“Dildos. Passare dalla porta sul retro: Problematizzare l’omoisteria e la transfobia degli uomini eterosessuali attraverso l’uso ricettivo e penetrativo dei Sex Toys”. Forse il fatto che gli uomini si penetrino solo raramente per via anale mediante l’uso di sex toys è connesso alla paura di fare pensieri omosessuali (“omoisteria”) e intolleranti verso i trans (transfobia). Incoraggiarli dunque a penetrarsi analmente ripetutamente farà calare la transfobia e aumentare i valori femministi.
“Hooters. Una etnografia della mascolinità nei ristoranti con cameriere seminude: ragioni della reificazione, conquista sessuale, controllo maschile, durezza mascolina nei ristoranti sessuali reificanti”. Gli uomini che frequentano quei ristoranti con cameriere seminude come Hooters lo fanno in quanto nostalgici della dominazione patriarcale e godono a dare ordini alle donne attraenti che gli girano attorno. L’ambiente offerto da questi ristoranti incoraggia gli uomini a perpetuare la reificazione e la conquista sessuale, ad uno con la durezza mascolina e la dominazione maschile finalizzata alla “mascolinità autentica”.
“Parco per cani. Reazioni umane alla cultura dello stupro e performatività queer nei parchi per cani della città di Portland, Oregon”. I parchi per cani sono luoghi dove la cultura dello stupro è tollerata e dove vige una sistematica oppressione dei “cani vittima”. Mediante ciò è possibile misurare l’attitudine umana nei confronti del medesimo problema. L’analisi della situazione fornisce elementi sul come addestrare gli uomini per portarli fuori dalla violenza sessuale e dal bigottismo cui sono soggetti.
Questi sono tutti articoli reali, pubblicati in giornali accademici (poi ritirati), scritti sotto pseudonimo da un gruppo di tre persone: la giornalista Helen Pluckrose, il matematico James Lindsay e il filosofo Peter Boghossian. Suonano come parodie di un certo stile di ricerca accademica. Infatti lo erano. Pluckrose, Lindsay e Boghossian hanno scritto e pubblicato gli articoli come parte di una campagna di bufale durata un anno che prendeva di mira campi come gli studi di genere o sulle discriminazioni razziali.
I tre scrissero in poco più di un anno venti articoli e li sottoposero a un certo numero di giornali accademici. Quando terminarono l'esperimento, all'inizio di ottobre del 2018, sette dei venti erano stati accettati per la pubblicazione.
In un lungo articolo che spiegava il raggiro, gli autori descrissero la loro bufala come prova che i campi incentrati sull'identità - studi di genere, studi queer, studi critici sulla razza, ecc. - erano "corrotti" fino in fondo. I Grievance Studies ("studi sul risentimento"), come scelsero di definire questi campi, elevavano le sciocchezze politicamente alla moda a studi accademici rigorosi; gli autori li vedevano come un cancro nell'università che deve essere asportato.
Non era la prima volta che i giornali accademici erano presi in giro per dimostrare una tesi. Ma questa volta, lo scherzo provocò un contraccolpo contro gli stessi burloni. Alcuni studiosi provenienti da campi estranei ai Grievance Studies criticarono lo scherzo, rifiutando i metodi di Pluckrose et al. come non scientifici e le conclusioni che traevano sull'intero campo degli studi sull'identità come non supportate dalle loro stesse prove.
I burloni avevano ragione sul fatto che esistono problemi negli studi sull'identità e che uno di questi problemi è il pregiudizio politico. Ma il loro esperimento non era una prova convincente che questi problemi siano necessariamente peggiori di quelli che interessano altri campi, compresi quelli che sembrano più "scientifici" come la psicologia o l'economia.
La vera posta in gioco non era una disputa sul metodo accademico ma invece l'apertura di un altro fronte nella grande guerra culturale americana di questi ultimi anni. Pluckrose, Lindsay e Boghossian non sono studiosi neutrali: tutti loro sono da tempo critici della cosiddetta politica dell'identità e della giustizia in senso lato.
Il loro obiettivo, in breve, era di mostrare che le idee che si sentono dagli intellettuali liberal, dagli attivisti di MeToo e Black Lives Matter e da alcuni parlamentari democratici sono nella migliore delle ipotesi vacue.
Pluckrose et al. guardano a questa come una guerra per salvare il liberalismo da se stesso. Ma in realtà hanno rivelato un cambiamento nel dibattito politico moderno, in cui l'ideologia e l'identità hanno soppiantato alcune delle vecchie divisioni sinistra/destra, allineando un certo tipo di sedicenti liberali con le forze della reazione.
