domenica 17 gennaio 2010

Piccola antologia dei poeti inesistenti (3)



Nel suo ultimo romanzo in russo, Il dono, scritto a Berlino fra il 1935 e 1937, e pubblicato a puntate a Parigi sulla rivista ufficiale della diaspora russa antirivoluzionaria, Nabokov descrive la formazione alla vita, alla letteratura e all'amore dello scrittore russo Fyodor Konstantinović Godunov-Cherdyntsev, nato a Lešino il 12 luglio 1900 ed emigrato a Berlino negli anni Venti.

Godunov-Cherdyntsev è l’autore di Poesie (1952), volumetto di circa cinquanta poesie di dodici versi, tutte sul tema dell'infanzia. In questa raccolta dall'apparente ovvietà dei versi, Godunov-Cerdyncev cerca di generalizzare i propri ricordi, tipici di ogni infanzia felice, senza contaminazioni.

La raccolta si apre con la poesia II pallone perduto:

Sotto un armadio l'uomo nero
ha inghiottito il mio pallone.
Lo cerco invano, mi dispero,
piango. «Aspetta, porto un lume!».
E con lo sghembo attizzatoio
la njanja fruga, poi si china
e trova: un laccio di cuoio,
un ago, un chiodo, una forcina.
E a un tratto quello salta fuori
nel buio trepidante, rotola
per terra come vivo, e poi –
in una nuova, ignota botola.

E si chiude con la poesia II pallone ritrovato:

Soltanto quadri, icone, tende,
restarono ai loro posti.
Nel '16 qualcosa avvenne
in casa: zitte, di nascosto,
le stanze andavano a scambiarsi
credenze, paraventi, letti,
sofà, specchiere con intarsi,
ed altri ingombranti oggetti.
Di dietro un lavabo di legno
comparve sulle nude assi
il mio pallone perso: pegno
di un misterioso compimento.

Godunov-Cherdyntsev è stato anche l’autore di un libello scritto contro lo scrittore Nikolaj Gavrilovič Černyševskij (1828-1899), autore del romanzo Che fare?, che esercitò una grande influenza sulle generazioni di rivoluzionari russi della seconda metà dell’Ottocento. Lenin, che nel 1905 scelse lo stesso titolo per il trattatello in cui delineava la teoria dell'organizzazione del partito rivoluzionario, considerava Černyševskij un precursore, mentre Stalin fece del suo realismo letterario l’estetica ufficiale dell’Unione Sovietica proprio negli anni in cui Godunov-Cherdyntsev iniziava la sua carriera di scrittore. Černyševskij è per Godunov-Cherdyntsev il caposcuola di tanta robaccia zdanovista. Per questo lo mette alla berlina, criticando soprattutto la sua estetica e l’incomprensione per l’arte, anche se ammira il coraggio della sua opposizione al regime zarista, che lo esiliò in Siberia. Secondo me comunque i russi potrebbero scegliersi dei nomi e cognomi meno complicati.

Non fu mai pubblicata invece la biografia, mai portata a termine, che lo scrittore preparò a lungo del padre, il conte Konstantin Godunov-Cherdyntsev, famoso esploratore ed esperto di lepidotteri (come Nabokov), scomparso durante una spedizione in Asia centrale nel 1917.


Fyodor Godunov-Cherdyntsev: si noti l'impressionante somiglianza con l'argentino Federico Juan Carlos Loomis

Sempre Vladimir Nabokov, vero scopritore di talenti, parla di John Shade, poeta e letterato statunitense, professore universitario e autore di Fuoco pallido (1962), poema in quattro canti della lunghezza totale di 999 versi, il cui titolo è ripreso da un verso di Shakespeare. Il componimento è preceduto da una prefazione e seguito da un commento scritti da Charles Kinbote, esule dal paese nordeuropeo di Zembla, recente amico e collega di Shade nella medesima università americana. La prefazione ci informa che Shade fu assassinato per errore da un sicario, che voleva uccidere lo stesso Kinbote, solo poche ore dopo che ebbe finito il poema. L’amico ha pubblicato in seguito il manoscritto con il proprio commento.

