L’era delle macchine
In The Secret of Machines (1911) di Rudyard Kipling, scrittore e
poeta non certamente modernista, le macchine raccontano tutto il processo
produttivo che va dall’estrazione dei minerali metallici sino a quando essi
vengono fusi nella fornace e martellati per realizzare attrezzature per la
costruzione. Le macchine sono felici di aiutarci, ma avvertono anche che
funzionano secondo le leggi della fisica. A nostra differenza, non provano
alcuna emozione. Se trattate con noncuranza, le conseguenze possono essere
catastrofiche. Il messaggio di Kipling non è di entusiasmo né di rifiuto, ma di
doverosa e saggia cautela.
...
But remember, please, the Law by which we live,
We are not built to comprehend a lie,
We can neither love nor pity nor forgive,
If you make a slip in handling us you die!
Though our smoke may hide the Heavens from your eyes,
It will vanish and the stars will shine again,
Because, for all our power and weight and size,
We are nothing more than children of your brain!
...
Ma ricorda, per favore, la Legge per la quale viviamo,
Non siamo fatte per capire una bugia,
Non possiamo né amare né provare pietà né perdonare,
Se sbagli a gestirci, muori!
Anche se il nostro fumo può nascondere i Cieli dai tuoi occhi,
Esso svanirà e le stelle brilleranno di nuovo,
Perché, nonostante tutta la nostra potenza, peso e dimensioni,
Non siamo altro che figlie del tuo cervello!
La scienza era, ovviamente, alla radice degli importanti sviluppi
tecnologici del nuovo secolo, che innescarono grandi cambiamenti sociali.
Quando lo scrittore e storico statunitense Henry Adams cercò
una metafora per la nuova era, scelse le gigantesche dinamo dell'Esposizione di
Parigi del 1900.
Un filone importante del modernismo, influenzato dal futurismo italiano, celebrò
l'età della macchina. Per Filippo Tommaso Marinetti, a dir la verità in modo un
po’ naif, la macchina da corsa è un “dio d’una razza d’acciaio”, è
cavallo scalpitante al galoppo. L’automobile con tratti animali e umani,
lanciata a folle velocità, è un demone a bordo del quale il poeta inebriato
attraversa pianura e montagne:
Veemente Dio d’una razza d’acciaio,
Automobile ebbrrra di spazio,
che scalpiti e frrremi d’angoscia
rodendo il morso con striduli denti…
Formidabile mostro giapponese,
dagli occhi di fucina,
nutrito di fiamma
e d’olî minerali,
avido d’orizzonti e di prede siderali…
io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,
scateno i tuoi giganteschi pneumatici,
per la danza che tu sai danzare
via per le bianche strade di tutto il mondo! …
Tutta la nuova estetica d’inizio Novecento (e non solo quella futurista) è
euforicamente accecata e sconvolta dalle impennate della civiltà̀ industriale,
dall’avvento della macchina, dalla conseguente velocizzazione precipitosa di
spostamenti e comunicazioni, che annulla le distanze e stravolge un ormai
vetusto modo di calcolare lo Spazio/Tempo; la conquista dei cieli poi determina
una messa in crisi dell’intera unità ideologica e culturale europea. Sempre
Marinetti nel 1911 celebra l’aeroplano con toni entusiastici nel violento,
misogino, blasfemo “romanzo profetico in versi liberi” Il monoplano del Papa,
scritto in francese durante la guerra di Libia. Così la trasvolata notturna del Mediterraneo:
Elica! Elica forte del mio cuore monoplano!
Trivello formidabile, entusiasta e prepotente!
Non senti scricchiolare le esecrabili tenebre
sotto il tuo sforzo tagliente?
Già la scorza nerastra si fa diafana….
Avanti! Più presto! Che rabbia! Resiste? …
Su! ancòra un grande sforzo! Ancòra! Ancòra!
Abbiamo vinto, ormai! Tutto sta per crollare!
