritevoli.
Secondo un recente "studio" il rapporto giusto fra il valore della pressione massima e della pressione minima è, guarda caso, 1,618. Dopo aver esaminato i valori di pressione di oltre 160.000 austriaci (chissà gli altri), gli autori della ricerca hanno verificato che quando massima e minima sono in questo rapporto, cala il rischio di avere un infarto cardiaco mortale. Immagina come si son scatenati i blogger dell'occulto...
RispondiEliminaPerdonami il commento superficiale che non rende giustizia ad un post (o meglio ad un lavoro) superbo.
Superlativo! Ottimo modo per iniziare l'anno.
RispondiEliminaUn piccolo refuso (forse, non sono sicuro di aver capito) sugli oblonghi, ostici peggio dei nibelunghi: "rotonde o laterate, secondo che la base sia circolare (cilindri e parallelepipedi) o poligonale (coni e piramidi)."
Devo rileggerlo con più calma con un blocco di carta, matita e gomma. Dei 13 effetti ne conoscevo solo uno, il quarto ma il nono mi ha fatto tornare in mente un post che forse può interessare: http://scienceblogs.com/goodmath/2006/08/_the_golden_ratio.php . Com'è cambiato il modo di trattare la geometria! E per strada ci siamo persi la teologia.
Una pagina da Manuale!
RispondiEliminaJuhan: tutti i corpi oblonghi possono avere le due basi uguali (poligonale: prismi, o circolare: cilindri), oppure possono avere una punta e una base (poligonale: piramidi, o circolare: coni).
RispondiEliminaAvrei dovuto inserire molte più illustrazioni, troppe forse per un articolo su un blog. A proposito: forse un po' sovraesposte, le figure del manoscritto sono il risultato di un lavoro di scanner dalla copia anastatica in mio possesso, tutte homemade.
grandiosooo!
RispondiEliminaora non reggo perché crollo... ma domani torno a leggere bene bene tutto questo bendidio!
(superbo complemento a un mio post sui poliedri platonici - che aggiorno con un bel link a questo)
grazie Pop
g
la matematica è davvero sorprendente nel ruolo che svolge nei vari campi, in effetti nell'armonia musicale è molto importante il percorso che costruisce. la "divina" proporzione ha un fascino in sè già solo nel nome, addentrandosi nel ragionamento poi... è complesso ma entusiasma. il tuo è un lavoro davvero superbo
RispondiEliminaJoe, ho letto che la sezione aurea ha ispirato il lavoro di alcuni musicisti, come Bela Bartòk e, sorprendentemente, i Genesis. Pare che Firth of Fifth (da Selling England by the pound, 1973) sia stata scritta dal loro tastierista Tony Banks seguendo le proporzioni della sezione aurea. Ma io di composizione e spartiti non ci capisco nulla. Tu ne sai di più?
RispondiEliminaPop e Joe,
RispondiEliminascusate se mi intrometto. Quello che io so è che
Tony Banks si è ispirato sia a Bartòk che a Bach (ma, com'è noto, per altri versi, anche a Lewis Carroll). La struttura del brano è abbastanza complessa. Mi pare, se non sbaglio, che il numero delle battute sia riconducibile ai valori della serie di Fibonacci.
Davvero appassionate articolo. Ho intenzione di stamparlo!
RispondiEliminaLa Divina Proportione non finisce mai di stupire. I solidi platonici, e poi le forme “leggiadre e utilissime” ...
A prop del Pacioli, mi viene in mente un articolo di Dario Bressanini,
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it
Il vino di Luca Pacioli
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/03/04/il-vino-di-luca-pacioli/
un gioco matematico medievale tratto da un manoscritto del "nostro"...
E, a prop di musica e sezione aurea: Beethoven, nelle "33 variazioni sopra un valzer di Dabelli" si rifà ai numeri di Fibonacci (il cui rapporto corrisponde al numero d'oro!)
ciaoo,
g
Complimenti, anche per gli amici che hai e che ti fanno di questi regali. Quanto al rapporto aureo, mi pare che lo stesso Leonardo ne trovava notevoli tracce nel corpo umano, io dopo gli stravizi delle feste temo di avere modificato non poco questi rapporti e sarà dura recuperare.
RispondiEliminachapeau!
RispondiEliminamusica e matematica come detto sono fortemente legati e, in passato ci sono stati musicisti che si sono spinti veramente oltre nello studio di questo legame. non molto tempo fa ho incontrato un amico musicista che tornava da Praga, il quale mi ha parlato di un certo Joseph Schillinger e del suo "schillinger system of musical composition": è stata un'illuminazione (mi sto procurando i volumi per tuffarmi in questo studio).
si, si sapeva che in questo lavoro dei genesis c'era un qualcosa di "esotericamente" matematico, anche se poi non è mai stato da loro confermato, nemmeno dallo stesso banks, ma di certo, giù il cappello, la sezione aurea applicata alla composizione di un brano musicale offre delle possibilità di sviluppo sorprendenti: sia in termini di tempo metronomico alternato sul numero di battute complessivo in base alla serie di fibonacci, che sulla quantità di note in base allo stesso principio: è un argomento che intendo approfondire insieme allo schillinger system di cui sopra e ti ringrazio per questo spunto.
a presto!
