lunedì 26 luglio 2021

Poesia del ‘900 e scienza (3): “Ardenti di elettricità”

 


La città 

Secondo lo scrittore e critico inglese Malcolm Bradbury, “la letteratura del modernismo sperimentale emersa negli ultimi anni del XIX secolo era un'arte delle città, specialmente delle città poliglotte che, per varie ragioni storiche, avevano acquisito alta attività e grande reputazione come centri di scambio intellettuale e culturale”. Le grandi città come Berlino, Vienna, Parigi, Londra e New York, capitali culturali affermate, avevano al loro interno tutte le tensioni prodotte dal nuovo ambiente della vita metropolitana moderna. Esse concentravano le forze del cambiamento che dilagavano nel mondo, erano fermento di attriti, anzi di "caos culturale", focolai della dissoluzione di vecchi legami e identità; centri di migrazione, riunivano uomini di situazioni e condizioni ampiamente contrastanti. Impossibile da definire o trasmettere in forme tradizionali, la città moderna sembrava richiedere una rivoluzione nella sensibilità artistica e nell'espressione estetica.


Sintomi di questa esigenza, secondo il geografo, antropologo, sociologo e politologo britannico David Harvey, furono l'accelerazione del tempo e la compressione dello spazio che sono caratteristiche della città moderna. Per quanto riguarda la dimensione dello spazio, si può citare l'interazione sempre più complessa che risulta dalla giustapposizione di comunità diverse, di classe, etniche o religiose, i cui percorsi si intersecano nelle affollate strade cittadine. Inoltre, i mutevoli confini della città moderna, man mano che nuove popolazioni vi giungono, provocano uno spaesamento tale che il suolo “cambia sotto i piedi” degli abitanti. Così la mobilità geografica e sociale (inclusa l'esclusione sociale) può verificarsi anche se gli abitanti restano fermi, così che potrebbero non sentirsi più "a casa", anche se non si sono trasferiti. Alfred Döblin, in Berlin Alexanderplatz (1929) descrive lo spaesamento del protagonista Franz Biberkopf, che ha scontato una pena di quattro anni e che vive in una realtà sottoproletaria. La Berlino di Weimar è cambiata, e lui non trova più il suo posto. È diventato un escluso. Il romanzo, con tecniche espressive espressioniste, montaggi di tipo cinematografico, mescolanze e accostamenti di forme e stili diversi, descrive la sua lotta per il riscatto sociale tra mille peripezie in un contesto in cui la tecnologia, che aveva portato una notevole crescita della produzione industriale meccanizzata, viene vista come la fonte principale dell'alienazione dell'uomo. 


Riguardo all'altra dimensione, quella del tempo, sono la rapidità e l'attesa del cambiamento che inevitabilmente trasformano la concezione di passato, presente e futuro. Il rapporto città-campagna non è solo spaziale, ma ancor più temporale: il ritorno in campagna dello scrittore è anche un viaggio nel passato; Cultura e Natura sembrano appartenere a scale temporali diverse piuttosto che coesistere nello stesso mondo. Eppure, sono legati nello spazio dalle innovazioni tecnologiche: le ferrovie, le poste e i fili del telegrafo, la radio, il cinema e la fotografia trasformano i ritmi della vita quotidiana e la natura dell'interazione sociale.


La città moderna installa così il movimento nel cuore della vita e in questo vortice fa precipitare l'artista, affascinato e inorridito dalla sua promessa e dal suo pericolo. Da qui la fondamentale ambivalenza dell'atteggiamento degli artisti nei confronti della città: da un lato, può essere vista come liberatoria e ispiratrice, vibrante di movimento, colore e immagine, una ricca fonte di metafore e narrativa. La città, la metropoli, diviene il nuovo palcoscenico della vita culturale; le sue strade sommerse di gente ed automobili, le sue vetrine ricche e attraenti, le sue luminarie accecanti, divengono un modello estetico plausibile: la strada diviene l’odierno e dinamico «museo del presente». Un tema significativo della letteratura modernista è quello dell'emancipazione artistica dentro e attraverso la città: il viaggio di scoperta e di scoperta di sé che termina "ai margini di una ridefinizione urbana di sé stessi - come se la ricerca di sé e dell'arte allo stesso modo potesse essere solo realizzata nel bagliore e nell'esposizione esistenziale della città” (Harvey).



D'altra parte, l'esperienza predominante può essere quella della disconnessione, del distacco, persino dell'alienazione, magari venata di nostalgia per la comunità che si è persa. E su tutto incombe l’intimità e vicinanza della folla sempre presente che, con i suoi gusti banali, rischia di fagocitare l'unicità della coscienza artistica. Questo sentimento è espresso da una breve poesia imagista simile agli haiku, forse la sua più famosa, che Ezra Pound pubblicò nel 1913, In a Station of the Metro:


The apparition of these faces in the crowd;
Petals on a wet, black bough.

L’apparire di questi volti nella folla,
petali su un umido, nero ramo.