Urrà! Un grande sfacelo dì porpora empie lo spazio
sull'arco illimitato dell'orizzonte,
e il sole, enorme frutto succoso,
balza subitamente con gioia radiosa
fuori dal guscio molliccio dell’ombra! …
Secondo i canoni rivoluzionari di questa nuova “estetica della macchina”,
il procedimento creativo attinge direttamente al processo produttivo della società̀
industriale, e la tradizionale e sempre ispirata poiesi lirica, si sporca ormai
le mani e la faccia del grasso delle officine, conformandosi ai ritmi cadenzati
e metodici della catena di montaggio. È la Velocità il vero archetipo
tematico di tutto il futurismo, il “tema dei temi”, leitmotiv e maniacale
fissazione del movimento. Gorham B. Munson, fondatore della rivista letteraria Succession,
dichiarò nel 1922 che “un atteggiamento negativo verso la vita moderna” e in
particolare “le macchine” doveva essere sostituito da un più “positivo
equilibrio”.
Classic Scene di William Carlos Williams celebrò nel 1937 un paesaggio industriale in
cui si trova:
A power-house
in the shape of
a red brick chair
90 feet high
on the seat of which
sit the figures
of two metal
stacks - aluminum -
commanding an area
of squalid shacks
side by side--
from one of which
buff smoke
streams while under
a grey sky
the other remains
passive today -
Una centrale elettrica
a forma di
una sedia di mattoni rossi
alta 90 piedi
sulla cui seduta
siedono le figure
di due metalliche
pile - alluminio -
che dominano un'area
di squallide baracche
fianco a fianco -
da una delle quali
fumo color camoscio
sgorga mentre sotto
un cielo grigio
l'altra rimane
passiva oggi -
Williams riconobbe anche l'orrore della tecnologia senza controllo. Nel
terzo (1949) dei sei volumi del lungo poema Paterson, scritto per
rispecchiare “la somiglianza tra la mente dell’uomo moderno e la città",
parla della "malinconia di Dürer, gli ingranaggi / la menzogna slegati
dalla matematica della / macchina / inutile". Il suo atteggiamento è,
quindi, complesso e persino dialettico. Hart Crane nella sezione Cape
Hatteras del poema The Bridge (1930), celebra "la
gigantesca centrale elettrica" e il ronzio delle dinamo che muovono
ingranaggi:
The nasal whine of power whips a new universe ...
Where spouting pillars spoor the evening sky,
Under the looming stacks of the gigantic power-house
Stars prick the eyes with sharp ammoniac proverbs,
New verities, new inklings in the velvet hummed
Of dynamos, where hearing's leash is strummed ...
Power's script, — wound, bobbin-bound, refined —
Is stropped to the slap of belts on booming spools, spurred
Into the bulging bouillon, harnessed jelly of the stars.
Il lamento nasale del potere frusta un nuovo universo...
dove colonne zampillanti illuminano il cielo della sera,
sotto i faraglioni incombenti della gigantesca centrale elettrica
le stelle pungono gli occhi con acuti proverbi ammoniacali,
nuove verità, nuovi presagi nel velluto ronzante
delle dinamo, dove viene strimpellato il guinzaglio dell'udito...
La sceneggiatura della Potenza, — ferita, rilegata a bobina, raffinata —
è affilata allo schiaffo delle cinture su bobine tonanti, spronate
nel brodo gonfio, gelatina imbrigliata delle stelle.
Crane insisteva sul fatto che la poesia doveva "assorbire la
macchina", ma condivideva una certa diffidenza su cosa significasse in
pratica la cultura dell'era delle macchine. Solamente che non si poteva più
farne a meno. Come disse in un’intervista del 1935 la grande (geniale e quasi
illeggibile) poetessa Gertrude
Stein:
“Si può benissimo misurare l'autenticità e la potenza di un'opera dalla sua
verità nel suo tempo. Ci sono altre misure, ma la verità nel suo tempo è più
facile da vedere confrontandola o confondendola con il tipico prodotto reale
creato dal tempo, nel nostro caso il motore a scoppio sicuramente (...) Prima o poi la
critica dovrà abituarsi a pensare in termini di forze, tensioni, movimenti,
velocità, attrazioni, ecc.”
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