domenica 1 agosto 2010

Piccola antologia dei poeti inesistenti (8): Araki Yasusada


"Knowing its fictitious nature, with a slight sense of disgust,
I find Yasusada’s poetry evil, and eerily beautiful."
Hosea Hirata,
Assistant Professor of Japanese Literature, Tufts University

Il numero di luglio/agosto del 1996 del bimestrale American Poetry Review (APR) conteneva un supplemento speciale intitolato “Doppia fioritura: dai taccuini di Araki Yasusada” (1). Per la prima volta in Occidente veniva pubblicata una cospicua collezione di poesie di questo poeta giapponese, anche se traduzioni isolate erano già comparse qua e là in riviste prestigiose di poesia americane e inglesi.

Secondo i tre traduttori di Yasusada, tutti come lui di Hiroshima, gli scritti del poeta erano stati scoperti dal figlio nel 1980, otto anni dopo la sua morte. I 14 taccuini contenevano decine di poesie, bozze, compiti di inglese, disegni, lettere e resoconti di incontri Zen. Niente di questo materiale era mai stato pubblicato durante la vita dell’autore. In tutte le riviste di poesia che pubblicarono le poesie di Yasusada compariva, con piccole variazioni, la seguente nota biografica scritta dai traduttori:


Yasusada nacque nel 1907 a Kyoto, dove aveva vissuto fino al 1921, quando la sua famiglia si trasferì a Hiroshima. Egli frequentò saltuariamente all’Università di Hiroshima, tra il 1925 e il 1928, i corsi di Letteratura Occidentale. Tuttavia la malattia del padre e gli interessi della famiglia lo costrinsero ad impiegarsi a tempo pieno alle poste e a ritirarsi dagli studi regolari.

Nel 1930 sposò sua moglie Nomura, dalla quale ebbe due figlie e un figlio. Nel 1936 Yasusada fu arruolato nell’esercito imperiale, servendo come impiegato nella divisione locale del Servzio Postale Militare. Sua moglie e la figlia più piccola Chieko morirono nell’esplosione nucleare del 6 agosto 1945. Sua figlia Akiko sopravvisse, ma morì due anni più tardi a causa delle radiazioni. Suo figlio, Yasunari, all’epoca un bambino, era fuori città presso parenti.

Yasusada morì nel 1972 dopo una lunga battaglia contro il cancro.

La nota proseguiva informando il lettore che Yasusada era stato attivo nei gruppi d’avanguardia del periodo pre-bellico, come Soun [Strati di Nuvole] e nel circolo renga sperimentale Kai [Remi]. Negli anni Sessanta egli scoprì Jack Spicer, il poeta californiano morto alcolizzato nel 1965, e Roland Barthes. Una lettera al suo compagno di renga Akutagawa Fusei, compresa nella selezione dell’APR, parlava in modo entusiastico de L’impero dei segni di Barthes, e i traduttori commentano che esistono haiku non datati che “senza dubbio portano l’impronta del famoso poeta sopravvissuto all’Olocausto Paul Celan”, la cui opera “fu letta e discussa  all’interno del gruppo Soun”.

Le poesie di Yasusada hanno sollevato da subito grande interesse e vivo entusiasmo. Il poeta Ron Silliman disse che la lettura del supplemento gli aveva fatto conoscere “un poeta la cui opera gli aveva letteralmente tolto il respiro”, la cui lettura lo aveva tenuto alzato la notte precedente e lo avrebbe fatto di nuovo per altre due o tre. Ma come scriveva Yasusada? Prendiamo ad esempio Sogno e carbonella, che si apre in modo modernista con una “E”, come se proseguisse un discorso iniziato prima della comparsa del lettore, e si conclude con il classico artificio del risveglio da un sogno. È la parte centrale a salvarla dal cliché, con l’accavallarsi di immagini della morte per l’esplosione nucleare che fa da contrappunto a quella degli ospiti di una festa e a domande e asserzioni enigmatiche:

E poi ella disse: sono andata verso la luce e sono diventata splendida
E poi ella disse: ho preso una coppia d’ali e le ho attaccate alle diverse parti dietro il mio corpo.
E poi ella disse: tutti gli ospiti stanno tornando dov’erano e poi stanno parlando.
A loro ella disse: senza la maniglia per afferrarvi, come potreste riconoscere la mia nudità?
A loro rispose: senza niente è quando tutto muore.
Che è quando lei ebbe una selvaggio contesa con i ramoscelli.
Che è quando la carbonella passò dal suo corpo al mio.
Che fu come la rosa nei cieli, che accecava i pedoni.
Che fu come la nostra unione fosse trasportata in un buio scarabocchio.
Che diventò la figlia che chiamava, che chiamava il mio nome per risvegliarmi.