A tutti: scusate il ritardo nella pubblicazione dei vostri commenti, ma sono stato via tutto il giorno e per me cellulare e computer sono cose ancora distanti tra loro.
RispondiEliminaGrazie per le informazioni su Pacioli, Fibonacci e musica. E' senz'altro un argomento sul quale mi piacerebbe leggere un bel post di un musicista... ;)
Giovanna: l'articolo di Bressanini l'avevo già salvato come mht sul mio disco fisso! E di Ludovico Van proprio non sapevo.
Enrico: non ti preoccupare, anche una sfera può essere inscritta in una sfera! (O)
Ho passato un paio d'ore in ottima compagnia del tuo blog, e ho ancora molto da esplorarne. Complimenti, se già tu non lo scrivessi ti consiglierei di leggerlo.
RispondiEliminaGrazie Profeta, la tua benedizione è per me importante e salvifica.
RispondiEliminaIntendi quei bagliori bianchi?
RispondiEliminaNo, mi sembrano molto ben scannerizzate!
Scanner piano? Non si rovina il libro? E' notoria la difficoltà con lo scanner piano, del resto l'altro, quello portatile, è di più difficile manovrabilità. Considerata la difficoltà di effettuare una ottima scansione, direi che hai fatto un notevole lavoro!
Ti ringrazio, Paopasc, ma potevo fare molto meglio. Il fatto è che non mi decido a prendere un software decente di trattamento delle immagini.
RispondiEliminaSegnalazione:
RispondiEliminahttp://heinrichvontrotta.blogspot.com/2005/09/sezione-aurea-in-musica.html
e questo:
RispondiEliminahttp://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Il_rapporto_aureo_governa_la__musica__quantistica/1341648
Peppe:
RispondiEliminaSulla sezione aurea in musica: The ratio phi is in my head / The ratio phi is in my head / It raises the blade, it makes the change / It re-arranges me 'till I'm sane / It locks the door / And throws away the key / There's someone in my head but it's not me.
Sulla musica quantistica: minchia!
h
RispondiEliminaMuta o aspirata?
RispondiEliminahttp://mathdl.maa.org/mathDL/46/?pa=content&sa=viewDocument&nodeId=1717 qui ci sono immagini più definite, Popinga, potresti digitalizzare le parti più importanti e donarle all'italia dato che google libri non ci pensa e una digitaliazzazione in biblioteca costa 50 euro (chissà a che servono le tasse...)?!?!
RispondiEliminaNel mio piccolo segnalo l'utilizzo della successione di Fibonacci anche nel brano Lateralus dei Tool (tratto dall'omonimo album del 2001).
RispondiEliminawww.de-divina-proportione.it
RispondiEliminaDE DIVINA PROPORTIONE
RispondiEliminaAllegorie numeriche in musica tra Rinascimento e Contemporaneità
Spettacolo multimediale di Simone Sorini/David Monacchi
ispirato all’opera di Luca Pacioli
Produzione Bella Gerit - Urbino
Musica sacra e profana, antica e contemporanea, pensiero speculativo e misure del corpo, proiezioni video e danza, il tutto combinato in un unico sistema allegorico.
Lo spettacolo reinterpreta attraverso la multimedialità le regole di proporzione e armonia fissate nel De divina proportione di Luca Pacioli, uno dei testi pilastro della speculazione filosofica e cosmologica rinascimentale. Con esso, alcune musiche inedite del primo '400 (tra cui quelle contenute nel manoscritto Urbinate latino 1419 appartenuto alla Biblioteca dei Duchi di Urbino, oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana) la trasposizione musicale elettroacustica dei cinque corpi regolari, improvvisazioni sugli elementi con strumenti antichi, una realizzazione video olografica in mimesi con la danza, uno spazio tridimensionale di riproduzione del suono: questi i componenti che hanno costituito la messa in scena dei concetti rinascimentali, con un inedito contributo dell'innovazione software applicata alla composizione elettroacustica.
L’opera è dunque intesa come ideale punto d’incontro tra la civiltà quattrocentesca e la contemporaneità.
Ho trovato qualcosa sui libri (SCOMPARSI)
RispondiEliminahttp://www.abocamuseum.it/editoria_new/edizioni/pregiata/deludo.aspx
http://www.abocamuseum.it/editoria_new/edizioni/pregiata/viribus.aspx
Ti ringrazio, Anonimo, per la segnalazione di due iniziative editoriali di gran pregio, ma non ho affatto detto che il De Viribus Quantitatis sia perduto. Lo è il De Ludis, di cui il De ludo scachorum che segnali è forse solo una parte.
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