giovedì 25 marzo 2010

Lo straripante Leporeo


Sappiamo che il Seicento fu epoca di esuberanze in ogni campo artistico. Tra i poeti, ai più viene in mente il nome del napoletano Giovanbattista Marino, a cui dobbiamo i versi che sono successivamente stati considerati come lo specchio di una mentalità se non un vero programma poetico:

E’ del poeta il fin la meraviglia,
parlo dell’eccellente e non del goffo,
chi non sa far stupir, vada alla striglia!

Nei versi di Marino e dei marinisti abbondano i virtuosismi verbali, le allitterazioni, le rime interne, le metafore impensate, al punto che i critici hanno espresso in molti casi giudizi fortemente negativi su una corrente letteraria per la quale la tecnica prevaleva sul messaggio, intenta a dir niente nel modo più complicato possibile, al punto da annoiare il lettore più che stupirlo. Eppure la loro è talvolta una poesia seducente, a tratti anticipatrice in qualche modo degli esperimenti delle numerose avanguardie dei secoli successivi o dei giochi dei ludolinguisti.

Tra i poeti che operarono in quel periodo bizzarro, un posto a parte merita indubbiamente, sia per fantasia sia per abilità tecnica, lo straripante Ludovico Leporeo (1582–1653 circa). Friulano del pordenonese, studiò giurisprudenza a Padova, vestì l’abito talare, e nel 1602 approdò come scrivano alla corte papale di Roma, città nella quale visse la maggior parte della vita (anche se con lunghi rientri nella terra natale). La sua prima opera edita, un panegirico per la canonizzazione di Carlo Borromeo è del 1611, cui fa seguito, per lunghi anni, solo produzione poetica celebrativa e d'occasione.

La musa della poesia, che scalpitava dentro il Leporeo, decise di premiarlo solo nel 1634, quando fu accolto con molto favore il Decadario Trimetro, raccolta di poesie di dieci versi contenenti ciascuno tre rime uguali, due interne e una finale, che si susseguono in ordine alfabetico: a e i o u. Questa «nuova et inaudita inventione di poesia volgare» colpì il pubblico per il vortice di rime, assonanze, allitterazioni, giochi di parole nei quali l’autore si dimostrò un vero maestro.

Nel 1639, uscì il Leporeambo Alfabetico Eroico, «una poesia alfabetica, mia nuova inventione, che dal mio cognome ho nomata LEPOREAMBO» ricalcando il nome su quello degli inni greci in onore di Dioniso (e che invece il Leporeo credeva essere il nome di un poeta). I leporeambi portano a compimento, elevandola a potenza, la scelta stilistica tracciata cinque anni prima: si tratta di poesie di forme diverse (molto spesso sonetti), piene di termini inusitati e bizzarri, parole sdrucciole e bisdrucciole, rime interne, assonanze, allitterazioni, un funambolico meccanismo al quale l’autore pensava di affidare la propria fama d'inventore di un nuovo modo di far poesia.

Seguirono negli anni altre raccolte di leporeambi, tra le quali bisogna senza dubbio segnalare i Leporeambi Alfabetici Musicali pubblicati nello stesso 1639, i Leporeambi nominali (1641) «alle Dame ed Academie italiane», 106 sonetti dedicati a donne dal nome sempre diverso e perciò detti nominali, e la Centuria di Leporeambi alfabetici, lirici, satirici, faceti; decasillabi, endecasillabi, duodecasillabi, tredecasillabi; unìsoni, trìsoni, quadrìsoni, cinquìsoni, sestìsoni, settìsoni; canzonieri, equidistanti, trimembri, trimetri, similitudinarii, irrepetiti (1651), la sua raccolta di maggior successo, che precedette di pochi anni la morte.

Ecco una piccola raccolta delle poesie di Ludovico Leporeo, dalla quale si può riscontrare il talento linguistico e il gusto dell’eccesso che caratterizzano l’autore, considerato un “minore” nei giardini di Parnaso, ma che forse può ancora divertire noi contemporanei.

Per la stesura di queste note sono debitore dell’articolo Leporeambi Nominali di Lodovico Leporeo di Loris Pellegrini.