Non è necessario parlare di disumanizzazione delle masse da parte degli scrittori modernisti per riconoscere nella letteratura dei primi decenni del secolo l’attrazione mista con il risentimento e la paura verso la folla. L’ammirazione e diffidenza di William Carlos Williams così si esprimono riguardo a The Crowd At The Ball Game, la folla allo stadio del baseball (1939):


The crowd at the ball game
is moved uniformly

by a spirit of uselessness
which delights them —

all the exciting detail
of the chase

and the escape, the error
the flash of genius —

all to no end save beauty
the eternal —

So in detail they, the crowd,
are beautiful

for this
to be warned against

saluted and defied —
It is alive, venomous

it smiles grimly
its words cut —

The flashy female with her
mother, gets it —

The Jew gets it straight— it
is deadly, terrifying —

It is the Inquisition, the
Revolution

It is beauty itself
that lives

day by day in them
idly —

This is
the power of their faces

It is summer, it is the solstice
the crowd is

cheering, the crowd is laughing
in detail

permanently, seriously
without thought


La folla al gioco della palla
è mossa uniformemente

da uno spirito di inutilità
che li delizia —

tutto il dettaglio emozionante
della caccia

e la fuga, l'errore
il lampo di genio —

tutto senza scopo tranne la bellezza
l'eterno —

Quindi in dettaglio loro, la folla,
sono belli

per questo
da essere messi in guardia

salutati e sfidati —
È viva, velenosa

sorride cupamente
le sue parole feriscono —

La donna appariscente con sua
madre, capisce —

L'ebreo lo capisce bene...
è mortale, terrificante —

È l'Inquisizione, la
Rivoluzione

È la bellezza stessa
che vive

giorno per giorno in loro,
pigramente —

Questo è
il potere dei loro volti

È estate, è il solstizio
la folla sta

esultando, la folla sta ridendo
in dettaglio

permanentemente, seriamente
senza pensare


Le città industriali, con i loro mali, ma anche con le loro grandezze, sono descritte anche da Gabriele D'Annunzio, il quale coglie l'orrore quotidiano delle metropoli, ma anche un aspetto glorioso (orrida gloria, gloria delle città terribili) ed eleva la città a nuovo mito. In Maia. Laus Vitae, un lungo poema autobiografico pubblicato nel 1903, D’Annunzio (che in quanto a maschilismo nulla aveva da imparare da Marinetti) esalta un superomistico ardore di sperimentazioni e di avventura, non senza informarci delle sue numerose conquiste femminili, dee o mortali. Al ritorno da un lungo viaggio in nave nell’Egeo, il poeta si trova di fronte a una città orribile, industrializzata tanto che la definisce come il livello peggiore di decadimento dell'uomo, dove tutto è ridotto alla produzione e al mercato. 


Uomini fetidi e robusti,
altri smorti e scarni
e curvi, combusti
dal calore dei forni
e delle caldaie infernali,
inverditi dai sali
del rame, inazzurrati
dall’indaco, arrossati
dalle conce delle pelli,
inviscati dai grumi
e dai carnicci dei macelli,
corrosi dagli acidi, morsi
dal fosforo, fatti ciechi
dalle polveri e dai fumi,
fatti sordi dai fischi
del vapore dilaceranti
o dai tuoni iterati
dei martelli giganti,
dai fragori e dagli stridori
di tutto il ferro attrito,
venian del lavoro fornito.


Per D’Annunzio la bellezza non abita nelle città, dove domina invece la corsa, l'energia. Alla sera, la luce che prevale è quella artificiale dei lampioni, che appaiono come lune penzolanti e i cavalli sono quelli di acciaio delle macchine, che lavorano tutto il giorno senza mai stancarsi.


Rappresentare qualcosa di così grande e amorfo come la città moderna, in continua e rapida trasformazione, richiede un'innovazione consapevole nella forma, nel tema e nei generi, una sperimentazione che rischia di lasciare perplesso il grande pubblico. Come fa lo scrittore a competere con il richiamo delle sirene dei mass media con la loro offerta di facile fruizione e sensazioni forti? Una risposta può essere quella del flâneur, che ogni scrittore adatta la figura alla propria particolare esperienza storica e tradizione letteraria. Baudelaire, già nel 1850, sosteneva che i cambiamenti sociali ed economici portati dall'industrializzazione richiedevano che l'artista si immergesse nella metropoli e diventasse, per usare le sue parole, "un botanico del marciapiede", un conoscitore analitico del tessuto urbano. Egli coniò il termine riferendosi ai parigini, ma questa figura è stata adottata in tutto il mondo per descrivere il borghese curioso e senza fretta che bighellona nella città osservandone gli aspetti sociali, urbanistici, estetici. 


Guillaume Apollinaire seguì da vicino l'ingiunzione di Baudelaire di essere il "poeta della vita moderna": catturare l'epica nel mondano. Celebrando nella sua poesia le macchine e la tecnologia della Belle Époque, le routine della vita urbana, le trasformazioni del paesaggio urbano parigino, le sue innovazioni, sia nel contenuto che nella forma, lo hanno reso uno dei poeti francesi più influenti. La dialettica dell'immersione e della distanza dalla folla, dell'apertura al nuovo venata di nostalgia per il perduto, che caratterizzano i suoi scritti sulla città, rivelano inoltre tutta la complessità e l'ambiguità dell'impegno dell'artista con la modernità.


