Medico di Bevagna, nel perugino, Alfonso Ceccarelli (1532-1583) si è meritato tanti epiteti negativi da parte degli storici ed eruditi per la sua irrefrenabile attività di falsario che ha avuto nefaste conseguenze sul loro lavoro per secoli. Ludovico Muratori lo definì semplicemente “impostore”, per Girolamo Tiraboschi fu “il più grande falsario del suo secolo e non solo, ma di tutti i tempi”.
Ceccarelli diede subito prova della sua inclinazione già nelle prime opere: nel breve saggio De Clitumno flumine celeberrimo (1564) citava Flavio Vopisco, che mai si era occupato dell’argomento e il geografo Gabinio Leto, inesistente. Nello stesso anno pubblicò un piccolo trattato sul tartufo nero e la sua diffusione regionale, dal titolo Opusculum de tuberibus, tuttora considerato il primo libro di micologia che sia stato stampato, privo tuttavia di rilevanza scientifica. Divenne intimo con la famiglia Monaldeschi di Orvieto, cui riservò uno dei falsi più importanti: una storia famigliare poi data alle stampe. Tra il 1564 e il 1569 lavorò alacremente, in archivi e biblioteche pubbliche e private, a raccogliere i materiali (bolle, diplomi, testamenti, cronache, atti pubblici e privati) per i suoi progetti e allestì una sorta di laboratorio privato per la contraffazione di documenti e testi: pergamene, coloranti, falsi sigilli, elenchi e prontuari cronologici di papi, imperatori, re, vescovi, famiglie rilevanti, cui affiancava l’invenzione pura e semplice di autori e opere mai esistiti ma destinati a diventare fonti autorevoli. Confezionava così testi ”antichi” ricchi di fantastiche ricostruzioni storiche, inframezzate con alcune notizie vere ed altre false, a volte verosimili, tanto che spesso è difficile distinguere le une dalle altre.
Tra il 1569 e il 1572 preparò falsi a favore dei Podiani di Rieti e dei Cybo di Massa; nel 1574 si trasferì a Roma, a casa di Ersilia Cortese, nipote di Giulio III, diventò medico della famiglia Boncompagni e quindi anche di Gregorio XIII; attingendo all’ampio arsenale di materiali storico-archivistici, autentici e falsi, accumulato negli anni precedenti e arricchito da biblioteche e archivi delle famiglie romane, si lanciò in una frenetica attivitâ di redazione di documenti, testi e compilazioni genealogiche, completamente o parzialmente falsi, a favore di casate nobili, o aspiranti tali, di Roma e di mezza Italia: intere comunitâ (ad esempio Teano, Pesaro, Gubbio), grate per gli incrementi di prestigio storico derivanti dalle sue mirabolanti “scoperte”, gli conferirono la cittadinanza onoraria.
L’inventivo medico di Bevagna si dilettava anche di astrologia e compilava richiestissimi oroscopi, anche sul papa regnante; una sua falsa profezia, attribuita al monaco irlandese Malachia, vescovo di Armagh, sulla successione dei papi da Celestino II alla fine dei tempi, circola in Europa da allora e viene citata dalla stampa ad ogni conclave (Francesco sarebbe però l'ultimo papa). Il colpo da maestro fu il falso diploma di Teodosio che confermava la Donazione di Costantino, base del potere temporale del Papato, ma che venne accolto con comprensibili cautela e scetticismo, dopo che l’umanista Lorenzo Valla aveva dimostrato la falsità di tale documento già nel secolo precedente.
Al vertice di questa brillante camera di falsario, Ceccarelli compì un azzardo irreparabile; falsificò alcuni testamenti che coinvolgevano forti interessi patrimoniali di famiglie importanti e le parti lese lo denunciarono: seguirono in pochi mesi l’arresto, la scoperta del suo laboratorio di falsi, il processo, il vano memoriale di difesa, la condanna a morte, la decapitazione (9 luglio 1583). Si è scritto, ma la sentenza di condanna non ne fa cenno, che prima di essere giustiziato gli era stata mozzata la mano destra. Alla condanna seguì la confisca dei beni, compresa la copiosa raccolta di lettere e documenti ora conservati nella Biblioteca apostolica vaticana.
