L’abate Lazzaro Spallanzani (1729-1799), grande naturalista e intellettuale a tutto tondo (conosceva sia il greco che il latino), insegnò Storia Naturale all’Università di Pavia per trent’anni, durante i quali ebbe come colleghi alcuni degli scienziati più̀ celebri del periodo, con i quali ebbe rapporti piuttosto contrastati, se non di accesa rivalità̀, che sfociarono in una celebre accusa di furto di campioni di minerali del Museo di Storia Naturale, formulata dai naturalisti Giovanni Antonio Scopoli e Serafino Volta (non parente del rettore Alessandro Volta), dal matematico e logico Gregorio Fontana, nonché dal medico e chirurgo Antonio Scarpa.
Fu con Giovanni Antonio Scopoli (1721-1788) che Spallanzani ebbe i maggiori dissidi. Il trentino Scopoli è ricordato soprattutto come scopritore della scopolamina, un alcaloide ricavato da alcune piante solanacee del genere Scopolia, ma fu un naturalista sistematico molto attivo, che diede il nome a molte specie animali, vegetali e di funghi, come l’Amanita muscaria.
Spallanzani era uno sperimentatore, più un fisiologo che un classificatore, e, come tale, trascurava completamente la sistematica, preferendo dedicare il suo tempo “in cose più̀ interessanti e più̀ utili che nel dar nome a morti gusci”. Ciò̀ era visto di cattivo occhio dal Regio Imperiale Consiglio, che gli aveva chiesto di abbandonare il suo metodo nelle lezioni. Scopoli godeva a Vienna di un ampio credito come naturalista e la sua chiamata alla cattedra di Botanica e Chimica nel 1777 rappresentò un chiaro tentativo di dare un taglio maggiormente sistematico, linneano, alla Storia Naturale a Pavia.
Fu proprio la sistematica dei molluschi il primo motivo di attrito: il catalogo redatto dallo Scopoli era stato criticato dagli esperti viennesi e Spallanzani, interpellato in merito, aveva attribuito la responsabilità̀ allo Scopoli, anche se ne aveva formalmente preso le difese. L'abate allontanò Scopoli dal museo, impedendogli di usufruire delle raccolte per la redazione dell’opera naturalistica che stava realizzando. Quest’ultimo non accettò la decisione presa da Spallanzani e da lì iniziarono forti dissapori.
Il 22 agosto 1785 Spallanzani salpò per il Vicino Oriente su invito del bailo (ambasciatore) veneziano di Costantinopoli, portando con sé molta strumentazione scientifica. Tra gli obiettivi della spedizione c’era anche la volontà di trovare nuovi reperti da inviare al Museo di Storia Naturale di Pavia di cui era Prefetto e che aveva arricchito grazie alle sue competenze e alle sue scoperte.
Alla partenza per Costantinopoli, Spallanzani aveva affidato il suo corso al canonico Serafino Volta che, insieme al bidello Guarnaschelli. ebbe anche il compito di gestire il museo. I rapporti tra Spallanzani e Volta divennero presto tesi perché l’abate riteneva il canonico troppo ambizioso. Insomma: tra i filosofi naturali di Pavia c’erano rivalità e astio, e notare che erano tutti religiosi. Una congiura contro Spallanzani era nell’aria.
Il 2 settembre 1786. un signore si presentò alla porta della residenza di Spallanzani a Scandiano di Reggio Emilia. Chiese di vedere il museo privato del celebre naturalista e, dopo una visita veloce. se ne andò. Questa persona era il canonico Serafino Volta, che voleva dimostrare che l’abate aveva sottratto dei pezzi dal museo di Pavia per la sua collezione privata. La visita sembrò confermare i sospetti e, per questo, Volta, su consiglio di Scarpa, scrisse una lettera al consigliere Lambertenghi della cancelleria di Vienna, descrivendo il furto. Solo che questo presunto furto venne ingigantito, sia nella quantità che nel valore, come poi venne dimostrato. Ben presto, Volta, Scarpa. Fontana e Scopoli si unirono con l’intenzione di distruggere la reputazione di Spallanzani mentre era in viaggio. La strategia fu quella di diffondere la notizia al maggior numero possibile di persone.
Spallanzani stava rientrando in Europa via terra, attraverso la Transilvania e l’Ungheria. Giunse a Vienna il 7 dicembre 1786. Qualche giorno dopo venne a sapere delle accuse mosse contro di lui e che la notizia si era diffusa non solo a Vienna, ma in tutta Europa. Non si perse d’animo e iniziò subito la sua strategia di difesa, scrivendo numerose lettere alle varie autorità.
Nella sua memoria difensiva, l’abate forniva adeguate giustificazioni: molti dei campioni mancanti erano già degradati al loro arrivo al Museo pavese, sia per difetto di imbalsamazione sia perché divorati dai vermi, le pietre saline giunte dall’Austria si erano sciolte per l’umidità, alcune conchiglie era state scambiate con altri naturalisti e musei. Guarnaschelli sapeva bene tutto ciò.
