sabato 21 gennaio 2012

Sulla guerra tra le “due culture”

Come “tenutario” di un blog che parla spesso di scienza e letteratura, mi sento, per dirla con un grande intellettuale italiano, “tirato per la giacchetta” quando si parla del rapporto tra la cultura scientifica e quella umanistica. Nel mondo anglosassone, che ha avuto la fortuna di fare a meno di Croce, il dibattito sulle “due culture” è un confronto, ma certo non una battaglia. Chiunque legge un libro di divulgazione scientifica scritto da quelle parti può osservare l’ampio uso di metafore poetiche, e di vere e proprie poesie, da parte degli autori. La tradizione culturale di quei paesi è permeata da reciproci scambi tra scienza e poesia, pur nella perfetta conoscenza delle differenze esistenti tra i due ambiti. Ma non c’è paura nel frequentare il sottoinsieme di intersezione tra i due. Così Milton, Samuel Johnson, Joyce (per citarne solo alcuni) si sono occupati di scienza e matematica nelle loro opere e, d’altro canto, abbiamo scienziati come Maxwell che si sono dilettati con la poesia.

Da noi era così ai tempi di Galileo, e non è un caso che il pisano scrivesse sonetti oppure poesie satiriche e che la sua prosa sia oggi considerata da qualcuno come una delle migliori della letteratura italiana. La cesura è arrivata dopo, con l’affermarsi dell’idealismo e del predominio assegnato alla cultura classica rispetto a quella scientifica. La riforma Gentile della scuola italiana ha sanzionato lo iato, al punto che si pensava che solo chi conosce Orazio ed Eschilo può far parte della classe dirigente (tralascio il fatto che oggi si fa parte della classe dirigente solo se si conosce qualcuno d’importante) . In questi ultimi tempi le cose stanno cambiando, assai lentamente e faticosamente, ma con buoni risultati come nel caso di Italo Calvino sul versante della prosa o di Giorgio Celli su quello della poesia.

Nel mio piccolo, sto cercando di fare in modo che scompaiano le diffidenze reciproche, e non ho alcuna difficoltà nel dire che è possibile provare lo stesso piacere estetico nel leggere una poesia di Leopardi e nel comprendere una grande costruzione intellettuale come la relatività einsteniana o nell’ammirare la preziosa sintesi della formula di Eulero.

Lo spettro semantico della parola greca techne, correntemente tradotta con “arte”, è molto ampio e comprende sia la nostra arte, sia la nostra tecnica, sia la capacità, manuale e no, di fare qualcosa che si svolge secondo una regola. Non è dunque una mera esecuzione di progetti di altri, che l’esecutore può non condividere o addirittura non comprendere, né una creatività libera da restrizioni. Gli artisti sono anche tecnici e i tecnici sono anche artisti, perché il loro fare, in entrambi i casi, comporta un saper fare o un metodo; comporta, cioè, una conoscenza, pratica e teorica a un tempo, e una partecipazione consapevole a ciò che si fa. E questo vale sia per il lavoro intellettuale, sia per il lavoro manuale: alla techne greca partecipano sia l’architetto, sia l’ingegnere, sia il muratore esperto del proprio mestiere.

Agli estremisti di entrambe le fazioni conviene ricordare questa iniziale parentela. La creazione letteraria è ingegno, studio, regola e metodo, come la scienza.

22 commenti:

  1. Un post così, sulle «due culture», potevi scriverlo solo in inverno, volgendo il guardo alla «neve» alpina.

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  2. Ci sono però anche punti di contrasto tra le due culture (tralasciando l'impostazione italiana, che dà voti all'una o all'altra e ne classifica l'importanza e il valore). Al di là delle possibili consonanze e somiglianze (analogie, non omologie) di metodo, quello che inquieta una delle due - indovina quale - è il fatto che si pone come "strumento di conoscenza" tanto quanto l'altra, e pretende di dare lezioni su "com'è fatto il mondo". Che dire, a me dà fastidio.

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    1. @"Al di là delle possibili consonanze e somiglianze (analogie, non omologie) di metodo, quello che inquieta una delle due - indovina quale - è il fatto che si pone come "strumento di conoscenza" tanto quanto l'altra"

      Come direbbe Michael Corleone... "(scienza e umanesimo [perdonate il semplicismo]sono entrambe facce della stessa ipocrisia". Solo che questo è il tempo della Scienza (secondo la versione di alcuni esegeti) che si pone come l'unica espressione seria come "strumento di conoscenza". I tempi però cambiano, quando annoiano.