Il poema di Shade è autobiografico. Il primo canto descrive i suoi precoci incontri con la morte e accenna alla sua idea di sovrannaturale. Egli immagina di duplicarsi oltre la morte di un uccello che si schiantato contro la sua finestra, proiettandosi nell’azzurro del cielo:

Ero l’ombra del beccofrusone ucciso
dal falso azzurro nel vetro:
ero il fumo denso di peli bruciati – e io
vivevo, volavo, nel cielo riflesso.
E dall’interno, poi, avrei duplicato
me stesso…

Nel secondo canto parla della sua famiglia e del suicidio della figlia Hazel; il terzo si concentra sulla ricerca di conoscenza riguardo l’aldilà e culmina in una “debole speranza” di poteri superiori “che giocano con i mondi”, come dimostrerebbero le coincidenze apparenti:

Ma tutto in una volta mi divenne chiaro che ciò
era il punto reale, il tema del contrappunto;
solo questo: non un testo, ma una tessitura;
non il sogno ma coincidenza disordinata,
non un fragile nonsenso, ma una rete di senso.

Il canto finale offre dettagli della vita quotidiana e del processo creativo di Shade, con riflessioni sulla sua poesia, che ritiene un mezzo per comprendere in qualche modo l’universo:

Sento di capire
l’esistenza, o almeno una minuta parte
della mia esistenza, solo attraverso la mia arte,
in termini di piacere combinatorio;
e se il mio privato universo ha una metrica corretta,
fa così il verso di galassie divine
che sospetto sia un verso giambico.
Sono abbastanza sicuro che sopravviviamo
e che la mia cara da qualche parte è viva,
così sono ragionevolmente sicuro che io
mi alzerò domani alle sei, il ventidue
giugno millenovecentocinquantanove.


John Shade

Kinbote, fuoriuscito dal suo paese a causa di una rivoluzione che ha cacciato la famiglia reale, racconta di essere stato certo che il poema sarebbe stato un inno celebrativo della storia recente di Zembla, che spesso aveva raccontato a Shade. Ha scoperto invece con disappunto che il poema non tratta minimamente del suo paese, citato di sfuggita solo una o due volte. Così, per Kinbote il commento diventa l'occasione per narrare le storie di Zembla, e il poema assume una posizione subordinata rispetto al commento, dieci volte più lungo. Esso rivela gli eccessi della saccente erudizione di Kinbote, la sua incapacità di concepire l’ovvio, la vanitosa insistenza sui propri convincimenti a spese di quelli dell’autore. Per quanto egli si dichiari devoto a Shade e alle sue opere, non è in grado di afferrare i particolari del mondo immaginativo del poeta, dimostrando di essere incapace di comprendere gli individui che non siano se stesso. Ne nasce un contrappunto (una delle parole–chiave del libro) tra i due testi, giocato sul filo dell’equivoco:

Così, i versi 137–139, che parlano del “miracolo della lemniscata lasciata sulla sabbia umida dalle ruote della bicicletta”, sono così annotati dal commentatore perplesso: "il dizionario definisce la lemniscata una quartica bicircolare e unicursale. Non capisco cosa questo abbia a che fare con il ciclismo, e sospetto che la frase non abbia nessun significato".

E ai versi 213–214, che riportano il sillogismo secondo cui “gli altri muoiono, ma io non sono gli altri, dunque non morirò”, replica: “questo potrà soddisfare un bambino, ma in seguito la vita ci insegna che noi siamo quegli altri”.

(continua)

I primi due capitoli dell’Antologia sono stati pubblicati qui e qui.

17 commenti:

  1. Pop, nel notare una mancata correlazione didascalie-foto, ma sia detto en passant perchè si sa che fisionomie e nomi sono cose che non hanno sempre un legame stabile e univoco,
    considero anche questo: la lemniscata è la tipica traccia che lascia sul piano orizzontale chiunque voglia testar della bicicletta, in breve spazio, o freni o manubrio o qualsivoglia altra qualità, o, in ultima analisi, da chi voglia semplicemente disegnare una "lemniscata sulla spiaggia", un ante-litteram dei crop circle.

    RispondiElimina
  2. Paopasc, come ci può essere verità nelle fotografie di poeti inesistenti? Come sai, poi, la lemniscata è la tipica curva aliena prima che inventassero l'automobile.