Da Milano risposero di presentare denuncia formale e inviarono due ispettori a effettuare dei sopralluoghi nei due musei. I due constatarono alcune mancanze nel museo di Pavia, ma non trovarono a Scandiano tutte quelle opere "rubate" di cui parlava Serafino Volta. Inoltre, le mancanze erano valutate a una cifra molto più esigua rispetto a quella indicata dal canonico.
Quando Spallanzani tornò a Pavia nel mese di gennaio 1787, riprese la sua attività di docente, ma egli era venuto a conoscenza di molti particolari della congiura. Sapeva bene che erano Fontana. Scopoli. Volta e Scarpa i suoi avversari, i quali. senza attendere il giudizio delle autorità competenti, avevano inviato un gran numero di lettere a tutti i più importanti rappresentanti della comunità scientifica internazionale, in cui raccontavano la loro versione, cercando di rovinare la sua immagine personale e scientifica. Queste lettere erano state scritte nell’abitazione di Fontana ed erano firmate da Scopoli. Tuttavia, Spallanzani poteva contare su una rete di amici che gli rimasero accanto e Io aiutarono sia nel raccogliere prove contro i quattro nemici, sia nel mantenere il suo prestigio internazionale attraverso la nomina in varie accademie scientifiche degli Stati europei.
II gran rumore sollevato in tutta Europa dalla vicenda stava mutando l'atteggiamento delle autorità milanesi, che erano preoccupate per la reputazione dell’Università di Pavia. Furono quindi mandati segnali perché si interrompesse la campagna diffamatoria. Ma la rabbia e il desiderio di vendetta erano più forti del buonsenso. Scopoli continuò a inviare lettere.
II 17 marzo 1787 si aprì il processo per il presunto furto. Il primo ad essere sentito fu Scopoli, che confermò quanto da lui scritto; nell'interrogatorio emersero i motivi di contrapposizione tra i due naturalisti e gli screzi che avevano aumentato la loro inimicizia. Venne interrogato anche il bidello Guarnaschelli, che aveva subito pressioni per confermare le accuse di Volta, ma non se la sentì di ribadirle. Venne poi il turno di Spallanzani, che confermò tutte le deposizioni già rilasciate nelle memorie scritte, rilanciando le accuse a Volta, il quale fu ascoltato subito dopo. Anch’egli dovette ridimensionare il valore delle mancanze. E ciò che disse non convinse a sufficienza il Consiglio. Venne poi interrogato lo studente Gognetti, che confermò di aver copiato le lettere infamanti su ordine del suo professore Fontana. Fu quindi il turno di Fontana, che chiamò in causa ufficialmente anche Scarpa; tuttavia, il Regio consiglio ritenne inutile interrogarlo, in quanto la vicenda era sufficientemente chiara. L'atmosfera stava visibilmente cambiando a favore di Spallanzani. A fine maggio era pronto il documento che sarebbe stato sottoposto all’Imperatore per la sua decisione definitiva, in cui si chiedeva di dichiarare l’abate innocente. Serafino Volta venne dichiarato decaduto dalla sua carica di custode del museo e tornò nella natia Mantova: più tardi Spallanzani lo avrebbe definito “escremento della Storia naturale, spia già̀ notoria di Scopoli”. Garlaschelli fu rimosso dall'incarico di bidello e tutti gli accusatori subirono la disapprovazione della commissione. La consulta propose all’imperatore di imporre il silenzio sulla vicenda per salvaguardare il buon nome dell’Università. L’imperatore si pronunciò secondo quanto indicato dalla Consulta.
Spallanzani era ovviamente soddisfatto, e scrisse a coloro che avevano ricevuto le lettere infamanti della “banda dei quattro” per comunicare l’esito del processo. Tornò responsabile del Museo. Ma non era ancora tutto.
Scopoli si stava dedicando alla stesura di un'opera enciclopedica che doveva descrivere in maniera precisa i vari elementi naturali, affiancandoli con riproduzioni dipinte: tuttavia, il rifiuto di Spallanzani di farlo accedere al museo rendeva tutto più complicato. Scopoli, descritto da molti come persona mite, non doveva essere così pacifico come dava a credere: nell’avviso editoriale delle Deliciae florae et faunae Insubricae (1786) aveva annunciato di voler descrivere
“tutte le naturali produzioni da niun altro finora conosciute e descritte dell’insigne Museo di Storia Naturale di Pavia dove giacquero da gran tempo sepolte ed ignote, per mancanza di chi sapesse scientificamente illustrarle e trarle alla pubblica luce”.
Ovviamente questa affermazione non era stata gradita da Spallanzani, che si sentì “villanamente oltraggiato”; ciò̀ contribuì̀ a inasprire ulteriormente i rapporti tra i due.