La bufala dei Grievance Studies è iniziata con la preoccupazione che le persone venissero ingiustamente accusate di razzismo e sessismo, illustrando la posta in gioco politica di tutto questo praticamente dall'inizio.
Boghossian (professore di filosofia alla Portland State University) e Lindsay (che ha un dottorato di ricerca in matematica, ma lavora al di fuori dell'accademia) erano entrambi coinvolti nella comunità di scrittori atei-scettici. Negli ultimi anni, entrambi erano allarmati da quella che vedevano come un'ondata di critiche ingiuste rivolte alle persone all'insegna della giustizia sociale e della discriminazione "sistemica" del politicamente corretto.
Uno di questi esempi, secondo Lindsay, era James Damore, l'ingegnere di Google licenziato nel 2017 dopo aver scritto un promemoria in difesa dell'idea che gli uomini siano intrinsecamente più adatti al campo tecnologico rispetto alle donne.
"Abbiamo notato una tendenza che includeva persone che rispettavamo che venivano messe alla berlina, in diversi casi, con accuse di razzismo e sessismo", disse Lindsay. "Quando li abbiamo esaminati più da vicino, ci siamo resi conto che stavano usando definizioni particolari di sessismo e razzismo, in particolare, stavano usando il razzismo e il sessismo" sistemici".
La teoria della discriminazione "sistemica" sostiene che non si tratta semplicemente una questione di atteggiamenti individuali, ma piuttosto di strutture e idee sociali più ampie. Secondo Lindsay e Boghossian, la nozione di razzismo sistemico e sessismo è usata per attaccare le persone per tutti i tipi di comportamenti che non sono motivati da ostilità razziale personale. Essi incolpano una particolare applicazione della teoria post-strutturalista che è diventata popolare in campi come gli studi di genere, che si concentra fortemente sul ruolo del linguaggio nel mantenimento delle strutture oppressive.
"La correttezza politica è una manifestazione pubblica di una forte attenzione all'idea che il linguaggio costruisce la società attraverso la creazione e il mantenimento di squilibri di potere, che è un'idea molto [post-strutturalista]", ha detto Lindsay.
L'idea della “bufala” nacque come un modo per testare la qualità della ricerca alla base di questa teoria. Se la teoria post-strutturalista era radicata in una rigorosa ricerca accademica, i suoi studiosi avrebbero dovuto essere in grado di scovare documenti falsi durante la revisione tra pari. Ma se riuscivano a giustificare un argomento del tutto privo di senso in gergo post-strutturalista e farlo pubblicare, ciò avrebbe indicato che l'intero edificio è corrotto.
Il primo tentativo di Lindsay e Boghossian non andò bene. Nel 2017 pubblicarono un articolo intitolato "The Conceptual Penis as a Social Construct" sulla rivista Cogent Social Sciences. Il finto studio sosteneva che il pene è meglio compreso come una sorta di identità maschile che come un organo biologico e che il "pene concettuale" era responsabile, tra le altre cose, del cambiamento climatico.
Il problema, come sottolineano i critici, è che Cogent Social Sciences non è una delle principali riviste di studi di genere, e nemmeno accademicamente rispettabile. È una pubblicazione di qualità estremamente bassa che richiede una commissione di 625 dollari per la pubblicazione. In effetti, quando Lindsay e Boghossian cercarono di presentare "The Conceptual Penis" a una vera rivista di studi di genere, NORMA, esso fu respinto.
In un primo momento, i loro articoli furono respinti. Il contenuto era ovviamente troppo sciocco. Ma poi si impegnarono a studiare i tipi di articoli che erano stati scritti sull'argomento in passato e migliorarono la loro capacità di imitare gli argomenti in essi contenuti. Questo fu un lavoro a tempo pieno per Lindsay, che ottenne finanziamenti da un gruppo di donatori di cui non avrebbe rivelato i nomi per dedicare, nelle sue parole, "novanta ore a settimana" a questo progetto.
Per questi motivi, disse Lindsay, dopo l'esperimento "per lo più fallito", coinvolsero la britannica Helen Pluckrose, editor della rivista Areo, come collaboratrice; migliorarono anche la metodologia, che prevedeva la presentazione di più articoli, ciascuno dei quali sarebbe stato sottoposto a "riviste di rango superiore"; se veniva rifiutato, il feedback del processo di revisione tra pari veniva utilizzato per rivedere il documento prima che fosse inviato a una rivista di livello inferiore. Questo processo era ripetuto fino a quando il documento non era accettato, o fino a quando i tre autori non ritrattavano quel documento. La paternità di ogni articolo era di fantasia o di persone reali disposte a prestare il proprio nome, come Richard Baldwin, professore emerito di storia al Gulf Coast State College.