    RispondiElimina
  3. Pop,
    per godermi appieno queste antologie... ora "ci ho poco tempo" :-)
    la lemniscata con la bici però, booh! Si trattasse di cicloide....
    ciao,
    g

    RispondiElimina
  4. Sono rassicurata, perchè è da Ludwig che mi vergogno di non capire tutte quelle fotografie sui post di Popinga che sto studiando. Mi fido talmente di Popinga che mi ero convinta di aver saputo per anni chi fosse Kafka, mentre invece non era lui, grazie Paopasc, davvero. E poi Maestri, ma anche quella faccenda della "lemniscata", ma non vi sembra un termine impoetico per definire una libera sgommata sulla spiaggia, anche in bici? Ecco, quando fate così, mi sprofondo nel convincimento che gli scienziati lo facciano apposta, a rovinarmi la poesia... Oppure lo fate apposta, a complicare il semplice per renderlo poetico, manipolandolo? Manipoloni!
    B

    RispondiElimina
  5. Giovanna: (ti avverto che sto per dire un'idozia) dovevamo pensarci prima, è così banale: una bicicletta sulla spiaggia traccia una cicloide, un lemnisco una lemniscata, un chirurgo una cardioide.

    B.: in effetti, ora che me lo fai notare, sia Godunov-Cherdyntsev, sia Loomis assomigliano a Kafka: è incredibile!

    RispondiElimina
  6. tutto quello che serve è nella quinta frase di pagina 56

    RispondiElimina
  7. Peppe: ci deve essere un errore! Io sono qui per scoprire il segreto delle sue piume!

    RispondiElimina
  8. A me manipolone mi sta bene: mi ci confaccio, o confacciò? Bò!

    RispondiElimina
  9. Manipolone è bellissimo. Manipolone ha le mani lunghe con le idee e con le donne, è bravo in cucina, sa anche confondere le acque. In moto usa con frequenza l'acceleratore. Se cade non è mai colpa sua, con le idee, con le donne e con la moto.

    RispondiElimina
  10. ciò che l'anonime parole dicono è rispondente al veritiero: infatti io sono un confondone, un sempre ragione e cos'è la terza cosa che fa rima in ...one, non mi viene: ma guarda te!

    RispondiElimina
  11. Pop ti dico che non mi stupirei, e te lo dico proprio, se le foto dei poeti inesistenti, la prossima volta che le guardo, cambiassero. Guarda!

    RispondiElimina
  12. Ho il sospetto che il tenutario del blog si sia inserito come anonimo per manipolare la discussione e aumentare artificiosamente il numero dei commenti.
    Nikolaj Černyševskij

    RispondiElimina
  13. Pop non ci crederai mai!
    E' successo proprio così!
    O sono le mie fosche pupille! Le foto, le foto son cambiate!
    Psst, qui sopra c'è un certo Nikolaj che non mi sconfiffera, ssssttt!!

    RispondiElimina
  14. Mi permetto di segnalarti, Popinga, un testo rinvenuto nella Canonica di una frazione del mio paese, appartenente al poeta inesistente Scappao, brasiliano di colore. Viene riportato tra i testi colpiti dal provvedimento Jorge, pertanto ho dovuto corrompere il sagrestano, ma spero ne sia valsa la pena. Mi scuso anticipatamente per la traduzione impropria che i villici ne fecero e noterai che è pure privo di titolo. Non ne restano che pochi versi, dai quali però si evince tutta la sua poetica, nella sua totalità di movimento.

    Beh, non si può,
    non si può
    non si può sapere, piccola.
    Quando mi vedrai di nuovo,
    ma prego che sia domani.

    Ecco, l'alba
    L'alba
    Mi sta bruciando gli occhi, piccola.
    Beh. Adesso devo proprio andare,
    ma spero veramente di vederti domani.
    Comunque io devo andare adesso.

    La foto non riesco a trovarla Popinga, ma nelle note a margine c'è una sommaria descrizione: pare avesse i baffi e i capelli irsuti acconciati alla Rambo (scusa il parallelo, ma il mio becgraund questo è ecco).
    Forse nei tuoi archivi sterminati tu ne hai notizie più dettagliate, ti sarei grata se volessi fornirmele.
    B

    RispondiElimina
  15. B.: di Milton Da Sousa Scappão parlerò nella prossima puntata dei poeti inesistenti. Posseggo anche una sua foto, che pubblicherò. Posso solo anticipare che dopo quei versi indossò sempre gli occhiali da sole, per avere più carisma e sintomatico mistero.

    RispondiElimina
  16. Mi stai sempre più convincendo che la non-esistenza sia per i poeti una qualità migliorativa. Sono stato insolitamente colpito e affondato dal finale di John Shade col suo sublime resoconto di un momento di perfetta coscienza quadridimensionale.

    Pure dalla foto si capisce che era un poeta ispirato, anche se secondo me è ancora vivo e si nasconde a Parigi con Pamela Courson.

    RispondiElimina
  17. Shade negli ultimi tempi si faceva chiamare Re Lucertola.

    RispondiElimina