Leporeambi Alfabetici Musicali

Trisillabo, quadrisono, accentato, irrepetito
Amante ravveduto

Chi mi fa
crudeltà,
né mi dà
libertà,

a mia fé
non credé,
né mi diè
mai mercè;

non m'udì,
s'incrudì,
mi schernì,
mi tradì;

non più, no,
seguirò,
servirò,
ché ben so

morir fu
soffrir più
servitù,
schiavitù.


Leporeambi Nominali alle Dame & Academie italiane


XXX
Leporeambo alfabetico, cinquisono, irrepetito
Per la signora Delia
(-ante, -ente, -inte, -onte)

Cupido infido! io grido e strido avante
beltà che ha crudeltà, pietà non sente
di chi ferì, svenì, seguì fuggente
rea Medea che parea l'idea beante:

dama che ama e disama, e brama ovante
mirar, penar, mancar, spirar gemente
ognor un cor d'ardor; d'amor languente
preso, acceso, prosteso, offeso amante.

Queste infeste, modeste, oneste finte
dànno affanno, hanno inganno e sanno pronte
schernir, schermir, dir e disdir convinte;

non però vo' mal pro: terrò disgiunte
magìe, malìe d'arpìe natìe, recinte
d'ostrin rubin, d'or fin lustrin la fronte.


XXXVII
Leporeambo alfabetico, trisono, irrepetito
Per la signora Elena
(-eca, -ica, -oca, -uca)

Elena bella, avanzi quella greca
poiché tu sei vie più di lei pudica,
di cui memoria fa l'istoria antica
che di scempi e di stragi esempi reca;

il tuo brio vago e rio gli amanti acceca
e di chi t'ama sei dama nemica,
né vale ad ammansarte arte o fatica,
pïerio di Libetro, o metro, o deca;

il tuo baleno l'alma e 'l seno infoca,
che qual torrente vampa ardente sbuca
che per prieghi o per lai mai non s'apoca.

Per fuggir di martìr non trovo duca,
e la fiamma di Troia è dramma poca,
ch'ardo al tuo sguardo in guisa di festuca.


LXV
Leporeambo alfabetico, trisono, irrepetito
Per la signora Lidia
(-èdia, -ìdia, -òdia, -ùdia)

L'empio Amor, del mio cor la rocca assedia
co'i dardi rei de gli occhi bèi di Lidia,
e (a) la mia vita senza aita insidia
e prende, ohimé, a far di me tragedia;

ma l'ingegnier Sdegno guerrier rimedia
e a difesa ed offesa ei mi sussidia:
chiude le porte e 'l fronte mi presidia,
ch'io non cadrò né mi morrò d'inedia.

Questa crudele ed infedele m'odia
e con inganni a farmi danni studia
e rider spera udir la palinòdia;

ma invan con ambe man plaude e tripudia,
ché 'l mio Campion, de la ragion custodia,
la sua beltà senza pietà ripudia.


LXXXIV
Leporeambo alfabetico, trisono, irrepetito
Per la signora Ottavia
(-ella, -illa, -olla, -ulla)

Otto son le cagion, Ottavia bella
onde il mio cor di dolce ardor sfavilla:
per le due labbra tue; per la tranquilla,
che ne molce e raddolce, alma favella;

per l'una e l'altra tua scaltra facella
che l'alma entro la salma non distilla;
per le due gote ove percuote e brilla
il lusinghier Arcier con sue quadrella;

per questa e quella man ch'invan m'accolla,
che m'attinge, distringe e mi trastulla
onde avvien che dal sen l'alma tracolla.

Mentre t'adoro e imploro, empia fanciulla,
e in fiere tempre arda mai sempre e bolla,
non allenti il mio foco o poco o nulla.


Centuria di Leporeambi

II
Leporeambo alfabetico trisono endecasillabo satirico irrepetito
Si finge ferito da Cupido
(–astro, –estro, –istro, –ostro)

Son fatto per amor Batto sordastro,
sordo più d'aspe d'arimaspe alpestro,
e da lontan, ma in van miro e sbalestro
colei che a' sospir miei sembra un pilastro.

Per risanarmi e farmi un dolce empiastro
dal lato manco, over dal fianco destro,
Flora ed Aurora colsero un canestro
di scilla, camomilla, appio e mentastro.

Per crudeltà che mai non ha registro
ardo sin dentro il centro, e nol dimostro,
e mi corrode il cor l'umor salmistro.