Il risultato fu che, alla fine, sette dei 20 articoli furono accettati per la pubblicazione su riviste scelte come bersaglio. Come osserva Daniel Engber di Slate, tre dei sette sono gli esempi più assurdi e quelli che hanno ricevuto più attenzione: il dildo, il parco per cani e i ristoranti sexy evidenziati in precedenza.
Questi tre articoli accettati contengono ricerche inventate, come diecimila ore di falsa osservazione di cani che montano delle cagne nei parchi. Sono anche pieni di frasi come "a causa della mia posizione di essere umano, piuttosto che di cane, riconosco i miei limiti nel poter determinare quando un caso di monta di cani si qualifica come stupro".
E gli articoli giungevano a strane conclusioni. Quello del dildo rilevava, sulla base di "interviste semi-strutturate con tredici uomini", che esiste "un potenziale valore socialmente correttivo per incoraggiare l'erotismo anale maschile con i giocattoli sessuali". In parole povere, il documento sosteneva che gli uomini che si masturbano penetrandosi in modo anale potrebbero essere di conseguenza meno omofobici e transfobici.
Il fatto che queste assurde argomentazioni siano state accettate del tutto, secondo Lindsay, confermava la loro ipotesi iniziale: che gran parte della teoria post-strutturalista alla base delle moderne argomentazioni su razza e genere è corrotta, se non del tutto vacua.
"Se basiamo la politica su queste cose e l'attivismo su quella ricerca, penso che l’accademia stessa abbia il dovere nei confronti del pubblico di essere affidabile", disse. “Ho perso la mia capacità di fidarmi".
Lindsay è andato anche oltre. Se i vari sottocampi degli studi sull'identità non possono essere riformati, ha detto, allora quei dipartimenti - alcuni dei relativamente pochi in cui le donne e le minoranze hanno una presenza significativa - dovrebbero essere chiusi. "Questi dipartimenti possono continuare a fare quello che vogliono, ma al di fuori del sistema universitario".
La reazione alla bufala dei Grievance Studies è stata variegata. Alcuni studiosi, come il politologo Yascha Mounk, hanno celebrato la loro impresa. dicendo che mentre gli autori non hanno ricevuto favori per la preparazione della bufala, hanno dimostrato padronanza del gergo postmoderno e non solo hanno ridicolizzato le riviste in questione, ma, cosa più importante, hanno mostrato i doppi standard degli studi di genere che accolgono felicemente bufale contro campi "moralmente sospetti" come l’economia, ma non sono in grado di accettare una critica ai propri metodi. Mounk ha anche notato "l'enorme quantità di solidarietà tribale che ha suscitato tra la sinistra e gli accademici" e il fatto che molte delle reazioni sono state puramente ad hominem, mentre pochi hanno effettivamente notato che esiste un problema reale evidenziato dalla bufala: "alcune delle principali riviste in settori come gli studi di genere non sono riuscite a distinguere tra il vero studio accademico e le cazzate intellettualmente vacue e moralmente preoccupanti”. Altri erano più critici. James Stacey Taylor, professore di filosofia libertaria al College of New Jersey, ha sottolineato che due delle riviste a cui avevano presentato gli articoli - Afflia e il Journal of Poetry Therapy - "non sono affatto veri e proprie pubblicazioni accademiche, ma sembrano rivolte ai praticanti", intendendo assistenti sociali e terapisti.
Sembra chiaro che gli imbroglioni abbiano fatto emergere il problema di queste riviste. Gli studi accademici sull'identità sono impegnati in una visione politica progressista. L'esperimento della bufala mostra che è possibile che venga pubblicato un cattivo lavoro che lusinghi quei pregiudizi, il che è certamente qualcosa di cui i revisori che lavorano nei giornali del settore dovrebbero preoccuparsi maggiormente di quanto sembrino fare.
Allo stesso tempo, tuttavia, qualsiasi campo può essere ingannato se si mente sui dati raccolti e si nascondono le vere intenzioni: l'intero sistema dipende dalla buona fede e dall'onestà. Quando le persone lo infrangono, presentando argomenti in malafede o producendo dati falsi, il sistema non è ben attrezzato per accorgersene.
Brian Resnick e Julia Belluz, ad esempio, hanno svolto un resoconto approfondito sui problemi relativi alla ricerca statistica rispettivamente in psicologia e salute. Una percentuale incredibilmente alta di articoli, anche nelle riviste più importanti, non può essere replicata negli esperimenti di follow-up. Parte del problema è che i ricercatori riportano selettivamente i risultati della loro ricerca per far sembrare le loro conclusioni rigorose quando non lo sono, un trucco reso possibile da una sorta di trucco statistico chiamato p-hacking.