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  3. Confermo! E ricordo che al Ginnasio(anni '60)per i professori di Italiano, o Storia, o Greco, era quasi un vezzo ostentare la più crassa ignoranza delle nozioni elementari di matematica. ad esempio: che cosa fosse una radice quadrata, o un logaritmo...
    Quasi se ne facevano un vanto. Ho sempre trovato triste la cosa; consolandomi col fatto che, per fortuna, l'ignoranza ostentata non fosse reciproca. Non ho mai conosciuto un professore di materie scientifiche che si "vantasse" di ignorare Dante, Shakespeare, o Manzoni...

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  4. Marco Ferrari, ciascuna secondo i suoi metodi, entrambe contribuiscono alla conoscenza del mondo e dell'uomo. E' proprio il giudizio di valore che contesto. Ci sono dei limiti a quanto la scienza "può dire" dell'universo, perché, quando si toccano i fondamenti, si è oltre le possibilità del linguaggio, si è giunti all'indicibile. Le matematiche costruiscono i loro splendidi edifici su assiomi e postulati dati per veri e non dimostrati proprio a causa di ciò. Anche per quanto riguarda la mente, con tutto il rispetto per i progressi delle neuroscienze, esistono spazi inaccessibili e insondabili. In questi spazi nulla vieta che si possa far poesia.

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    1. Sono volutamente provocatorio ma la domanda non è retorica, perché so che mi capisci. Come la letteratura contribuisce alla conoscenza del mondo? Come controlli che i dati che ti presenta (qualsiasi cosa questi dati siano) sono affidabili, falsificabili, si avvicinano esponenzialmente a una realtà in principio inconoscibile, costruiscano un affresco sempre meno offuscato come fa invece la scienza? Inoltre i giudizi di valore provengono SEMPRE dalle ossimoriche scienze umane, che considerano se stesse meglio delle "scienze non umane". Non conosco nessuno scienziato che disprezzi in pubblico la poesia o la letteratura; il reciproco è spesso presente.

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    2. Marco, non puoi applicare gli stessi parametri della scienza all'opera letteraria. Le memorie di Adriano della Yourcenar non hanno aumentato di un bit la mia conoscenza dell'universo, ma, ti assicuro, mi hanno fatto conoscere dell'uomo molto più che tanti articoli scientifici peer-reviewed. Sulla spocchia di tanti "letterati" siamo d'accordo, ma credo concorderai che non bisogna opporgliene una speculare.

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    3. @Marco Ferrari,
      Non credo che la letteratura voglia costruire un affresco meno offuscato, affidabile, falsificabile e replicabile. Tutt'altro! C'è una categoria di intellettuali che magari si "ipotizzano" saggi conoscitori, sperimentatori o scienziati letterari. Ma, a differenza di un ricercatore delle scienze sode, un artista, un pittore, uno scrittore, uno storico, possono permetterselo.
      La sperimentazione artistica, in tutte le varie piattaforme esplorative, si fonda su una logica del "possibile", altri direbbe del "congiuntivo". Una ricchezza non traducibile magari in realtà oggettive (presunte in fondo), né in tecnologia economicamente vantaggiosa.
      Ma crea versioni di realtà potenzialmente competitive con quelle della scienza, crea stati mentali più sofisticati. Questa è una bella eccitante faccenda.

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    4. Omonimo, non voglio applicare gli stessi parametri né infondere negli scienziati la spocchia del letterati (gli scienziati ne hanno un'altra, che per certi versi è peggio). Non ci siamo capiti. Io volevo sapere come la letteratura aumenta la tua conoscenza del mondo della storia e della nostra specie (anche se quest'ultimo particolare mi interessa poco). Tu mi dici "Un romanzo l'ha fatto" e io ti ribatto "Come puoi sapere se quella è una conoscenza più o meno vicina alla realtà di quella di altri romanzi, che magari dicono cose opposte?" (non l'ho letto, non posso farti esempi contrari). Se hai due tesi scientifiche, le puoi confrontare; se hai due tesi letterarie, come decidi?
      A meno che tutto sia quello che dice neuromancer (questo l'ho letto) che però riduce il tutto alle conoscenze possibili. Alla creazione cioè di universi alternativi, paralleli e "mondi del possibile". Che per loro stessa natura risultano incommensurabili nel senso di Feyerabend.

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    5. Marco, il libro della Yourcenar è solo un esempio, perché in realtà di libri significativi ne potrei citare molti. La tua domanda presuppone che solo la scienza adotti un metodo tale da garantire il massimo di oggettività. E' vero. Ma non è questo che viene chiesto alla letteratura. Potrei dire che il controllo sulla grandezza di un'opera viene garantito dal tempo. Shakespeare parla ancora agli uomini di oggi, perché ha scritto cose universali in modo meraviglioso. I capolavori resistono anche ai cambiamenti di paradigma. In fondo l'uomo nel suo profondo è sempre lo stesso, sia in un universo geocentrico, sia in uno in espansione.