Con foglie non si toglie il neo d'inchiostro,
nulla vale al mio male arpa, né sistro,
né quante corbe d'erbe ha l'orbe nostro.


III
Leporeambo alfabetico endecasillabo sestisono trimembre irrepetito
Franciosato parla di se stesso in istufa
(–ella, –illa, –olla, –ulla)

Sudo ignudo, egro e negro, entro una cella,
cufa stufa, ove piove il grasso a spilla;
mentre il ventre ivi a rivi il sangue stilla,
grido e strido, asmo, spasmo, e muoio in quella.

Bolso ho il polso, agro, magro, e sto in barella,
strutto e brutto, irto spirto che oimè strilla,
morto a torto, unto e smunto, per Plautilla,
che mi diè questa in testa pelarella.

Scotto inghiotto arso e scarso, e carne frolla,
tosto arrosto, acqua sciacqua, e vino nulla;
scialbo e falbo, ambe gambe e 'l piè tracolla.

Piango in fango alto, smalto di pesculla;
ahi, pescai cospi e rospi, e sputo colla:
bei trofei trassi ai chiassi di fanciulla!


V
Leporeambo alfabetico duodecasillabo satirico trisono irrepetito
Si sdossa da una publica offesa
(–arico, –erico, –irico, –orico)

Mastico il fren, fantastico, e prevarico,
sofistico, umoristico, colerico,
e di cordoglio mi discioglio iterico,
se d'una ingiuria in Curia io non mi scarico.

Non barbaro reobarbaro, barbarico
può guarir il martir mio mesenterico;
se non mi sfoio, muoio climaterico,
né mi risana il male ana d'agarico.

Non mi giova erba nova d'aspergirico,
non aloè di Mesuè teorico,
non verun altro vie più scaltro empirico.

Se non sconto l'affronto io non mi corico,
e non cesso contr'esso ordir satirico
leporeambo, strambo e metaforico.


XXVI
Leporeambo alfabetico endecasillabo satirico unisono irrepetito
Contra uno insignorito
(–astri, –estri, –istri, –ostri)

Tu, che usasti trattar le marre e i rastri,
rustico abitator di gioghi alpestri,
ruvido più de' Satiri silvestri,
nato a capre guidar, verri e porcastri,

Meraviglia non è se non t'ammastri
e da zoticità non ti sequestri,
né a favellare e a conversar t'addestri,
ma dal sentier politico disastri.

Son dell'organo tuo falsi i registri,
poiché in gesti, in parole e in volto mostri
rozzi costumi a civiltà sinistri.

Mentre assisti alle curie e monti i rostri,
s'arrossano apo te saggi ministri,
ché le assemblee deturpi, e oscuri gli ostri.


XXXXVIII
Leporeambo alfabetico duodecasillabo trisono satirico irrepetito
Vuole asteriscare le sue parole nuove
(–escole, –iscole, –oscole, –uscole)

Vo a caccia e in traccia di parole, e pescole
dal rio del cupo oblio, le purgo, e inciscole,
poi con ingegni degni conferiscole,
che a vederle son perle e non baltrescole.

Da ferrugine e rugine rinfrescole
e da la muffa e ruffa antica spriscole;
poi con indici ai sindici asteriscole,
e senza stento a mille, a cento accrescole.

Dalle muraglie d'anticaglie sboscole,
minime, semiminime, e minuscole,
e sappi il mondo attondo che io conoscole.

Ciarlino pure le censure cruscole,
ché a genti intelligenti e a torme toscole
le vo' mettere a lettere maiuscole.


Altri leporeambi pubblicati postumi


Leporeambo unimetro unisono endecasillabo eroico
Geroglifico del mondo e d'Italia
(–ante, –ente, –inte, –onte)

Questo smembrato mondo in parti tante
da meriggio, aquilone, euro e ponente,
d'aure spirante e di calor vivente,
di Natura e del Ciel figlio gigante,

prosteso fu da Giove fulminante
con diluvio di foco in giù cadente,
ché sormontar volea non degnamente
l'eterne vie con temerarie piante.

Le sue polpe cangiarsi in polve estinte,
le rigid'ossa in alpe, in rupe, in monte,
e le sue scheggie in isole distinte.