Silliman fu particolarmente colpito da Telescopio con urna, poesia ellittica e frammentaria, in cui ogni frase è separata dalle altre sintatticamente e semanticamente, esattamente come ci si aspetterebbe da una poesia giapponese moderna (le galassie che si allontanano) e tuttavia radicata nel passato (la terza riga possiede un forte sapore zen):

L’immagine delle galassie si diffonde come una nuvola di sperma.
Espandendosi, diceva la guida dell’osservatorio, a una tale e tale velocità.
È come l’idea dei fiori, che si aprono dentro l’idea dei fiori.
Amo pensare a ciò, disse il monaco, sistemando la carta con le sue dita.
Sottile eri, accovacciata sopra una boccia colorata di cielo per fare l’acqua.
Che grande ragazza! Gridammo, lanciandoti nella direzione generale delle stelle.
Attentamente, poi, nel sogno, ripiegai il grande telescopio del Monte Horai.
Nella forma di questa gru, è abbastanza piccola per l’urna.


Tuttavia, mentre le poesie di Yasusada stavano suscitando questo tipo di reazioni, incominciava a farsi strada la notizia che non esisteva nessun Yasusada e che l’intera pubblicazione era una burla clamorosa perpetrata, molto probabilmente, da un certo Kent Johnson, un giovane poeta professore di college a Freeport, nell’Illinois, che era stato coautore di un’antologia di nuovi poeti russi e di un’altra di poeti buddisti americani contemporanei. Egli però non ha mai ammesso di aver inventato la figura del poeta giapponese ("I was surprised to see my name so matter-of-factly attributed to Doubled Flowering, as if it were simply the case that I am the book's author and that such casual ascription is sufficient, ipse dixit, to prove it"), dichiarando che il vero creatore di Yasusada era il traduttore Tosa Motokiyu ("Araki Yasusada is the creation of Tosa Motokiyu, a man who wished, simply, to remain unknown"), a sua volta uno pseudonimo di un altro poeta sconosciuto e sicuramente morto. Ma, quando l’American Poetry Review e le altre riviste chiesero la restituzione dei diritti d’autore pagati, è a Johnson che si rivolsero, ritenendolo comunque responsabile in quanto “intermediario” della burla. Nel numero di settembre/ottobre della rivista, gli editori pubblicarono un articolo di scuse ai loro lettori per essere caduti vittime di una frode.

Secondo Lingua Franca, che ha pubblicato un articolo sulla “Burla poetica di Hiroshima” nel numero del novembre 1996, Arthur Vogelsang (2), uno dei tre editori dell’APR, si è addirittura spinto a definire l’inganno di Johnson un “atto criminale”. La Wesleyan University Press, che aveva preso in considerazione il progetto di pubblicare un volume delle poesie di Yasusada, l’ha subito annullato.

Mentre editori e curatori si sono occupati degli aspetti morali ed economici della burla, gli studiosi hanno invece rilevato le sue inesattezze. Il professore di cultura giapponese John Solt ha parlato di “Merda giapponesizzata”, dicendo a Emily Nussbaum di Lingua Franca che “l’autore gioca sull’idea americana che ciò che interessa della cultura giapponese siano solo lo zen e gli haiku, aggiungendovi un po’ di humour e ironia occidentali”. Altri invece hanno visto nella burla di Kent Johnson, o di chi per lui, un tentativo di inventare la biografia un poeta giapponese con l’inserimento volontario di indizi che fanno dubitare dell’autenticità di Yasusada. Consideriamo i seguenti:

- In Giappone Yasusada è un cognome comune, così come Araki è un nome proprio. Ma, secondo l’uso, si dovrebbe scrivere prima il cognome e poi il nome: Yasusada Araki. Invece i “traduttori”, evidentemente poco attenti all’onomastica, hanno invertito l’ordine. Un po’ come se avessero presentato l’opera dello scrittore italiano Pavese (nome) Cesare (cognome).

- È difficile credere che Yasusada, attivo nelle avanguardie del suo paese già negli anni ’20 o ’30, non abbia mai tentato di pubblicare le sue poesie del dopoguerra. Inoltre, in contraddizione con la fitta corrispondenza che avrebbe intrattenuto con i poeti del suo gruppo, la sua opera è completamente sconosciuta in Giappone.

- È anche difficile dar credito alla notizia che egli abbia frequentato sporadicamente tra il 1925 e il 1928 l’Università di Hiroshima, fondata nel 1949. E la facoltà di Letteratura occidentale non esiste se non in America, mentre in tutto il mondo esistono corsi di letteratura inglese, francese, tedesca e così via.

- L’influsso di un poeta allora poco conosciuto nel suo stesso paese come Jack Spider sembra improbabile su un poeta giapponese vicino alla sessantina. E L’impero dei segni di Roland Barthes, letto entusiasticamente alla fine degli anni ’60, non sarebbe uscito in Francia che nel 1970, mentre la prima edizione americana si ebbe nel 1982!

- Il gruppo giapponese Soun, attivo prima della guerra, avrebbe già conosciuto l’opera di Paul Celan, ma egli incominciò a pubblicare nel 1952.

Evidentemente, se l’inventore di Yasusada avesse voluto nascondere le sue tracce, non avrebbe fatto errori così madornali. Si può invece pensare che il vero autore della sua biografia abbia voluto inserire di proposito indizi per condurre il lettore a scoprire la burla.