La sua tecnica falsificatoria era semplice ed efficace: per diplomi, bolle e brevi modificava e adattava originali autentici; per atti privati creava copie fittizie, autenticate, di originali dichiarati perduti o inaccessibili; altre volte alterava testi genuini e li faceva circolare in altri scritti. II suo capolavoro era perö la creazione di autori fittizi di opere fittizie: una volta creati e collocati nella nota biblioteca di una famiglia autorevole, i documenti erano utilizzati per fini truffaldini sotto forma di estratti (eventualmente autenticati), poi puntualmente citati in storie e compilazioni a loro volta “autorità" per ulteriori lavori dello stesso falsario o per i malcapitati storici degli anni seguenti. Nacquero così il geografo Gabino Leto, Fanusio Campano, autore nel 1453 di un fantomatico Libro delle famiglie illustri d'Italia, Giovanni Selino, che avrebbe scritto nel 1393 un De memorabilium mundi, e tanti altri. Sono ben 51, compresi molti di cui menziona solo il nome o il titolo dell’opera, gli autori inventati dalla fertile fantasia di Ceccarelli: per un po’ di tempo eruditi d'ogni parte d'Italia impazzirono a cercare riscontri di tanti autori sconosciuti. La cultura storica e la competenza paleografica del Ceccarelli erano discrete, ma modeste le competenze su lingua, istituzioni, cronologia dell'età medievale. Tuttavia, questo vale anche per i “clienti” e gli eruditi suoi contemporanei.
L’elenco dei falsi, confezionati in poco meno di vent’anni, è imponente; tra i principali le Memorie di Rieti, il Simulacro delta illustrissima famiglia Boncompagni. le storie delle famiglie Crescenzi, Caposucchi e Conti, l'Historia Ecclesiastica Ecclesiae mediolanensis, il Simolacro dell'antichissima e nobilissima casa Cybo, gli annali in volgare di Lodovico Monaldeschi (a stampa, nel 1580, col titolo di Historia di casa Monaldesca), i tre volumi de La serenissima nobiltà dell'alma città di Roma, una specie di summa della sua attività falsaria in campo storico-genealogico e tanti altri. Rimasti inediti, salvo la storia dei Monaldeschi, i falsi di Ceccarelli finirono nelle biblioteche e archivi, pubblici e privati, di Roma e di altre città e famiglie nobili italiane e contaminarono per anni e talvolta per secoli la storiografia locale.
I danni arrecati alla verità storica da questo audace e geniale falsario furono moltissimi: da lui attinsero senza sospetti molti autori di storie municipali; i suoi falsi alterarono, almeno per un certo tempo, la storia ecclesiastica di Ferrara, Milano, Bologna e Genova, che si videro attribuiti vescovi mai esistiti. Esemplare il caso del Liber instrumentorum del notaio Saladino de Castro di Sarzana (1293-95), repertorio di atti e strumenti ricco di notizie sulla vita civile, religiosa, economica della Lunigiana nel secolo XIII (compreso un inesistente vescovo di Genova, Eustachio Savinis). Passato indenne tra la maglie dell’erudizione storica locale del Seicento all’Ottocento, nel Novecento fu largamente utilizzato dagli studiosi del “giornale storico della Lunigiana” e solo nel 1958 una puntuale analisi storica, paleografica, diplomatica e linguistica lo ha relegato tra i falsi conclamati.
Il primo erudito a svelare i suoi imbrogli fu, nel 1642, Leone Allacci, nello stesso libro in cui denunciava i falsi etruschi di Curzio Inghirami; due anni dopo Ferdinando Ughelli definiva sogni di una testa malata le fonti citate da Ceccarelli, ma poi bisogna aspettare Muratori e Tiraboschi per vederlo inserito a pieno titolo nella categoria degli "impostori"; è suggestivo ricordare le giustificazioni dei suoi falsi nel Libello supplice inviato al giudice durante il processo: in favore della Chiesa, “pro confirmatione veritatis” è lecito produrre passi non solo da libri veri e canonici ma anche "apocrifi”, i falsi privilegi imperiali sono “non contro la verità" ma “per la verità”. Insomma, gli errori, e quindi i falsi, “in fide et in credendo in favorem fidei Christianae et Ecclesiae Catholicae Romanae” (con evidente riferimento al diploma confermativo della Donazione di Costantino) erano irrilevanti. Il giudice papale non la pensò così e firmò la condanna al patibolo.
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