Composta nel 1903-1904, con successive modifiche, pubblicata per la prima volta sul Mercure de France il 1° maggio 1909, la poesia La chanson du mal-aime è la più lunga della raccolta Alcools (1913). La fine di questo lungo poema contrappone, in un contrasto simultaneo, un racconto, quello della morte di Ludovico II di Baviera, alla flânerie peregrina per Parigi.


Juin ton soleil ardente lyre
Brûle mes doigts endoloris
Triste et mélodieux délire
J’erre à travers mon beau Paris
Sans avoir le cœur d’y mourir

Les dimanches s’y éternisent
Et les orgues de Barbarie
Y sanglotent dans les cours grises
Les fleurs aux balcons de Paris
Penchent comme la tour de Pise

Soirs de Paris ivres du gin
Flambant de l’électricité
Les tramways feux verts sur l’échine
Musiquent au long des portées
De rails leur folie de machine

Les cafés gonflés de fumée
Crient tout l’amour de leurs tziganes
De tous leurs siphons enrhumés
De leurs garçons vêtus d’un pagne
Vers toi toi que j’ai tant aimée


Giugno la tua lira solare infuocata
Brucia le mie dita doloranti
Delirio triste e melodioso
Vago per la mia bella Parigi
Senza avere il coraggio di morirci.

Le domeniche durano per sempre
E gli organetti di Barberia
Vi singhiozzano nei cortili grigi
I fiori sui balconi di Parigi
Pendono come la Torre di Pisa

Serate parigine ubriache di gin
Ardenti di elettricità
I tram semafori verdi sulla schiena
Musicano lungo i pentagrammi
Delle rotaie la loro follia di macchina

I caffè gonfi di fumo
Gridano tutto l'amore dei loro zingari
Di tutti i loro sifoni raffreddati
Dei loro ragazzi vestiti d’un pareo
Per te, te che ho tanto amato


Zone è la poesia di apertura della raccolta. Cambiando il titolo della raccolta da Eau de vie in Alcools e decidendo di togliere ogni punteggiatura, l'autore aggiunse all’inizio la poesia, ultima scritta. Colpisce l'aspetto del poema: alcuni versi sono staccati, altri raggruppati in strofe; non c'è una vera regolarità. Si tratta di versi liberi, le leggi della versificazione non sono rispettate. In questa lassa si trova un'evocazione modernista della capitale:


Tu lis les prospectus les catalogues les affiches qui chantent tout haut
Voilà la poésie ce matin et pour la prose il y a les journaux
Il y a les livraisons à 25 centimes pleines d’aventures policières
Portraits des grands hommes et mille titres divers

J’ai vu ce matin une jolie rue dont j’ai oublié le nom
Neuve et propre du soleil elle était le clairon
Les directeurs les ouvriers les belles sténo-dactylographes
Du lundi matin au samedi soir quatre fois par jour y passent
Le matin par trois fois la sirène y gémit
Une cloche rageuse y aboie vers midi
Les inscriptions des enseignes et des murailles
Les plaques les avis à la façon des perroquets criaillent
J’aime la grâce de cette rue industrielle
Située à Paris entre la rue Aumont-Thiéville et l’avenue des Ternes

Leggi i volantini i cataloghi i manifesti che cantano ad alta voce
Ecco la poesia stamattina e per la prosa ci sono i giornali
Ci sono pubblicazioni da 25 centesimi piene di avventure della polizia
Ritratti di grandi uomini e mille titoli diversi

Ho visto questa mattina una bella strada di cui ho dimenticato il nome
Nuova e pulita dal sole essa era la tromba
I dirigenti gli operai le belle stenodattilografe
Dal lunedì mattina al sabato sera quattro volte al giorno vi passano
Al mattino tre volte la sirena vi geme
Una campana arrabbiata vi abbaia intorno a mezzogiorno
Le iscrizioni delle insegne e dei muri
Le targhe gli avvisi urlano come pappagalli
Amo la grazia di questa strada industriale
Situata a Parigi tra la rue Aumont-Thiéville e l'avenue des Ternes



Il poeta si aggira per le strade di Parigi "questa mattina", che è il tempo del rinnovamento poetico; sorprendentemente canta un inno all'edicola. Il poeta non appare qui al suo scrittoio durante le lunghe veglie, ma, dialogando in seconda persona con sé stesso, si guarda leggere "i prospetti i cataloghi i manifesti" - l'assenza di punteggiatura accelera ulteriormente la giustapposizione di questi testi apparentemente irrisori. La città moderna offre al poeta come modelli questi schizzi di una nuova poesia: il flâneur parigino vede nel loro afflusso una felice moltiplicazione di testi: "Ecco la poesia stamattina e per la prosa ci sono i giornali".

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