I revisori tra pari non possono dire se un documento statistico è difettoso in questo modo, perché per definizione non hanno accesso ai risultati della ricerca che sono esclusi dal documento. Devono confidare nel fatto che i ricercatori siano giunti onestamente alle loro conclusioni; l'intero sistema di revisione tra pari dipende dall'instaurazione di un certo livello di fiducia.
Questo è il motivo per cui è importante, come osserva Engber, che i documenti più sorprendenti della bufala abbiano effettivamente inventato interviste e dati dall'osservazione. "Sappiamo da una lunga esperienza che la revisione tra pari di esperti non offre quasi nessuna protezione contro la frode dei dati vera e propria", scrive. "Questi esempi non hanno ingannato nessuno con sofismi o satira, ma con una semplice fabbricazione di risultati".
Per trarre le grandi conclusioni ideologiche sugli studi di genere e identità che Pluckrose et al. dovevano poter dimostrare che ciò è qualcosa di diverso dai problemi standard dell'editoria accademica.
Ma la bufala non mostra che è più probabile che i documenti falsi vengano accettati rispetto ai documenti veri, né mostra che gli studi di genere e le riviste di teoria post-strutturalista hanno maggiori probabilità di accettare documenti falsi rispetto a quelli in qualsiasi altro campo. Senza questo tipo di confronto, è difficile sapere se gli studi di genere siano errati in modo univoco o se c'è un difetto più grande nel sistema di revisione tra pari.
Lindsay, ha espresso irritazione per questo ragionamento. Per prima cosa, sarebbe stato logisticamente impossibile per il suo team imparare tutti i tipi di diverse discipline accademiche e sottoporsi a riviste in esse contenute. Inoltre, sostiene, è irrilevante: il fatto che potrebbero esserci problemi in altri campi non significa che non ci siano problemi con la ricerca su argomenti di identità.
Per dimostrare che le idee alla base degli studi sull'identità sono corrotte rispetto alle idee che dominano nelle scienze più tradizionali, bisogna dimostrare che quelle idee rendono i loro giornali più manipolabili di quelli di altri campi. E non sembra essere così.
Pluckrose et al. non sono riusciti a dimostrare che l'indagine qualitativa informata dalla teoria post-strutturalista è particolarmente incline a essere manipolata, o che le affermazioni fondamentali nelle varie discipline degli studi sull'identità non sono valide.
"Sappiamo già che tutti i tipi di sciocchezze vengono pubblicati perché le persone sono disposte a mettere un pollice sulla bilancia", ha twittato il sociologo Kieran Healy. “Se odi abbastanza un'area, puoi inventare un giornale falso e farlo pubblicare da qualche parte se ci provi. La domanda è: che cosa odi?"
Per capire la risposta alla domanda di Healy, bisogna davvero capire l'accademia degli anni '90. Come oggi, l'accademia era ossessionata dai dibattiti su "politica dell'identità" e "correttezza politica". Nel mondo della ricerca accademica, questo si è manifestato in qualcosa chiamato "guerre della scienza": un dibattito, per semplificare molto, sul fatto che la ricerca scientifica stabilisca davvero "verità oggettive" sul mondo.
Gli scienziati sociali e i loro alleati in discipline come la filosofia hanno difeso l'idea tradizionale di obiettività, mentre i critici in campi come gli studi scientifici e tecnologici hanno sostenuto che gli scienziati stavano ignorando i limiti intrinseci all'obiettività creati dalla prospettiva e dai pregiudizi umani. Molti dei critici erano preoccupati per il modo in cui le strutture di potere, come il razzismo e il sessismo, avevano storicamente distorto l'indagine scientifica (l'eugenetica e la scienza della razza nazista, per esempio).
In quel contesto, Alan Sokal presentò il suo famoso articolo burla per mostrare che si poteva dire qualsiasi cosa se fosse stata presentata con il giusto linguaggio di moda in quel contesto sociale e politico.
La bufala di Sokal era consapevolmente più limitata di quella di Pluckrose et al. (che alcuni osservatori hanno chiamato “Sokal al quadrato”). Ma rivelava cosa sta succedendo: queste bufale non riguardano tanto l'igiene dell'accademia quanto lo screditare i propri oppositori politici.