Come mai, allora, un numero consistente di critici letterari e di poeti è caduto facilmente in questa beffa palese? Forse la voglia di esotico? Oppure i sensi di colpa dell’Occidente per avere usato l’arma nucleare? Chi rappresentava meglio queste categorie di uno scrittore giapponese sopravvissuto all’olocausto nucleare, un testimone, profondamente segnato nello spirito e negli affetti? Telescopio con urna soddisfaceva il desiderio americano ed europeo di un Giappone immaginario e sofisticato, di modernità e riti ancestrali che convivono assieme, di industria d’avanguardia e giardini zen, di galassie che si espandono e di fiori di carta delicatamente sistemati da un monaco, mentre Sogno e carbonella era invece scritta come se l’autore fosse davvero scampato all’olocausto nucleare di Hiroshima, mescolando con maestria tecniche moderniste e suggestioni renga.

Kent Johnson è andato incontro alla fame di autenticità della critica occidentale, mescolando sapientemente il Giappone antico e moderno e creando un perfetto simulacro per soddisfare questo bisogno. Come James McPherson con I Canti di Ossian creò nel Settecento un Medioevo suggestivo e immaginario, l’autore della burla, lungi dal compiere “un atto criminale”, ha semplicemente scritto poesia sotto pseudonimo, come tanti altri prima di lui.

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Note:

(1) "Doubled Flowering: From the Notebooks of Araki Yasusada", translated by Tosa Motokiyu, Okura Kyojin, and Ojiu Norinaga: A Special Supplement," American Poetry Review 25, no. 4 (July / August 1996):

(2) Non posso esimermi dal notare come il nome Vogelsang compaia in un’altra burla letteraria. Si tratta infatti del nome del poliziotto che testimoniò al processo per oscenità intentato contro gli editori della rivista australiana Angry Penguins che aveva pubblicato le poesie del finto Ern Malley. Il tutore dell’ordine non conosceva il significato delle parole che pensava fossero indecenti, facendo una figura barbina. Decisamente i Vogelsang hanno un fatto personale con i poeti inesistenti.

4 commenti:

  1. Ma dico! quelli della rivista non hanno consultato un giapponese? Io anni fa lavoravo in una ditta che aveva tra i suoi dipendenti anche un giapponese: in genere non si capiva cosa diceva, a meno che parlasse francese (va beh un simil-francese). Era l'unico il cui nome fosse conosciuto come nome-cognome, forse se n'è andato anche per quello. Ecco io avrei sentito lui.

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  2. "Come mai, allora, un numero consistente di critici letterari e di poeti è caduto facilmente in questa beffa palese?"
    Per il senso di colpa più che per la ricerca dell'esotico, secondo me. Direi anche per l'idea che un sopravvissuto di Hiroshima potesse dire qualcosa che valesse la pena di essere ascoltata o forse anche per vedere di nascosto l'effetto che fa l'olocausto nucleare sul modo di poetare.

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  3. Che bello che era Toshiro Mifune, da giovane! Ma fuma con la sinistra, e si fuma sempre con la mano della verità. Così ho cercato questa cosa qua, per curiosità =
    "In giapponese le persone mancine si chiamano "hidari kiki" e le persone destre "migi kiki". Sapete che ci sono poche parole mancine in Giappone? Perchè quasi tutti i bambini mancini sono costretti dai loro genitori a cambiare la mano dominante quando sono piccoli."
    Quindi, per questa cosa del mancinismo, dubiterei che il personaggio ritratto nella foto di Popinga possa essere uno scrittore, io ecco (anche se non mi piacesse tanto Toshiro Mifune).
    Comunque secondo me. Popinga. tu ce l'hai messo per "La battaglia di Midway", più per per gli altri film. Oppure ce l'ha messo a caso?
    Secondo me hai ragione tu: c'erano troppi indizi voluti, per far capire che era una burla. Ma i critici letterari non sono abbastanza umili da fare le ricerche umili, spesso, anzi disprezzano troppo presto i giallisti, che invece le sanno fare. A me le ricerche piacciono tanto, per dire.
    Bel post, cosa significano le scritte in giapponese? Oppure sono inventate anche quelle?

    B

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  4. B.: Toshiro Mifune l’ho messo per la carriera. E poi non sono tanto sicuro del suo mancinismo. In rete capita di trovare foto ribaltate. La scritta giapponese non so che cosa voglia dire, ma potremmo chiedere all’ex collega di Juhan! L’ho trovata con la ricerca immagini Japanese callygraphy.

    Colapesce: non l’ho scritto per non farla troppo lunga, ma negli anni ’50–60 negli USA erano uscite alcune antologie di poeti della bomba di grande crudezza, tuttavia scritte negli stili tradizionali e con talento non eccelso. Yasusada era il primo “superstite” che sembrava collegato alle correnti letterarie più importanti nel suo paese e all’estero, scriveva in stile “moderno” anche se all’interno dei registri classici e pareva proprio “autentico” nel rappresentare le diverse anime del Giappone. Secondo me il suo successo fu dovuto in gran parte al fatto che l’esotismo di questo sopravvissuto alla catastrofe era rassicurante, perché conosceva Roland Barthes, parlava di telescopi e studiava l’inglese.

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