Mentre Scopoli era in questo stato d’animo, il medico Giuseppe Capitini di Castelnuovo Scrivia (Alessandria) gli portò un vaso in cui era conservato nello spirito di vino uno strano verme che, secondo quel che gli fu riferito, era stato vomitato da una donna incinta. Come lui stesso scrisse “questo meravigliosissimo, né mai più veduto, né descritto animale […] fu vomitato il 25 febbraio del 1784 nel Piemonte dalla moglie del sig. Vincenzo Domenico Grandi […] sei ore prima del parto”. Dall’analisi che Scopoli ne fece il verdetto fu chiaro: era un verme intestinale, ma di un tipo mai visto prima. Era quello che Scopoli desiderava: una nuova specie che potesse impreziosire l'opera a cui stava lavorando, Deliciae florae et faunae insubricae. Lo affidò all’illustratore Giovanni Ramis affinché lo disegnasse e decise di dedicarlo al presidente della Royal Society di Londra, sir Joseph Banks, uno dei maggiori naturalisti inglesi. Lo chiamò Physis inlestinalis, ma già qui commise il primo errore. Nella sua poca conoscenza del greco, egli pensava che la parola physis significasse vescica (che è invece physe), ma in realtà significa natura. Non era tutto: il medico piemontese Vincenzo Malacarne aveva già visto questo presunto verme e sapeva che era un imbroglio: fu “riconosciuto che era una impostura, consistendo esso in una trachea tratta dal corpo di una gallina insieme con l’esofago e il gozzo”. Avvisò Scopoli dell’errore e ben presto questo imbarazzante segreto si diffuse, e la carriera di Scopoli ne fu distrutta. Secondo una versione, Serafino Volta portò via, nascondendolo sotto il mantello, il vaso con la Physis intestinalis dal museo di Pavia per evitare ulteriori derisioni. Si dice che dietro questo scherzo vi fosse proprio Spallanzani, ma non si hanno prove concrete al riguardo. Quello che è certo è che l’abate approfittò della situazione per deridere pubblicamente il nemico e prendersi la sua vendetta. Scrisse un libello sotto pseudonimo (Lettere due del dottor Francesco Lombardini bolognese al sig. dottore Giovanni Antonio Scopoli professore nell’Università̀ di Pavia, Zoopoli, [ma: Modena, Società Tipografica], 1788), in cui criticava la metodologia scientifica utilizzata dal rivale e raccontava diversi episodi che dimostravano l’incompetenza del canonico. L’errore sul verme non fu che l’ennesima dimostrazione di quanto il canonico fosse incapace:
“Ora proseguendo a dire dello stesso verme, passiamo a cose allegre e prepariamoci a ridere. Vi sono de’ soggetti, che per muover le risa esigono qualche previa arte dal canto di chi li propone. Ve ne sono altri, che al solo sentirli fanno immediate rider da sé: e di quest’ultimo genere a me pare che sia il vostro verme, considerato sotto il punto di vista, in cui passo a considerarlo io adesso. Quì credo che l’irrisibile Anassagora e tutti i famosi Agelasti non potrebbero rattenere le risa. Sapete voi dunque, rispettabili miei lettori, cosa è codesto non più̀ veduto, né più immaginato verme, che è d’inestimabile prezzo, e che fa epoca nelle più̀ grandi scoperte della Storia naturale? Di grazia prendete cura de’ vostri polmoni per non iscoppiare nel ridere. Egli è la trachea e l’esofago con buona parte del gozzo di una gallina. Così è, senza né pur d’un atomo alterare il fatto”.
Spallanzani aveva da togliersi qualche soddisfazione anche contro Alessandro Volta, che, essendo Rettore al momento del famoso scandalo, non prese le sue difese. Questa ipotesi può̀ trovare riscontro in un altro passo della stessa opera, in cui Spallanzani ironizza su un goffo tentativo di Volta di minimizzare, riguardo all’errore di Scopoli sulla Physis intestinalis con argomentazioni al limite del ridicolo; tale atteggiamento denota la volontà̀ di mettere a tacere le polemiche e non gettare discredito su un professore del proprio ateneo.
“Nel tempo che rideva tutta Pavia alle spese dell’autore del verme vescica o verme gozzo, e che si pensava a una commedia ad imitazione dell’Antiquario del Goldoni; al solo professore D. Alessandro Volta pareva che non fosse tanto da ridere, dicendo egli che la differenza tra un gozzo di gallina ed un verme non era poi tanto grande. [...] Possibile che quell’uomo, non contento dell’infelice figura che fa, in qualità̀ di maestro, cerchi di rendersi anche ridicolo nella Storia naturale, che non sa cosa sia, quando non si faccia a cercarne la spiegazione in un Dizionario! Possibile che invece di dare del continuo alla bagattella, di spendere l’intera giornata in far visite, di fiutare intorno qual sia la casa donde esce l’odor di più̀ lauta e più̀ abbondante imbandigione, non si metta seriamente a studiare un Corso di Fisica, senza trascurare gli elementi della Geometria, dell’Algebra, della Meccanica e dell’Ottica, ne’ quali è innocentissimo!”
Scopoli morì nel 1788, Spallanzani nel 1799. Ironia della sorte, le ultime cure gli furono prestate proprio dallo Scarpa, che ne eseguì anche l’autopsia. La commemorazione funebre fu fatta da Fontana.
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