Ora, tutti e tre gli autori dei Grievance Studies si dicono politicamente liberali. Ma sono liberali di un tipo molto particolare: quelli che si oppongono con veemenza all'attuale ondata di organizzazione liberale di sinistra che circonda la razza e il genere. Pluckrose ha scritto un articolo nel 2016 intitolato "Perché non mi identifico più come femminista", sostenendo che "il femminismo occidentale deve smettere di concentrarsi su stronzate banali" e che "non ho molta simpatia per le donne che si sentono traumatizzate ed escluse dalle magliette degli scienziati o dai videogiochi”.
Nel settembre del 2018, Pluckrose e Lindsay sono stati co-autori di un articolo che denunciava i praticanti della "politica dell'identità" come traditori dell'eredità liberale del movimento per i diritti civili, polarizzando il mainstream americano contro le cause progressiste. "La politica dell'identità sotto forma di giustizia sociale ... potrebbe annullare decenni di progresso sociale e fornire una motivazione per una rinascita di razzismo, sessismo e omofobia".
Questo tipo di idea è apparentemente progressista, ma in realtà è più comunemente recepita oggi dai conservatori moderati. Ciò porta ad alcune strane alleanze. Boghossian, ad esempio, è un collaboratore di lunga data di Stefan Molyneux, una star di YouTube e presunto "leader di una setta" noto soprattutto per la sua convinzione che "i neri sono collettivamente meno intelligenti". Boghossian è un frequente interlocutore di Molyneux e ha persino scritto la prefazione di uno dei suoi libri.
Il fatto che le bufale di Pluckrose et al. siano piaciute particolarmente alla destra americana a dice lunga sulle conseguenze che ha effettivamente determinato il progetto, e forse anche sulle sue intenzioni.
Nel 2018, la Portland State University ha avviato un'indagine su Boghossian per cattiva condotta di ricerca relativa alla vicenda dei Grievance Studies. Secondo il Chronicle of Higher Education, il comitato di revisione istituzionale (IRB) dell'università ha concluso che Boghossian ha violato le linee guida etiche conducendo ricerche su soggetti umani senza approvazione. L'Università ha anche detto di essere in procinto di "considerare un'ulteriore accusa di aver falsificato i dati".
Dopo la diffusione della notizia dell'indagine sulla conduzione della ricerca, un certo numero di eminenti accademici ha scritto lettere in difesa di Boghossian, tra cui il biologo evoluzionista Richard Dawkins, lo psicologo di Harvard Steven Pinker, il matematico e fisico Alan Sokal, il filosofo Daniel Dennett, lo psicologo sociale Jonathan Haidt e lo psicologo Jordan Peterson. Pinker ha scritto che l'indagine della Portland State University ha colpito lui e i suoi colleghi "come un tentativo di colpire un importante [principio] di etica accademica per punire uno studioso per aver espresso un'opinione impopolare". Dawkins ha suggerito che l'indagine potrebbe essere motivata politicamente: "Se i membri della vostra commissione d'inchiesta si oppongono all'idea stessa della satira come forma di espressione creativa, dovrebbero dichiararsi onestamente e dirlo. Ma fingere che sia una questione di pubblicazione dati falsi è così ovviamente ridicolo che non si può fare a meno di sospettare un secondo fine". Peterson ha affermato che coloro che lanciavano accuse a Boghossian, e non lo stesso Boghossian, erano colpevoli di cattiva condotta accademica.
D'altra parte, gli esperti dell'IRB hanno insistito che Boghossian avrebbe dovuto chiedere l'approvazione dell'IRB per lo studio.
Nel dicembre 2018, la Portland State University ha stabilito che Boghossian aveva "violato le linee guida etiche sulla ricerca su soggetti umani". Di conseguenza, gli è stato vietato di fare ricerca fino a quando non avesse "completato la formazione e potuto dimostrare di aver capito come proteggere i diritti dei soggetti umani".
Nel settembre 2021, Boghossian ha rassegnato le dimissioni dalla Portland State University. Nella sua lettera di dimissioni, ha definito l'università una "fabbrica di giustizia sociale" e ha affermato di aver subito molestie e ritorsioni per aver parlato. La lettera accusava anche l'università di creare una cultura in cui gli studenti hanno "paura di parlare apertamente e onestamente", di addestrare gli studenti a "imitare la certezza morale degli ideologi" e di "[generare] l'intolleranza verso credenze e opinioni divergenti".
Il 17 febbraio 2022 Boghossian ha tenuto una conferenza al Mathias Corvinus Collegium a Budapest sul "wokismo", il comportamento e gli atteggiamenti sensibili alle ingiustizie sociali e politiche, termine oggi utilizzato principalmente dai conservatori per denigrare il politicamente corretto e l'ortodossia di sinistra. Sì, in Ungheria, da Orban.
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