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    6. Adesso ho capito (tardo di comprendonio e di ore). Domani ti rispondo. Grazie

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    7. @Marco Ferrari,
      Sei stato molto chiaro e siamo in sintonia sulla spocchia di certi protagonisti in entrambe le parti.
      Una precisazione, però. Non penso che uno scrittore abbia in mente di avvicinarsi alla realtà oggettiva (dubito pure che uno scienziato serio abbia questa incauta sicurezza filosofica). Dovremmo metterci d'accordo allora su cosa sia la "realtà oggettiva", e non è il caso (per spazio e/o tempo).
      Dipende, come in ogni forma di confronto tra teste umane, dal livello di osservazione che decidiamo di scegliere.

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    8. Quello che irrita molti scienziati, per finire il dibattito (tanto siamo d'accordo) è che molti scrittori o poeti sono convinti che la realtà da loro descritta sia molto più vicina alla realtà oggettiva di quella malamente descritta dalla scienza giorno dopo giorno (e la stessa cosa accade ai religiosi). Lo scienziato stesso ha come UNICO scopo quello di avvicinarsi alla realtà - che io ritengo esista ma non c'è tempo di parlarne. Sentirsi dire che il lavoro che fanno giorno dopo giorno non serve e non fa altro che allontarsi dalla realtà perché "distrugge il mistero" e "tanto non puoi descrivere un tramonto" e "parcellizzare è uccidere" fa girare le palle. Tutto qua.

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    9. Su questo siamo davvero d'accordo. I misteri insondabili sono altri, tipo "come fa una persona senza tare mentali a votare per la Lega?"

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    10. @Marco,

      Per me la questione è più scottante perché le tue perplessità (per essere diplomatici) verso gli scrittori, sono le mie verso i miei stessi colleghi psicologi e clinici. Ma la questione appunto è troppo grande da svolgere tutta qui.
      Rimane il dilemma che Popinga ha dolorosamente messo in evidenza: come è possibile la Lega? Un mistero (osp, scusami Marco!)

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  5. Molto vero. Insegno Italiano (dopo aver frequentato il Liceo Scientifico). Io per esempio mi stupisco sempre delle metafore e delle similitudini della (grandissima) Commedia, o dell'Orlando Furioso (mi commuove meno Marino, che comunque scrive tutto di tutto). Appena riesco, cito con gioia concetti come "Minimo Comune Multiplo" o Massimo Comun Divisore", oppure quello di osmosi ed entropia, per spiegare verità che sono palesi nelle dinamiche della vita in quanto tale, e quindi descrivono anche fenomeni umani. Oppure il concetto d Infinito, la dimensione ideale di concetti come il punto e la linea... Così come ammiro la precisione terminologica di Calvino o Gianfranco Contini... (Se è anche questo ciò che volevi dire...). L'uomo è unito, e così ciò che da lui proviene, se ragiona con tutte le sue facoltà (ma non sarà solo a noi che hanno insegnato che non bisogna ragionare a comparti stagni...?)

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  6. Anche un poeta è un uomo. Un uomo fa esperienze in terra e non in cielo. L'intuizione poetica non poggia per principio su astrazioni; i poeti, al contrario degli uomini di scienza, solitamente non pretendono di dare un valore universale alla propria particolare visione, propensione, invece, propria di chi "usa" la conoscenza. Letteratura e scienza hanno come fondamento comune l'esperienza.

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  7. Molto sommessamente, non credo che la presenza di Croce, peraltro uno dei più eleganti prosatori di tutta la letteratura italiana, oltre che uno storico straordinario, sia stata la disgrazia della cultura italiana. Nessuna voce in più è mai,in sé, una disgrazia. Disgrazia è stata semmai l'egemonia incontrastata del neoidealismo nella cultura italiana del primo Novecento. E' questo il nodo storico che andrebbe approfondito. Perché la resistibile ascesa del crocianesimo è stata invece così incontrastata? Forse che l'arretratezza strutturale della società italiana c'entra qualcosa?
    Massimo De Pascale

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  8. Marco, mi sai indicare dove posso trovare la poesia che Giorgio Celli ha dedicato al DNA?
    Mi scuso per la richiesta secca e diretta e ti ringrazio
    Luigi

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  9. Grazie, proprio quel post mi era sfuggito: sono io distratto o tu scrivi troppo spesso? (Almeno per me!) Complimenti comunque.

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  10. Ho letto il post, che condivido anche nelle virgole.

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