Di sì gran mole coscia e gamba gionte
giacquer colà da doppio mar recinte,
de l'Istria a fianco, e de la Libia a fronte.

14 commenti:

  1. Mah!
    Ma Popinga non potevi aspettare una settimana? Per il primo aprile poteva anche andare bene ma insomma! Inoltre fino a lunedì sera Bossi stimola l'intestino à la Alessia Marcuzzi; dopo ancora di più (da me incombe Cota).
    [Non so se si è notato, adesso lo riscrivo: à la Alessia, orrendo, davvero, leporesco].
    Comunque io un Autore del Seicento che scrive mooolto bene in italiano lo frequento. È chiaro, preciso, razionale, anche se il suo modo di scrivere è molto diverso da quello odierno. E il suo italiano non è ancora imbastardito dall'inglese anche se poi l'inglese è diventata la lingua pressapoco universale tra i suoi colleghi.
    Per un blog serio, ben frequentato (OK, me escluso) sarebbe stato meglio. Rimedierai?

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  2. Sai Popinga, il problema con la letteratura é che la riceviamo sempre filtrata dalla critica, non la leggiamo più, non la conosciamo davvero. Ho studiato bene il Manierismo, in relazione a Gracian e all'allegoria moderna solo successivamente alla scuola (se ti capita leggiti Ezio Raimondi, poi ti trovo il link giusto magari). Io ho frequentato un liceo emiliano e un'università emiliana, ma soprattutto il liceo è stata un'abbuffata di critica marxiana o marxista, e questo si rifletteva sia in fiosofia che in letteratura. Ci avevano convinti che fosse come sosteneva Hauser, e cioè che «il Manierismo è la prima corrente moderna: la prima che sia legata a un problema di cultura, e per la quale il rapporto fra tradizione e innovazione si ponga come un compito da essere realizzato con mezzi razionali. Non si intende il Manierismo se non si capisce che la sua imitazione dei modelli classici è una fuga dinanzi alla minaccia del caos; e che l'acuito soggettivismo delle sue forme esprime il timore che la forma possa fallire di fronte alla vita, l'arte esaurirsi in bellezza senz'anima». Un critico marxista che parla di anima, di bellezza e di forma, è un bell'ossimoro, non ti pare? Comunque poi ho imparato a capire un po' anche il Marino, per arrivare a Eliot e a Montale eccetera, ma non mi piace lo stesso. I giochi linguistici manieristi sono diversi da quelli tristi moderni, da quelli di Calvino, da quelli che piacciono a me. Io ci devo vedere della malinconia, nella ludolinguistica, altrimenti mi annoia, Ci devo vedere un superamento del semplice, attraverso la sofferenza del gioco, per poi tornare al semplice. Forse capisco tutto sbagliato magari, ma a me piace soffrire, mentre leggo. Io mi devo divertire contorcendomi, con delle parole i cui sinonimi siano sì magari Anima, Cuore, cose così, ma senza esserlo. Il gioco mi deve "fulminare", altrimenti mi sembra erudizione. Il Marino mi annoia, non ci posso fare niente. E anche Leporeo, mi sembra un burlone poco convinto, e a te? A te piace, Popinga? Si può leggere attentamente qualcosa, trovarlo interessante, per poi dedurre lo stesso che non ti piace. Lo sai che quasi quasi mi dispiaceva scriverlo, che sembra che non abbia capito quello che hai fatto. Ma io credo di averlo capito, é solo che non te l'ho mai chiesto: tutto quello di cui ci parli e ci racconti qui nel tuo blog ti piace? Che magari è una domanda stupida, perchè uno mica sta a perdere tempo con quello che non gli piace... Però ho visto un dagherrotipo del Senatur, che ce lo hai messo anche se credo che non ti piaccia, e allora ho preso il coraggio di porti questo quesito. Ecco.
    B

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  3. Grazie per questa "meravigliosa" scoperta.

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  4. Dato che il sonetto XXVI non può essere che un apocrifo ripien della farina del tuo sacco, aggiungo una quartina anomala. Tiè!

    E il tuo degno figliol, ai libri mastri,
    chè accesso gli negar degni maestri,
    portato l'hai infin tra altri maldestri,
    alfin che fin produca ai soldi nostri.

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  5. Juhan: sono abbastanza d'accordo che Galileo, perché è a lui che ti riferisci, sia stato uno dei migliori prosatori italiani del '600. Ma quel secolo strano produsse anche talenti bizzarri che mi permetto di proporre siccome li credo divertenti. Come sai, le bizzarrie sono uno dei miei interessi principali.

    B.: a me il Leporeo diverte. Fatta la tara di tutto quello che vuoi, della critica marxista o dello strutturalismo, di Bachtin o Lucacks, a me continua a piacere, proprio per la sua erudizione buttata via, per la sua grande abilità linguistica asservita allo stupore. Insomma proprio perché è un folle letterario.
    Non tutto quello che propongo mi piace, anche se mi piace nel momento in cui lo propongo, se no non lo proporrei.

    Luca: grazie a te. E' il fin di questo blog la maraviglia!

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  6. Enrico: grandioso! Se l'hai buttata giù in poco tempo, come credo, ti puoi con ragione considerare un Leporeo del nuovo millennio. Sicuro di voler limitarti al racconto?

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  7. Enrico rocks! al solito. Io non mi ero mica accorto dell'apocrifo #26 e non credo di potermi giustificare dicendo che l'immagine adiacente mi ha fatto pensare a Cota (prossimo governatore della Padagna Ovest, FKaP), e immediatamente il mio cervello si è adeguato al suo.
    Popinga non dovresti pubblicare certe immagini: potrebbero esserci bambini o persone impressionabili, come me.

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  8. Ragazzi, vi ringrazio della fiducia nelle mie capacità rimatorie, ma il leporeambo "Contra uno insignorito" non è un apocrifo, è davvero di Camillo Leporeo. Io ho solo riscontrato che ben si adattava a descrivere il rustico abitator di gioghi alpestri con il foulard verde. L'unico apocrifo, ben congegnato, è quello di Enrico.
    Cota assomiglia moltissimo al comico Leonardo Manera, quello di "Adriana, Adriana!" e del "Cinema polacco" (Kripstak e Petrektek).

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  9. Quest'ultima nuova pone il problema della precognizione e se il Leporeo avesse tale facoltà.
    O se tutta la faccenda non sia più ampia: il sonetto è stato composto perché il Popinga lo scovasse e diffondesse in questo blog e io lo leggessi e mi immalinconimizazzi (!), proprio come dice l'Anonimo (a?) B. I disegni di Nostro Signore FSM sono spesso oscuri, anche a Lui, RAmen.

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  10. Grazie amici, siete troppo buoni. Mi è venuto di getto, un po' perchè quelle viste mi fan torcere le budella, amo il seicento ed io stesso sono alquanto barocco. Quanto ad andare oltre al racconto, mi piacerebbe, ma da un lato mi sento debole e senza forze sufficienti per intraprendere l'impresa, inoltre non sono folgorato da un'idea, se venisse magari mi butto, per ora è dolce cullarsi nel raccontino poco impegnativo.
    E comunque da lunedì il buon Cota/ Manera ci mette posto lui a esta manera, e non fa ridere.
    Pochi si rendono conto di cosa significhi davvero!

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  11. Dato che il sonetto risultava monco e considerato che mi avete vellicato nelle parti più sensibili, mi sono sforzato di completare l'opera, di attualità odierna per altro.


    E non contento sei se non ci castri
    Chè nell'agone odierno senza estri
    Mandasti a noi tra tanti i più pedestri
    Che sventura inaudita desser gli astri.

    Che costa Cota! Alfin pur che s'industri
    A far lombardo strame delli nostri
    Piemontesi valor e a noi c'incastri

    Tra cote e lama a veder novi mostri.
    Mandato l'hai per far tetri disastri
    Colpendo il Sir dei nostri ultimi lustri.

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  12. Lo straripante Enrico! Questa la rilancio su Facebook (a nome tuo, ovviamente): posso?

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  13. @ Enrico
    È bello sapere che al tempo del diversamente intelligente Cota c'è ancora qualche piémuntèis che resiste. E non ha paura di cantargliele! e in che modo! e in rima!
    Come si dice dalle mie parti: Enrico rocks!

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  14. ma certo è un piacere , ma non mi sembra eccezionale, era tanto per finire la quartina, tanto dopodomai ce lo ritroviamo capo dei capi

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